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ALZANI editore

 

PRESENTAZIONE

 

    L’Editore Alzani, cui si deve anche la pubblicazione del periodico “La Voce Intemelia”, si è avvalso della competenza di uno dei suoi collaboratori sugli usi e costumi locali, storicamente documentati e per quanto possibile riscontrati nella loro realtà tuttora esistente, per presentare un’ampia relazione sull’alimentazione intemelia.

    Quest’opera, intitolata appunto “L’alimentazione intemelia nella storia” offre la possibilità di conoscere l’intima evoluzione della vita nelle nostre contrade attraverso gli stretti rapporti intercorrenti tra le necessità del cibo quotidiano e il loro inserirsi negli eventi in ambito sia locale che europeo.

    Luigino - nella zona intemelia è inutile aggiungere Maccario, del resto chi vuole più avanti potrà sapere da Lui stesso tutto sulla sua vita - con una scrittura agile, con perfetta conoscenza dell’argomento che tratta, con il sicuro possesso delle notizie storiche del paese, con l’acuto inserimento di aneddoti raccolti dalla viva parlata degli anziani con i quali conversa nella loro lingua quotidiana, ci offre una lettura fresca e accattivante attraverso una materia che altrimenti potrebbe apparire limitativa.

    A questo si aggiunga la “gemma” del dialetto con il quale denomina ciascuno dei prodotti selezionati nelle schede di compendio, precise, esaurienti: questo privilegiare il dialetto è - almeno a mio avviso - un altro grande merito di chi vuole salvare usi, tradizioni, costumi, inserendoli in un testo preciso, non banale e certamente non noioso.

Tutta la vita quotidiana, che poi è la vera storia, è profondamente ritratta come mezzo per rivalutare la nostra civiltà anche, se non soprattutto, presso le generazioni moderne, oggi raffrontate con le più disparate influenze, spesso a scapito della tradizione.

    Luigino non ignora l’attualità, cui dedica un intero capitolo, e per di più le affianca le specialità delle feste locali ancora vive nei giorni nostri, durante le quali «il popolo - dice -praticava un genere contenutissimo di abbuffata ... per tornare ad una alimentazione veramente parca per il resto dell’anno. Non dobbiamo figurarci questa gente eternamente attanagliata dalla fame, ma dalla “paura” della fame, che li portava a mangiare irrazionalmente».

    Il ricostruire la coscienza di una grande famiglia contadina, nella quale viva e progredisca l’eredità culturale ricevuta, giova alla formazione di una società più comprensiva e più serena.

    L’importanza particolare che è stata data all’alimentazione e alla parlata, cioè alla crescita delle popolazioni locali favorisce oggi la conoscenza e la coscienza di un’etnia secolare, presentata nella sua esattezza con metodo piacevolmente narrativo: è un sistema vecchio, ma raramente usato bene come in questo caso.

    “L’alimentazione intemelia nella storia” è un’opera che contribuisce al mantenimento e meglio ancora al rinnovamento dello spirito civico, fondato non su parole ma su valori che la forte razza ligure in genere, e intemelia in specie, ha saputo esprimere nei secoli della sua lunga storia.

                                                                     Carlo Pozzi

 

      Mi è concesso di risultare l’ultimo rampollo d’una dinastia di macellai, della quale, in famiglia si ricordano almeno quattro generazioni, ad iniziare dai primi anni del XVIII secolo.

      Inoltre, da parte di madre, ho appreso il gusto per le buone realizzazioni in cucina, giacché la mia mamma in gioventù era stata molto ben iniziata alla ristorazione, nell’azienda di suo cognato, l’allora rinomata “Osteria della Posta”, sul Vallone.

      La macellazione e la distribuzione delle carni sembrerebbero soltanto una branca ridotta della gastronomia, la cosa non è poi così verosimile; giacché, se sul nostro territorio, la scelta organica delle pezzature per la carne macellata non è stata neppure, storicamente, molto im­portante, dalla vicina Provenza c’è pervenuta per tempo questa particolare cultura.

      Per questo, se fino agli Anni Venti del nostro secolo, il macellaio non era sollecitato da specifiche richieste, o stimolato da clienti pronti ad elaborare particolari ricette; da quel periodo in poi, ha dovuto adeguarsi per diventare il consigliere delle pezzature più adatte, per menù ben determinati.

      Nella ristorazione e tra gli addetti ai lavori della distribuzione carnea, le pezzature ideali per certi tipi di cottura erano ben note, almeno fin dalla prima metà dell’Ottocento.

      In quest’ultimo dopoguerra, la saggistica, la letteratura, e più tardi le rubriche televisive, per la diffusione e la massificazione della gastronomia popolare, hanno costretto il buon macellaio a diventare un esperto in arte culinaria, o almeno un teorico sulla cottura delle carni.

      Negli Anni Settanta, la Bottega delle Carni si è dovuta adeguare ad una serie progressiva di proposte gastronomiche, per arrotondare le vendite, che si stavano riducendo sensibilmente. Così il macellaio ha dovuto trasformarsi in un vero e proprio gastronomo, come stanno facendo a tutt’oggi coloro che continuano il mestiere in proprio.

      Personalmente, dal 1958, ho cominciato a frequentare attivamente il Macello, prima quello privato gestito da mio padre a Camporosso; poi quello Pubblico di Ventimiglia. Proprio quello che ha dovuto chiudere i battenti nello scorso 1991, ultimo tra i Mattatoi Pubblici della zona.

      Questa chiusura è avvenuta per scarsità d’utenti, dovuta alla forzata industrializzazione dell’attività ed ai dettami della Legge Merli, quella che tratta dell’inquinamento ambientale, la quale è stata applicata in modo particolarmente ineguale, tra soggetti simili, di fronte al proble­ma dello smaltimento del sangue.

