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Luigino Maccario

 

LA ROSA CELTICA

Trattazione del simbolo solare più diffuso, nella Catena Alpina

dalle Marittime alle Dolomiti

      Nel 2001, il professor Venceslas Kruta, dell’Università “La Sorbonne” di Parigi, a presentato il documento: “Les Celtes, histoire et dictionnaire des origines a’ la romanisation et au christianisme”, dove a partire dai ritrovamenti archeologici degli ultimi cinquant’anni ha ridisegnato la mappa, le caratteristiche ed le usanze della cultura celtica in Europa. Ha preso in esame la riconoscibilità della presenza celtica in base ai reperti di arte figurativa, tipicamente basati sull’astrattismo dei simboli, quali il vischio, assimilato alla palmetta della confinante cultura greco-latina. Con il Kruta, hanno trattato l’argomento “I Celti tra Mediterraneo ed Europa Continentale”, anche Ermanno Arslan, Soprintendente del Castello Sforzesco, a Milano, curatore di numerose mostre sul tema, e Martin Almagro Gorbea, dell’Universita di Madrid, archeologo assai conosciuto al Biknell di Bordighera. Secondo i relatori, alla luce delle attuali conoscenze, nell’antichità preromana, oltre alle popolazioni prettamente celtiche esistevano i Celtiberi, i Celtilliri e persino i Celtoliguri, inoltre, si può cominciare a sostenere che le origini del popolo Ligure siano congeniali alle origini dei Celti, o viceversa. Sotto questa luce, la lettura della “civilizzazione romana” riflette altri, diversi bagliori, che considerano assimilate dalla Romanizzazione molte tradizioni “barbariche” con caratteristiche civilizzanti.

 

    In quella che è stata la parte subalpina vissuta dai Celti, a partire dalle Alpi Marittime, per arrivare fino alle Dolomiti, un simbolo solare ha unificato l’esprimersi visuale di quelle genti, si tratta della “Rosa celtica”, quel “logo” atavico che si trova espresso artisticamente ed artigianalmente sui portali, sugli accessori legnosi ed impresso sulle rocce monumentali, detto anche “Sole delle Alpi”.

    Le decorazioni intarsiate sul mobilio e sugli attrezzi della vita contadina, oltre a quelle scolpite sulle lastre di pietra sormontanti i portali, nelle abitazioni dei villaggi, ritenevano quel segno un richiamo della protezione celeste.

    Era così caratteristico ed usuale per la nostra gente, che avrebbe potuto essere inteso come il più noto “Albero della vita”, diffuso in tutta Europa, ma noto, per gli stessi significati in ogni civiltà mondiale.

Portali a Rezzo 

LA STANZIONE ERETTA

    Nel corso dell’evoluzione della propria specie, quando l’uomo primitivo giunse a reggersi degnamente nella sua nuova stanzione eretta, vide aprirsi un mondo diverso da quello che aveva finora vissuto sull’albero.

    La generazione che aveva preceduto quest’importante momento evolutivo, era ancora molto vicina ai primati, e come essi ancora fanno, vivevano essenzialmente sugli alberi, appunto.

    L’intera vita d’uno di questi individui trova svolgimento nel medesimo bosco che lo ha visto nascere; l’albero della foresta è l’unica sua abitazione, dove egli trova il nutrimento, la sicurezza e la compagnia, essenziale al mantenimento della specie.

    Dunque, l’homo lasciava la sfera dei primati e scendeva, per la prima volta, con i piedi per terra, in grado di restarvi per lunghi tempi, liberando le proprie mani dall’usurante prensilità, dedicata principalmente ai trasferimenti fra i rami.

    Una mano meno callosa e col pollice che lentamente trova comunicazione differenziata con ognuna delle altre dita, mette l’homo in condizioni di acquisire un’eccezionale abilità costruttiva.

