Ancöi l'è e i sun e ure
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           Nel luglio 2018, il Comune di Ventimiglia ha inteso dotarsi di un marchio col quale ha inteso promuovere il territorio, i prodotti d’eccellenza e il recupero delle aree agricole. Un marchio europeo e collettivo, legato ad un regolamento, che il Consiglio Comunale aveva nel frattempo approvato.

    Qualche lungaggine burocratica e poi il cambio di Amministrazione hanno rallentato la messa in opera di questo interessante proposito: un progetto super-partes che potrebbe approssimare molti giovani alla agricoltura, con effetti positivi per economia e territorio.

 

      Il marchio, che verrà ritirato gratuitamente nel Comune di Ventimiglia, potrà essere applicato a tutti i prodotti coltivati nell’area della Zona Intemelia, a partire dal territorio storicamente vertente sulla città di confine, quindi sulla costa tra Arziglia e Grimaldi e nell’entroterra fino al crinale montano che va dal Toraggio a Testa d’Alpe.

       Tra i coltivatori di questa ampia zona è da tempo che viene sentita l’esigenza di connotare un prodotto, attraverso un marchio che lo rendesse immediatamente riconoscibile. Per aderire sarà necessario seguire un protocollo concordato, che non scopiazzi il certificato bio, ma proponga terreni monitorati e l’impegno ad aumentare la sostanza organica umida per rigenerarli. Sarebbe auspicabile la ripresa d'attività su terreni agricoli non più coltivati da molto tempo.

     Il contrassegno, graficamente elaborato dall’architetto Andrea Mertina, si avvale del logo ricavato dal monumento alla “Mela Reintegrata” che Michelangelo Pistoletto ha posizionato, per l’apertura di EXPO nel 2015, prospicente alla Stazione Centrale di Milano, quale simbolo del passaggio evolutivo che coinvolge l’intera società umana. Dopo il “Terzo Paradiso”, ch’egli ha realizzato sul piazzale di Ponte San Ludovico, Pistoletto ha nuovamente concesso alla nostra città l’uso grafico di quel suo ormai famoso monumento milanese.

 

 La "Mela Reintegrata" di Michelangelo Pistoletto

 

 

 

 

 

 

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 ZONA INTEMELIA

 

 ECONOMIA

del

TERZIARIO

 

      Dal 1860, con la cessione della Contea di Nizza alla Francia, la gestione del terziario di Ventimiglia e della Zona Intemelia divenne in prevalenza una economia di frontiera. Di per se’, una favorevole situazione che avrebbe però dovuto fare i conti con le politiche economiche variamente instaurate dai due Stati confinanti; a volte favorenti l’uno o l’altro dei territori, con conseguenti situazioni di alti e bassi attinenti.

       Dal XII secolo, con la frontiera lungo il rio Garavano, Ventimiglia aveva, di fatto, continuato a mantenere i suoi confini col Principato di Monaco, comprendente Roccabruna e Mentone. Diventate queste francesi dal 1814, la città mantenne una particolare attenzione di amicizia col principe, di fatto, ben ricambiata. Era una felice frontiera diretta, con Montecarlo in grande espansione.

       Molta manodopera edile nostrana e numerosi artigiani intemeli prestavano la loro opera nel Principato, ivi recandosi stagionalmente e magari trasferendosi. Quest’aspetto ha riguardato anche molti professionisti, in tutti i campi. Inoltre, a Montecarlo, da sempre, il personale d’albergo e le mansioni nei pubblici esercizi sono stati coperti dalla popolazione intemelia, in cifre percentualmente elevate.

 

       Al concludersi del XIX secolo, la venuta della linea ferroviaria della costa ligure, che avrebbe proseguito lungo la costa provenzale, richiese il sorgere, attorno alla stazione, di attività per l’accoglienza e il supporto dei viaggiatori. Allora, si verificò l’edificazione del quartiere moderno, sui terreni fino ad allora rivolti verso il convento agostiniano, con la primaria costruzione di alberghi e l’apertura di caffè e ristoranti, nei pianoterra dei palazzi che vi sorsero numerosi.

       L’attività alberghiera e quella dell’intrattenimento, oltre ad una intensa attività ferroviaria, appoggiate ognuna da un consistente indotto, decretarono lo spostamento del centro cittadino sulla riva sinistra della Roia, relegando la finora centrale città alta ad uno straordinario sobborgo.

       Le poche giornate di intrattenimento dedicato ai molti viaggiatori che dovevano sbrigare farraginose pratiche doganali ebbe luogo fino alla istituzione della Unione Europea. Già a metà del XX secolo i primi alberghi, ristoranti e caffé-spettacolo inseriti attorno alla Stazione ferroviaria, iniziarono un lento declino, fino alla trasformazione in appartamenti, negozi e uffici, quasi per tutti avvenuta entro gli Anni Novanta. Più recente è stato il declino dell’attività alberghiera turistica, dei siti affacciati sul mare, o quella dei Grand Hotel di Bordighera, che fin dall’Ottocento hanno ospitato una invidiabile clientela d’elite. Oggi, molti di quei plessi attrezzati attendono ancora di essere convertiti in seconde case, contro il parere della burocrazia. Intanto, il settore dell’accoglienza è stato sostituito da un promettente inserimento di semplici attività “B&B” e, nell’entroterra, di “Albergo diffuso”.

        Ventimiglia si era dotata di un teatro, nel 1816, chiuso nel 1884 e spostato a Nervia fino al 1892. Nel 1904, i commercianti ventimigliesi costruirono il Politeama Sociale, oggi Teatro Comunale. Dal Primo Novecento Bordighera vantò il Teatro Zeni, oggi cinema e appartamenti. Nel periodo tra le due guerre, la Zona Intemelia si dotò di parecchie sale cinematografiche, quasi tutte fagocitate dall'avvento della televisione.

       Assieme agli alberghi, all’inizio del Novecento, le cittadine della costa Intemelia si dotarono di Stabilimenti Balneari. Il Miramare a Ventimiglia e il Kursall a Bordighera, dettero avvio ad un’attività stagionale molto seguita. Nelle due città trovarono anche spazio file di cabine temporanee, gestite con strutture di accoglienza montate su palafitte, ma assai funzionali.

 

Miramare - Ventimiglia

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        Nel settore della comunicazione, l’Intemelio si è evoluto come in ogni altra parte del Mondo, arrivando ad elaborare “u nostru parlà”, che oggi è in involuzione. Finito l’Evo Antico si è attrezzato di calamaio, inchiostro, carta e penna; anche per foggiare la corrispondenza che le "Poste" distribuirono ovunque, magari servendosi del telegrafo. Si arrivò poi ad usare: macchina da scrivere, calcolatrice, telefono, radio e televisione.

