Ancöi l'è e i sun e ure
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1894

 

U  Cavu

Il Belvedere del Capo

 

    A proposito di quello che per quasi cinquant’anni, sul terminare dell’Ottocento, sarebbe stato il vanto ed emblema della città, tutta raccolta com’era sullo Scögliu, valutiamo la situazione del luogo attorno all’Anno Mille.

    Nel 1072, un atto notarile menzionava una torre esistente nel quarterium Castelli. Potrebbe trattarsi della torre campanaria, usata in quel tempo come osservatorio militare e civile. Uno schizzo del 1532 mostra ancora esistente il castello che poteva essere stato dei Conti, o almeno quello dei Capitanei genovesi.

    Dunque, i Conti avrebbero dovuto costruire il loro castello, sul Cavu, recuperando i possenti muraglioni della fortezza bizantina. Lo avrebbero dovuto fare durante l’XI o il XII secolo, quando invece proprio da questo secolo giunge quest’ambigua frase a loro rivolta :… ut possint quamdiu in Vigintimilio si fuerint, et hospicium non costruxerint, cum dictis fratribus hospitari ibidem in monasterio Sancti Michælis ... Forse risparmiarono nel costruire avvalendosi dell’ospitalità che gli era dovuta dai frati Antoniani, dimoranti sulla Coleta. Mostrarono senza dubbio molta più avvedutezza geognostica degli amministratori di fine Ottocento.

 

    Il 21 gennaio 1867, si metteva mano a costruire via San Giovanni, dalla Traversa al Cavu, sopra l’Oratorio dei Bianchi. Il «mastro da muro Nicolò Bergonzio» descriveva «una nuova stradicella per aprire un passaggio tanto che dalla strada Nazionale mette nella città per brevità [...] di quasi tutta la popolazione della Marina, come anche per maggior comodo di tutti i cittadini». In quel documento, su quel tracciato, veniva indicata «una vecchia strada che dall’interno della città metteva al ponte Roia».

    Nel gennaio del 1882, il Sindaco pro tempore, G.B. Biancheri, lasciava il posto al commendatore Emilio Secondo Biancheri. L’Amministrazione Comunale deliberava alla ditta Orazio Chianca, l’opera della sottomurazione del Cavu, per adattarla a belvedere sul Sestiere Marina.

    Il 29 febbraio 1884, sul poggio sopra la Rocca, continuava lo smantellamento del Forte.

    In maggio, inaugurato il Cavu, si lavorava intorno al muro ad arcate che sosteneva il Regio Ginnasio, ex convento francescano. Altro monumento poi demolito.

 

    Finora abbiamo annunciato date positive nella realizzazione del maestoso Belvedere del Cavu, monumento significativo della Ventimiglia di fine Ottocento, così com’era ben visibile dal largo del mare. Ora, però, siamo costretti a comunicare come il terreno argilloso che lo avrebbe dovuto contenere non era stato opportunamente considerato.

    Il 23 marzo 1930, si svolse il Corso Fiorito. La Cumpagnia d’i Ventemigliusi ha realizzato il carro intitolato “U Cavu”, per segnalare pubblicamente la decisione di abbattere il Belvedere del Capo, intaccato da alcune fenditure.

    Il 6 marzo 1931, cambiava Commissario prefettizio nel rag. Giovanni Ascheri, che intraprendeva subito la demolizione del vanto ed emblema della città.

    Nel maggio del 1943, nel periodo bellico, a causa della friabilità del terreno sul Cavu, che minacciava la viabilità sulla strada statale, il Genio Civile decise di alleggerire la collina tagliando la massa rocciosa della vetta. L’intervento della Soprintendenza alle antichità su quel lavoro, permise di catalogare i resti di un’antica necropoli. Il professor Lamboglia e Umberto Martini individuarono: otto sepolture romane a cappuccina; una vasca romana ed i resti delle fondamenta di un castello altomedievale.

 

    Oggi, disponendo di effettive innovazioni nell’arte edile, ci dichiariamo propensi a ricostruire u Cavu, il Belvedere del Capo. Lo potremmo ricoprire esternamente di un sottile rivestimento ricavato dagli ottocenteschi blocchi di pietra dei quali era costituito, dando l’idea del monumento all’origine. Asportando l’argilla contenuta al suo interno si otterrebbe quantomeno un capace parcheggio per auto, se non i locali per un grandioso ristorante panoramico; o entrambe le soluzioni.

    Pensiamo che la struttura, progettata a dovere, possa mantenere la stabilità che dagli Anni quaranta ha mantenuto il voluminoso bunker tedesco che è ancora presente nel sottosuolo dell’attuale piazzale, mimetizzato tra le sue crete.

 

 


Regordi ventemigliusi

U  CAVU

u Françesun

    M’arregordu, da figliö, candu s’andava a scöra a Ventemiglia auta, int’e tecniche e veixìn gh’éira u ginasiu, ma u l’éira pe’ i figliöi d’i scignuri) che u nostru devertimentu, in po’ balurdu, (ma chi u nu’ l’é stau da zuvenu ?) u l’éira de passà driti insci’u bordu d’u parapéitu. Ghe n’éira trei o catru, nu’ de ciü, ch’i l’ava l’incusciensa de ‘stu zögu periculusu, ma l’éira pe’ fàsse ve’ da’e cumpagne de scöra, za’ che inta prima B gh’éira i garsùi e e garsùne inseme.

    Pöi, ciü tardi, u Cavu u l’éira adiritüra u nostru recantu pe’ andaghe a fa’ l’amù, â seira cu’e nostre garsunéte. Ma intendemuse ben, a cheli tempi, pe’ da’ in baixu au scciancurelu, besögnàva che fusse nöte e che nisciün purrésse viene, sautriménti a garsuneta a nu’ ghe stàva.

    E ciü in là nu’ s’andava, perché i custümi, aiscì pe’ chi l’éira emancipau, i nu l’eira de següru chéli d’avura. Pöi besögnàva fa’ i conti cu’a scadra d’u bon custüme, che a nu’ schersava e, s’i n’atrüvava cu’ ina garsunéta suta i dixöt’ani, i n’acumpagnava in caserma epöi i mandava a ciamà i parenti de ela; e alura ... sai che béla störia ch’a l’éira. E a garsunéta nu’ a viévimu ciü de següru !

    D’insci’u Cavu, candu passava i baroci ch’i l’andàva au mercau, nui ghe tiravimu e prìe, cuscì caicün u l’andava dritu a ciamà e gardie, tantu che caiche vota i n’aciapàva; a menu che nu’ riescissìmu a scapà int’u giardin d’ê muneghe, atacanduse au lampiun ch’u l’andava propiu ben pe’ fa’ da scàřa.

    Au Cavu se gh’andavimu suta i archi, passandu da a muntà de San Giuani e int’e chele pàute ghe stàvimu de ure e ure a cuntàsse de störie, perché natüralmente gh’andavimu candu sautavimu a scöra.

    U Cuvu u l’eira tütu pe’ nui, aiscì pe’ balaghe d’estae candu a Sucietà Uperaia a ghe fava u baìu a parchetu.

    Tempi passài ch’i nu’ l’arriva ciü, tempi beati d’a mei zuventüra !

LA VOCE INTEMELIA  anno XXXV  n. 9  - settembre 1980

 

Settecento

 

1800

 

1865