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1982

A conclusione del trecententenario

I Ventemigliusi ricordano

Padre Angelico Aprosio

Bronzo e lapide commemorativa

sulle mura dell’antica biblioteca

    Domenica 28 febbraio, la Cumpagnia d’i Ventemigliusi ha concluso il ciclo delle Manifestazioni Aprosiane, scoprendo una effigie bronzea e una lapide commemorativa sulle mura dell’antico convento agostiniano, sede primitiva della Biblioteca Aprosiana.

    L’iniziativa dei “ventemigliusi” è stata attuata sotto la direziono del geom. Giovanni Luciano, in collaborazione con Erino Viola, e grazie all’opera del giovane scultore ventimigliese David Maria Marani, autore dell’altorilievo raffigurante l’Aprosio che emerge dallo sfondo della sua biblioteca. Sulla lapide, di metri 2 per 0,75, in pietra della Turbia, è stata incisa da Nando Biancardi una dedica dettata dal dott. Emilio Azaretti.

    Alla cerimonia, oltre ad una rappresentanza della Cumpagnia d’i Ventimigliusi, sono intervenuti, per l’Amministrazione Comunale di Ventimiglia, i Consiglieri Incaricati alla Cultura e al Personale Gaspare Caramello e Virginia Sguizzato, mons. Giuseppe Boero, Parroco di Sant’Agostino e il Commissario di P.S. dott. Caria.

    Dopo lo scoprimento, la lapide è stata benedetta da mons. Mario Guglielmi, Vicario Generale della Curia Vescovile di Ventimiglia.

    Il dottor Emilio Azaretti, Console Onorario della “Cumpagnia d’i Ventemigliusi”, ha tenuto la commemorazione ufficiale della figura e dell’opera di Angelico Aprosio che riportiamo qui di seguito.

* * * * * *

    Fra i libri scritti dal Padre Angelico Aprosio, dopo il suo definitivo ritorno a Ventimiglia, riveste particolare importanza il catalogo de La Biblioteca Aprosiana, di cui fu stampato a Bologna nel 1673 il primo volume, perché contiene, fra le molte interessanti notizie sulle opere contenute nella Biblioteca e suoi loro autori, anche una, sia pur schematica, autobiografia, nella quale tuttavia i principali avvenimenti della sua vita e le caratteristiche essenziali della sua personalità vengono chiaramente illustrate.

    Da questa autobiografia apprendiamo che è nato a Ventimiglia il 29 ottobre del 1607, da Marco e Petronilla, appartenenti ambedue a rami diversi della più antica famiglia Ventimigliese, quella degli Aprosio, i cui antenati erano già cittadini dell’Albintimilium romano col nome di gens Apronia, ricordata in un busto del nostro museo archeologico, ed apprendiamo anche che gli era stato imposto il nome del nonno: Luigi, come auspicio di continuità genealogica famigliare.

    E che il padre ci tenesse ad avere un conservatore del suo illustre casato, uno Stamhalter come dicono i tedeschi, lo prova anche il fatto che il Nostro sia nato dopo ben otto sorelle ed un fratello premorto in tenera età. Ma evidentemente Luigi non era il tipo da lasciarsi imporre la sua regola di vita dagli altri, come apparirà chiaramente in seguito, e già a quattro anni aveva deciso e dichiarato ai genitori che intendeva prendere i voti religiosi, cosa che ha poi fatto, deludendo le insistenze del Padre di avviarlo allo studio della medicina o della legge ed alla perpetuazione della discendenza.

