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Settecento depredato

GUERRE DI

 

SUCCESSIONE

 

 

PRESSATI DA SOLDATAGLIE

 

    Pur essendosi dichiarata neutrale, la Repubblica genovese dovette accettare il transito, sul territorio ligure, delle soldataglie impegnate nella Guerra di Successione austriaca.

    A rimetterci in modo maggiore sono state le cittadine delle Riviere, che si trovavano pressoché depredate dalle colonne militari straniere affamate, che percorsero la Liguria in lungo e in largo.

    Verso la fine del secolo, sempre neutrale, la Repubblica venne percorsa dalle truppe rivoluzionarie francesi, che coinvolsero la Liguria nella Rivoluzione. Pur essendo stato traumatico, l’arrivo dei francesi ha provvisoriamente liberato le Riviere dalla non utilitaristica bramosia genovese.

 

 

LA  BATTAGLIA  DELLA  MAGLIOCCA

5 ottobre 1746

                                                                                                                                                          di Andrea CAPANO

    In un articolo apparso in questo stesso periodico,1 ho accennato a cinquanta giorni di occupazione militare austriaca del villaggio di Seglia, avutisi tra il finire dell’estate e l’inizio dell’autunno del 1747, durante la guerra di successione austriaca:2 ma non fu quella la prima prova cui venne sottoposta in quegli anni la frazione ventimigliese, la quale probabilmente aveva subito, sullo spirare dell’estate precedente, la stessa sorte di tutta la zona ad occidente del Roia, ove le truppe franco-spagnole in ritirata avevano provveduto “in proprio” alla vendemmia, danneggiando anche una grande quantità di alberi fruttiferi (fichi, olivi, castagni,3 per farne fascine usate come rinforzo per le fortificazioni. Dall’altra parte del fiume, per pareggiare i conti, le stesse operazioni erano state compiute dall’esercito austro-sardo in avanzata.4

    Finalmente, il 29 settembre 1746, essendo giunto a Bordighera il re di Sardegna, le due armate si prepararono a venire alle mani, gli Austro-Sardi nell’intento di conquistare Ventimiglia e il suo forte, e di proseguire poi verso Nizza, i Franco-Spagnoli nell’intento di ritirarsi dalla città con il minor danno possibile.

    Il brigadiere generale Martini venne dunque inviato dal re a Bevera, con mille uomini di truppa mista, per tagliare attraverso i monti la strada all’esercito nemico in marcia verso occidente.

    Per riuscirci occorreva però prima sloggiare il presidio franco-spagnolo attestandosi sul monte Magliocca agli ordini di un ufficiale svizzero, con lo scopo evidente di impedire la manovra di accerchiamento.

   Il 4 ottobre gli Austro-Sardi estesero dunque il loro accampamento da Bevera a Maneira e fino a Seglia, e le loro pattuglie avanzate entrarono in contatto con quelle dell’esercito avversario, con qualche scontro di scarsa importanza e di esito incerto.

    La mattina del 5, due ore prima del giorno, una parte delle truppe austro-sarde, agli ordini del colonnello conte de La Tour, mosse decisamente all’assalto della postazione della Magliocca.

    Il Moris scrive a questo proposito che, pur essendo essa poco difesa e poco sostenuta, la sua conquista avvenne «non sans quelque résistance».5  In realtà pare di poter affermare che la postazione abbia svolto egregiamente il suo compito di protezione delle spalle, poiché i Franco-Spagnoli si ritirarono, secondo gli ordini preventivamente ricevuti, solo un’ora dopo la completa evacuazione della città da parte del loro esercito, che raggiunsero poi attraverso i monti per costituirne la retroguardia.

    Considerando che l’evacuazione ricordata non terminò prima delle tre del pomeriggio, si deve calcolare dunque che la battaglia sia durata, non sappiamo con quale intensità ne con quali conseguenze per le case di Seglia e le campagne circostanti, dalle quattro del mattino (in quel periodo dell’anno il sole sorge verso le sei) alle quattro del pomeriggio, vale a dire dodici ore buone.

 NOTE:

1) La sommossa antiaustrìaca di Seglia (settembre-ottobre 1747), nel numero di dicembre 1986.

2) Dei ripetuti movimenti di truppe nella nostra zona, e delle loro conseguenze, si ha notizia in G. Rossi, Storia della città di Venfimiglia, Oneglia, 1886 (in realtà 1888), pp. 262- 268; G. Rossi, Storia del Marchesato di Dolceacqua e dei Comuni di Val di Nervia, Bordighera, 1966 (ristampa dell’edizione del 1903), pp. 159-161; F. Rostan, Storia della contea di Ventimiglia, Bordighera, 1971, pp. 134-139.

