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CUSTÜME  VENTEMIGLIUSU

Abbigliamento tipico, tradizionale della zona intemelia marittima.

 

    Dalla seconda metà degli Anni Venti, per tutta la durata dei Trenta, nel secolo scorso, la Cumpagnia d’i Ventemigliusi teneva produttivi contatti con le corrispondenti associazioni di Mentone e del Principato di Monaco: i locali Comitati di Tradizione che soprintendevano ai gruppi corali folcloristici de la “Mentonaise” e la “Palladienne”. Una volta l’anno le tre società si radunavano a Mentone, nei verdeggiati “Jardin d’ê Revére”, dove svolgevano una festa folcloristica dai contenuti elevati ed espressivi. Si cantavano brani nelle rispettive parlate, si ballavano le antiche danze della tradizione ed i poeti declamavano fantastiche opere in vernacolo. Ben presto si presentò la necessità di individuare la foggia per un costume folcloristico che rappresentasse la zona, così le tre compagnie s’ispirarono alle descrizioni che i colti esecutori dell’ottocentesco “Grand Tour” ci avevano lasciato sui costumi del Nizzardo. Rilevarono come si erano vestite le popolane del XIX secolo, tenendo in considerazione le piccole diversità che caratterizzavano la contadina delle vallate, quando portava la sua merce nei mercati cittadini, dalla donna di mare o pescatrice sempre in contatto con la borghesia urbana. Ne derivò una descrizione che, pur unificando in un modello le peculiarità, permetteva di distinguere ogni minima tipicità locale. Il costume più espressivo fu quello femminile, composto d’elementi specifici.

 

 

Il costume femminile

    L’accessorio più rilevante è u gunelùn, l’ampia e lunga gonna, con ornamenti, tipica del XVIII secolo. È cucita in tessuto di canapa o cotone, ad evidenti damaschi in righe verticali, in varî colori su fondo chiaro, crespata alla vita, cadente alle caviglie, sul bordo inferiore, ad un palmo da terra, porta applicate alcune strisce di nastro nero, in intervalli ed in numero diverso, secondo lo stato civile dell’indossante. Sotto la gonna si scorgono i braghetùi, lunghi mutandoni di candida tela che alle caviglie mostrano un appariscente orlo di pizzo, tenuto arruffato da un passante in velluto nero. Le calze, in filo bianco, sono sovente percorse da piccole strisce colorate longitudinali. In seguito, a camixéta, è la camicetta scollata e ricamata, eseguita con bordi di pizzo e passante in velluto nero attorno alla scollatura. Le maniche sono corte ed a sbuffo, con lo stesso pizzo ed il passante sul giro del braccio. Caratteristico è u büstìn, ossia il bustino in robusto tessuto a colori scuri, o in velluto, con o senza spalline, che sostiene il seno a balconcino, lasciando in mostra la camicetta con la sua ampia scollatura. Un sottile nastro di velluto a girocollo sorregge un semplice gioiello in oro, non troppo smagliante, che può essere una medaglia, un crocefisso o una filigrana. Infine u scaussarun, il grembiule per riparare la gonna, che nella pratica d’oggi, è non troppo ampio e di colore scuro o grigio. Un pesante scialle di lana a colori scuri completa il costume in inverno, mentre nella bella stagione è sostituito da un ampio foulard a colori scuri, ornato da variopinte figure floreali. Le scarpe hanno la consueta foggia scollata e poco puntuta, che di conseguenza presentano un mezzo tacco non appariscente. Nei tempi andati, col freddo, sul bustino s’indossava una giacchetta attillata in tessuto spesso, a maniche lunghe, chiamata u gipùn o gipunétu, che lasciava intravedere dai polsi un pizzo poco appariscente. Come accessorio si può portare a capelìna, ossia un tondo copricapo in paglia fiorentina, che è guarnito con croci di velluto nero e con un lungo nastro dello stesso velluto, aderente al bordo della cupolina centrale. Questo nastro cala poi oltre il bordo, in due lunghi pendagli. Si può portare allacciato sotto il mento, sostenuto da un altro nastro di panno nero, cucito all’interno, che lo rende adatto anche a riversarlo dietro le spalle, trattenuto allacciato davanti al collo. Nell’Ottocento, senza la capelina, l’acconciatura dei capelli, raccolti in trecce fissate arrotolate sulla nuca, o raccolti in “cìciu, o cicétu, radunati ed avvolti, era contornata da un nastro di velluto nero, assai largo, u velüu, passato sopra il capo e legato sulla nuca con un gran fiocco che lasciava cadere due appariscenti pendenti sulle spalle.