    L’albero rimane ancora per molto la dimora notturna, il luogo radicato della sicurezza; così come resta, ancora per qualche tempo, il produttore dell’alimentazione primaria ed il luogo più adatto al rito per la conservazione della specie.

 

LA SCOPERTA DEGLI SPAZI

    Il fatto di poter liberamente muovere nella radura, attento quanto vigile, aprì al cervello una diversa visione delle cose e a molti interrogativi. La stessa possibilità di poter raggiungere, camminando, ogni più lontano luogo della terra risultò determinante allo sviluppo della cultura umana.

    Quando la stanzione diventò del tutto eretta, il punto di vista cominciò a spaziare sull’alta erba della savana, scoprendo ampi spazi ora conquistabili, che presentarono un orizzonte ben diverso da quello visibile all’interno della foresta, mentre la calda luce del giorno permise di scoprire mille nuove situazioni. Lo stesso astro, che emanava la salutare ed indispensabile luce, acquistò una maggiore attenzione.

    Il costante e ripetitivo percorrere l’ampio cielo da parte del Sole, aveva già incuriosito l’homo ma ora gli indicava un’ulteriore nuova dimensione, quella che egli definì con gli essenziali punti cardinali. Poco tempo prima aveva preso forma, tracciato sul terreno che l’homo calpestava, il primo segno esoterico: il cerchio.

    Il segno iniziatico su modello dell’astro che illuminava i giorni e portava la vita, ma anche quello del più incostante pianeta che illuminava alcune delle notti. Tracciato sul piano, definiva l’ampio orizzonte visibile in una circonferenza, che era ingombrata da un punto centrale, nel quale l’homo definiva se stesso, prendendo coscienza del suo stato eretto e centrale rispetto al mondo visibile.

    Quel segno veniva praticamente imposto all’estraneo interlocutore, per informarlo sulla proprietà del territorio circostante. In poche parole: disegnando la circonferenza, l’homo padrone di casa indicava allo straniero il territorio posseduto, cioè, “tutto quello che vedi attorno”; quando nel bel mezzo del cerchio segnava il punto centrale, voleva dire “questo sono io ed il territorio che vedi è essenziale per me e la mia tribù”, quindi traine le conseguenze di comportamento.

    Ma riflettendo egli stesso sul segno ricavato, l’homo scopriva che da quel punto si diramano due linee, i semiassi dello stesso cerchio, quello che indica “davanti” e l’altro che indica “dietro”. Il cerchio risulta ora tagliato in due da una linea, due semicerchi.

    È il secondo dei segni iniziatici, quello che oltre al davanti ed al dietro, riferiti allo stesso uomo, può anche indicare il viaggio dell’Astro, da una parte all’altra dell’orizzonte.

    Ovviamente, il punto più importante di quell’asse era “oriente”, perché da quello evolveva il sospirato ritorno dell’Astro, che aveva abbandonato il mondo la sera prima, proprio calando verso il nefasto “occaso”, vale a dire l’altro lato.

    Il terzo segno è diretta conseguenza dei primi due, infatti, l’uomo allargate le braccia, provava ad indicare tutto quanto starebbe da una parte e tutto quanto sta’ dall’altro versante dell’asse centrale.

    Ecco aggiungersi il secondo asse perpendicolare, che oltre ad evidenziare il mondo di “destra” e quello di “sinistra”, concede forma alla figurazione esoterica della “croce circoscritta”.1

    Anche questo segno si riferisce sempre al percorso solare, indicando i punti di “tramontana” e di “austro”, quelli che permettono di misurare i ricorrenti spostamenti dell’Astro, mentre ciclicamente si allontana e poi si riavvicina all’orizzonte, percorrendolo nell’alto del cielo, fino allo “zenith” che non oltrepassa mai, verso le parti siderali del cielo.