           Sì, dallo scadere gli Anni Settanta, come altrove, la “Gente Intemelia” ha saputo emanare strepitosi programmi radio e televisivi locali. Questi, ancor oggi, si affaccendano nel frenare l’irruenza dei “Social locali”, così come di quelli mondiali, che scaturiscono dallo strapotere del computer e del WEB, nell'attuale Terziario avanzato.

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         Per la città, sede di Stazione Ferroviaria Internazionale, un’attività fiorente è stata quella del cambiavalute. Questa era affiancata da un viavai ferroviario di popolazione, specialmente femminile, che in qualche modo spostava valuta da e per la Francia. Nel viaggiare, questa popolazione, come quella che vi si recava per lavoro, non mancava di acquistare oltralpe generi coloniali e alimentari di settore per uso proprio, ma soprattutto da distribuire in città, al rientro. Nel viaggio d’andata, avrebbe portato: bottiglie e tabacchi, giacché sovente i prezzi d’acquisto convenivano in Italia. Al contrario i nostri concittadini non si recavano per acquisti oltre confine, anche perché vigeva l’impressione che la lingua italiana fosse sconosciuta alla maggior parte dei bottegai mentonaschi, causando una conseguente incomunicabilità.

       A cominciare dal 1998, l’attività dei cambiavalute venne rarefacendosi per scomparire nel 2002 con l’entrata in circolazione dell’€uro. Con essa, scomparvero anche quella ampia serie di botteghe alimentari e coloniali, che a Mentone costellavano l’ultimo tratto di strada prima di imboccare la salita per Ponte San Luigi. Per contro, con l’apertura del valico di Ponte San Ludovico e la comodità dell’€uro, divenne maggiormente fruibile la venuta di francesi a Ventimiglia.

       Era il 1964 e per questo fatto, in città, si verificò il prosperare abnorme delle bottiglierie, ben rifornite di alcolici e liquori d’ogni specie, tra i quali i più ricercati, per il prezzo erano le più pregiate marche di aperitivi provenzali, trovati da noi a prezzi inconcepibili, a causa delle clausole d’esportazione del prodotto.

       Intanto, oreficerie e gioiellerie, che da sempre venivano visitate da francesi di ogni dove, per merito della qualità che vi trovavano, sostenuta dell’equità del prezzo; iniziarono ad attrezzarsi di laboratorio orafo, se non avessero già trovato una proficua convenzione con uno dei numerosi “laboratori d’oreficeria” che presero ad attivarsi in città.

       A fine Anni Sessanta, si insediarono in Zona i primi supermercati, che cambiarono la geografia dei punti vendita, sia di generi alimentari che d’uso. Mentre i supermercati sono cresciuti di numero, molti negozi sono spariti e altri si sono trovati un posto di nicchia, Nel proseguo, troppe serrande restano chiuse, mentre molte attività si insediano per sparire dopo breve tempo. 

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        La presenza degli uffici doganali internazionali, nella stazione ferroviaria, richiamò a Ventimiglia una folta schiera di funzionari e di agenti di frontiera sia italiani che francesi, le famiglie dei quali presero abitazione in loco. La Polizia Ferroviaria aveva una sede in stazione. Inoltre, l’internazionalità del luogo aveva richiesto l’appropriata presenza di Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza. Questa ha una vasta caserma in Via Trossarelli, la Polizia di Stato in Via Aprosio; mentre i Carabinieri tennero quartiere in Piazza XX Settembre, per poi dotarsi di un’ampia caserma in Via Chiappori. Divenuti Carabinieri, i componenti della Guardia Forestale, da poco hanno lasciato la loro sede di Via Lamboglia.  Nella Zona Intemelia, l'operatività dei Vigili del Fuoco ebbe una storia assai travagliata. Soltanto nel 1980 la loro presenza divenne stanziale a Ventimiglia, dove cambiarono varie volte la sede. 1

        Nel settore della promozione sociale, dal XIX secolo la Croce Rossa Italiana è stata presente in Zona; operando, dal 1884, nell’assistenza e nel soccorso sanitario, come Ente Pubblico, attraverso Sottocomitati. Dal 2016 è un’Associazione di Volontariato.

        Nel 1948, un nucleo di appassionati volontari, creò il Comitato di fondazione della Croce Verde Intemelia che, l’anno successivo, cominciò a operare nell’ambito della Pubblica Assistenza, dapprima servendosi di una lettiga a mano, ma quasi subito ricevette dai cittadini una funzionale autolettiga. Ora le ambulanze sono numerose, parcheggiate nei pressi della sede di Piazza XX Settembre. Nel tempo trovò modo di insediarsi con presìdi nei centri più popolosi della Zona, poi sostituita dalla nascita di altre Croci, dai diversi colori.

       Dagli Anni Ottanta, con sede in Via Tenda, opera la Protezione Civile “L. Veziano”. I suoi volontari compongono la Squadra Antincendio, il Nucleo Soccorso Acquatico e cooperano nelle emergenze di qualsiasi tipo.

 

        Nell’assistenza, la “Chiesa” è stata in prima linea fin dal medioevo. Gli Antoniani all’Oliveto, divenuti poi Lerinesi, in San Michele. I Minori all’Annunziata e i Templari a Porta Nizza e a Sospello, rilevati poi dai Minori. Le Clarisse sul Cavu. Gli Agostiniani alla Bastida e le Lateranensi in Ciassa, seguite poi dalle Giannelline, dell’Orto. A Bordighera, i Benedettini a Capo Ampelio e poi i Cappuccini in Terrasanta. 

         Nel 1866, a Vallecrosia Luisa Murray Boyce, costruirà la Casa Valdese accogliendo bimbi poveri.  Nel 1876, vennero chiamati i Salesiani e le suore dell’Ausiliatrice, che nel 1880 costruiranno gli Istituti del Torrione.

        Nel 1887, il vescovo Reggio creava l’orfanotrofio per le bimbe, dopo il terremoto, presso le suore di Santa Marta, dietro la Cattedrale. Per le sempre più numerose orfanelle, il vescovo Daffra, appoggiato da Sir Hanbury, nel 1912, costruirà l’Orfanotrofio San Secondo, che rimase attivo fino agli Anni Settanta.

         A Bordighera, nel 1880, Clarence Bicknell e Giacomo Viale, u fratin, collaborarono nell’assistenza alle famiglie povere e nell’erigere la chiesetta di Montenero. Inoltre fecero studiare Pietro Zeni, che diverrà un grande tenore.

         Nel 1905, coi fondi lasciati da Ernesto Chiappori, verrà costruito il Ricovero per anziani, sulla piana di Latte.

           Dal 1971, la Caritas ha trovato sede anche nella Diocesi di Ventimiglia, sostituendo più capillarmente la Poa.

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        Con la dogana in vigore, in città fiorirono le Agenzie doganali: Spedizionieri per il disbrigo dei documenti opportuni; i quali divennero molti durante gli Anni Sessanta.

