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V E N T I M I G L I A

OTTANTANOVESIMO

FANTERIA

BRIGATA “SALERNO”

Una vecchia gloria di Ventimiglia, nel centenario dell’istituzione

e a quarant’anni dalla tragica campagna sul Fronte Russo

 

 

STORIA SCONOSCIUTA DI UN REGGIMENTO

di Renzo VILLA  - 1983

    Cento anni fa, il 7 giugno 1883, con Decreto n. 1382 di Re Umberto I, venivano istituite otto nuove brigate di Fanteria di Linea su due reggimenti fra cui la “Salerno”, formata dall’89° e dal 90°.

    In esecuzione del Decreto Regio, l’anno successivo, e precisamente il 1° novembre 1884, venne fondato a Bologna l’89° Reggimento Fanteria che, già tre anni dopo, nel 1887, ebbe il battesimo del fuoco nella campagna di Eritrea e nel 1896, il 1° marzo, partecipò alla battaglia di Adua immolandosi quasi al completo.

    Il 28 dicembre 1908, a Messina, dove si trovava di guarnigione, fu, ad un tempo, vittima e soccorritore nell’apocalittico momento del terremoto. Quattrocento uomini di truppa e otto ufficiali rimasero sepolti sotto le macerie della caserma che ospitava l’89°, ma ciò non impedì ai superstiti di prodigarsi nell’opera di soccorso alla popolazione civile che valse alla bandiera del reggimento la prima onorificenza: la medaglia d’oro di benemerenza.

    Nel 1912 l’89° è a Homs, in Libia, dove partecipa agli importanti fatti d’arme di Margheb e Lebda e, per il valore dimostrato, si merita la medaglia d’argento al valor militare.

    Il 1915 - anno in cui l’Italia entra nella prima guerra mondiale - trova il reggimento di guarnigione a Genova da dove parte per Cividale e il 24 maggio varca la frontiera e prende posizione nel settore di Mrzli che poi - in concorso con il confratello 90° Fanteria - espugna a prezzo di gravi perdite fra cui quella del Comandante Giovanni Trossarelli, originario di Savigliano.

    Dopo un breve periodo di riposo, nel 1916, i fanti dell’89° sono nuovamente in prima linea sull’Altipiano dei Sette Comuni e, successivamente, nel 1917, sull’Hermada e sul Monte Mataiur. Forse, a Ventimiglia, pochi sanno che un popoloso quartiere della nostra Città deve il suo nome al sottotenente Carlo Gallardi, caduto eroicamente in una di quelle sanguinose battaglie.

    Nel maggio 1918 l’89° è in Francia, nella regione di Epernay sulla Marna, per dare man forte all’alleato nella guerra contro gli invasori tedeschi. Il 14 luglio, Festa della Repubblica, il 1° Battaglione dell’89° partecipa, a Parigi, alla tradizionale parata militare e sfila sotto l’Arco di Trionfo. Ma, pochi giorni dopo, è nuovamente impiegato nella zona boscosa, compresa tra Bligny e Pourcy, per arginare un tentativo di avanzata nemica e, per il suo comportamento, viene citato nel Bollettino di Guerra del Comando Supremo italiano e nell’Ordine del Giorno del 43° Régiment d’Infanterie Coloniale col quale aveva combattuto, fianco a fianco.

    Al termine della prima Guerra Mondiale l’89° tornava nella vecchia sede di Genova mentre alla bandiera venivano conferite altre due medaglie d’argento al valor militare e due Croci di Guerra: quella francese con Palma d’Alloro e quella di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia.

    Fu in quegli anni che il reggimento si impose il motto araldico “non chiedo dove” che ben compendiava quasi mezzo secolo di storia durante il quale l’89° aveva combattuto sui più disparati fronti, dall’Africa alle Alpi alle rive della Marna.

 

DAL ROIA AL DON

    Nell’aprile 1930 il reggimento fu trasferito a Ventimiglia e qui rimase per dodici anni, dislocato in varie caserme cittadine: Umberto I, Vittorio Emanuele, Bligny, Trossarelli e Gallardi, quest’ultima costruita fra il 1932 e il 1934.

    I fanti dell’89° provengono dai più svariati distretti militari: da quelli dell’Italia meridionale prevalentemente, ma anche dal Lazio, dalla Toscana, dalla Lombardia e dalla Liguria e, nel reggimento, non manca mai una rappresentanza della Zona Intemelia.