 

IL TERZO ASSE

    Quindi, l’uomo, quando segnava sul terreno attorno a se stesso la croce circoscritta e poi vi si poneva al centro, rivolto ovviamente verso Oriente, forniva la componente essenziale della figurazione esoterica di se stesso come “asse verticale”. Lo stesso asse verticale che riferito al cammino del Sole stava ad indicare lo “zenit”, il punto più alto raggiunto dall’Astro in cielo.

    Ecco allora che torna attivo l’albero primordiale, la sua componente lignea, il tronco spoglio, o parzialmente spoglio dei rami, viene piantato nel punto di congiunzione degli assi segnati, sostituendo figurativamente l’uomo e definendo il “totem”, cioè il ricordo dell’antenato, visto con le funzioni d’iniziatore.2

    Non ci volle molto per aggiungere alla figurazione anche la parte sotterranea, non visibile ma essenziale alla forma attiva del segno. La sua interpretazione si mise a spaziare tra molti concetti ormai acquisiti. Poteva esser vista come la figura delle radici dell’albero, o come punto d’assunzione delle forze vitali per il totem, oltre alla figura rovesciata dello stesso uomo, ma soprattutto raffigurava il mondo degli inferi, celato dall’oscurità della terra.3

    Nello stesso tempo, l’homo prendeva coscienza della famiglia, del clan parentale e della tribù d’appartenenza, quindi metteva da parte la cinica individualità, per porre al centro della croce circoscritta il totem comunitario, che sovente veniva rappresentato da un albero, copia dell’antico, accogliente domicilio.4

 

RAPPRESENTAZIONE PIANA

    Ora che il quarto segno era stato trovato, completando la croce inscritta nel cerchio, in quella che oggi sarebbe definita “geometria solida” o tridimensionale, si poneva il problema di renderlo visibile sul piano, cioè, rappresentarlo sulla superficie illustrata, per poterlo trasmettere più comodamente.

    Per far apparire l’asse verticale, sia la parte emersa sia quella sotterranea, nel contesto della croce circoscritta, venne comodo aggiungere al simbolo il terzo asse, spostando il secondo lateralmente di trenta gradi.

    Ed ecco che il quarto segno iniziatico, sotto forma di “ruota raggiata”, che contiene pure una “croce decussata” e diventava simbolo facilmente trasmissibile, anche se, da quel momento, avrebbe potuto essere letto soltanto da chi sapeva, da chi possedeva la conoscenza tramandata, quindi, col simbolo divenne operante anche lo “sciamano”, ossia, il sacerdote.5

    Per lantico popolo dei Balzi Rossi, di Granmondo, del Toraggio e di Monte Bego, la funzione ed il nome del sacerdote era assimilabile alla cultura dei popoli celtici, quindi lo potremo definire druido, capo guerriero e mistico. Dunque, il druido si rese conto che per tracciare comodamente la ruota raggiata poteva disporre di un attrezzo assai rudimentale, quello che verrà detto compasso a punte fisse.

 

    Puntato un centro definito e tracciata una circonferenza, otteneva facilmente il primo segno, puntando poi sul circolo, nel punto d’oriente, poteva secare il cerchio ogni trenta gradi precisi, trovando i punti dai quali tracciare i raggi, nei successivi incontri tra la circonferenza iniziale e gli archi man mano ottenuti.

    Però, il disegno, che il compasso a punte fisse tracciava nel cerchio, risultava una sorta di fiore dai petali oblunghi, come la margherita, che evidenziava ancor più il percorso del Sole in cielo.6

     Aveva preso forma così la “rosa celtica”, che era anche una trasposizione grafica dell’orientamento, quella che in altre culture, assai simile, verrà chiamata “rosa dei venti”.7

    Ma in realtà, non vi sono che tre punti cardinali visibili, il quarto, l’Ovest è inesistente perché non si può vedere, mentre si è rivolti verso Est, cosicché veniva considerato come l’Altro Mondo, il mondo invisibile.

