rivista il: 12 aprile 2013
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USANZE
 
 
a Contradansa
DANZE CONSUETE

 

        Nell'approccio verso la danza, il popolo intemelio si è sempre riferito alle tradizioni delle genti con le quali si rapportava, siano state provenzali o piemontesi, diversificando parecchio le mode che gli giungevano dalla Liguria.
           Tra i tipi di danza più praticati, sono stati accertati: a Curénta, a Burré, a Giga, a Farandùla, a Contradansa, u Balétu, u Rigulé, u Galòpu, u Perigurdin e a Cadrìglia.
            Nel XVI secolo, a Nissarda è entrata dirompente e avversata, poi sono arrivati: a Gavòta, u Svàrsu, a Pùrca e a Muz
ürca.

di  Nino Allaria Olivieri

CONTRO "LA NIZZARDA" 1585

LA VOCE INTEMELIA  anno LII  n. 7  -  luglio 1997

Siamo allo scadere del secolo XVI. In Ventimiglia il ceto dei nobili vive un tenore di vita godereccio e di spensieratezza; il popolino, in certe circostanze non è da meno: fede, moralità, onestà sono in pericolo.
       Il vescovo Galbiati con lettere pastorali, decreti e predicazione stigmatizzata la situazione e, determinato nella sua azione di riforma dei costumi a riparo, conosciuta la crescente indifferenza ai richiami, usa l’arma della scomunica. Si scaglia contro ogni tipo di danza, in maniera particolare contro il ballo della “Nizzarda, orrido e diabolico modo di danzamento inverecondo”.
       Era tale l’aborrimento della Chiesa contro questo metodo di danza, che gli stessi Sinodi di Savona e di Ventimiglia ne determinarono non solo la gravita ma giunsero a catalogarne sia le pene spirituali che fisiche. “È da scongiurare quel genere di saltare, volgarmente detto la Nizzarda ... ballo che a poco a poco irrompe nelle nostre diocesi ... noi lo proibiamo e sotto pena di scomunica interdiciamo sia i saltanti che i suonatori”.
         Le minacce non sortirono effetto: se il ceto povero si comportò prudentemente, non di umile parere fu la nobiltà ventimigliese: varie restano le inquisizioni attorno a feste estive organizzate dai nobili con la richiesta partecipazione di cicisbei e donzelle fatte venire da Monaco, da Mentone e Sospello.
        La partecipazione di forestieri, di suonatori orchestrali, il direttore fu un ripiego: non essendo essi fedeli sottoposti al vescovo di Ventimiglia non incappavano nella scomunica.
        E non sortirono effetti anche i ripieghi. Il 31 agosto 1586 il vescovo Galbiati si reca in visita in Sospello; volendo ammettere alla chiesa molti irretiti dalla scomunica per aver danzata la Nizzarda, fatto radunare il popolo sulla piazza antistante la Chiesa Collegiata, vi si reca, seduto in cattedra e rivestito dai paludamenti pontificali.
        Rivolge agli scomunicati e ai presenti una forte reprimenda “e poiché siamo Padre a voi perdoniamo di aver disobbedito a Noi e a Dio con il danzare la Nizzarda“.
        Agli scomunicati ordina di recarsi nella piazza in cui danzarono e quivi giunti, gli uomini lasciassero i calzari e le donne si sciogliessero i capelli sulle spalle, e “così dalla piazza, luogo del loro peccare, pervenissero in preghiera alla porta della chiesa e quivi giunti, in ginocchio e capo chino, mani congiunte uno ad uno, a chiara ed alta voce, chiedessero l’assoluzione”.
        Con meno apparato scenico il Galbiati usò in Ventimiglia.
       Traduco da note del suo diario pastorale. “Oggi nel corridoio del nostro palazzo alla presenza di tre canonici e dei miei famigli e segretario ho assolto per aver danzato la Nizzarda il nobile De Judici Iacobo e Mariolina”.
       
Che fosse la Nizzarda una danza di strana esecuzione e che incuriosisse i più si estrae da una relazione del segretario del Cardinale Aldobrandino, in data 1601, il quale relaziona della curiosità del cardinale e come in Nizza la Famiglia Martini in suo onore “fece per lui una festa invitandovi tutte le dame della città per farci vedere i balli della Nizzarda, che sono veramente graziosi”.
       Osservatori del tempo così descrivono la danza e la sua esecuzione.
       “Il cavaliere invita con quella creanza del cortigiano la dama. Prende la mano della dama e ordina il suono; mano nella mano, fanno con passo lieve e svelto il corso della sala una o più volte. La dama corre senza pianelle sollevando le vesti graziosamente saltellando e correndo mostra la sua leggiadria e le grazie della sinuosità della vita. Fatti due o tre giri, abbraccia la dama introducendo la mano sinistra dietro i fianchi e con la destra stringe il di lei braccio. La solleva tutto in torno, fa fare dieci o dodici salti per tutta la sala e chi sa meglio fare è più gaia e leggiadra dama, e chi più alto e retti li fa fare, è più valoroso e forte cavaliere. E nel fine di essi, giri e salti, solleva la dama con l’aiuto del ginocchio suo e quello della dama e con forza di braccio la solleva tanto alta: nel calare per mercè di tanta fatica ne prende un bacio grazioso nelle umide labbra”.

                                                                  Archivio Curia Vescovile
                                                               (atti, decret. Galbiati 1581)

 
a Nissarda
a Farandùla