    Nel giugno 1940 l’89° partecipa alle operazioni sul fronte occidentale durante il breve conflitto italo-francese che lo vede schierato nella zona de “I Colletti”.

    Ma è nel 1942 che per l’89° inizia la più tragica avventura della sua lunga storia: quella di Russia. Il 5 luglio il reggimento lascia Ventimiglia e, dopo un viaggio in tradotta di oltre tremila Km, durato quasi due settimane - attraverso l’Italia, l’ Austria, la Germania e la Polonia - giunge in Ucraina, a Gorlovka.

    Da qui i 3.600 uomini dell’89°, con 700 muli, 52 autocarrette, l’armamento e l’equipaggiamento, iniziano una marcia di varie centinaia di chilometri fino a raggiungere, il 14 agosto, Novo Kalitva, la cittadina posta alla confluenza del Kalitva col Don, nel punto in cui il corso del fiume piega a est formando un angolo quasi retto.

    Da Novo Kalitva alla curva di Mamon si estende infatti lo schieramento della “Cosseria” di cui l’89° fa parte assieme al 90° e al 108° Artiglieria. Sul fianco sinistro della “Cosseria” è schierata la Divisione Alpina “Cuneense”, su quello destro la “Ravenna”.

    Quello della “Cosseria” è un settore assai delicato di fronte, lungo 34 Km e per metà tenuto dall’89°, contro il quale, già nella seconda decade di settembre, i russi lanciano una parziale ma accanita offensiva, respinta non senza perdite.

    In realtà i russi, per sferrare l’attacco decisivo, stanno aspettando l’intervento del loro più potente alleato: il “Generale Inverno” che oramai è alle porte. I fanti dell’89° - come del resto tutti i soldati italiani trincerati sulle rive del Don - sanno di trovarsi in una situazione che, di giorno in giorno, sta diventando sempre più critica.

    La sconfinata steppa alle spalle, il clima glaciale, l’enorme superiorità numerica dell’avversario, l’inferiorità in fatto di armamento ed equipaggiamento, il comportamento spesso infido dell’alleato germanico, le insidie dei partigiani, gli inviti a disertare che giungono per altoparlante dalle trincee nemiche, sono tutti fattori che concorrono a rendere consapevoli i nostri soldati di essere finiti in una trappola mortale.

    E la trappola scatterà il 10-11 dicembre con l’inizio di quella che fu denominata dai russi “Operazione Piccolo Saturno”, una gigantesca offensiva che mirava ad aprire una nuova falla nel fronte del Don tenuto dalle divisioni italiane dopo che, alla fine di novembre, a sud, era già avvenuto lo sfondamento nel settore della 3a Armata Romena.

    In quei giorni drammatici, la “Cosseria” si trovò a fronteggiare la pressione di ben tre divisioni di fanteria sovietiche: la 127a, la 172a e la 350a, appoggiate da un reparto corazzato.

Cucina da campo costruita dal Caporale Giacomo Caramello,             Coi fanti, contadino ucraino con figlioletta davanti alla sua isba  

al centro Sergio Barbetti, ritto. il Maresciallo Giuseppe Blanco

 

L’89° FANTERIA Brigata “Salerno”

    Il 17 dicembre cadeva sul campo il Col. Paolo Maggio, Comandante dell’89° e, sul far della sera, divenuta oramai la situazione insostenibile, iniziava, lungo varie direttrici, l’odissea del ripiegamento attraverso l’immensità della steppa, chiusa nella morsa del gelo che toccava i - 40 gradi.

    Sofievka, Rossosc, Lisinovka, Mitrofanovka, Rovenki, Statovo, Karcov, furono alcune delle tappe di quella allucinante marcia di 1.300 Km. che si concluse un mese più tardi, il 15 gennaio 1943, a Gomel, il grande centro di raccolta dove affluivano i resti dei reparti italiani dell’ARMIR sfuggiti all’accerchiamento.

    Per l’89°, le cifre ufficiali indicavano in 417 il numero dei caduti ai quali, purtroppo, andavano aggiunti i feriti, i congelati, i prigionieri e i dispersi.

I supersiti dell’89°, circa 1.200, lasciarono Gomel il 5 maggio, dieci mesi esatti dal giorno in cui erano partiti da Ventimiglia in 3.600.

