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    Il 10 giugno 2010, sano trascorsi settant’anni dalla nefasta entrata in guerra dell’impreparata Italia sabauda e fascista, contro una Francia già impegnata sul fronte nord, per contenere l’invasione nazista. I militari italiani non erano propensi a volgere le armi contro i cugini d’Oltralpe, per qui la guerra dichiarata ha tardato ad essere guerreggiata.

 

1940

LA  DRÔLE  DE  GUéRRE

NELLA ZONA INTEMELIA

                                                                                                            di Renzo VILLA - 1980 

    Il 10 giugno 1940, toccava a Ventimiglia il triste privilegio di essere la prima città del territorio metropolitano a subire la furia della seconda guerra mondiale. Fu infatti in quel mese, all’atto della dichiarazione di guerra, che la nostra città venne a trovarsi in posizione di avamposto e ricevette, prima fra tutte le città d’Italia, quello che - in gergo militare - viene definito il “battesimo del fuoco”.

    Lungo la linea di un fronte di oltre trecento chilometri, che si estendeva su impervie montagne dal Monte Bianco al mare; dove si fronteggiavano il Gruppo Armate Ovest e l’Armée des Alpes. Ventimiglia era - da parte italiana - l’unico agglomerato urbano di una certa importanza e rappresentava, al tempo stesso, il punto più a sud di tutto il fronte occidentale.

    Esula dagli intendimenti di questa breve nota rievocare l’analisi della dinamica storica e politica, del resto ben nota, che portò alla dichiarazione di guerra alla Francia, anzi il resoconto sarà dedicato alla cronistoria di quei giorni e riguarderà esclusivamente la zona intemelia che, nella suddivisione operata dagli uffici dello Stato Maggiore, era denominata “Settore Bassa Roia”.

    Nei giorni precedenti il giugno 1940, a Ponte San Luigi e al posto di controllo della Stazione Ferroviaria di Ventimiglia, si attuarono - da ambo le parti - misure restrittive del transito viaggiatori, tanto che la frontiera poteva considerarsi chiusa.

    Sono giorni di angoscia per gli abitanti della zona intemelia e del Dipartimento delle Alpi Marittime dove, fra l’altro, molte famiglie hanno congiunti al di là o al di qua della linea di confine.

    In tutti è ormai sceso un senso di fatalistica rassegnazione: si sa che è ormai questione di giorni, o forse di ore. A Mentone è già in atto l’evacuazione dei civili, qualsiasi momento potrebbe essere quello decisivo: poi il funesto lunedì 10 giugno che finisce per cogliere tutti di sorpresa.

    Nella notte e nei giorni immediatamente successivi si svolge, piuttosto caoticamente, lo sfollamento degli abitanti di Ventimiglia, delle sue numerose frazioni, dei paesi nelle Valli Roia, Nervia e Verbone. Gran parte delle popolazioni verranno trasportate con treni straordinari, nella Lomellina, in provincia di Pavia.

    Ne meraviglia il fatto che la evacuazione potesse svolgersi a guerra dichiarata perché - come si vedrà - per un periodo di undici giorni si trattò di una guerra dichiarata, ma non guerreggiata.

 

 

LE FORZE IN CAMPO

    Dopo le esplosioni con qui, nella notte fra il 10 e l’11 giugno, i francesi avevano fatto brillare alcune opere stradali e ferroviarie  in Val Roia e nel mentonasco, un lugubre silenzio era sceso su tutta la zona verso la quale, frattanto, affluivano truppe e materiale bellico.

    Fu quella che i francesi definirono la “drôle de guerre” la strana guerra in cui entrambi gli eserciti che si fronteggiavano in armi, avevano ricevuto l’ordine di limitarsi a rispondere agli attacchi avversari.

    Sembra addirittura che - qualche mese prima dell’inizio del conflitto - una Commissione francese avesse fatto otturare la parte superiore delle feritoie del forte di Cap Martin, in modo che le bocche da fuoco potessero disporre di un alzo utile a colpire il nemico soltanto nell’eventualità che esso fosse penetrato in territorio francese.

    Quale era la consistenza e la disposizione delle opposte forze in campo fra Ventimiglia e Mentone ?   Da parte francese esisteva lungo il confine, fra il Col di Cuore e il mare, una linea di avamposti (muniti di cannoni leggeri e mitragliatrici) nelle località Scuvion, Pierre Pointue, Chapelle Saint Bernard, Colletta Collet de Pillon e Pont St. Louis.

