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                                          Enzo Barnabà

IL SOGNO BABILONESE

Lo Château Grimaldi, la Bella Epoque, la Riviera

                                                                                                                                     Infinito edizioni 2020

 Prefazione

Un caleidoscopio di personaggi

                                                                                                                           di Daniela Gandolfi

        Con questa nuova fatica letteraria, Enzo Barnabà torna ancora una volta sul tema della letteratura di confine e lo fa, in questo caso, non per raccontare storie d’immigrazione, di dolenti passaggi, di frontiere chiuse, aggirate o attraversate, racconti muti di viandanti senza patria, ma ricordando la storia di un edificio, il cosiddetto Château Grimaldi che quel confine, tra Italia e Francia, domina e osserva da tempo lontano.

       Il libro ci narra della primitiva torre anti-barbaresca, sorta forse su preesistenze medievali, della sua trasformazione in una sobria casa mediterranea ad opera del medico inglese James Henry Bennet che vi realizzò anche il primo esperimento di acclimatazione di piante esotiche, ispiratore dei futuri giardini de La Mortola; e poi della sontuosa dimora a quattro piani fatta costruire nel 1890 dalla nuova proprietaria, l’americana Ella Waterman Goddard, passata quasi vent’anni dopo nelle mani dell’austriaco dottor Sigmund Appenzeller, sino all’epopea del medico franco-russo Serge Voronoff, chirurgo di fama mondiale che, alle audaci pratiche scientifiche, univa conturbanti capacità seduttive e mediatiche. Talmente famoso negli Anni Venti e Trenta del secolo scorso da guadagnarsi una citazione nella, all’epoca acclamata, canzone Il siero di Strogomoloff con musica di Fred Buscaglione e parole di Leo Chiosso, e dare il suo nome a una ricetta prelibata, fors’anche un poco afrodisiaca, per cucinare il filetto di manzo, appunto “alla Voronoff’...

         Ma nel raccontare la storia dello Château, delle sue fasi architettoniche precedenti e successive, Barnabà ricade anche in questo libro nella sua vera vocazione e cioè raccontare soprattutto la storia degli uomini, di quegli esseri umani che in quella villa, con sotto gli occhi il confine, hanno trascorso poca o tanta parte della loro vita e consumato le loro passioni.

         E così conosciamo meglio il ginecologo inglese James Henry Bennet che nel 1859, trasferitosi a Mentone per curarsi dal male del secolo, adocchia nella località Grimaldi “alcune terrazze piantate a limoni e a olivi, alcune rocce spoglie e una vecchia torre in rovina” che acquista, sistemandosi in una piccola costruzione addossata alla torre cinquecentesca. In quelle fasce rocciose, Bennet impianta un giardino dotato di vasche e canali, con piante esotiche che progressivamente sostituiranno le piante autoctone, e fa costruire una serra, la prima della zona compresa tra Nizza e Genova, chiamando a Grimaldi una ditta specializzata di Marsiglia.

           Se la figura di Bennet era comunque già nota agli studiosi di botanica e di quel particolare e fecondo fenomeno del turismo internazionale che interessò Riviera e Costa Azzurra a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, meno conosciuti sono sicuramente i personaggi che, nel tempo, subentrarono nella proprietà: a partire dall’americana Ella Waterman Goddard che fece costruire, a pochi metri dalla torre, l’imponente villa che ancora vediamo (lo Château appunto), in cui visse con i tre figli avvolta in un clima crepuscolare tra mistero ed esoterismo; a Sigmund Appenzeller, che subentrò nella proprietà nel 1907, suddito dell’impero asburgico, allievo di Louis Pasteur, fortemente impegnato nella lotta contro la tubercolosi e fautore dell’importanza dell’aria marina per la sua cura, a tal punto da aver già fatto realizzare a proprie spese nel 1901, insieme alla moglie Inez Wolf, una station climatique a Gorbio, alle spalle di Mentone, uno dei primi “sanatori” della zona.

            Fino al più celebre dei suoi proprietari, il chirurgo ebreo franco-russo Serge Voronoff, cui tra l’altro Enzo Barnabà ha già dedicato un libro pubblicato nel 2014 per i tipi della Infinito edizioni, un libro fortunato che sarà presto pubblicato in francese, inglese e anche in russo. Voronoff, divenuto famoso per i suoi esperimenti tesi a realizzare il sogno impossibile degli esseri umani alla ricerca dell’eterna giovinezza, è una figura inquietante che affascinò il bel mondo di allora, compresi i reali di Romania e i letterati come Francesco Pastonchi che ci ha lasciato, tra l’altro, una stupita descrizione della villa, arredata sfarzosamente, con mobili, quadri e tappeti di lusso, ma con, a ponente, le gabbie delle sfortunate scimmie utilizzate nei tristi esperimenti. Il loro sguardo, stupito e disperato, fermato dalle fotografie di allora, che ci fissa fin dentro gli occhi, fa stringere il cuore e dolorosamente riflettere sulle sopraffazioni perpetrate dal genere umano verso gli altri esseri viventi, seppure in questo caso con l’illusorio scopo della ricerca scientifica, in molti altri per lucro, divertimento, innata ferocia e crudeltà Ma la storia dello Château si intreccia anche con la pagina della vergogna nazionale delle leggi razziali del 1938 e la confisca delle proprietà degli stranieri che costrinsero, in molti casi, gli illustri ospiti, ormai parte integrante e benefica delle comunità locali, a lasciare precipitosamente l’Italia; come accade a Margaret Berry, erede del prezioso Museo fondato dallo zio Clarence Bicknell a Bordighera nel 1888, a Dorothy Hanbury, costretta ad abbandonare la proprietà e il meraviglioso giardino de La Mortola, e allo stesso “ebreo straniero” Serge Voronoff, ospite ormai sgradito anche da chi prima ambiva a conoscerlo e frequentare. Lo stesso Voronoff che però, appena conclusa la guerra, si riprende la proprietà e per riparare i danni provocati da saccheggi, incendi e bombardamenti, incarica l’ingegner Rodolfo Winter di Bordighera, figlio del primo capo giardiniere chiamato a La Mortola da Thomas Hanbury, quel Ludwing Winter da molti considerato il pioniere della floricoltura in Riviera. E qui le storie iniziano di nuovo a intrecciarsi, avvolgersi e a dipanarsi.

          Le pagine del libro e il ricco apparato iconografico che lo correda ci raccontano l’evoluzione di questo scampolo di terra a strapiombo sul mare e degli edifici che vi si sono susseguiti; ma anche, attraverso accurate schede di approfondimento biografico, in un caleidoscopico “romanzo di figure”, restituiscono voce, sembianze, presenza agli eccentrici e, in alcuni casi, stralunati personaggi che lo hanno abitato, tratteggiati da una penna felice con vivezza, empatia e, in alcuni casi, una punta d’ironia. Tutti insieme a tessere una trama che potrebbe diventare una buona sceneggiatura per un film destinato a cinefili d’antan e appassionati di storie di personaggi fuori dall’ordinario, ma anche a ricostruire una pagina internazionale vissuta nella Belle Époque dalla piccola “Riviera” italiana.

 

                                                  Dott. Daniela Gandolfi

                                                      Conservatrice Museo Civico Archeologico “Girolamo Rossi” di Ventimiglia

                                                      Dirigente archeologa Istituto Internazionale di Studi Liguri-Museo Bicknell

 

 

TORRE della DOGANA