    Ma a Ventimiglia non fecero più ritorno. Dopo il campo contumaciale a Laives, in provincia di Bolzano, il 23 maggio raggiunsero Saluzzo. Al termine della licenza di rimpatrio, concessa agli scampati, l’89° fu ricostituito sulle coste della Toscana, nei pressi di Viareggio, dove si stava apprestando un fronte antisbarco.

    Dopo il 25 luglio, però, l’89° fu trasferito, con compiti di ordine pubblico, nella zona industriale compresa fra Milano - Sesto San Giovanni - Monza. Qui il reggimento fu colto dagli avvenimenti dell’8 settembre e, in buona parte, finì deportato in Germania.

    Soltanto nel 1945, alla fine della guerra, i sopravvissuti alla grande tragedia poterono finalmente e definitivamente far ritorno alle loro case.

    Questa, in sintesi forzatamente incompleta, la storia, per lo più sconosciuta, del reggimento, ma, per quanto riguarda la campagna di Russia, ci sarebbero ancora da raccontare molte storie individuali, altrettanto sconosciute, dense di testimonianze, di ricordi, di drammi.

    Sono quelle dei reduci dell’89° che, soltanto a Ventimiglia, sono una quarantina, riuniti in un Comitato.

    Ma per scriverle non è certo sufficiente un breve articolo di giornale. Ci vorrebbe un libro, di molte pagine.

LA VOCE INTEMELIA anno XXXVIII  n. 11  - novembre 1983

 

FRONTE DEL DON

                                       autunno 1942

    Lo schieramento della “Cosseria” prima dell’inizio dell’offensiva russa di dicembre.   (Disegno di Anna M. Crespi)

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Chi era Silvio Tomasi

La vita del capitano dal discorso tenuto

dal Maggiore Carlo D’Allio

    Il capitano Tomasi era nato a Trento nel 1909. Giovanissimo Ufficiale di complemento, partecipò alle Campagne dell’Africa Orientale. Promosso tenente in servizio permanente effettivo per Merito di guerra. Medaglia d’oro e di bronzo al V. M.

    Assegnato all’89° Rgt. Fanteria di stanza a Ventimiglia divenne cittadino di adozione ivi sposandosi nel 1938.

    Nel 1940 prese parte ai combattimenti sul fronte occidentale e nel 1941 con una Compagnia dell’89° Fanteria partecipò alla Campagna di Albania. Nel 1942 in luglio partiva da Ventimiglia sempre con l’89° per il fronte russo, dove in vari combattimenti si distinse per il suo coraggio.

    Nell’inverno del 1942-43 rientrava in Italia per congelamento ai piedi e fortemente debilitato nel fisico.

    Ancora convalescente, l’8 settembre 1943 formò un gruppo partigiano nella zona intemelia. Sentiva che questa volta sarebbe stato necessario difendere il Paese da un destino che si preannunciava sempre più fosco. Aveva sempre fatto il suo dovere di soldato ovunque lo avevano chiamato, ora però, sentiva più che mai il dovere dì cittadino e di uomo, che gli imponeva di lottare per la libertà del Paese, perché il Paese potesse salvarsi dalla rovina in cui era precipitato: questo il perché di una scelta, in quel momento, difficile e coraggiosa.

    Nell’ottobre del 1943, durante un rastrellamento dei tedeschi e dei fascisti, fu preso assieme alla moglie, che venne comunque rilasciata, mentre lui veniva deportato in Germania a Mathausen, dove nell’aprile del 1944, a soli 35 anni, moriva dopo lunghe sofferenze.

    È questa la figura del capitano Tornasi, al quale, giustamente, si è voluto affiancare nella lapide testé scoperta in questa aula magna il nome della moglie che gli fu compagna affettuosa e sempre in trepida attesa e che tanto ebbe a soffrire per le sue tragiche vicissitudini.

    Ed è questa figura di uomo che vogliamo additare soprattutto ai giovani studenti - uomini e donne del domani - ai quali vogliamo augurare ben altre esperienze, in un mondo di vera pace, dove possano esserci soltanto grandi impegni ideali, culturali e sociali, per lo sviluppo di una società più giusta e più umana.

LA VOCE INTEMELIA anno XXXVIII  n. 11  - novembre 1983