    Dinnanzi a questa linea di avamposti, e negli intervalli, erano scaglionate sei piccole unità di sorveglianza, le SES (Section Eclaireurs-Skieur)rispettivamente del 76mo, 86mo, 96mo BAF (Bataillon Alpin de Forteresse) e del 20mo, 25mo, 49mo BCA (Bataillon Chasseurs Alpin).

    Alle spalle lo schieramento era rinforzato dalle unità mobili del 96mo BAF e dal 1° CIF (Centre d’Istruction de Forteresse) e protetto dal formidabile fortilizio di Mont Agel, che rappresentava la punta di diamante dello SFAM (Secteur Fortifié des Alpes Maritimes).

    Da parte italiana, dal Grammondo al mare, era schierata la Divisione “Cosseria”, di cui faceva parte  l’89  e il 90 Rgt. Fanteria mentre dal Grammondo al “Passo Cuore”, era disposta la Divisione “Modena”, di cui facevano parte il 41mo e il 42mo Rgt. Fanteria. Quattro battaglioni di Camicie Nere - il 33mo, l’81mo, il 34mo e il 36mo - intervallavano i reggimenti di fanteria. Erano inoltre a disposizione cinque raggruppamenti di artiglieria.

    In seconda schiera, sulla riva destra del Roia, era disposta la Divisione “Cremona”, mentre nella zona di Vallecrosia - Bordighera sostava, in attesa di ordini, la Divisione “Cacciatori delle Alpi”.

    Dallo schieramento della forza in campo risultava una netta superiorità numerica da parte italiana, dal canto loro, i francesi allineavano artiglierie certamente superiori per gittata e volume di fuoco, annidiate in un sistema difensivo praticamente invalicabile, tanto da essere considerata la “Maginot Alpina”.

 

I COMBATTIMENTI

    La tragica messa in scena della guerra dichiarata e non guerreggiata durerà, salvo alcune scaramucce, dal 10 al 21 giugno, poi viene impartito l’ordine di attaccare secondo i piani previsti dall’operazione -R- (Riviera), diretta dalla Caserma Umberto I°, dove aveva sede il comando del XV° Corpo d’Armata.

    L’inizio delle ostilità fu fissato per le ore 9,30 del 22 giugno, ma le operazioni nel settore “Bassa Roia” iniziarono alle 10, preceduto da un intenso fuoco di artiglieria al quale prese parte notevole il treno armato n. 2, messo a disposizione della “Cosseria” dalla Reale Marina.

    Il treno - in postazione allo sbocco ovest della galleria di Villa Hanbury - sparò oltre duecento colpi sulle retrovie francesi e sulle batterie di Cap Martin, prima di essere scoperto e inquadrato dal tiro delle artiglierie di Mont Agel. Ciò malgrado, nel primo pomeriggio, ricevette l’ordine di uscire nuovamente dal tunnel e fu colpito in pieno da due salve, non prima però che da esso fosse staccato il vagone della Santa Barbara. Il comandante, Tenente di Vascello Giovanni Ingrao, e otto dei suoi marinai furono certamente fra i caduti di quel primo giorno di guerra.

    La distruzione del treno armato - che aveva rivelato la efficienza e la precisione delle batterie francesi - provocò da parte dell’allora Capo di S.M. Ma.llo Graziani l’ordine, impartito all’aviazione di bombardare a più riprese le fortificazioni di Mont Agel. Ma l’eccezionale ondata di maltempo, abbattutosi sulla Riviera, impedì che l’ordine avesse esecuzione.

    I tentativi di attraversare il confine, effettuato dalle truppe italiane, nella giornata del 22, furono quasi ovunque respinti dall’accanita resistenza francese. Il piano d’attacco prevedeva anche l’effettuazione di sbarchi notturni (con base di partenza Capo Mortola) nel porto di Mentone e nella baia di Roccabruna, ma l’idea venne poi abbandonata perché le imbarcazioni dei pescatori, requisite sulla Riviera, non si dimostrarono adeguate a trasportare le improvvisate truppe da sbarco e, d’altra parte, le pessime condizioni del mare e il plenilunio rendevano comunque impossibile l’impresa.