 

 

 

L’ORIENTAMENTO CELTICO

    Tra i Celti, il sistema per orientarsi assumeva come base il sorgere del sole, vale a dire l’Est. Quindi, davanti, è l’Est, l’Alba; a sinistra è il Nord, il lato “sinistro”; a destra il Sud, il lato luminoso; infine dietro è l’Ovest, dove il sole muore ogni sera.

    Il Nord è dunque il lato sinistro, malefico, oscuro, che la cristianizzazione accentuerà facendone il lato diabolico. Posidonio afferma che, per adorare correttamente gli dèi, bisogna volgersi verso destra ed in effetti, il senso normale, vitale, segue il corso del sole.

    Il Sud è il polo che supporta il percorso del sole, la metà chiara del mondo, quella dei vivi e degli dei luminosi. Il Nord è la parte riservata al “sid”, alla natura essenziale ed alle divinità misteriose e notturne; è “siderale” dunque.

    Per iniziare bene un viaggio si aveva lavvertenza di fare il primo passo col piede destro, così come si metteva questo piede in terra scendendo da una nave.8

    Dunque, nel mondo celtizzante, anche i primi passi di un viaggio verso occidente venivano percorsi verso oriente, voltando poi verso destra, per intraprendere il cammino effettivo, pena la riuscita disastrosa del viaggio medesimo.

    Per quel popolo, la logica della circumambulazione vitale era implacabile. Il Sud, a destra, è il corso normale della vita, di cui l’Ovest, dietro rappresenta la conclusione, il regno dei morti, ossia, l’Altro Mondo che è invisibile e negativo quando fagocita il Sole.

    Per popolazioni che giungevano dall’Europa continentale, l’Ovest era anche il luogo ove terminava la terra conosciuta ed iniziava l’Oceano infinito, verso il regno dei morti, appunto.

    Ma il Nord, a sinistra, è il paese del freddo e dellombra; andare verso Ovest dal Nord significa dunque rompere larmonia cosmica, andare nel verso contrario, esponendosi ai guai peggiori.9

    Anche per il popolo intemelio quel criterio di ambulazione doveva essere in auge, infatti nel nostro dialetto, ancor oggi, la parte destra viene detta drìta coi significati di dritta/diritta/retta/giusta, mentre la sinistra è lérca, anche col significato di manca/difettosa, infatti nel nostro dialetto, il mancino viene detto lercà.10

 

                   Architrave a Mendatica                                                                      Architrave a Briga Marittima, con albero

 

IL RITORNO ALL’ALBERO

    L’uomo eretto, libero di percorrere il mondo con una certa sicurezza, non dimenticò molto presto l’albero. Abbiamo visto che resterà l’abitazione notturna ancora per molto tempo, ma continuerà ad essere un considerevole riferimento, retaggio d’importanza fondamentale, anche quando la memoria diretta si fece sbiadita.

    Un numero elevato di segni esoterici riguardano l’albero primordiale: l’albero mette in comunicazione i tre livelli del cosmo. Quello sotterraneo, per le radici che scavano le profondità in cui affondano; la superficie della terra, per il tronco ed i primi rami ed i cieli, per i rami superiori e la cima attirata dalla luce del sole.

    Esso riunisce tutti gli elementi: l’acqua circola con la linfa, la terra s’integra al suo corpo attraverso le radici, l’aria nutre le sue foglie, il fuoco si sprigiona dal legno, se si strofina.

    Per le sue radici affondate nel suolo e per i rami che s’innalzano in cielo, l’albero è universalmente ritenuto un simbolo dei rapporti che si possono stabilire fra la terra ed il cielo. Esso, in questo senso, ha un carattere “centrale”, al punto che l’ALBERO DEL MONDO è sinonimo dell’ASSE DEL MONDO.

    L’Albero del Mondo è anche ALBERO DELLA VITA, un albero centrale: la sua linfa è la “rugiada celeste”, i suoi frutti danno l’immortalità, o meglio, il ritorno al centro dell’essere, cioè, allo stato edenico d’ogni beatitudine.

