Ancöi l'è e i sun e ure
Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

 

 

Filippo Rostan   Giliu

 

    Nato da famiglia di cultura valdese, proveniente dalle vallate di Pinerolo, veniva alla luce in Sanremo, il 25 aprile 1897. Trapiantato ad un anno a Bordighera, dove il padre Filippo e la madre Maria Caterina Rubino gestivano una pensione, frequentava le prime scuole. Trasferitasi la famiglia a Monaco, restò da una zia a Ventimiglia, dove frequentò le superiori diplomandosi in ragioneria nel 1914. Non ancora ventenne andava al fronte nella guerra del 1915/18, riportando un’invalidità permanente. Dopo il primo conflitto mondiale, tornava a Ventimiglia dove insegnava ragioneria e studiava per poi laurearsi in lettere. Il suo vero interesse era per il teatro e la letteratura, prendeva parte, molto volentieri, ai dibattiti che si tenevano al Cafè Ligure, in quegli anni, per merito del professor Vieri Bongi. In quel periodo, Rostan era una delle persone più conosciute in città. Nel 1925, al momento nel quale la cultura tradizionale stava per perdere la libertà di esprimersi, giacché il Governo considerava i dialetti come qualcosa di sovversivo, iniziava un’attiva collaborazione con Emilio Azaretti per la conservazione del dialetto ventimigliese, facendo della nostra parlata una bandiera di indipendenza e di libertà, ispirati da Mistral e dai Felibre della Provenza. Per Rostan questa avventura diventava subito una missione, tanto che su questa sua finalità lo stesso Azaretti dice: “Rostan ha fatto del dialetto ventimigliese la sua vera lingua, che adoperava tutte le volte che ne aveva l’occasione: parlando, scrivendo, e non solo quando scriveva poesie o commedie, ma soprattutto nelle sue lettere personali”. Nel 1927, con Azaretti, fondava la Cumpagnia d’i Ventemigliusi e nel 1928 la Cumpagnia d’u Teatri Ventemigliusu, poi, insieme iniziavano a scrivere commedie, sotto lo pseudonimo Yvan Dakordiu: L’AMU’ U L’E’ CIU FORTE CHE U BRUSSU / 1929 - U DOTTOR PEPIN SCURLUSSURA / 1930 - PAULIN U S’INCALA / 1932. Lui medesimo scriveva: RUFFINI A VENTIMIGLIA, ispirandosi al libro autobiografico “Lorenzo Benoni”. Ma Rostan non si accontentava di scrivere, infatti passava sere e sere alle prove della Compagnia, suggerendo persino il dialetto agli attori che recitavano per la prima volta. Poi, nelle serate di recita, fungeva da direttore di scena provvedendo ad ogni necessità, dai vestiti, al trucco, facendo coraggio agli attori, fino a spingerli in scena al momento giusto. Racconta sempre Azaretti: “Ricordo una sera, si recitava al Casinò di Mentone, vedo entrare in scena una faccia nuova che non avevo mai visto, alla fine dell’atto vado a vedere di chi si trattava: ebbene era Rostan ! All’ultimo momento mancava un attore, e lui si era fatto attaccare un paio di baffi ed era uscito in scena, con tanta paura, giacché era la prima volta che recitava, ma eseguendo la parte come nessuno aveva mai fatto così bene”. Nel campo della canzone dialettale, scrisse le parole per le musiche di Ughes, Niloni e Cebrelli: L’AIGA DA SCCIÜMAIRA, CUM’A L’E’ BONA A PISCIADELA, LEGENDA VENTEMIGLIUSA, PERCHE’ U L’E’ PESCAVU’, A FUNTANA D’A CATEDRALE, S’I PASSA AUTI. Sempre con Azaretti, ha redatto A BARMA GRANDE - Antulugia Intemelia - dove pubblicò numerose poesie dialettali. Alcune poesie in lingua vennero pubblicate nei libretti: TRA L’ERBA e RIMPIANTI. Negli anni ‘30, nel corso delle feste, da lui organizzate, con la Cumpagnia e la Biblioteca francese, conosceva e sposava Berta Bacilone, di famiglia tendasca, domiciliata ad Antibes, era Direttrice della Scuola Francese di Ventimiglia. Nel 1939, all’avvento del fascismo, si trasferì a Nizza, dove, subito dopo la guerra, nel ‘46, entrava come funzionario nel Consolato Italiano, lavorando per ristabilire le buone relazioni tra Italia e Francia, in questa nostra zona di frontiera. Da Nizza e da Antibes, dove andava a passare l’estate, con assidue lettere e numerose visite all’uno e all’altro “ventemigliusu” ha ottenuto che si riprendessero le pubblicazioni de A BARMA GRANDE, questa volta a cura dell’Istituto di Studi Liguri, del quale è stato fondatore e collaboratore per anni e per il quale ha dato alle stampe STORIA DELLA CONTEA DI VENTIMIGLIA, nel 1971. In quegli anni, scrisse le commedie dialettali: INA PURMUNITE DUGIA, IN VITALISSIU, DUI A CUGULETU, I SUN MEGLIU I OMI O E DONE?, prendendo parte attiva all’inaugurazione del Festival della Poesia e della Commedia Intemelia di Pigna. E’ stato fautore dello “Incontro regionale - Storia e vita di dialetti liguri” che ha gettato il seme per rendere grande la “Cunsulta ligure tra e Associazioni d’Arte e Tradizione”. Il suo ultimo scritto storico è stato LA OÚ SE JOUAIT LE SORT DE L’EUROPE, un saggio per spiegare ai francesi la verità sugli avvenimenti della guerra 1915/18, recentemente tradotto in italiano. E’ deceduto ad Antibes, l’8 luglio 1973.