 

Il costume maschile

    Più sobrio è il costume predisposto per i maschi, che si è ispirato all’uomo del contado, non perdendo però di vista la parte marinara dei tre borghi, sicché i colori dell’abito, sempre molto scuri, possono essere il marrone, che si rifà alla campagna, oppure il blu che riporta alla memoria la marineria, la classe artigiana e quell’operaia. Caratteristici i bragùi, che sono i pantaloni di fustagno scuro, chiusi sotto il ginocchio da un passante in stoffa colorata, sovente rossa, che prosegue sui fianchi esterni in qualità di legacci, trattenuti a fiocco, a ligàssa, che lascia liberi i ruvidi calzettoni al ginocchio, di solito bianchi, di lana o filo grezzi. L’ampia giubba dello stesso tessuto delle braghe, a giüba, è un capo invernale, chiuso alla vita con un bordo a cintura ed ha le maniche molto ampie, il colletto a risvolto é piuttosto marcato. Sotto la giubba è sempre presente u gilécu, il capo estivo dello stesso tessuto di braghe e giubba, senza maniche e colletto; una sorta di panciotto ottocentesco, che rassetta una normale camicia chiara, a volte impreziosita da ampie maniche. La camicia abbottonata é ravvivata al colletto da e baléte, che è la cravatta in cordoncino lanoso, di colore rosso con due palline a pon-pon ai capi. Questo particolare è indicativo del costume ventimigliese. Alla vita, spicca una lunga fascia di tessuto setoso, in colore rosso, detta a pessöřa, che dopo aver fasciato il ventre con due giri, a mo’ di çenta, è passata dentro il fasciato, badando a che i due capi cadono, per un buon tratto, lungo la gamba destra. Sul capo, è d’obbligo a beréta rùssa che è il copricapo maschile in panno rosso, caratteristico della gente di mare, tubolare come una calza, lungo poco più di cinquanta centimetri, guarnito di una larga banda nera attorno al bordo da calzare, a volte concluso al vertice con un fiocco a nappa come chiusura. E’ indossato cascante da un lato ed a volte raggomitolato su se stesso per ridurlo di lunghezza, ma sovente è portato sulla spalla, infilato sotto la spallina del panciotto.

 

 

La diffusione

    Fino l’anno 1939, il costume caratteristico era indossato dagli uomini nell’occasione unica della Battaglia dei Fiori, oppure, da uno sparuto gruppo di signore e signorine ventimigliesi, in occasione delle manifestazioni, peraltro numerose indette dalla Cumpagnia, ma soprattutto in occasione del citato “Festìn d’ê Revére”, che proprio in quell’anno smise di essere svolto a motivo dei precari rapporti internazionali. Seguì il Secondo Conflitto Mondiale, e da quel momento le relazioni tra ventimigliesi e mentonaschi si fecero più difficili a causa d’eventi bellici non certo dipendenti dalle popolazioni coinvolte. Per assistere alla ripresa di un minimo di contatto tra la Cumpagnia ed i corrispondenti Comitati di Mentone e Monaco, bisognerà attendere il 1966 e mettere in campo tutta la diplomazia e le conoscenze del dottor Emilio Azaretti. Così i costumi tradizionali che si salvarono dai bombardamenti, restavano appesi negli armadi; però nel luglio del 1946, il colonnello della Riserva: Anacleto Ughes, tornato quiescente nella sua Ventimiglia, fondò la CORALE FOLCLORISTICA FEMMINILE VENTIMIGLIESE che, nel corso di svariate generazioni, avrebbe radunato numerose ragazze indossanti il costume tradizionale. Il Colonnello Ughes, musicista autodidatta, negli Anni Trenta aveva prodotto molti ballabili per le orchestrine locali, ma soprattutto col movimento accademico ventimigliese, sostenuto da Azaretti e Rostan, aveva musicato una buona parte delle cinquanta canzonette in vernacolo, venute alla luce in quegli anni. Nel medesimo periodo di tempo, la Corale ottenne importanti successi, sia localmente, che in ogni parte d’Europa, contribuendo a diffondere il costume tradizionale, con l’aggravante di rendendolo fin troppo codificato. Quel costume femminile era la divisa di spettacolo delle “canterine” come quello maschile vestiva gli orchestrali. Una divisa ha la necessità dell’omogeneità, per questo si scelse la gonna a rigoni rossi ed un bustino uniformato in velluto nero con spalline, ravvivato da un foulard scuro molto fiorito. Nel 1964, il colonnello annunciò di voler cedere la Corale ad altro animatore per sopraggiunti limiti d’età, ma subito non si trovò nessuno disposto a sostituirlo. Bisognò attendere il 1969, quando Segundin e Giulio Anfosso, con Maripina Rotoli, ripresero ad organizzare una nuova generazione di “canterine”. Nel frattempo i costumi della Corale sono stati riposti in un grosso baule. Da quell’anno, la Corale è tornata a calcare i palchi delle Vallate liguri, della Costa Azzurra e del Basso Piemonte, portando nuovamente in auge il costume locale, per un decennio, fino a quando ha dovuto interrompere l’attività ancora una volta per mancanza di una conduzione musicale. I costumi in dotazione furono distribuiti, cercando di mantenere vive le occasioni per indossarli. I Centri di Cultura Intemelia, operanti nelle scuole ventimigliesi, facevano in modo che gli alunni si fornissero di costume tradizionale per partecipare alla piccola corale scolastica e ad ogni altra attività folcloristica, tanto che il nostro costume non ha avuto mai una diffusione tanto straordinaria, come in quegli anni.