    La sua precoce vocazione religiosa era chiaramente legata a quella culturale, ispirata dalla tradizione dotta dell’ordine Agostiniano e, già nella sua fanciullezza, l’amore dei libri era per lui fondamentale, tanto che i suoi compagni di scuola gli avevano affibbiato il soprannome di “filosofo”. Poco oltre i 15 anni, terminati gli studi di grammatica e retorica, segue la strada che si era prescelta, veste in questo Convento l’abito di Eremitano dell’Ordine di Sant’Agostino e compie l’anno di noviziato nel Convento della Consolazione di Genova, dove si tratterrà altri due anni approfondendo i suoi studi religiosi e letterari. Riesce poi nel 1626 a procurarsi, grazie alle sue doti intellettuali, un ambito posto nel Convento di Sant’Agostino in Siena, dove ben presto, malgrado la sua giovane età  - non aveva ancora vent’anni ! - entra in relazione con i più famosi professori dell’Università e con gli altri esponenti della cultura cittadina.

    In quegli anni, e precisamente nel 1623, era rientrato dalla Francia, dopo esser stato per sette anni ospite della Regina Maria de’ Medici, il più famoso poeta secentesco italiano: Giambattista Marino, autore dell’Adone, accolto trionfalmente dai suoi numerosi ammiratori, ma anche ferocemente attaccato dai suoi altrettanto numerosi denigratori, e 1’intellighenzia italiana si dividerà ormai in marinisti ed antimarinisti e, fra i primi, si affermerà l’Aprosio dedicando alla difesa del Marino, fra il 1637 e il ‘47, ben sei volumi: Il Vaglio critico, il Buratto, l’Occhiale stritolato, la Sferza poetica e i due libri del Veratro, acquistando così fama nazionale ed europea di valente critico letterario.

    Nel 1631, dopo cinque anni di proficuo soggiorno a Siena, fu  - per dirlo con le sue parole  - “rimosso e mandato come lettore a Monte San Savino”; forse i suoi interessi letterari gli facevano trascurare quelli religiosi o piuttosto la fama da lui raggiunta in Siena a soli 23 anni dava fastidio a qualcuno. Ma l’Aprosio fa buon viso a cattiva sorte ed approfitta di questa parentesi durata tre anni per approfondire, in perfetta libertà, la sua cultura ed intrattenere rapporti epistolari sempre più numerosi con letterati di chiara fama di tutta Italia. Poi, probabilmente stanco della vita appartata ed anche più sicuro di sé, chiede  - per liberarsi dell’incarico  - di rientrare a Genova, dove resterà tre anni, continuando i suoi studi ed intessendo relazioni di amicizia con alcune fra le maggiori personalità cittadine, per ripartire infine, dopo aver rifiutato importanti incarichi offertigli dai Superiori dell’Ordine, verso la Toscana.

    A Pisa incontra il confratello Nicola Campiglia, trasferito come Rettore da uno Studio di Napoli a quello di Treviso, e lo segue restando per due anni nel convento Agostiniano di quella città. Qui si fa chiara la sua decisione di prender residenza a Venezia, uno dei più prestigiosi centri culturali di quel tempo, ma vuole andarci in condizioni che gli permettano di continuare, in piena indipendenza e senza alcun intralcio, la sua attività intellettuale. Aspettando l’occasione propizia, si sposta intanto all’Isola di Lésina in Dalmazia, al Convento di Murano, poi a quello di Chioggia, rendendosi famoso per i suoi sermoni e quaresimali e finalmente nel 1641 entra al Convento di Santo Stefano di Venezia dove resterà sette anni insegnando lettere, scrivendo, frequentando la “Accademia degli Incogniti”, stampando diversi suoi volumi, ricevendone in dono o acquistandone molti altri e primeggiando nell’ambiente culturale cittadino.

    In questo felice soggiorno veneziano, si perfeziona la sua maturazione come critico letterario, letterato ed oratore sacro, ma a poco a poco nasce in lui, forse inconsciamente, anche il desiderio di creare una sua cittadella intellettuale fondando, con le trenta casse di volumi che aveva raccolto, la Biblioteca Aprosiana. A spingerlo verso questa decisione sarà il nobile genovese Giuliano Spinola, trasferito in quegli anni in Venezia e divenuto suo sincero amico, offrendosi di fargli trasportare gratuitamente a Genova i libri e di fargli stampare, a proprie spese, il secondo volume del Veratro. Così, all’inizio del 1648, dopo essersi recato per il quaresimale a Lubiana ed aver completato in Venezia la stampa del Veratro, partirà per Genova con i suoi libri.

