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VENTIMIGLIA D’ALTRI TEMPI:

Un profilo del

Presidente Biancheri

                                                                                                                                                                           dell’I.I.S.L.

    Sfogliando a caso le carte della Biblioteca di Girolamo Rossi presso il Museo Bicknell, miniera inesauribile di spunti e ricordi della Ventimiglia nel secolo scorso, abbiamo ricavato da una copia de «Il Fischietto», giornale umoristico che si pubblicò per lunghi anni a Torino, fra il Risorgimento e l’unità d’Italia (precisamente nel numero del 20 marzo 1875, un profilo di estrema attualità, col disegno caricaturale altrettanto realistico, di Giuseppe Biancheri, il personaggio ventimigliese ormai passato alla storia come il «Presidente a vita», della Provincia di Porto Maurizio e al tempo stesso della Camera dei Deputati. Non crediamo che molti lo conoscano: è autentica pittura di un uomo e di un’epoca.

 

GIUSEPPE BIANCHERI nacque di famiglia ricca il giorno 22 novembre del 1822 in Ventimiglia. A Monaco studiò la lingua francese; a Ventimiglia il latino, regnante ancora la sferza del pedagogo; a Nizza cominciò, a Torino compi lo studio delle Leggi. Studio è una maniera di dire, e significa quel tempo (studio non e precisamente tempo) passato tra i libri chiusi, il teatro aperto, il caffè e il tresette.

    In quei felici giorni, lo studente ligure conobbe, forse, le opere di Cuiaccio e le Pandette; ma non è ben certo che le leggesse.

    Fu dottore, come tanti altri; e corse, come tanti altri, a casa sua, a godere felicissimi ozi tra libri, carte, tarocchi, e schioppi.

Non sognava ancora la felicità e le glorie del futuro. Le glorie di quei dì erano lepri e pernici. Donde apparisce che, innanzi di presiedere ai Deputati, presiedette con minore spreco di polmoni e di fiato ai cani da caccia.

    Non avendo ancora fra le mani le sciagure della politica e del campanello, studiava passo a passo le Alpi Marittime e la geografia e ne apprese da insegnarne a Strabone, al Bonaparte, ai nostri generali del Genio e senza genio.

    Giunti i trent’anni, gli venne la voglia della deputazione, per quella stessa ragione che a quattordici si vuole fumare un pochin di sigaro; e a diciotto sfragellare mezza dozzina di tiranni.

    Il tiranno ucciso dal futuro Presidente non, era precisamente un tiranno: era un Ercole Ricotti (*) senza pentolino. Nella lotta Ercole ci lasciò la clava spezzata. Biancheri era creduto rosso perché il Ministero aveva gli occhiali del colore dell’ossido di mercurio: ma il rosso è il colore dei gamberi cotti: perciò il Ministero andò indietro colle pive dentro; Ercole fu seppellito e Biancheri andò a  sedersi nel centro sinistro.

    Seppellito Ercole, la fu una faccenda sfacciata eziandio per tutti gli Ercolini.

    D’allora, l’avvocato Giuseppe Biancheri fu Andrea non si divise al tutto dai cani per cagione dell’antico amore; ma lasciò lo studio della geografia per istudi non meno gravi.

    Studiò nei libri gli uomini morti e sulla terra gli uomini vivi; e credo lasciasse lo studio delle donne all’antropofago Salvatore Morelli, divoratore in particolare del Sindaco di Sessa-Aurunca; e in generale di tutto il genere mascolino.

    L’onorevole Biancheri, seppe parlare e tacere: cosa non facile: studiò la Camera negli uffici; cioè fece quello che hanno ancora da fare l’onorevole Mancini e molti altri onorevoli mancini e destrini.

    Grazie agli studi geografici salvò Ventimiglia all’Italia con un discorso solo (bell’esempio per molti nostri Ciceroni !); e ottenne quello che non avrebbero ottenuto i nostri generali con dieci battaglie.

    Avvocato, fu Ministro della Marina: espressione molto somigliante a quest’altra: gioielliere vendette forbici. Nondimeno fu Ministro da senno, ma per poco; perché in Italia e in tutti i paesi del mondo il senno ha poca fortuna e dura poco.

    Dopo il ministero venne la presidenza; e dopo la presidenza, la presidenza; e appresso, ancora la presidenza, e via via. Sicché il campanello presidenziale sta a Biancheri come la clava ad Ercole; il caduceo a Mercurio; e il solito cilindro all’onorevole deputato di Bari.

    Giuseppe Biancheri ha l’aspetto severo e l’animo gentile; affabilissimo con ricchi e poveri, grandi e piccoli. Tutta la ferocia di lui si raccoglie nel richiedere di scilensciu gli onorevoli amici del rumore. Questa tirannide campanellesca fu riconosciuta perfino dalle signore alquanto diplomatiche andate a veder Garibaldi a Montecitorio.

    L’onorevole Biancheri ha costumi e usanze all’antica. In Ventimiglia dimora ordinariamente in una sua bellissima villa.

In una camera alla Cincinnato, accoglie amici veri e da burla, dilettanti in diplomazia e rompiscatole.

    Descrivo lui in città. Passeggia molto di notte; di giorno, siede ordinariamente in capo ai gradini del magazzino; tirato da una banda di una delle porte d’ingresso; in capo un cappello che conosce le mode di Parigi come l’onorevole Petruccelli l’italiano; un pipone in bocca da disgradarne ogni più fido discepolo di Maometto; pipone, cappello, Biancheri e ogni cosa in vortici di fumo.

    Lamarmora, tornando da studiare i segreti di Stato in Francia, giunto a Ventimiglia e chiesto di Biancheri, fu condotto al magazzino che è il salotto urbano del presidente. Il gigante di Biella vede un personaggio in una giacitura poco parlamentare e lo richiede del presidente ... «Oh, caro generale !».

    Il generale inarca le ciglia per vedere (in quel tempo gli mancava ancora Un poco di luce ). Diradate le nubi, vede lui, proprio lui.

    Poche notizie per conto delle ragazze e finisco. L’onorevole Biancheri è celibe, ha cinquantadue anni, quattro mesi e qualche giorno; non è un bellissimo uomo, ma non è brutt’uomo; più basso che alto; nè grasso, né magro; brunetto; un pochino tocco dal vaiolo, ma ciò non sciupa: corpo sano e, dentrovi, una mente sana.

    E ora ragazze mie, fatevi innanzi che tocca a voi. Ho finito.

 

*) Si riferisce allo storico Ercole Ricotti che fu deputato del Collegio di Ventimiglia al Parlamento Subalpino dal 1849 al 1853.

                                                                                            LA VOCE INTEMELIA anno XXVI  n. 2  - febbraio 1971