 

La ripresa

    Nel frattempo, un gruppo di “canterine” si radunava attorno a Rossella Ballestra per fondare la “Cumpagnia Cantante” una sorta di gruppo canoro e di ricerca della pura tradizione locale. Questa Cumpagnia ha operato attivamente fino al 1995, quando è entrata in sonno, continuando ad esistere ma limitando le ricerche e centellinando le esibizioni. Le ragazze della “Cantante” indossarono inizialmente i costumi della Corale. Fecero poi attente ricerche andando a rilevare i costumi della reale tradizione, senza la necessità di un’omologazione integrale. In sostanza, vestono come si sarebbe abbigliata una donna a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo, in occasione di una giornata non proprio lavorativo, ravvivando però i colori dei tessuti, per esigenze di spettacolo. Dal 1995, la diffusione del costume tradizionale dipese unicamente dalla buona volontà di Sofia Francescotti. La signora cucì una dozzina di costumi a sue spese, distribuendoli in occasione d’eventi folcloristici. I costumi, furono acquistati dal Comitato Battaglia dei Fiori nell’anno 2001, per far presenza nel corso fiorito. Nello stesso tempo, un’altra gentile signora, Ines Delfitto, presidente della “Mantegnansa” dei Fuochi di San Giovanni, realizzò una decina di costumi del tipo “corale”, che gestisce per partecipare alle manifestazioni collaterali al 24 giugno, la Battaglia dei Fiori ed altro. Dopo la comparsa e la susseguente scomparsa di molte quantità di costumi, dal 2009, l’Amministrazione Comunale ventimigliese ne ha dotato il proprio Ufficio Manifestazioni d’una dozzina, completi; che metterà in campo alla bisogna, controllandone però il rientro. Eseguiti dalla Signora Belvedere, sono di ottima fattura e ricercatezza. Nella Battaglia dei Fiori, il gruppo “Bumbardei” ha dotato le ragazze, collaterali ai “carreti da mercau”, di ottimi costumi realizzati da Elvira Miceli, che li gestisce con cura.                                Luigino Maccario

 

 

 

Dono al Sindaco della prima

Pigotta ventemigliusa

 

    Alla cerimonia della “Strena de Deinà“ avvenuta il 18 dicembre 2009 nella Sala Consiliare, alla presenza del Sindaco, di diversi Consiglieri, del vescovo, di autorità militari e di un folto pubblico, è intervenuta anche, quale ospite d’eccezione l’UNICEF, l’organizzazione umanitaria universalmente conosciuta, in questo caso rappresentata dalla signora Colomba Tirari, che ne è Presidente provinciale.

    La signora Tirari ha colto l’occasione per illustrare ai presenti gli scopi umanitari che si prefigge l’UNICEF e, in particolare quanto è stato fatto a favore dei bambini nei paesi poveri, soprattutto in campo medico sanitario.

    Dato che la cerimonia prevedeva uno scambio di auguri e doni tra le varie associazioni cittadine e il Sindaco (infatti il “consule” della Cumpagnia d’i Ventemigliusi la dott.ssa Rita Zanolla ha consegnato la tradizionale “giara” con i simboli dei prodotti del territorio e ha ricevuto dal Sindaco l’ultimo libro su Ventimiglia, “Mete d’autore”) la signora Tirari ha voluto offrire a Scullino la prima “Pigotta ventemigliusa” vestita col nostro tradizionale costume.

    La “Pigotta” il cui costume è stato confezionato dalla signore Teresita e Dionisia Canavese, è stata offerta da due giovanissime concittadine vestite con gli abiti tradizionali (gentilmente messi a disposizione dalla signora Belvedere).

D.F.