       La scelta di far viaggiare su gomma, quanto aveva fino ad allora viaggiato comodamente su ferro, dopo anni di peripezie, coi TIR mal “posteggiati” alle Gianchette e persino a Roverino, nel 1986, portò a creare una comoda sede alle Agenzie, accanto al sospirato “Autoporto Riviera dei Fiori”, aggregato alla Autostrada A10.

       Fin dal 2018, l’Autoporto intimò la chiusura dell’ultima manciata di Agenzie Doganali ancora attive nelle strutture del sito che oggi funge solo da parcheggio per i TIR.

 

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        Con la dichiarazione della Stazione Ferroviaria ad Internazionale, nel 1882, l’edilizia cittadina prosperò fino alla completa costruzione del tessuto urbano nel Sestiere Cuventu, concluso negli Anni Trenta. Per questa impresa le ditte edili richiamarono l’attenzione di manodopera proveniente dal meridione nazionale, che si trasferì, con la famiglia, integrandosi in un tessuto urbano consono.

       Nel dopoguerra, le pressoché medesime ditte si cimentarono con una gravosa ricostruzione, mentre dagli Anni Sessanta, sconsideratamente il settore aumentò di numero e di bramosia aderendo alla cementificazione impropria di un territorio, fino ad allora, ben conservato. Anche questa volta, manodopera e bracciantato vennero importati dal meridione, ma con criteri esageratamente fuori controllo, per ottenere un abbassamento abnorme dei salari. Esaurito il compito locale, molta di questa manodopera trovò ingaggio nella vicina Francia in qualità di lavoratore frontaliero. La città alta ed alcune frazioni divennero dormitorio per tali lavoratori discriminati, che tardarono ad integrarsi, fino al loro abbandono, a causa della sostituzione concorrenziale, operata in Francia, verso la manovalanza nordafricana.

       Da allora, Francia e Principato si rivolgono ancora al settore nostrano dell’edilizia artigianale, trovandolo molto ben strutturato, mentre la manovalanza viene trattata, ancor oggi, pressoché come lo era negli Anni Sessanta, quando nei giorni di paga il lavoratore consegnava la busta-paga in Francia e al suo arrivo in Italia la trovava già volturata in Lire italiane e forse decurtata della percentuale di assistenza.

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        È documentato come, dall’anno 824, in Zona, i giovano studenti abbiano potuto avvalersi di una idonea istituzione scolastica, ma soltanto nel XVI secolo i maestri erano anche presenti nei pagi dell’entroterra. Nell’Ottocento vennero aperte scuole per le ragazze e molti più giovani poterono istruirsi. Nel 1880, col contributo di Sir Thomas Hanbury, venivano costruite la scuole di Mortola, di Grimaldi e di Latte. Nel 1882, a Ventimiglia veniva aperta una Scuola Tecnica Municipale e l’anno successivo erano costruite le scuole di Via al Capo.

       Nel 1900, trentasette Congregazioni cattoliche francesi, vennero a stabilirsi nella Zona Intemelia, in attesa che la politica francese si rivolgesse verso altre maggioranze.

       Nel 1915, il Consolato di Francia, dotato di Scuola Francese, operava in Lungomare Cavallotti. Nel 1928, era completato l’edificio scolastico di Via Vittorio Veneto. Nel 1947, il Liceo scendeva in Piazza XX Settembre e nel 1985 apriva il liceo Scientifico Aprosio.2

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        Ventimiglia e Bordighera sono state sedi di una Pretura che, nel 1911, dalle città alte verrà trasferita nei quartieri moderni. A Ventimiglia trovò sede in Via Cavour, lungo la curva poco prima del ponte, per essere poi ubicata nell’ala più recente del Palazzo Municipale. Negli Anni Ottanta, la riorganizzazione del settore cancellò entrambe le strutture. Più di recente, anno 2000, Ventimiglia ha trovato modo di avere una sede staccata di Tribunale che durò meno di un decennio. Col loro intenso viaggiare verso il Tribunale di Imperia, gli avvocati ventimigliesi portano avanti un’attività insostituibile.

        Già nell’Ottocento, Ventimiglia è stata sede degli Uffici Finanziari: Catasto e Imposte. Negli Anni Sessanta, l’evoluzione di questo settore a livello regionale, trasferì questi uffici a Sanremo e Imperia, favorendo di fatto, in città, l’insediamento di molti studi tecnici: Geometri e Ingegneri; ma anche molti Ragionieri e Commercialisti per curare le pratiche, nella continua evoluzione dei regolamenti nazionali dei settori.

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        Fin dall’inizio Ottocento, tra gli Intemeli, la professione medica è stata assai in auge. Dai borghi dell’entroterra, parecchi giovani ben indirizzati praticarono profondi studi sulla materia e le specializzazioni, esercitando poi le loro capacità nelle città della costa, fino ai primi decenni del Novecento. Forniti di cospicui mezzi dalle famiglie, fondarono apprezzate case di cura. 3

       Ventimiglia era fornita di un ospedale documentato fin dall’anno 954. Dalla metà del 1400, abbiamo documento sull’esistenza dell’Ospedale Santo Spirito, forse sito nel Borgo, che alla metà del 1200 è citato in Oliveto e nel 1860 troviamo sul Munte d’ê Muneghe, dove rimane fino al 1956, quando viene trasferito al Funtanin, dove lo smottamento del colle lo costringerà, fin dal 1961, a trovare sede presso il cavalcavia di Nervia, fino al 1980. Sorgevano le ASL e Ventimiglia vantò per breve tempo la sede della ASL1, poi spostata a Bussana, ma l’unificazione degli ospedali di Ventimiglia e Bordighera, migliorò il servizio andando a risiedere nella struttura del Saint Charles sui confini Est di Vallecrosia. 4

       Bordighera accoglieva i malati fin dalla metà del 1200, alla Madonna della Ruota. Nell’Ottocento si dotò di un ospedale sulla Via Romana.

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        A partire dall’Ottocento, il trasporto pubblico locale, verso i centri più importanti dell’entroterra è stato sostenuto da avvedute ditte private, con l’impiego di omnibus e carrozze fino a quando non comparvero le variopinte “corriere” a motore.

       Nel 1901, la società inglese Woodhouse & Baillie inaugurò la tranvia elettrica tra Ventimiglia e Bordighera, che smise di funzionare nel 1936, lasciando in eredità la concessione per una filovia alla STEL, che proseguirà fino a Taggia.5

       Alla fine del Secondo Conflitto Mondiale, la genovese SATI curò il collegamento fra tutte le città costiere della Liguria, mettendole in comunicazione anche con un tratto di Costa Azzurra. La SAPAV ha sostituito il treno in Val Roia fino al 1979.