      Dall’inizio del secolo, le carni ovine locali sono state, sovente, commercializzate da media­tori, ma la progressiva diminuzione dell’allevamento ovino intemelio, negli Anni Sessanta, ha costretto alcuni macellai alla trattativa diretta con gli ultimi pastori presenti, nelle nostre valli.

      Ho condotto questa esperienza, che è stata per me molto gratificante. Da giovanotto, mi recavo negli ovili costieri della transumanza, ma anche nelle malghe alpine, dove, dopo aver cominciato ad acquistare pecore ed agnelli, o capre e capretti, ho finito per commercializzare anche i genuini e locali prodotti caseari, d’allora: il già raro “brussu”, la pastosa ricotta, le dolci “tome” ed il piccante pecorino.

      Fino al 1965, a pochi passi dal nostro negozio, al 24 di via Cavour, teneva bancone di salumeria l’ormai anziano Pinò Biamonti, che in gioventù aveva imparato il mestiere dal famoso Locatelli. Frequentando il suo laboratorio ho ricevuto le indicazioni sul trattamento di squisite salsicce e profumatissimi prosciutti, cotti a vapore, da sua sorella Orsolina.

      All’inizio degli Anni Ottanta, giudicando irreversibile il calo delle vendite nelle Botteghe tradizionali, ho accettato di trasferire la mia esperienza nel Reparto Carni di un noto Super­mercato, dove, dall’ottobre del 1990, per due anni e mezzo, ho anche condotto un’esperienza di gastronomo, nel nuovo banco a vendita diretta “taglio e peso”.

      Questa scelta, oltre ad aumentare il mio bagaglio in praticità, mi ha concesso molte ore in libertà ed abbondanti ferie, da dedicare anche alle ricerche sulla gastronomia storica locale; ovvero, a questo modesto insieme di dati, che dovrebbero interessare il territorio intemelio.

                                                            Luigino Maccario 2008

 

INTRODUZIONE

 

      Quasi sempre, l’immagine di un paese risulta determinata dalle usanze che la popolazione vi esprime. A volte, queste sono giudicate dagli stessi abitanti come una delle cose meno qualificanti per la comunità. I più rilevanti tra questi segnali collettivi, nell’ambito dei costumi popolari, sono da considerarsi l’approvvigionamento alimentare e la conseguente gastronomia applicata.

    A volte, invece, è l’egoistico possesso di una qualunque ricetta a privare la collettività d’un importante documento popolare, che opportunamente tramandato avrebbe consentito la definizione originale del tessuto gastronomico territoriale, almeno in parte.

    Un qualsiasi avventore, un villeggiante, un turista, chiedono immancabilmente il meglio della tradizione elaborata dal popolo che li ospita, così come alla cucina del paese visitato, per il solo gusto di assaggiare cose diverse dal suo solito, possibilmente originali, con la speranza di poterne conservare il ricordo, abbinato alle amenità di quella probabile vacanza.

    Tutti i “mass-media”, le riviste specializzate ed in modo particolare i programmi televisivi, quando visitano od operano su un qualunque luogo, non mancano di farne notare le specialità gastronomiche caratteristiche, possibilmente sostenute dall'esposizione dell’eventuale produzione alimentare locale.

    Nella Zona Intemelia, sia i semplici avventori, così come i giornalisti inviati speciali, trovano grosse difficoltà nel ricercare il peculiare gastronomico; o meglio, quando riescono a ritrovare una qualche produzione più o meno tipica, facilmente s'imbattono in informazioni poco convincenti, magari sostenute da favolette divagatorie incredibili.

    Dal punto di vista dell’approvvigionamento alimentare, il territorio intemelio potrebbe fornire molto più del doppio di quello che produce attualmente, se fosse opportunamente incentivato.

    Considerando la necessaria salvaguardia del territorio e l’inopportuno abbandono delle zone montane, da parte degli addetti ai mestieri tradizionalmente legati all’agricoltura ed all’allevamento, il nostro Ponente dovrebbe porre rimedio a molte incoerenze, a volte anche politiche, o soprattutto politiche.

    La sempre più pressante ricerca di un lavoro, da parte dei giovani, accoppiata alla perdita di redditività dei mestieri tradizionali, oggi esistenti, genera la ricerca d'attività alternative.

    Se queste fossero trovate, o meglio ritrovate ed elaborate modernamente, sul territorio abbandonato, potrebbero portare a soluzione i problemi dell’occupazione locale, oltre a favorire la salvaguardia territoriale del nostro paese.

    È vero che da qualche tempo, assai poco disinvoltamente, sta' trovando spazio l’AGRITURISMO, specializzazione dell'ospitalità contadina, già molto diffusa nel Levante ligure, ma che tarda ad insediarsi nelle nostre vallate e quando lo fa imbocca percorsi approssimativi. Eppure le nostre valli sono più che adatte allo scopo.

    L’elaborato che segue vorrebbe concorrere a porre rimedio a queste situazioni, cercando di dare spunto al possibile ritrovamento delle tradizioni ed alla loro valorizzazione; indagando dapprima per dare ordine storico alla produzione locale ed alle importazioni alimentari, nel tempo. Rovistando poi nel passato, senza dimenticare di volgere un occhio al futuro, o al futuribile.

    Infine, grattando la preziosa crosta della Cultura e della Letteratura, proverà a rimediare “ricette” storiche, da ripristinare, laddove il termine ricetta dovrebbe valere anche per gastronomia e relativo approvvigionamento.