    Infine all’alba della domenica 23 giugno, sotto una pioggia torrenziale, quattro colonne varcarono il confine: la 1a e la 2a (Div. “Modena”) dal Colle Cuore e dal Passo Treitore, la 3a e la 4a (Div. “Cosseria”) dal Passo del Porco - I Colletti. La guarnigione francese di Ponte San Luigi, che fino a quel momento, aveva sbarrato la strada di Mentone e che resisterà sino al termine delle ostilità, venne aggirata da un contingente infiltratosi attraverso il Passo San Paolo. Alle operazioni del 23 presero parte ancora due treni armati della Marina: il n. 1 e il n. 5.

    I combattimenti continuarono nella giornata del 24 e si conclusero con la completa occupazione di Mentone e di alcune piccole zone di territorio nell’entroterra della città.

    Le ostilità, a seguito dell’armistizio di Villa Incisa, firmato lo stesso giorno alle 19, 15, cessarono alle ore 1,35 del 25 giugno.

    La battaglia, nel settore Media e Bassa Val Roia, aveva causato, fra gli italiani: 155 morti, 709 feriti e 39 dispersi. Nel corrispondente settore delle Alpi Marittime i francesi registrarono: 7 morti, 10 feriti e 33 fra prigionieri e dispersi.

 

 DOPO L’ARMISTIZIO

    Un ben triste spettacolo si presentava agli occhi degli sfollati che nei giorni successivi il 25, facevano ritorno alle loro case. La città era semidistrutta. I negozi chiusi, le serrande sventrate (uno spettacolo che, in seguito, diventerà consueto), i tetti sfondati dalle granate. I muri dei palazzi, sforacchiati dalle schegge, apparivano sinistramente tappezzati da manifesti propagandistici, sui quali era stampata l’effige di un soldato senegalese con la scritta: “Ecco i difensori della Francia !” (Per la verità storica, il 24mo RTS “Regiment Tirraleiurs Senégalais”, accampato a Roquebrune non fu mai impiegato dai francesi, nelle operazioni del giugno 1940.

    Ma fu soprattutto nelle frazioni, specie quelle di ponente, dove la guerra lasciò i suoi segni più rovinosi. Molte case erano inabitabili a causa delle distruzioni; tutte avevano subito danni e saccheggi con la scomparsa di arredi e suppellettili e la perdita delle provviste di olio e vino, assai preziose nell’economia familiare del tempo. Irrimediabilmente perduto,per ogni famiglia, anche il piccolo patrimonio zootecnico che si era dovuto forzatamente abbandonare al momento della fuga.

    Mancava l’acqua e l’energia elettrica, scarseggiavano i viveri e i generi di prima necessità. Sulle lettere, in luogo dell’affrancatura, si scriveva”zona sprovvista di francobolli”. Si viveva alla giornata, in un clima di provvisorietà incerta, in attesa che la vita, a poco a poco, riprendesse il suo corso normale, mentre i sinistrati iniziavano le interminabili pratiche per il risarcimento dei danni di guerra.

    A seguito dell’armistizio - che aveva fissato il nuovo confine al Pont de l’Union - Ventimiglia dovette abbandonare,per la prima volta dal 1860, il suo ruolo di città di frontiera e di stazione internazionale, anche se per andare a Mentone italiana occorreva uno speciale lasciapassare, rilasciato dal Commissario Civile.

    Con la elettrificazione della linea Ventimiglia - Mentone, avvenuta nell’autunno del 1940, veniva ripristinata la stazione di Latte (soppressa in base alla convenzione internazionale del 1904) e la stazione di Garavan prendeva la denominazione di Garavano-Grimaldi.

    Il conflitto italo-francese del 1940 - che aveva duramente colpito la Zona Intemelia - scavò un solco profondo fra le due nazioni confinanti, un tempo chiamate le “sorelle latine” e rappresentò l’angoscioso prologo di una ben più vasta tragedia che avrebbe avuto, negli anni seguenti, per Ventimiglia e per l’Italia i suoi momenti più amari e sanguinosi.

 

Fonti bibliografiche:

 Ministero della Difesa – Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico.

                                         ”LA BATTAGLIA DELLE ALPI OCCIDENTALI” - giugno 1940.   Roma 1947

 M. Arcati “LA GUERRE FRANCO-ITALIENNE”   Proprieté de la çité - Paris 1963 

                             traduzione italiana “LA GUERRA DIMENTICATA” Rino Dal Savio - Mondadori 1967

                                                                                 da: LA VOCE INTEMELIA anno XXXV  n. 6  -  giugno 1980