       Nel 1975, la Provincia attuò la fusione di tutte le ditte di trasporto pubblico nella S.T.P., che serviva soprattutto l’entroterra; poi, dal 1983, incorporando anche la STEL, definì la sua sigla in RT Riviera Trasporti. Da allora anche Ventimiglia venne dotata di un servizio urbano, del quale Bordighera fruiva già da molti anni.

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        Dai primi decenni dell’Ottocento, oltre alla raccolta spontanea di legna e pigne negli accuditi boschi d’allora, l’approvvigionamento di materiale per produrre energia si effettuava dalle ditte fornitrici di legna e carbone, che erano presenti, con sufficiente concorrenzialità, in tutte le città. Poi vennero introdotti, nel settore, le forniture di gas e di energia elettrica, ampiamente presenti in Zona.

       Poco dopo l’istituzione del Regno, da Torino si mosse l’Italgas che venne a mettere in funzione, a Nervia, una Officina per il Gas, con due gasometri, che oltre alla illuminazione delle strade, forniva energia alle famiglie e alle aziende. Dagli Anni Cinquanta, entrò in commercio anche il gas liquido, distribuito in bombole da parecchi rivenditori della Zona, che offrivano un ottimo servizio di consegna. Poi arrivò il metanodotto, che sostituì i gasometri, ora divenuti esposizione di archeologia industriale, nei pressi dell’archeologia romana.

       All’inizio, la produzione e la fornitura di energia elettrica era riservata a piccole ditte locali della Zona. A Ventimiglia operò la Riviera Electric Supply Company, che riforniva anche la tranvia. Nei primi decenni del Novecento, subentrò nel servizio elettrico regionale la società CIELI, che, nel febbraio del 1963 venne incorporata nell’ENEL, in tutta Italia.

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        A cominciare dal XVI secolo, Ventimiglia visse la mancanza di un mercato settimanale di generi d’uso, che era mal rimpiazzato dalle fiere annuali e stagionali. Nel 1517, a causa di gravi fatti d’ordine pubblico, il Capitaneo genovese, sostenuto dal Consiglio e dai Sindaci, cancellava il mercato settimanale dei generi d’uso che verrà nuovamente istituito soltanto nel 1946.

      La durevole assenza di bancarelle, in loco, favoriva nell’approvvigionamento del settore gli empori a posto fisso; che in città arrivarono ad esprimere notevoli entità: nella qualità, come nel prezzo; attraendo un vasto bacino d’utenza, anche da oltralpe, perdurato fino a tutti gli Anni Settanta.

      Nel 1920, per movimentare la prima domenica d’agosto, i negozianti ventimigliesi di generi d’uso hanno chiesto all’Autorità competente di poter esporre su bancarelle la merce invenduta, depositatasi nei loro magazzini, per essere offerta a prezzi di vero realizzo, una svendita. Nasceva così “U Desbaratu”, ubicato lungo la maggiore via di traffico cittadino, opportunamente deviato. La kermesse piacque soprattutto ai francesi che, per decenni, hanno partecipato numerosi agli acquisti.

        Dalla fine degli Anni Sessanta, manifestazioni similari sono sorte nelle città della costa intemelia, sempre in piena estate, fino ad inflazionare l’evento in generale.

 

U Desbaràtu  in Via Cavour

       Come abbiamo detto, soltanto dal 1946, potrà tornare a svolgersi il mercato settimanale. Avrà come titolo “Mercato del Venerdì” e finirà per attrarre i venditori ambulanti di molte italiche regioni, espandendo continuamente il plateatico occupato, fino a diventare, per la città, una vera e propria manifestazione internazionale. L’intera popolazione francese è al corrente dell’avvenimento settimanale e, venendo in vacanza nella vicina Costa Azzurra, non manca mai di programmare una visita alla “braderie” ventimigliese, frequentatissima inoltre, nel resto dell’anno, dalla popolazione di un’area locale, ampia come tutta la Provenza. 6

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        Nei primissimi Anni Duemila, non più vincolato da tempo quale Mercato dei Fiori, sul luogo, gli assegnatari dei traballanti banchetti negli spazi di Mercato Annonario ottennero la disponibilità fissa del loro posto, provvedendo a renderlo chiudibile da serrande. La trasformazione richiamò una ancor più ampia clientela in arrivo dalla Francia, che già apprezzava la qualità dei prodotti esposti, a prezzi equi, in specie nei: salumi e formaggi, pasta fresca e ortofrutta a kilometro zero. Ma anche la miglior produzione di frutta e verdura di ogni parte d'Italia. 7

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        Come è capitato altrove, nel mese di marzo 2020, la pandemia “Covid19” ha bloccato l’economia intemelia e non solo nel terziario; ma in questo settore è apparso più evidente il disagio, soprattutto per la scomparsa totale del cliente d’oltralpe.

        Se in tempi rapidi la condotta del virus ci farà ritrovare un comportamento di vita simile a quello che abbiamo lasciato per debellarlo, potremo tornare a portare avanti una efficace economia anche nel nostro terziario.

 

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RITORNO A ECONOMIA INTEMELIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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 RICONVERSIONI  RECENTI

... e   MANCATE

      Gli ultimi anni del Novecento hanno visto la nostra città cadere in una sensibile stagnazione delle economie portanti, con relativo abbandono e connesso depauperamento degli immobili che avevano contenuto le attività in questione.

      Abbandonata a partire dal 1990, sul lungomare Cavallotti, si è lentamente disgregata la imponente fabbrica “Taverna”, vanto di una produzione calzaturiera di primordine, che impiegava alcune centinaia di persone, tra operai e indotto. I proprietari pensarono di sostituirla con una struttura turistica, proprio nel momento della massima crisi alberghiera; quindi tutto bloccato. Nel 2018, si è pervenuti alla inderogabile demolizione, creando un parcheggio transitorio che ha coinvolto la limitrofa “Pensione al Mare”, anch’essa inattiva da tempo.

      Poco oltre, sul Lungomare Trento e Trieste, per anni, ha occhieggiato la conforme struttura sanitaria del Dispensario. Dopo essersi trascinata qualche tempo quale presidio igienico dell’ASL, con il suo bel giardino circostante, serrato in un adeguato muro di cinta, questa è entrata nelle mire dei faccendieri edili, che ne iniziarono la demolizione pensando di sostituire quel pubblico monumento alla “sanità” di inizio secolo con un palazzone di squallidi monolocali turistici. Nel 2016, ci sono riusciti.

