Ancöi l'è e i sun e ure
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L’aiga d’a Scciümaira a l’è in’aiga benedia,

tüti cheli ch’i ne büve i nu’ se ne van ciü via.

 

 

A  SCCIÜMàIRA

Luigin Maccario - 2002

    Per i ventimigliesi, il fiume, inteso quale importante corso d’acqua, non possiede corrispondente termine dialettale. Ogni fiume si chiama con il proprio nome e basta, senza specifica.

    Dalla nostra città, per incontrare un corso d’acqua chiamato fiume bisogna arrivare al Varo, al Tanaro o all’Arno, oppure riferirci al Po, che chiamiamo Pàdu, o al Rodano che conosciamo come Ròse.

    Il nostro è un fiume a carattere torrentizio, come la Magra, nel Levante ligure, mentre tutti gli altri corsi d’acqua della Liguria che sfociano al mare sono torrenti.

    La nostra Roia la chiamiamo a scciùmàira, che potremmo tradurre in “fiumana” o col meridionale “fiumara”, anch’essa a carattere torrentizio ma alternato a frequenti periodi di secca.

    La Bévera e la Nérvia sono anch’esse a carattere torrentizio, ma vengono chiamate rivàire, giacché hanno una portata stagionale minore, come la Lévensa, la Biògna e la Bénduřa; mentre ogni altro corso d’acqua intemelio è da considerarsi torrente, che definiamo con valùn.

    Gli affluenti dei torrenti sono rivi e fossi, generati da sorgenti quasi perenni, che chiamiamo riàne e, sovente, hanno la portata limitata ai soli periodi piovosi.

    La Roia, quando ingrossa, viene riconosciuta come u scciümairùn, attribuendosi i caratteri maschili di fiume paurosamente ampio e richiamando i pescatori di anguille, armati di ombrello rivoltato e massame, ad operare nello sterburin, nome dell’acqua intrisa di fango giallognolo, propria delle piene.

LA VOCE INTEMELIA anno LVII n: 10 - ottobre 2002

 

 

CADRETU

                                                                           Filipu Giliu Rostan - 1950

 

    Dopu tanti giurni d’aiga e de ventu,

tra nivurassi d’u cuřù d’a pria,

Ve’ in po’ de su’; caiche sbrilu d’argentu

scagliezà pe’ a campagna imagunia.

 

    Ma in grossu tron ancura se ressente,

che i marusi i l’arriva ascaixi ae cae

e a scciümaira a stundùna i ponti. E gente

i van a ve’ ‘ste aigasse imbestiae.

 

    E i pensa a caiche barcu dematau

ch’u pena au largu, ae sbuire inti valui,

ae ruvine … C’un lò ghe za’ chi, armau

 

    d’in ganciu, u se tira rame e bilui,

o, c’û paraigu largu ai pei, tranchile,

int’in paixu recantu, u pesca e anghile.

 

 

 

 

IL  FIUME  ROIA

    Il fiume Roia è uno dei principali fiumi di Liguria, ricordato da Plinio il Vecchio e da Lucano col nome di Rotuba, la cui etimologia secondo Marco Varrone dovrebbe cercarsi in “ruendo”, per l’impeto col quale spinge le proprie acque.

    Da Rotuba a Rodogia, nelle carte dell’Abate di Lerino e talora Rodoira negli scritti del Biondo, dell’Ortelio e del Cluverio.

    Si tratta di un “fiume a carattere torrentizio”, che nasce dal colle di Cornio, sulle pendici del colle di Tenda, a qualche distanza a Sud-ovest dall’attuale traforo stradale, a circa mille metri dal livello del mare. Riceve, da sinistra, le acque della Levenza, che hanno lambito Briga e, da destra, quelle della Beogna, che sgorgano dai Laghi delle Meraviglie, nel territorio di San Dalmazzo.

    Presso Saorgio riceve, da sinistra, le acque della Bendola e da destra quelle del Cairos. Presso le falde del colle Magliocca, da destra, riceve le acque dell’affluente più importante, il Bevera appunto, poco prima di sfociare nel mar Ligustico.

    Il suo tragitto è lungo circa 40 kilometri e le sue acque nutrono, da sempre saporitissime trote, che in qualche periodo sono state l’unico sostentamento vitale per generazioni di popolani.

    La sua foce naturale è stata, nel tempo, presumibilmente un estuario che dopo aver lambito la collina delle Maule ed aver ricevuto da sinistra le acque del Resentello, trovava il mare nella zona delle Asse, non prima di essersi impantanato nel deposito alluvionale da lui stesso trascinato, che nei secoli, ha formato la piana dove oggi e sita la città moderna.

    Se diamo riscontro alla tendenzialità, che ancora attua quando riesce a sfociare naturalmente, potremmo ammettere che nella preistoria dovesse entrare in mare in unica. soluzione con il torrente Nervia, che sarebbe da considerarsi, quindi, un suo grande affluente, di sinistra.

