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CULTURA  e TERRITORIO

 Quaderno annuale di Studi Storici a cura dell'Accademia di Cultura Intemelia

 

      A partire dal 1995, l’Academia Ventemigliusa ha dato inizio alla pubblicazione di un quaderno annuale che era distribuito ai soci della Cumpagnia d’i Ventemigliusi al momento del tesseramento. Il direttore scientifico dell’opera è stato il professor Giuseppe Palmero, Retù de l’Academia, che si è avvalso della Direzione editoriale di Renzo Villa fino al 1997.

      L’Academia ha pubblicato ventidue quaderni, fino all’anno 2016, quando il suo rettore è deceduto, grave perdita per la Città di Ventimiglia.

 

prof. Giuseppe Palmero

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prof. Mario Ascheri

     Da Cronache e strumenti del n. 8  di INTEMELION 2002, pubblichiamo le parole pronunciate dal professor Mario Ascheri, nella cattedrale di Ventimiglia, al termine della cerimonia di celebrazione del santo patrono della città, il 26 agosto 2003.

 

Il ringraziamento per il “Segundin 2003”

      Con particolare commozione ho ascoltato le parole della  presidente del Comitato ‘Pro Centro Storico’ e ricevuto il San Segundin d’argento dalle mani del Vescovo e del Sindaco in questa cattedrale che storicamente è la dimostrazione vivente di quel tanto di positivo e di grande che in passato si sapeva fare quando c’era l’accordo tra laici ed ecclesiastici.

      Potrei forse limitarmi a ringraziare vescovo e sindaco, e per il comitato, la signora Luisa Viale e i suoi preziosi collaboratori. Ma sento il dovere di intrattenervi qualche minuto dopo la generosa motivazione che è stata letta.

      Ricevere questo riconoscimento dopo tanti anni che ho lasciato Ventimiglia per tornarci solo qualche volta all’anno dalle mie sedi ormai normali di Siena-Roma a rinnovare un legame antico e fortissimo, ha per me un significato profondo. Mi fa rivedere e rivivere un passato che avevo non rimosso, ma certo messo in una zona d’ombra e che il Vostro Segundin mi ha squadernato davanti come in rapida successione.

      Questa cattedrale, sintesi di storia cittadina che continua a far ricordare la città quando era indipendente ed importante, un monumento che lega la città al più ampio ambiente catalano e provenzale (come ha mostrato Fulvio Cervini) prima che Ventimiglia fosse nel Duecento definitivamente inglobata nella piccola grande Liguria genovese, questa cattedrale che è un po’ il simbolo della città e delle sue varie epoche, a volte diversissime e che ci avvolge oggi con la musica del coro polifonico che è gloria della città, costringe tutti a guardarsi indietro, come il Segundin mi ha riportato a quell’intreccio di vecchio e di nuovo di cui è intessuta l’esperienza di ognuno di noi.

      E mi sono reso conto che quello che ho fatto e sono divenuto, nel mio piccolo mondo di professore e di storico, lo devo innanzitutto a chi mi è stato attorno negli anni decisivi della formazione proprio in questa città, ai miei parenti ricordati già dalla Signora Viale, e in particolare ai miei straordinari fratelli Giorgio e Carlo che ormai da tanto ci hanno lasciato; a quei loro cinema che sono stati per me una palestra culturale fondamentale; a quella loro religione anche del lavoro, dell’impegno serio a capire; ma anche agli amici del clebbino dietro il cinema, certamente più croce che delizia dei vicini in quei tardi anni ‘50 e primi ‘60 in cui Ventimiglia tanto cambiava attorno a noi.

      Era la Ventimiglia in cui si ascoltava regolarmente la Corale folkloristica del maestro Hughes nei giardini e in cui l’agone politico era occupato da voci appassionate e generose come quella dell’avv. Tessitore; allora il nostro mondo ruotava attorno al liceo classico Girolamo Rossi e ai suoi professori spesso stimolanti, a personaggi che sono stati tanta parte della mia cultura come i proff. Allavena e Rastelli e la forte delicatezza della prof.ssa Trucchi con cui il colloquio sui grandi temi fu sempre intenso.

      Ma devo tanto anche alla città in sé, alla sua posizione di frontiera, al suo notevole passato storico, col suo teatro romano, col suo vescovo, con i tanti che l’illustravano e la ricordavano, come il Peitavino scrittore della città martire (peraltro non ricordata recentemente al livello ufficiale del Quirinale, come ha ricordato Luigino Maccario sulla “Voce”), e ai tanti che la difendevano col teatro dialettale e col canto, con i carri fioriti, con lo studio e gli scritti: come Azaretti e Villa, per ricordare solo alcuni degli scomparsi.

      Un mondo che a noi giovani impazienti di sbarcare nelle città universitarie sembrava immobile e periferico, e che pure era vivace e dava tanto. Il confine dà sensibilità per il diverso, per il nuovo, per il meglio, attivando il gusto della conoscenza e della competizione, e il Confronto con le vicine Bordighera e San Remo ancora l’accentuavano; con la sua storia, poi, dal Comune medievale alla vicenda degli Otto luoghi con il distacco di Bordighera e delle altre ville (l’ospedale è finito in quella che era solo una frazione di Ventimiglia!), fino al martirio bellico e all’incredibile ondata immigratoria, d’una entità che nessun’altra realtà urbana italiana probabilmente ha conosciuto (e che non ha avuto il riconoscimento d’interesse pubblico che meritava), Ventimiglia mi introduceva nel lavoro di storico all’unicità irripetibile delle nostre storie urbane, alle loro storie sempre diverse per la singolarità della posizione geo-politica e per la diversa selezione e preparazione dei loro ceti dirigenti.