    L’albero non è di questo mondo, esso si sprofonda nel nostro mondo e sale fino all’Aldilà; va dagli inferi ai cieli come una via di comunicazione vivente. Così l’Albero della Vita diventa ALBERO COSMICO, archetipo sul quale si costruisce l’asse cosmico tribale o, se si preferisce, proiezione nell’assoluto di un’immagine familiare.

    Dai testi vedici apprendiamo una precisa concezione sul ruolo del sole e della luce nella crescita degli alberi. Questi assorbono la vita dall’alto e si sforzano di farla penetrare in basso. Ne deriva il simbolismo dell’ALBERO ROVESCIATO, dove le fronde hanno il ruolo delle radici e le radici quello dei rami.

    Ancora una volta, la Vita viene dal cielo e penetra nella terra, mentre il tutto è un ideogramma che simboleggia il cosmo.

 

L’ALBERO AL CENTRO DEL TERRITORIO

    Attraverso conoscenze astronomiche precise, i Druidi erano in grado di tracciare mappe assai delineate del territorio abitato dalla tribù, fino a definire l’esatto centro del “paese” abitato.

    Attorno a questo centro, punto sacrale, si operava per ricavare una radura che sarebbe servita da luogo di raduno delle adunanze tribali.11

    Lo stesso criterio veniva applicato alla ricerca del centro geografico dei territori abitati da più tribù, dove la radura avrebbe ricevuto assemblee intertribali più ampie, giacché ospitavano un popolo.

    Quando le popolazioni divenivano sedentarie, attorno alla radura, che si trasformava in piazza nasceva la città centrale di quel popolo, col nome di “MEDIOLANUM”, delle quali Milano è il caso più noto.12

    Al centro della radura la tribù lasciava eretto l’albero simbolo, che in qualche caso piantava espressamente. Quest’albero rappresentava la “casa comune” della tribù, in memoria di quell’albero che ospitava l’homo nella foresta.

    Questa pianta, presso i Celti assumeva un rapporto sacrale con la natura, con la terra, col mondo, col divino. Quando l’albero fosse seccato, o fosse stato colpito dal fulmine, avrebbe continuato a rappresentare la casa comune, giacché il popolo lo avrebbe fatto rivivere artificialmente con l’appendervi nastri e falsi frutti colorati.

    In qualche altra civiltà, l’albero eventualmente seccato veniva inciso e dipinto, dando vita così al TOTEM, il rappresentante sacro della tribù.

    La cristianizzazione dell’Europa ha abbattuto innumerevoli alberi sacri, al centro di ricorrenti radure, cancellando così molta della storia “scritta” dai Celti. Secondo evidenti rilevamenti, la radura centrale del popolo intemelio avrebbe potuto trovarsi a poca distanza da Passo Muratone, importante ganglio viario tra i percorsi di crinale della nostra antichità.

    Dietro a Testa d’Alpe, poco discosta dall’Arpetta, esiste ancor oggi una radura montana che è conosciuta come “Fascia Sagrà”. Non vi è albero al centro, ma chissà quando è stato tagliato, dall’integralismo religioso della cultura emergente.

NOTE:

  1) La croce libera, quindi non inscritta, prende corpo da un’altra evoluzione, anche se comunque dipendente dal mito solare. Nel corso degli Equinozi, il Sole transita attraverso l’equatore celeste, in posizione media tra quelle dei suoi ripetitivi viaggi. Notando come in quei momenti, l’Astro passasse gemente verso il tempo invernale, oppure ne tornasse trionfante in primavera; per verificarne gli spostamenti, l’uomo conficcò un palo per terra, a mezzogiorno, quindi visionandolo da presso, per un punto ben preciso, pose due braccia proprio all’altezza del passaggio solare equinoziale. Quindi misurò, giorno dopo giorno gli angosciosi spostamenti, dai due bracci, verso il Verno, con la conseguente “crocifissione” invernale. Poi fiducioso, mirava dal medesimo punto la ripresa, dopo il Solstizio e la “rinascita”, nell’attesa che il Sole ripassasse attraverso le braccia, nel segnale di un più gioioso passaggio di “crocifissione” verso il Solstizio estivo. Certamente, l’equinozio primaverile concedeva un’atmosfera più gioiosa, al pensiero che il futuro prometteva un sole sempre più alto nel cielo e giorni di luce sempre più lunghi e più caldi, ma anche l’equinozio autunnale, che invece prometteva le lunghe notti ed il freddo, veniva letto con molta speranza, perché ormai si sapeva che dopo la “croce” vi era, fiduciosa, una conseguente rinascita, o natività invernale. Ancor oggi si celebra in primavera la crocifissione dell’Astro, in previsione alla sua resurrezione, mentre in settembre viene celebrata la Santa Croce, o meglio la festa dell’esaltazione della croce.

  2) La croce viene assimilata all’albero, quando possiede il valore di simbolo ascensionale. Quell’albero ha le radici che poggiano nell’inferno e la cima giunge fino al trono divino, inglobando tra i suoi rami, o le proprie braccia, tutto il mondo. In Oriente, la croce è il ponte o la scala sulla quale le anime degli uomini salgono verso Dio. Per i Celti, la croce libera continua ad avere il centro racchiuso in un cerchio, dal quale in un primo tempo usciva soltanto il braccio inferiore, poi, nella croce irlandese, la quale ha contaminato le croci dei Celti cristianizzati, anche sul continente, tutte le braccia spuntarono fuori del cerchio centrale. I due assi di questa croce continuano a far pensare anche allo scorrere del tempo ed ai punti cardinali. Il cerchio ricorda i cicli della manifestazione, mentre il centro, nel quale non vi è più né tempo, né mutamento di nessun tipo, è un luogo di passaggio o di comunicazione simbolica fra questo e l’Altro Mondo: è quindi un “omphalos”, un punto di rottura del tempo e dello spazio. La stretta corrispondenza delle antiche concezioni celtiche e dei dati esoterici cristiani lascia pensare che la croce cerchiata abbia rappresentato, per gli Irlandesi e per i Celti dell’epoca carolingia, una sintesi perfetta del cristianesimo e della tradizione celtica.

  3) Ancora in piena Età del Ferro, gli Etruschi costruivano le loro città attorno ad un pozzo che oltre a costituire il “centro del Mondo” prendeva in considerazione il mondo sotterraneo, nel caso fornitore dell’indispensabile acqua.

  4) Quando l’albero fosse seccato, o fosse stato vittima del fulmine, il tronco sfrondato o mozzato continuava ad essere il totem della tribù, a volte abbellito da oggetti appesi, oppure, da segni dipinti o scolpiti.

  5) Lo sciamano era il componente della tribù che, per le innate qualità e capacità di equilibrio e riflessione, riceveva il “sapere” direttamente dal suo predecessore e conservava la memoria storica della comunità

  6) Tecnicamente il disegno a sei losanghe concentriche viene chiamato “rosaces” e comprende una numerosa gamma di varianti, tutte volte ad ostentare metafore di venerazione solare, d’antica provenienza mediterranea. Tutti questi segni, troppo numerosi e diffusi per essere cancellati, sono stati poi condotti dal cristianesimo all’ardito concetto di “Ruote di Trasmigrazione del Cristo”.

  7) Il rosaces a sei petali, tracciato col compasso a punte fisse, trova diffusione su tutto l’arco alpino, con marcata rarefazione a cominciare dalle Dolomiti, verso il Friuli. Le regioni di massima diffusione e concentramento sono: le Marittime, dalla Valle Impero al Varo; entrambi i versanti delle Cozie, compreso ogni fondovalle; le Graie dalla Pianura Padana ai massicci elvetici compresi.