 

     Da: “LA VOCE INTEMELIA” Anno XXVII - n° 7 - luglio 1973.

 

COMMEMORAZIONE DI FILIPPO GILIU ROSTAN

 tenuta al Festival di Pigna, da Nino Lamboglia, nell’agosto del 1973.

 

    Non avremmo detto mai, cari amici, negli scorsi anni, quando seguivamo questo Festival avendo in mezzo a noi Filippo Rostan, che lo ispirava e godeva beato in prima fila dell’aura di Pigna, che avremmo dovuto iniziare quest’anno ricordandone la scomparsa. Egli veniva da Antibo e da Nizza con la fedele Consorte, che ha voluto anche quest’anno essere con noi - e alla quale porgiamo tutti un pensiero non convenzionale di condoglianze - prendeva stanza all’Hotel delle Terme, saliva ogni sera in la Colla, un po’ irrequieto e timoroso dei suoi acciacchi, ma alla fine partiva sempre soddisfatto e felice, dopo aver felicitato autori e attori. Il suo posto rimarrà vuoto, domenica, su questo podio dove era solito leggere le poesie sue e dei suoi conterranei. Un vuoto incolmabile, perché personalità come quella di Rostan, in questa terra di frontiera complessa e tormentata, non emergono molte volte in un secolo.

    A lui principalmente dobbiamo se è nata la “Barma Grande” e con essa tutto il movimento letterario intemelio dell’ultimo quarantennio, e quindi il Festival di Pigna che ne è oggi l’espressione più popolare e genuina. D’accordo, non sarebbe nato senza l’ispirazione di Emilio Azaretti, senza il paterno viatico di Luigi Notari e l’afflato poetico di Marcelle Firpo e di quanti altri hanno collaborato con loro; ma senza il pensiero e l’opera di Rostan questa bella unità di spiriti che supera le persone e le frontiere non si sarebbe rafforzata, perché egli ne fu fin dai primordi l’autentica “cheville ouvrière”, colui che intrecciò e mantenne i contatti fra uomini di lingua e di cultura e di campanile diverso, e in tutti instillò la convinzione e meglio l’istinto dell’unità nella varietà e l’ideale di una Liguria intemelia una e indivisibile, nel nome di Ventimiglia e della sua antica Diocesi e del suo Comitato.

    Tale convinzione venne a lui dallo studio della storia, e si sviluppò di pari passo coi destini dell’Istituto di Studi Liguri, di cui fu uno dei fondatori; ad esso, fin dal 1933, si ancorò come in un porto sicuro. Fu lui che mi attirò giovanissimo, in quegli anni, da Albenga a Ventimiglia, fu lui che mi condusse la prima volta a meditare, dall’alto del Trofeo della Turbia, sui destini della Liguria d’oltre frontiera e della latinità mediterranea; i suoi principi al riguardo si forgiarono di pari passo con i nostri, e collimarono fino alla fine. Diventò storico senza aver fatto della ricerca storica una professione, anzi rimase e si dimostrò sopratutto un vero filosofo della storia della sua terra, ansioso di carpirne il segreto attraverso le mutevoli vicende di due e più millenni, e sognando la restaurazione almeno ideale e culturale della sua antica e indistruttibile unità.

