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PORTA  MARINA

Bastioni del Cavu

    Con buona probabilità, furono gli armati mandati a presidio del punto d’approdo, collegato al Limes Bizantino ligure, che costruirono un primo nucleo di bastioni a protezione dell’altura del Cavu e del retrostante Porto Canale.

    Sul finire dell’VIII secolo, i Conti vi insediarono il loro castello.

    Nel X secolo, il Libero Comune ventimigliese, adattò quei bastioni, che già nel 1141 hanno avuto necessità di potenziamento, con una decisa elevazione di Porta Marina.

    è stato però il ripristino Cinquecentesco a dare le sembianze definitive a questa elegante porta.

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    Nel 1141, Ventimiglia è stata vinta e sottomessa, ma continuava  ad amministrarsi come un Comune, con le sue otto Ville, collaborando però col Comune genovese.

    Nondimeno, il Comune pose mano all’ampliamento della cinta muraria, con particolare attenzione per quei tratti scoscesi e fortemente irregolari. Di questa cortina muraria, rimpiazzata poi dalle mura cinquecentesche genovesi, restano tratti nel Cioussu, a dimostrazione di come la chiesa di San Michele fosse ormai all’interno del perimetro difensivo, come lo era già stato l’abitato di età gotica, sul promontorio della Rocchetta. Quei resti evidenziano strutture murarie in pietra squadrata, poste persino a contenimento di terrapieni, alla base del colle; dove si notano un torrione semicircolare ed un arco a tutto sesto. Altre tracce sono presenti nella Porta Marina, che consentiva l’accesso al ricovero portuale , mentre in seguito sarà tramite con il borgo marinaro, venutosi a creare attorno alla chiesa di San Nicolò.

    Nel XIII secolo, gli oppressori genovesi provvidero a ripristinare le mura, da loro stessi distrutte, però le lasciarono prive di manutenzione fino al XV, quando i frequenti assalti barbareschi resero inevitabile un ripristino.

    Ma i genovesi vollero compiere una generale revisione delle strutture fortificate delle città costiere liguri, per far fronte alle armate francesi. Per il restauro delle mura la nostra città, nel 1529, fu costretta a spendere 3.240 fiorini d’oro; ma già nel 1532, il Senato genovese chiedeva alle Podesterie della Riviera galeotti per le galée armate contro i Turchi, proprio mentre, nel timore di attacchi dal mare, ad opera di corsari barbareschi, il Consilium Antianorum Civitatis Vintimilii, chiedeva a Genova di ripristinare e potenziare le vecchie mura fortilizie del Cavo.

    Nel gennaio 1554, Giovanni Maria Olgiati ispezionava le mura costruite dai genovesi, attorno a Ventimiglia, ritenuta vera piazzaforte di confine; ma già nel giugno del 1564, due commissari erano inviati da Genova e davano una descrizione avvilente della città.

    Lo stato di Ventimiglia in quel periodo era deprimente. Il fiume, deviato dall’incuria, non passava più sotto le mura, producendo terreni insalubri, mentre il ponte di legno che traversava la Roia era guasto. Case in rovina impedivano il transito per le strade, specialmente nel quartiere Lago, disabitato. Il terremoto, oltre a numerose case aveva provocato gravi danni alla chiesa di san Michele, che perse totalmente la navata nord, oltre a quella sud inagibile. La popolazione era ridotta a soli seicento fuochi.

    Dopo aver provveduto a restaurare e rimodernare le fortezze e la cinta muraria, il 20 marzo 1565, la Repubblica inviava le istruzioni per i Castellani comandati. Veniva inoltre costruita o rinforzata la torre posta sul promontorio della Mortola, oggi inglobata in villa Hanbury; che nel sistema di avvistamento corsaro era conseguente a quella di Balzi Rossi, dava inizio alla sequenza: Porta Canarda, Castel d’Appio ed era in vista col Torrione e Bordighera.