 

 

      Già negli Anni Venti tutta la “Riviera turistica” aveva subìto la dissoluzione della clientela aristocratica, sostituita da avventori più pratici e meno esigenti. I Grandi Alberghi si tramutarono in dimore vuote e in rapido sfacelo. Negli Anni Settanta, anche gli albergatori con meno pretese videro dissolversi la loro clientela. Uno dopo l’altro, numerosi Alberghi ed Hotel si affidarono al “cambio di destinazione d’uso”, trasformandosi in residence, oppure, soltanto in semplici condominii. Altri immobili alberghieri pervennero a quell’esemplare abbandono mostrato dall’Angst, a Bordighera, fin dal primo dopoguerra.

 

 

      Non sono stati più soggetti al vincolo alberghiero: l’Hotel Lido di Marina San Giuseppe e “Villa Franca” in Corso Repubblica, che giacciono in abbandono da decenni, come l’Hotel Splendid, a metà della salita di Via Roma. Invece, nelle Asse, l’Hotel Bel Soggiorno, che già aveva già subito cambio d’uso trasformando in elegante struttura ricettiva la precedente funzione di “casa di piacere”, la Villa Azzurra, quando, negli Anni Sessanta, non fu più tollerata dalla senatrice Merlin,.

      A La Mortola, nei pressi dei Giardini Hanbury, l’Hotel Nando è stato trasformato in appartamenti e magazzini. Nelle vicinanze l’Eden si sta preparando a farlo. L’Hotel Regina, nei pressi del ponte sul Nervia ha chiuso. In Centro, nelle vicinanze della Stazione ferroviaria, si sono trasformati in appartamenti: l’Hotel Francia, l’Albergo Abbo, il Tornaghi, il Suisse e l’Albergo Torino. In Piazza Cesare Battisti, l'Albergo Milano continua ha assunto una chiusura controllata.

 

 

      Abbandonata la formula del soggiorno, l’accoglienza, a Ventimiglia, ha puntato sulla formula Bed & Breakfast: decoro nelle strutture, convenienza nei costi, anche per brevi periodi; collegati all’assoluta libertà negli orari, contenuti in strutture molto limitate. In qualche caso si presentano legate alla terra e all’agricoltura collegata.

      Tra i dodici paesi che formavano allora la Comunità Europea, dal primo novembre 1993, entrò in vigore il Trattato di Maastricht, che provocò la chiusura e l’abbandono dei locali occupati dalle funzioni doganali italo-francesi nella nostra Stazione Ferroviaria Internazionale. “RFI”, ovvero, le Ferrovie hanno prontamente messo a disposizione i locali vuoti per attivare spazi commerciali, ma i tempi non erano ancora maturi e ora… chissà quando !.

      Nell’ottobre 2018 l’immobile pianterreno che chiude Piazza Costituente lato mare è stato svenduto all’asta. Nel dopoguerra, quei locali hanno ospitato la sede dell’ACI, “Automobil Club d’Italia”; dove per anni i ventimigliesi vi hanno svolto le pratiche automobilistiche, allora piuttosto complesse.

 

      Negli Anni Trenta, le strutture che avevano contenuto la Conceria Lorenzi, in zona Serre, continuarono a ospitare piccole aziende; fatto che impedì il degradamento del sito. Poi giunsero gli Anni Settanta, quando si diffuse la smania per l’edilizia cooperativa, cosicché tre voluminosi condominii sostituirono buona parte delle vecchie strutture. Soltanto un ritaglio di queste, sull’angolo più prossimo al passaggio a livello di Via Tenda, sopravvissero in un totale degradante abbandono, che venne interrotto con un risoluto abbattimento amministrativo soltanto nel 2016.

 

 

 

 

 

 

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FORZA  IDRAULICA  DALLA  ROIA

                                                                         di Luigino Maccario

       Nel medioevo, per mantenere funzionalmente calmo il Lago che conteneva il porto canale di Ventimiglia addossato alla riva destra, la corrente della Roia veniva incanalata forzatamente verso la riva sinistra, ammassando le ghiaie a partire da San Steva, lungo tutte le Gianchette, fino ai Paschei dove oggi sono i Pubblici Giardinetti. Il canale di potenza che veniva a crearsi muoveva numerosi mulini, edificati sulle ghiaie della Scciümàira.

      Nella sua “Storia”, descrivendo il Contado, Girolamo Rossi riporta: “… il 5 agosto 1077, in cui il monastero lirinese veniva gratificato col dono di un’isoletta posta in vicinanza di alcuni mulini, lungo il fiume Roia al quale ultimo atto interviene pure la nobile Donella figlia di Alberto marchese di Savona e moglie del conte Ottone.”

       All’opposto, veniamo a sapere che a metà Ottocento, sono due i canali di forza, ben addossati su entrambe le rive, in Peglia e nelle Gianchette. Nel 1865, Luigi Ricca di Civezza, dell’Ordine dei Frati Minori Osservanti, nelle sue relazioni di viaggio ci racconta: “Desideroso di far una rapida escursione nella valle del Roia, uscivo dalla città soletto e pedestre dalla porta del Piemonte in un punto che il sole, già alto assai sul limpido orizzonte, sembrava infocare cogli ardenti suoi raggi tutta l’atmosfera. Un leggiero velo di vapore che sorgeva dalla terra e dal mare già ne annunziava ed attestava l’opera misteriosa e feconda del fermento mondiale sotto l’influenza del maggior pianeta. Rilevai gli occhi verso settentrione, ed inviai per quel grande spaccato di bizzarre montagne gli sguardi sino a quelle acute moli che superbe s’alzano nella regione dei nembi, dalle quali scaturisce il fiume Roia (Rutuba dai Latini). I dirupi per cui si fa strada fra le stagliate e spaventose balze di Saorgio, e le orride e contorte gole che si protendono sino alla Piena ed Airole, segnano in parte oggidì i confini tra il regno d’Italia e l’impero francese. Avvien però e non di rado che la dirotta pioggia ed il repentino risolverai delle nevi su per le alpi, lo gonfiano talvolta a segno che rode con un tempestoso impeto le fertili sponde estendendosi sino al mare, e ne provengono ai vicini villaggi gravissimi danni. Il disegno di frenarlo con argini fu più volte ideato, proposto, dibattuto, ma sempre invano. Fuori la porta della città un’antica fontana in mina che fiancheggia la strada, costrutta di pietre riquadrate che alcuni vogliono opera romana, attira lo sguardo del viaggiatore. Sottostante a questa antichità sulla riva del fiume fa bella mostra il Molino dei Fratelli Biancheri. Ivi osservai con piacere come le acque corrono ad aiutare gli operai nella fabbricazione degli olii e nelle macine da grano, ma sopra tutto notai con diletto un piccolo volume d’acque metter in moto le macine, i vagli, gli stacci, innalzar il grano al suo arrivo fino alla sommità dell’edifizio, poscia ricalarlo trasformato, indi rimesso al basso sui carri, insaccato in farina. Sulle due opposte sponde s’ergono altri edifìzi di seghe con Borre di pedali accatastati sulle rive del fiume. Questi legni pedagnuoli son qui trasportati dalle montagne dei Comuni di Tenda, Briga e Saorgio. Ed ecco come si fa il taglio ed il trasporto. Gli alberi stanno su erte cime o in profondi valloni, donde non v’è strada per condurli. Il bracciante recide la pianta, ne rimonda il pedale, i pedali si accatastano sulle rive nel letto del torrente che dappertutto è formato dagli scoli alpestri, e che secco il più del tempo, a volte diviene pieno e rigoglioso. Quando le pioggie o il gelo l’abbiano rigonfiato, il torrente solleva que’ legni, e li trascina seco a valle, dove trovasi poi o un lago o un fiume più grosso, entro il quale sono raccolti. Ed è uno spettacolo veder migliaia e migliaia di ceppi d’alberi portati dal piano fiume, sotto la direzione d’una truppa di borrellai, che con rampi e forche li smuovono, li avviano, e li disuniscono, li spingono, li distrigano dagli scogli. Ma non pertanto tale condotta anticipata, veggono non di rado i fusti insieme dispersi per il mare, agitato dal vento e dal mareggio che v’inducono le furiose onde del fiume.”