    Ma Rostan rimane per noi, al di là della storia, sopratutto un poeta e un delicato interprete della gentilezza nativa del temperamento intemelio: un carattere che deriva dalla natura, dal sole e dall’avvicendamento delle Alpi ed ha forse una sola parola latina per definirlo: mansuetudo, che indica all’origine quella dolcezza, quella misura, quel senso di civile convivenza da cui nasce veramente la gioia di vivere. Uomo mite, calmo, signorile nell’animo e nel portamento fu anzitutto Rostan, pur nella sua semplicità e nella modestia delle sue origini. Da Baiardo a Sanremo, da Sanremo a Bordighera, infine a Ventimiglia, e di qui a finir la vita a Nizza e ad Antibo, ebbe modo di confrontare fin da bambino le diverse sfumature di carattere delle nostre principali città e delle nostre vallate, e ne estrasse per sé il succo migliore. Dal più alto paese della Liguria Initemelia venne forse a lui la profonda sensibilità della natura e dell’ambiente rusticano, quella stessa vena lirica che permane nel temperamento baiardese; da Sanremo la concretezza ligure e la tenacia che certo non gli mancò in tutta la vita; da Bordighera, protesa sul mare, la lungimiranza che da l’orizzonte marino e quel fine autoumorismo che caratterizza il carattere bordigotto e che trapela spesso nella sua poesia; da Ventimiglia infine quel senso profondo di umanità che sembra promani dall’acqua del Roia e che abbraccia monti e vallate, spartiacque e frontiere in una superiore visione della vita e della società fatta di saggezza e frutto di costante travaglio. Trasferito a Nizza, sposato ad Antibo, continuò a guardare a Ventimiglia e all’Italia come alla sua terra materna, e continuò a dedicarvi il meglio della sua attività e della sua produzione poetica e letteraria. La Li guria Intemelia fu il suo credo, l’unità del Bacino del Roia attraverso i dialetti, il folclore, la storia rimase il tema principale dei suoi scritti dell’età matura. La sua “Storia della Contea di Ventimiglia” resterà come il miglior compendio delle vicende storiche della città di frontiera e dell’intero territorio intemelio. Le sue commedie, semplici e spontanee come il suo carattere, scritte solo da lui o in collaborazione con l’amico Azaretti, dureranno nel tempo e saranno recitate finché durerà la fiamma della Cumpagnia d’u Teatru Ventemigliusu, che egli accese e stimolò da vicino nei primi anni, finché vivrà sulle nostre coste e nelle nostre vallate l’amore della lingua materna. Le sue poesie, altrettanto semplici e cristalline, come tante gemme o fiori che egli immaginava staccarsi “Fra l’erba” - titolo di uno degli opuscoli suoi a cui egli più teneva - con quella vena di sentimentalismo e di umorismo che la caratterizza, vivranno nel tempo e saranno tramandate ai figli. Un certo numero ce ne ha lasciate inedite, per la pubblicazione, e le leggeremo domenica ed esaudiremo la sua volontà.

    Tenne e lavorò molto anche alla grafia unitaria dei dialetti intemeli: argomento non pacifico e fonte di dispute senza fine con Azaretti e con Firpo e con Notari e con chi vi parla: la Barma Grande è stata sotto questo aspetto, per gran parte, opera sua, e la curò, con Azaretti, fino all’ultimo numero, che è in stampa.

    Mi ha sorpreso, fra i manoscritti che ha lasciato all’Istituto di Studi Liguri, leggere numerose sue poesie recenti, oltre che in dialetto, anche in italiano, ed anche per questo ho preferito parlarvi anch’io di Rostan in italiano e da italiano. In realtà, portato dal suo matrimonio e dalle vicende della sua vita a trasferirsi in Francia (e per questo ingiustamente calunniato negli anni anteguerra) ebbe, quanto più avanzava negli anni, la singolare reazione di sentirsi sempre più profondamente italiano, di origini e di cultura, anche se la Francia fu per lui come per tutti noi una seconda Patria, e se l’Europa unita, con capitale nel Distretto Europeo delle Alpi Marittime a cavallo fra la Francia e l’Italia, fu il suo grande ideale inarrivato, da buon socialista sano come egli amava riconoscersi; e in questo ideale di nazionalità una e bina egli educò il figliolo, facendone il vero tipo dell’homo novus europeo, e anzitutto italo-francese, che egli aveva lungamente sognato. Per il suo profondo sentimento di italianità egli dedicò non poco tempo - avendo partecipato alla prima guerra mondiale sul Piave a fianco dei commilitoni francesi, ed essendone rimasto mutilato - a quel singolare libro, scritto in francese per i francesi e tradotto ora in italiano dal generale Faldella “La où se jouait le sorte de l’Europe”, nel quale rievoca le vicende di Caporetto e tenta di ristabilirne la verità storica, sovente deformata all’estero. E di questo compito, egli che pur del guerriero non aveva nessuna stoffa, e ne sorrideva con gli amici, si sentiva particolarmente fiero, quanto d aver dato origine con la sua produzione e la sua opera intemelia a questo Festival di Pigna. Il quale quest’anno gli e particolarmente e naturalmente consacrato, e nel quale i suoi concittadini ventimigliesi, la Cumpagnia d’u Teatru Ventemigliusu che fu una sua creatura, hanno voluto stasera essere presenti per primi. Quest’opera dovrà essere naturalmente continuata da noi e da chi verrà. Pigna, alle sorgenti del Nervia che alimentò la prima Ventimiglia, offre su questa rocca dell’antico Castello dei Conti di Ventimiglia un terreno abbastanza solido e secolare per poter fondare su di esso questa grande speranza nell’avvenire, che è un sacro impegno di tutti noi verso la memoria di Rostan.