    Nei secoli di poco posteriori alla dominazione Bizantina, le sue acque presso la foce, venivano incanalate verso levante, rallentate e deviate da un cordone di chiusa, costruito all’altezza dell’attuale ponte ferroviario, favorendo così il corso tendenziale, regolandone le ricorrenti e fortissime piene.

    Veniva inoltre costantemente mantenuto dragato il pennello di ghiaia, che si sarebbe formato alle falde del Cavu, dov’è posta l’antica Porta Marina.

    Veniva ricavato così un grande lago di acqua mediamente salsa, che trovava la massima espansione dove oggi si trovano piazza Costituente ed il deposito della Riviera Trasporti, cui erano addossate le case del quartiere chiamato Lago, appunto, ed oggi Borgo.

    Era questo il porto canale che tanto lustro ha dato alla Ventimiglia medievale ricca Contea e potente Comune Marinaro e del quale restava ricordo, ancora nel 1800, di una lapide dell’XI secolo, oggi scomparsa, murata presso la fontana del Borgo, sulla sponda del Roia, con la scritta:

    AD COMMODITATEM NAVIGANTIUM - ANN. M.C.

    Alle soglie del secondo millennio, la memoria generazionale vivente ricorda un molo, attrezzato con anelli e bitte, sito ed interrato subito a monte del ponte ferroviario, sul tracciato della costruenda arginatura, proprio di fronte ai campi di gioco del Tennis Club Ventimiglia, nel punto dove la, strada provvisoria, che attraversa l’ultima navata del ponte, sotto il livello di media portata, si innalza ai livelli normali della attuale zona del vecchio Campo Sportivo Comunale.

    Se questo molo potesse essere sottoposto alle ricerche di validi archeologi, potrebbe fare il punto sul sito dì massima espansione del Lago, verso settentrione.

    Lo sfruttamento delle acque nel corso superiore del Roia è cominciato nei secoli della dominazione Romana, quando vennero trascinati a valle i primi grandi ed alti tronchi di lance, ideali per la costruzione di navi.

    Una delle ricchezze dei medievale contado erano appunto i legnami, trascinati col vivo della corrente e tagliati con la forza dell’acqua di segherie situate nella piana di Bevera.

    Nel corso del medioevo, su alcune isole situate nelle vicinanze dell’attuale ponte ferroviario, trovarono posto laboriosi mulini per il grano ed anche frantoi da. olive, che traevano la loro energia da acque imbrigliate in appositi canali.

 

L’IDRONIMO,  SECONDO  NINO  LAMBOGLIA

Roia: a Röja, fiume.  - sec. I d.C. Rutubamque cavum (LUCAN., Phars., II, 422); flumen Rotuba, oppidum Albium Intemelium (PLIN., N. H., Ili, 5); 1063 flumen Rodoge (CAIS, Cont. Vent., 105), flumen supradictum Redoge (ibid.); 1064 super fluvio Rodoia (CAIS, Cont. Vent., 105); 1072 in vale Rodoia (CAIS, Cont. Vent., 107); 1077 iuxta fluvium Rodogiae, fluvio Rodogia (CAIS, Cont. Vent., 109); sec. XI in flumine Redoie (CAIS, Cont. Vent., 112); 1092 in fluvio Rodoza (Crt. Ler., I, 168); 1156 aqua Redoie (CAIS, Cont. Vent., 118), usque flumen Rodoie (ibid.); 1177 usque Apium et Cagalono et flumen Rodoie (CAIS, Cont. Vent., 186); 1260 a dicta aqua Nervie usque ad flumen Rodorie (ROSSI, Doc. Vent., 10); 1303 a Rodoria usque Nerviam (Stat. erb. Vent., III); 1344 aqua Riorie (Perg. Com. Vent.); 1442 aqua Rodorie (Perg. Cath. Vent.); «La Rutuba ..., presso Agostino Giustiniani e Leandro Alberti, nella descrizione della Liguria, è modernamente chiamata Rotta; dal Biondo, Ortelio, Cluverio ed altri, Rodoria ... dai paesani Roira, ossia Roera» (GIOFFR., 41); 1655 (ct. v. G) e segg. Roia passim.  - Come ho già messo in chiaro nell’apposita nota dedicata a questo toponimo in Riv. Ing. Intem., p. 91 (e vedi soprattutto la postilla di P. LEBEL e del sottoscritto ibid., IV, 225-226), la prima forma medioevale Rodogia non può risalire che ad un primitivo *Rotubia. Si deve pertanto pensare o ad un errore di Plinio o dei suoi amanuensi, che avrebbero omesso una i, come avviene nel medesimo passo in Palo per Palio di Nizza, Album per Albium di Ventimiglia e Albenga; oppure, dato che anche Lucano prima di Plinio ha Rutuba, ad una falsa trascrizione letteraria latina, generalizzata negli scrittori antichi (caso simile in Monoecus dal primitivo *Monicus, onde discende l’indigeno Mùnegu, Monaco); o infine ad un semplice derivato aggettivale *Rotubia da un originario Rutuba. Rotùbia nel ligure romanzo ha dato regolarmente Rodùgia (cfr. GABIES > gaggia, RABIES > raggia, etc.), onde Ro(u)gia in seguito alla caduta del d intervocalico, agli inizi del secondo millennio.