      Girolamo Rossi, in “Cronache ventimigliesi”, nell’agosto 1897 riporta: “Allo stabilimento elettrico di Peglia la compagnia Woodhouse e Baillie attende alla sistemazione del canale per la conduttura dell’acqua, agente da forza motrice. A opera finita la forza motrice totale ascenderà a circa 150 cavalli dinamici. Alla presente turbina ne farà compagnia un’altra di maggior forza in modo da soddisfare anche all’impianto del tram Ventimiglia - Bordighera.”

       Da metà Ottocento, il canale di Peglia è stato assunto dalla fabbrica del ghiaccio, insediata dalla famiglia Lupi, nel Borgo; mentre quello delle Gianchette servì la Conceria Lorenzi, che aveva sostituito le segherie. Si arriva così a definirli: Canale Lupi e Canale Lorenzi, condotte idriche che funzionavano ancora nel Secondo Dopoguerra. Negli Anni Settanta, trasferitosi a Sanremo il Mercato dei Fiori, con la produzione intensiva dei frigoriferi domestici, il ghiaccio non venne più prodotto ed il Canale Lupi pian piano è stato riempito di terra, persino nel suo sbocco, poco a valle del ponte stradale. Il Canale Lorenzi non servì più la conceria ancora prima del Secondo Conflitto Mondiale, ma verrà usato da altre imprese, lungo il suo cammino, fino agli Anni Settanta, quando iniziò ad interrarsi nella sua parte iniziale fino alle Gianchette. Rimase attivo dal Cimitero a tutta la parte cittadina ricoperta.

       Nel collegare la fognatura di Trucco e Roverino al sistema fognario si pensò bene, per risparmiare, di usare la condotta che conduceva nei pressi della foce del fiume per installarvi i grossi tubi in modo precario, cosicché il canale intraprese a convogliare grosse perdite e liquami abusivi che sfociarono per parecchi anni poco a monte della Passerella.

 

BIBLIOGRAFIA

 Luigi Ricca di Civezza, dell’Ordine dei Frati Minori Osservanti - 1865

VIAGGIO DA GENOVA A NIZZA - LETTERA XV

Edito dall’autore, a Firenze nel 1874

 

Girolamo Rossi

CRONACA VENTIMIGLIESE 1850-1914

Alzani editore – Pinerolo 1989

 

  

Tram Ventimiglia - Bordighera della Woodhouse e Baillie

 

 

 

 

 

 

 

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ECONOMIA MARINARA INTEMELIA

                                                                                                                         di Luigino Maccario

 

      Nell’antichità, prima di essere sottomessi da Roma, i Liguri Intemeli praticavano il commercio marittimo e l’attività di pesca salvaguardando le loro imbarcazioni in un porto canale, ottenuto nella foce paludosa del torrente Nervia, sottostante alle abitazioni di quello che era il castellaro “capoluogo” della tribù, sulle pendici superiori di Collasgarba.

      Le ricerche stratigrafiche, effettuate da Nino Lamboglia dalla seconda metà degli Anni Quaranta, indicano attorno al 180 E.A. la fine violenta del massimo sviluppo della “città” degli Intemeli. È noto come Lucio Emilio Paolo, console nel 182, abbia ottenuto dai Liguri della costa le navi e le città. Le città, pare le restituisse senza averle danneggiate, o al massimo, avendole solo private delle mura; prese invece tutte le navi, lasciando ai nemici imbarcazioni che non avessero più di tre remi.

      Meno si conosce, cosa abbia potuto combinare, in seguito, Aulo Postumio Albino, al quale interessava soltanto assicurarsi una tutelata comunicazione terrestre e marittima costiera, fra Italia, Provenza e Spagna. Tutta l’attuale Liguria veniva sottomessa, incorporata alla Repubblica, e privilegiata del “giure italico”. A partire dal consolato di Marco Emilio Scauro l’emporio, presso il porto canale nel Nervia, sotto il poggio di Collasgarba, diventava città col nome di Albion Intemelion, oggi conosciuta, negli scavi, come Civitas “Nervina”, che Strabone considerava “urbs magna”.1

 

      L’Itinerarium maritimum, databile al IV secolo dell’Era Volgare, individuava Albintimilium come semplice “plagia”, cioè una città priva di porto, dotata di una semplice spiaggia attrezzata o forse d’un approdo. L’invasione gotica indusse ancor più al declino, favorendo lo spostamento del nucleo residenziale sul colle a ponente della foce della Rotuba (Roia), usata già da tempo come porto canale. Questo era presidiato da armati bizantini, dimoranti in un Castrum, eretto sull’estremo capo del colle. Legati com’erano alla pars orientalis, dell’Impero, probabilmente si interessavano soltanto di custodire il loro naviglio, impiegato nei commerci verso le coste spagnole. Ciò nondimeno proteggevano l’insediamento urbano di Vinctimilio, alle falde della Collasgarba, che risultava inserito nella pars occidentalis.

      Nell’anno 643, si ha notizia di come la presenza dei protettori Bizantini potesse riferirsi prevalentemente al traffico inerente i tronchi d’albero e il legname proveniente dai boschi attorno a Tenda. Quel materiale, prezioso per i cantieri navali, era minacciato dalla presenza dei navigli saraceni sul nostro mare.

     Di fatto, nell’anno 814, Ventimiglia avrebbe subito una devastazione ed un incendio da parte dei saraceni, temporaneamente insediatisi nella “Barma d’i Arabi”, sulle alture dell’attuale Roverino. La città nervina non verrà più abitata dal IX secolo, secondo i rilevamenti effettuati nel 1998-99, dagli archeologi Gandolfi e Martino. L’insediamento urbano risulta stabilito sul colle dello “Scögliu”, a protezione del porto canale alla foce della Roia, luogo più difendibile.