    Qui, scartando una primitiva idea di donare la Biblioteca al Convento della Consolazione, dove aveva compiuto il noviziato, e rifiutando anche una offerta della Biblioteca Angelica di Roma, decide di aprirla nel Convento di Ventimiglia, predisponendo durante la quaresima dello stesso anno i lavori di sistemazione dei locali. Non mancano però le difficoltà, finanziarie in primo luogo, ma anche provenienti da un frate maligno e invidioso, che l’Aprosio ricorderà ai posteri come “Barba di becco”, e per condurre felicemente a compimento l’impresa dovrà accettare, suo malgrado, vari incarichi di prestigio, fra cui quello di Vicario Generale della Congregazione genovese, che lo tratterranno a Genova fino al 1654, dove verrà anche nominato, in riconoscimento dei suoi meriti di studioso. Conte Palatino e Cavaliere.

    Nell’aprile del ‘54, all’età di 47 anni, potrà stabilirsi finalmente a Ventimiglia dedicandosi con fervore alla sistemazione muraria e di scaffalatura della Biblioteca, ultimata nel 1661, ma in parte già in uso dall’inizio degli Anni Cinquanta.

     Nel tempo stesso continua la sua produzione letteraria che, smorzata ormai in Italia la violenta diatriba marinista, sarà dedicata ad altri argomenti. Così, come critico, pubblica commenti alla tragedia Le bellezze de la Belisa del Muscettola, alle Ore pomeridiane del Saoli, alle Epistole eroiche del Crosso e, seguendo il filone moralistico de Lo scudo di Rinaldo, stampato precedentemente a Venezia, le curiosità erudite de La grillaia, mentre La visiera alzata, che scopre l’identità dei moltissimi scrittori italiani, che la nascondevano nel 600 con uno pseudonimo, verrà pubblicata soltanto dopo la sua morte. Ma certamente l’opera più importante, benché rimasta incompiuta, è La Biblioteca Aprosiana, a cui ho precedentemente accennato e della quale il Consiglio Nazionale delle Ricerche sta pubblicando, in occasione di questo trecentenario, i tre volumi rimasti manoscritti.

    Accanto alle opere, è certamente di grande interesse per la storia culturale del suo tempo il monumentale epistolario in 46 volumi, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Genova, notevolmente accresciuta durante il suo soggiorno ventimigliese. Nell’ultimo decennio di vita, però, la sua salute va deperendo a causa della malaria, che sembra abbia contratto durante il soggiorno in Dalmazia, e questo fatto gli ha impedito di portare a termine la sua “summa” il catalogo de La Biblioteca Aprosiana e ne ha provocato la morte, il 23 febbraio del 1681, all’età di 73 anni.

    Molto ci sarebbe a dire sulle peripezie e sulla decadenza della Biblioteca dopo la sua morte ed in particolare sulle depredazioni a cui è stata assoggettata malgrado il Breve del Papa Innocenze X del 1653 che minacciava, con illuminata preveggenza, ma con scarso risultato, di scomunicare chi ne avesse asportato i volumi. E molto ci sarebbe a dire anche sulla noncuranza mostrata dalle pubbliche amministrazioni che si sono succedute nella nostra Città, confermata oggi dallo stato del tetto della sede attuale, verso una istituzione di così alto prestigio culturale.

    Ma preferisco terminare con l’augurio che la Biblioteca possa al più presto tornare nella sede che Padre Angelico gli aveva amorevolmente costruito e che, con l’apertura di una sezione moderna, possa riprendere il compito di promozione culturale a cui, aprendola, prima fra le Biblioteche liguri, al pubblico, l’aveva destinata.

                                                                                   Da: LA VOCE INTEMELIA anno XXXVII  n. 3  -  marzo 1982