    Nel 1570, il Governo della Repubblica approvava il deliberato del Parlamento ventimigliese che ingiungeva agli abitanti delle Ville di concorrere al ritorno e al mantenimento del fiume contro le mura, con una giornata di lavoro per fuoco. Genova avversava un ritorno di Ventimiglia all’antica energia, era però lungi dal volerne l’annientamento e approvò la delibera, poiché ciò «concerne la fortezza della città».

    Ancora nel 1587, il Magistrato delle Galere obbligava Ventimiglia a contribuire all’armamento della flotta genovese, oltre al versamento dei tremila genovini già versati alla Camera repubblicana.

    Il Comune ricordava alla Repubblica di essere straordinariamente impegnato alla costruzione del Ponte sulla Roia ed alla fortificazione di Porta Marina, ma non otteneva deroghe.

    Il 6 novembre 1794, una barca approdava a remi nella darsena della Roia, portando, in fuga da Nizza, il conte Lascàris Ventimiglia di Castellaro e Peille, ospitato in Ventimiglia dai fratelli Massa. Alla foce della Roia, dunque, protetto dai bastioni di Porta Marina, un piccolo lago artificiale fungeva da darsena per la nostra città, ospitando barchi commerciali di qualche stazza, secondo quanto è visibile da una nota stampa settecentesca.

    Nell’ottobre 1869, si metteva in appalto la strada d’argine, dal ponte alle mura di Porta Marina.

 

 

A TURE D’U BOIA

    è risaputo di come la casa costruita davanti a Porta Marina sia stata conosciuta come la “Casa del Boia”, ma Giovanni Giraldi, ci segnala il titolo di “Ture d’u Boia”, indicando il sito come luogo delle esecuzioni.

Brano tratto da

‘Stu  nostru  dialetu

di Giovanni Giraldi

    Me pairegrande u l’aveva a bitéga insci’a Falerina, a l’incuménçu; atacàu àu prafùn u l’avéva messu in arnese tütu cin de corde, de röe, de ganci, ch’i ghe serviva pe’ fa’ diventà bèle runde e sgavàudure; se ti u viévi travaglià, te vegniva l’idea ch’u manezàsse ina fùrca, de chele ch’i manezàva pe’ impicà i ladri; i ladri i l’impicava int’a Tùre d’u Boia, ch’a gh’e ancu’, apena ti passi a Röia, d’â parte d’a passeréla. Ti robavi ancöi, e l’indumàn ti tiravi za’ i gambin ...

- Tira’ i gambin ? Forsci vö di’ möire ? -

- Propiu cuscì; candu i l’èira apèsi â corda, i tirava catru caussi de chi e catru de là, avanti d’arrestàghe sechi; u boia u l’aspeitava; u s’assendeva a pipa; u s’assetava da ina parte, e candu u l’acapiva che uramai e gambe u e tegniva ferme, u diéva: «Ècu: u l’a tiràu i gambin !».

- Ma ... u boia u l’u fàva vurenté ‘stu brütu mesté ?!

- Eh, pensu de scì: u l’èira in pan següru; de ladri da pénde ghe n’éira delongu.

     . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

 

 

A MUNTà D’I FERRàI

   Il proseguimento di via Falerina, verso il Sestiere Marina, attraversata Via Biancheri, segue la linea delle antiche mura del Duecento e del Cinquecento, affacciate sul terminale corso del Roia; fino al collegamento con Porta Marina.

    Nella toponomastica ufficiale quel tratto di strada si chiama “Discesa Porta Marina”; ma nel concetto popolare è conosciuto come “a Muntà d’i Ferrài”, a causa della Ottocentesca presenza, consecutiva, delle botteghe artigiane di fabbro, che tenevano banco direttamente sulla strada, con l’uso di incudini e di maneggevoli forge a cielo aperto.

    Discesa dunque nell’ufficialità che prevede la denominazione e la numerazione delle “vie” a partire dal centro; che si è trasformato in sacrosanta salita, per la popolazione, che dalla Marina soleva recarsi in “Ciassa”, centro direzionale del tempo.