      Negli ultimi decenni dell’anno 900, sia la nobiltà genovese che quella ventimigliese prosperavano con i commerci, ma specialmente con azioni navali “di corsa” o “corsare” che dir si voglia. La differenza che porterà alla sopraffazione genovese, stava nella possibilità di usufruire di un porto naturalmente più efficace. Un golfo naturale, ottimamente strutturato dai Genovesi, contro un porto canale, delicato nelle strutture e malamente utilizzato dai Ventimigliesi.

 

 

      Dopo un accurato assedio sostenuto dai Genovesi, nel 1222 l’indipendenza ventimigliese era finita, svaniva la speranza di costituirsi un’autonoma potenza marittima. La città era prostrata. Il fiume deviato lontano dalle mura, comprometteva il porto canale, che era stato interrato.

      A dimostrare l’attiva presenza del porto canale sottostante lo Scögliu, era rimasta la data del secolo XII incisa nella fontana del quartiere Lago, posta sotto la dicitura:”ad comoditatem navigantium”. Ancora presente attorno all’anno 1874, la fontana era servita per secoli, con varie interruzioni, a fornire acqua potabile ai marinai che operavano nell’attivo porto canale del Lago, definito: statio bene fida carinis. Un’altra iscrizione, datata 1110, descrive il porto canale della Roia chiudibile con una catena.2

      Anche vascelli da guerra e grandi galee trovavano ricetto ed arsenale nel porto canale del Lago. Riporta il Rossi, come il 10 maggio del 1219, quando i Genovesi catturarono una nave, carica di frumento, diretta in città, i Ventimigliesi armarono una cetéa, nave dai cento remi, la quale, eludendo l’assedio, riusciva a catturare due galee genovesi, nel mare di Trapani.

       Fino a tutto il Quattrocento, la foce ricolmata dalle alluvioni, non dava libero sfogo alle acque del fiume, che prese a formare una palude ad oriente della città, in una zona, detta “Paschei” che corrisponde oggi ai dintorni del Palazzo Municipale. Inoltre la foce interrata e sbarrata dai Genovesi aveva privato la città del porto. I traffici marittimi che si svolgevano lungo la costa avevano come attracco la spiaggia della Marina. Si trattava di barche con portata medio-bassa che scaricavano in rada, oppure piccole barche, dette “scùne”, che attraccavano, tirate a secco sulla ghiaia.

        Il 9 gennaio 1468, il Comune di Ventimiglia fissava d’imperio il prezzo del pescato in tutta la comunità, per il quale i pescatori del Levante intemelio erano i maggior fornitori. Nel 1508, le popolazioni delle Otto Ville ventimigliesi si agitarono contro il maggior Consiglio, particolarmente a proposito del prezzo del pesce fornito dei pescatori di Bordighera, tra le comunità di Levante. Ancora malumori con le Ville, nel 1519, quando il Banco di San Giorgio imponeva ai cittadini una tassa aggiuntiva, allo scopo di ristrutturare e rendere funzionale il molo del porto canale, in zona “Lagu”, appena a monte del ponte.

 

      Qualche tempo dopo, nel 1566, il fiume s’era deviato, abbandonando le mura contro le quali scorreva; il porto canale non era più in grado di funzionare, se non per piccole imbarcazioni. Il 5 maggio del 1612, il vescovo Spinola vendeva una buona quantità di vino, giacente nei magazzeni della Curia. Si trattava di ottimi moscatelli e di una certa quantità di vino scadente che verrà venduta a Villafranca, dove verrà trasportata sul leudo “Sant’Agata”, di patron Stefano Bosio.

      Il 19 giugno 1674, patron Gibello e tre suoi marinai partivano da Ventimiglia a bordo di una scuna per andare a Sestri Ponente. Il 10 agosto 1688, la nave “Pallanca” del cav. Angelo Grimaldi di Villafranca, non poteva entrare nel porto canale della Roia a causa del mare troppo mosso, quindi caricava all’ancora in rada. Nel giugno del 1690, sulla spiaggia di San Nicolò, il Lascàris di Castellaro sbarcava sessanta pecore e due cavalle. Inoltre, una illustrazione di Fisher Son & C., datata 1837, illustra una nave a due alberi nel Lago presso Porta Marina, segno che, in qualche maniera, il porto canale del Lago ha funzionato almeno fino a quel periodo. Altro segnale: di fronte alle Gianchette, nel tratto della Roia che nel Medioevo ha ospitato il porto canale del Lago, nel 1946 è stata ritrovata un’ancora di ferro, dell’altezza di circa un metro e settanta.

     I traffici di mare erano svolti da naviglio di basso pescaggio che alava o scaricava in rada. I leudi imbarcavano olio, legni, carboni, lane e carni ovine dirette verso i porti di San Remo o Mentone. Nella buona stagione, portavano cedri e limoni verso Savona o Genova. Gli stessi sbarcavano derrate alimentari e merci da costruzione. Il costo del facchinaggio per il rimessaggio a domicilio era di sessantadue soldi di Genova, per la fatica di due uomini, addetti ad un intero carico, per l’intera giornata. Sovente il facchinaggio era praticato da donne.

                                                         

      Capitani e marinai di Ventimiglia, Sanremo, Porto e Diano avevano acquistato fama di esperti navigatori, sia in Liguria, sia fuori di essa; erano imbarcati sui bastimenti di vario cabotaggio che alla fine del Settecento facevano rotta nel Mediterraneo e nei mari europei. Le importazioni provenienti da Genova, Livorno, Napoli e dalla Sardegna riguardavano granaglie ma anche legumi, vino, formaggio; dalla Francia e dall’Inghilterra arrivavano soprattutto tela, panni di lana, vini, concime; dalla Norvegia merluzzo e pesce salato; dall’America caffè e generi coloniali; dalla Spagna carrube, dalla Russia e Turchia grano e avena. Le esportazioni, invece, si limitavano a olio, agrumi e palme che erano i principali prodotti del territorio.

      Dalla cronaca di Girolamo Rossi raccogliamo notizie sull’ultimo imprenditore marittimo locale. Nel 1885, il capitano Paolo Viale acquistava il vapore “Balaclava”, per intraprendere una serrata importazione di vino dalla Sicilia. Nel 1886, aggiungeva anche il vapore “Chambeze” e nel ’92 il “Vilna” alle altre navi, che erano a vela e si chiamavano: “Silvia”, “Olga” e “Giuseppe”.3

      Fino a tutto il Settecento, in città ed in molti villaggi delle valli, hanno operato provetti artigiani del telaio, che producevano tele e lenzuola, ma anche robuste vele, per le numerose barche da cabotaggio. In Ventimiglia erano attivi tre opifici del cordame e della tela stamegna per la navigazione. Si esportavano i prodotti verso Oneglia, Villafranca e Mentone. A Saorgio nasceva la confraria dei tessitori, tanti erano gli addetti.