      Così mi si contrapponeva la realtà narrata dai Rossi, Rostan, Lamboglia, la realtà del Comune intemelio che sapeva resistere a un colosso come Genova, alla realtà del nostro secondo dopoguerra, fatto di ricostruzione materiale, ma anche di abbandono del formidabile centro storico intemelio (cui giustamente il Comitato di questo premio si intitola) e di crescita per lo più disordinata, mentre iniziava una diaspora di giovani forze intemelie che certamente non si è arrestata.

      Tra il centro storico da riqualificare e i giovani che trovavano e trovano spesso lavoro qualificato lontano da Ventimiglia c’è probabilmente un nesso che implica un problema storico di lunga durata e la cui soluzione è certamente ancora lontana.

      Non è mio compito ergermi a giudice o a censore, tanto meno approfittando di una tribuna privilegiata come questa; credo tuttavia che l’osservatore in qualche modo esterno come me debba rilevare come - nonostante gli sforzi di tanti benemeriti attivi in città -, i segni di una decisiva inversione di tendenza ci siano, ma ancora modesti. Ci sono tanti operatori nel sociale, nella scuola, nella tutela delle tradizioni, con in prima fila l’Università della Terza Età, la Cumpagnia d’i Ventemegliusi, il Coro che oggi ci onora, il gruppo del Troubar clair, l’agosto medievale, la Voce intemelia, il teatro dialettale e persino un periodico specializzato nella storia come “Intemelion”. E tuttavia la percezione di una società civile ancora scarsamente coesa e organizzata, che non ha ritrovato un equilibrio dopo gli sconvolgimenti del dopoguerra rimane.

      La questione è delicata, perché rimane aperta quali che siano le forze politiche prevalenti e condiziona l’operatività delle stesse amministrazioni. Le istituzioni da sole, per quel poco che le ho viste all’opera attraverso i secoli, sono dei gusci vuoti e impotenti senza gli uomini e le donne giuste al posto giusto, e soprattutto senza il sostegno attivo della società.

      Perciò le occasioni solenni come questa, gli incontri civici così importanti devono essere anche un’occasione di riflessione corale. Qui, in questa cattedrale, siamo immersi nel bello, nell’altamente qua­lificato, in una struttura che suscita ammirazione e stimola a benfare.

      Il problema è come estendere queste realtà, rafforzarle, creare altre possibilità di bello urbano, realtà dignitose e qualificanti per la città, avendo anche il coraggio quando occorre di liberarsi del brutto che un passato difficile ci ha tramandato - e basterà pensare al problema della grande struttura qui accanto che opprime e nasconde il sito architettonico più importante della città.

      Insomma, il problema è di impegnarci di più per conservare e valorizzare il tanto bello che è stato fatto attraverso i secoli in questo straordinario contesto naturale, quel tanto che è stato possibile in questo angolo di riviera pur lontano dalle grandi vie di comunicazione del passato. Spesso sono state soltanto le stampe disegnate dai viaggiatori stranieri dell’Ottocento a svegliare la consapevolezza di avere dei tesori da preservare e da valorizzare. Il centro storico di Ventimiglia, ad esempio, presenta da tempo dei problemi che tuttavia non diminuiscono il suo pregio e la necessità di proporlo come obiettivo di recupero che non può essere solo un problema comunale: la salvezza di questo plurisecolare reticolato urbanistico è un problema regionale o europeo!

      Il passato non muore mai completamente, nelle persone come nelle società, e non deve essere sempre inteso come un peso. Può e deve aiutare a riprenderci. E la cultura in tutto questo ha una funzione centrale. Perciò la scuola, l’Università della Terza Età, la biblioteca comunale, il museo archeologico (che va più pubblicizzato), ma anche e soprattutto l’archivio di via Hanbury da troppo tempo chiuso e il teatro comunale (del quale si spera prossima l’apertura) hanno una loro funzione trainante.

      Niente è scritto, nel senso di prescritto, che costringa all’apatia, alla rinuncia: il bello urbano, le tradizioni, il senso civico sono fondamentali per creare quell’entusiasmo che è sostegno dell’orgoglio cittadino.

     Senza di questo non c’è ottimismo, non c’è slancio, non c’è futuro. Forse anche per questo sarebbe importante che annesso al museo archeologico si sviluppasse un museo della città, che riproponesse le grandi scansioni della storia recente e meno recente, da quella medievale a quella dell’Ottocento e del difficile Novecento, con la novità della floricoltura e di quell’incontro di genti diverse che è avvenuto da noi in misura ben più accentuata che altrove e che non ha ancora espresso pienamente le sue potenzialità.

      Nel giorno del santo patrono e quindi dell’unione e della festa civica, diamoci forti proponimenti: non lasciamo correre, non lasciamoci addormentare dalla routine!

      Ma è tempo di chiudere. Per parte mia con un nuovo grazie a tutti voi per la meravigliosa giornata che mi avete riservato con questo San Segundin che è forse esso stesso un simbolo di rinascita cittadina; da parte di tutti noi, ora, un corale, caloroso ‘buon San Secondo’ e ‘viva Ventimiglia’!

 

LIBERARSI DEL BRUTTO CHE UN PASSATO DIFFICILE CI HA TRAMANDATO