    Il passaggio Rógia > Roja è normale, sull’analogia degli esiti di -iliu (del tipo Castegión < > Casteión), e di altri numerosi casi come lo stesso riflesso del prelat. *ARRUGIA, che da rùggiu e ruju (rugliu), e che sopratutto può aver influito per l’analogia del significato: cfr. due Roja (pron. Rúja) nel nizzardo, frazione e torrente di Santo Stefano di Tinea e frazione di Peona, nonché numerosi altri riflessi toponomastici del tipo «roggia» (per il fenomeno v. Top. Al., p. 13-14). La forma Redoia, conseguenza dell’alterazione della protonica, può servire forse a spiegare pienamente l’ ö tonico di Röja (oggi nella pronuncia restaurato quasi ovunque in Rója, per influsso dell’italiano), per la fusione del gruppo vocalico Reùja in Röja dopo la caduta del d . L’isolato Rodoza è forse falsamente modellato sull’ esito di -DJ- intervocalico, che attraverso g’, conservato in gran parte nella zona intemelia, è passato ad s’ in tutto il Genovesato (cfr. introduz., p. 17); vedi un caso di sviluppo analogo in Varás’e, da Varage > Varáje. Da Röja si dev’essere sviluppato per vari secoli, almeno in qualche parte della valle, mediante la propagginazione di un r, il Rojra attestato nel GIOFFREDO e nella grafia latina Rodoria dei secoli XIII e segg., a causa dell’analogia con la serie di cöjru < CORIUM «cuoio», möjru < MORIOR «muoio», e in genere dei tipi italiani scrittoio < SCRIPTORIU.

    Nell’ambito del substrato preromano, Rot-ŭba si spiega vicendevolmente col nome del Rodano (Rhodanus < Rotanos degli autori greci), della Rodòla affluente del Varo (< *Rotulia, onde il Rodulia dei documenti medioevali), della Rodumna (od. Roanne, Loire), e degli altri derivati toponomastici ed onomastici della base *rot > *rod- (e > *rud-), raccolti in HOLDER, II, 1201 segg. e spiegati già dal D’ARBOIS, Les premiers habitants de l’Europe, vol. I, con l’indoeuropeo *ret > *rot, recante l’idea di «scorrere», onde il bretone red «corso d’acqua», irl. ret «correre», lo stesso lat. rota e il greco rothos. Il suffisso, se si tratta di -ŭba originario, sarà lo stesso di Gén-uba > Génuva > Genua; altrimenti sarà il comune -óbius o -ùbius di Vesubia, Nartubia, Venobia, frequenti nell’onomastica fluviale prelatina.

n.107. -  TOPONOMASTICA INTEMELIA  -  Istituto di Studi Liguri  - Bordighera 1946

 

    Nella lingua italiana, sorvegliata dalla “Crusca”,  il nome della nostra scciümaira andrebbe scritto “Roja”; mentre dal 1946, per evitare di sentir leggere quel “Roja” come gli italiani del dopoguerra stavano cimentandosi ad interpretarlo, si mise in atto la convenzione di scriverlo “Roia”, sgombrando il campo.

    Oggi per veder chiaro dietro quella convenzione, è stato interpellato il valido linguista Enzo Barnabà, che esplicitamente puntualizza:

    «Nel vecchio italiano si faceva differenza tra la vocale i (maggio) e la semivocale j (gennajo). L’ultimo a fare la differenza è stato Pirandello. La j (i lunga e non “gei” come dicono i nostri figli) è ovviamente rimasta nei nomi di luogo: Majella, Vajont, baia Benjamin e di persona: Jacono, Jannuzzi, Colajanni, ecc. 

    La grande maggioranza degli italiani ha perso la nozione di semivocale. La baia Benjamin la leggono “Bensgiamèn” (diciamo alla francese) o addirittura “Bèngiamin” (all’americana). bene quindi ha fatto il padrone del ristorante a sostituire la j con la i , (adesso l’insegna è “Baia Beniamin”).

    Si potrebbe fare anche con Roja se ci fossero di simili problemi. Sarebbe il minor male e comunque le lingue sono in continua (spesso impercettibile) evoluzione.

    Pensiamo alla y di Roya. Questa lettera in francese (e in inglese) rappresenta la semivocale: cfr. la traslitterazione dell’alfabeto arabo in Nassirya, Abdoullaye, etc. In tempi remoti, i francesi trascrissero Roya (pronunciando “Roià”) per rispettare la grafia italiana Roja (y=j). Con la rivoluzione si cominciò a pronunciare “Ruaià”.

    Era un errore, ma questo errore prese piede e sostituì la vecchia corretta pronuncia. Oggi a nessun francese verrebbe in mente di pronunciare (correttamente) come nel Settecento».