 

      Dal XVII secolo, fuori della baia di Madonna della Ruota, operavano i cercatori di corallo, che nel Ponente ligure erano detti corallari o corallini. Stavano a disposizione di appositi impresari, i quali erano a contatto con gli artigiani che scolpivano il prezioso rametto. Questi armavano una feluca dell’apposito ordigno al traino e ingaggiavano i corallari anche per campagne in trasferta, in Corsica e in Sardegna. Si hanno testimoni di Metà Ottocento che ci tramandano questa attività ad ovest del promontorio di Bordighera.4

 

      Come per il passato, anche nell’Ottocento l’attività marinara è stata tradizionalmente una delle principali occupazioni degli abitanti della costa, per i quali aveva rappresentato l’unica alternativa all’attività agricola, nei tempi di crisi. Nel censimento del 1885, marinai e pescatori risultavano più di cento. La mancanza di una struttura portuale, lungo tutta la costa del Comune di Ventimiglia, ha prodotto una attività marinara locale limitata all’uso di soli gozzi liguri.

      Il mestiere di pescatore, impegnato nei vari tipi di cattura, anche notturni, degli animali marini, veniva sostenuto da piccoli armatori, proprietari dei gozzi, che, a inizio stagione riunivano una apposita squadra. I partecipanti sopportavano l’onere di varare ed attraccare il gozzo dalla spiaggia ghiaiosa, con l’uso dei parài, apposite assi di legno, reso scivoloso, qualche volta aiutati da un argano manuale. Il gozzo veniva mosso a forza di braccia, coi remi negli scalmi. Soltanto nell’ultimo dopoguerra la maggior parte dei gozzi venne dotata d’un motore a scoppio, in precedenza si poteva usare minimamente la forza del vento, inalberando una vela latina.

 

 

      Il 18 giugno 1892, veniva redatto un processo verbale, italo-francese, per delimitare la linea di pesca sulla frontiera di Mentone. Una commissione internazionale poneva in opera due segnali a terra, sul confine internazionale di Grimaldi, come mira ai pescatori per non sconfinare.

      Al termine del Secondo Conflitto Mondiale, i pescatori di mestiere presenti sulla costa intemelia, operavano ancora a La Mortola, alla Marina, nelle Asse, a Nervia-Piani, a Vallecrosia e a Bordighera. Quest’ultima continuava ad avere a disposizione, in concorso con Ospedaletti, l’approdo nel golfo di Madonna della Ruota, ma anche quello di Sant’Ampeglio, che dopo qualche anno, diventò un vero porto, accogliente e attrezzato.5

      Negli Anni Sessanta, il pescatore nostrano passava a dedicarsi alla pesca di tipo industriale, coi pescherecci, trovando sede nei porti vicini, oppure si ritirava dagli “affari” in modo definitivo. Numerose famiglie di pescatori giungevano dal meridione italiano, riprendendo l’arte della pesca dalle piccole barche, oppure la caccia al pescespada, in altura.

      Dopo qualche decennio, anche quest’attività professionale è svanita; le stesse specialità piscatorie sono praticate, in massima parte, da pescatori sportivi evoluti, muniti di regolare licenza. Nei centri costieri dove non figurano opportuni porti, i pescatori sportivi sono riuniti in associazioni che gestiscono tratti di litorale come ricovero delle imbarcazioni.

 

 

         Nel mese di febbraio del 1969, con l’affondamento dei primi blocchi di pietra e la gittata di opportuni tetrapodi, poi messi in opera, avevano inizio i lavori di allestimento della diga foranea del porto turistico, agli Scoglietti.

         Nel febbraio del 1973, giunse uno stanziamento di trecento milioni di lire, per riprendere il secondo stralcio, dopo aver rimesso in sicurezza la parte abbandonata della diga foranea.

         Nel febbraio del 1991, veniva presentato lo studio con l’assunzione di quel che restava della diga foranea in sito, per la realizzazione di un differente porto turistico, contornato a terra da un parco verde opportuno.

         Presente sul territorio sin dal 1865, data di istituzione del Corpo delle Capitanerie di porto, l’Ufficio Locale Marittimo venne a risiedere in Ventimiglia dal 1992, a seguito di apposita Delibera della Giunta Municipale.

         Soltanto nel dicembre del 2009 veniva posta la prima pietra del costruendo porto “Cala del Forte”, su un nuovo progetto, innovativo. Ancora ritardi, ma finalmente, nel dicembre del 2014, ottenuta una variante per consentire l’attracco a natanti più voluminosi, il cantiere di Cala del Forte timidamente si rianimava. Ma solo nel dicembre del 2016, rilevato dalla “Monaco Ports”, il cantiere si avviava verso l’odierna felice conclusione. Ventimiglia sarà dotata di un porto turistico molto ben attrezzato. I pescatori sportivi continueranno a gestire tratti di litorale come ricovero.

 

        Inoltre, sulle spiagge, a fine Ottocento, si cominciò concretamente ad esercitare l’elioterapia, in aggiunta ai bagni di mare e presto iniziarono a sorgere opportuni “Stabilimenti balneari”, dotati di sedie a sdraio e ombrelloni. Sulle spiagge intemelie sorsero opportuni manufatti per ospitarli. A Bordighera venne eretto il “Kursal”, in muratura e altri due stabilimenti stagionali.

        A Ventimiglia, nel 1921, sul lungomare antistante la Fondega, veniva innalzato lo Stabilimento balneare “Miramare”. Altri due stabilimenti stagionali trovarono spazio alla Marina. In seguito crebbero di numero, oltre la decina, su tutta la costa intemelia

        A Nervia, nei primi anni del Novecento, “Villa Olga” venne adattata a sede della “Colonia estiva Fossanese”. Nel 1950, veniva ripristinata la Casa Valdese di Vallecrosia dotandola di una colonia balneare sul nuovo lungomare dei Piani. Anche a Latte, per lungo tempo, operò una colonia per bimbi.

 

        Nel dopoguerra, la diffusa commercializzazione di attrezzature subacquee portò alla nascita di circoli attrezzati per praticare le discipline di “pesca subacquea” e di “ricerca sottomarina”, che proliferarono lungo tutti i centri della costa, attirando molti appassionati da tutta Europa ed oltre. Il sito maggiormente visitato è antistante la Punta Mortola, che fra poco dovrebbe divenire “riserva”.

 

                                                                                     LA VOCE INTEMELIA anno LXXV n. 4 / n. 5 / n.6 / n.7 - 2020 

 

Alaggio delle merci in "Radeu", gli addetti al facchinaggio in attesa, per la maggioranza donne

 

  

                           

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