  8) Nelle usanze popolari perdura l’egemonia del piede destro. Tra le nostra gente, qualcuno che sia di cattivo umore o che abbia sprecato la giornata, si è “alzato col piede sinistro”. La stessa connotazione si è a lungo mantenuta in politica, ove la sinistra era inquietante, mentre la destra era rassicurante.

  9) Si era già in pieno Rinascimento, quando il movimento degli orologi meccanici veniva impostato secondo questa tendenza, partendo da destra verso la sinistra di chi guarda ed andando così a confermare il verso dell’armonia cosmica.

10) Nell’Evoluzione dei dialetti liguri, §115/p.100, Emilio Azaretti riporta: … lerz REW 4993 “a sinistra” > lerca “sinistra”, lercà “mancino”, conservato nel cognome Lercari;… .

11) Sovente, questo tipo di radura era ricavato con l’ausilio di un incendio provocato da un fulmine o dal passaggio devastante di una tromba d’aria; fenomeni considerati ultraterreni, alla stregua di contatto vitale tra cielo e terra.

12) Sui numerosi MEDIOLANUM presenti in Europa si può consultare la citata opera di Riccardo Petitti, come quelle di Jean Richier, per la centralità di siti esoterici in altre civiltà.

 

BIBLIOGRAFIA

Emilio Azaretti

    L’EVOLUZIONE DEI DIALETTI LIGURI esaminata attraverso la grammatica storica  del Ventimigliese  -  Seconda edizione Casabianca - Sanremo 1982

Piercarlo Jorio

    IL MAGICO, IL DIVINO, IL FAVOLOSO NELLA RELIGIOSITA’ ALPINA  Priuli & Verlucca - Ivrea 1983

Jean-Eduardo Cirlot

    DIZIONARIO DEI SIMBOLI   SIAD - Milano 1985

Jean Richier

    GÉOGRAPHIE SACRÉE DANS LE MONDE ROMAIN   Trédaniel - La Maisnie - Parigi 1985

Jean Chevalier - Alain Gheerbrant.

    DIZIONARIO DEI SIMBOLI   BUR Dizionari - Rizzoli - Milano 1986

Riccardo Petitti

    SENTIERI PERDUTI - un sistema celtico di allineamenti   Priuli & Verlucca - Ivrea 1987

Jean Richier

    LA GEOGRAFIA SACRA DEL MONDO GRECO   Rusconi - Milano 1989

Hans Biedermann

    ENCICLOPEDIA DEI SIMBOLI   Garzanti - Milano 1991

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    Tra i segni, lasciati scolpiti sulle rocce dall’uomo primitivo, in ogni parte del Mondo, così come in Val Meraviglie; sono presenti le “fotocopie”, resistenti al tempo, dei segni tracciati sul terreno, quando l’omo, sceso dall’albero, scopriva e comunicava sensazioni nuove, codificando così un linguaggio scritto di impressionante praticità.

 

    Il segno che definiva:

- il territorio di competenza, ossia l’orizzonte visibile con lui medesimo al centro.

- l’accoglienza di qualcuno nel medesimo territorio.

- il territorio appartenente alla tribù, con la casa comune ed il totem al centro.

- l’orientamento, volto a oriente, quindi: l’Est davanti a se, mentre l’Ovest rimaneva alle spalle, celando alla vista diretta i segni del tramonto.

- i punti cardinali risultanti dall’allargare le braccia: il lato destro è il mezzogiorno, reso positivo dalla persistente presenza del Sole, il lato sinistro è la fredda Tramontana, che con l’arrivo del freddo invernale rendeva il lato veramente “sinistro”

 

I contenuti di questa ricerca sono stati oggetto di un incontro pubblico, organizzato dal Comitato Centro Storico, nel Salone della Civica Biblioteca Aprosiana, sotto l’egida dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Ventimiglia, sabato 24 marzo 2001.

 

 Parigi - Louvre