3) Nonostante l’esiguità della quota (circa 180 metri) e la vicinanza del mare, qualche raro castagno esiste ancor oggi nei dintorni di Seglia.

4) Queste notizie, come quelle che seguono, sono state desunte da H. Moris, Opérations militaires dans les Alpes et les Apennins Pendant la Guerre de la Succession d’Autriche (1742-1748), Paris - Turin - Rome - Florence, 1886 (Extrait du Tome X des Annales de la Société des Lettres, Sciences et Arts  des Alpes-Maritimes), p. 196, e da V. Orengo, Racconto dei fatti avvenuti in Ventimiglia negli anni 1745-46-47-48-49 (manoscritto inedito conservato presso la biblioteca dell’I.I.S.L. in Bordighera, n. 84/b dell’Archivio Rossi), carte 9 (recto e verso) e 21 (verso).

5) Cfr. H. Moris, toc. cit.

                                                                                                         LA VOCE INTEMELIA anno XLII  n. 11  - novembre 1987

 

 

LA SOMMOSSA ANTIAUSTRIACA

DI SEGLIA

settembre - ottobre 1747

di Andrea CAPANO

I.

    La signora Luisa Palmero, di San Bernardo, mi riferiva quest’estate un episodio, a lei noto per tradizione orale, accaduto “quando a Seglia c’erano gli Austriaci”.

    La ricerca bibliografica avendo in effetti confermato una temporanea occupazione dei luoghi da parte dell’armata austro-sarda nell’anno 1747, durante la guerra di successione austriaca,1 ho ritenuto opportuno esporre l’avvenimento ai nostri lettori, corredandolo di una breve nota storica, sia perché esso costituisce pur sempre un tassello di storia locale, sia perché mi pare piuttosto eccezionale che se ne sia serbata per quasi 240 anni una memoria orale così circostanziata.

    Ringrazio perciò di cuore in questa sede la signora Palmero per il prezioso racconto della sommossa antiaustriaca di Seglia.

II.

    Un gruppo di soldati austriaci, probabilmente di stanza nel paese, aveva provocato con il suo comportamento un tale malcontento tra gli abitanti,2 che essi ad un certo punto inscenarono una qualche clamorosa manifestazione di protesta, raccogliendosi e gridando contro gli occupanti. Questi ultimi, temendo di non riuscire ad aver ragione della popolazione qualora si fosse venuti alle mani, con un particolare fischietto dal sibilo acutissimo, chiesero rinforzi alla truppa di stanza ai Boi, la quale, subito accorsa, ridusse senz’altro a più miti consigli i segliaschi, sfortunati emuli del leggendario Balilla, protagonista un anno prima, a Genova, di avvenimenti consimili.3

III.

    I soldati di cui si parla appartenevano probabilmente al 1° fucilieri, che risulta accampato al di sopra di Bevera e sulle alture di Castel d’Appio dai primissimi giorni di settembre del 1747, se non dal 31 agosto, con il compito di bloccare da quella parte il forte di Ventimiglia, in cui si erano rinchiusi i Francesi.

    L’occupazione della zona era stata ordinata dal barone di Leutron, comandante dell’armata austro-sarda, che aveva anche inviato il colonnello Molck ad attestarsi ai Balzi Rossi, passando attraverso le montagne al di sopra di Bevera, con tre compagnie di granatieri, cinquecento soldati ed i volontari del tenente Borelli.

    Il 20 ottobre dello stesso anno però, a seguito di un contrattacco franco-spagnolo, Molck dovette ripiegare precipitosamente dai Balzi Rossi a Sant’Antonio e indi a Bevera, perdendo duecento uomini e lasciando cadere in mano nemica la guarnigione di Castel d’Appio. In questo frangente, il 1° fucilieri, rimasto isolato, scese in tutta fretta a valle, traversando il Roia su un ponte poco più in giù di Bevera, subito distrutto.4

    L’occupazione austriaca della zona di Seglia era durata dunque una cinquantina di giorni.

 NOTE:

1) Scoppiata a causa delle mire di diversi pretendenti al trono d’Austria ai danni dell’imperatrice Maria Teresa, la guerra di successione austriaca coinvolse parecchi paesi europei: fra essi l’inutilmente neutrale repubblica di Genova, cui apparteneva Ventimiglia.

Dei ripetuti movimenti di truppe nella nostra zona si ha sufficiente relazione in G. Rossi, Storia della città di Ventimiglia, Oneglia, 1886 (in realtà 1888), pp. 262-268; G. Rossi, Storia del Marchesato di Dolceacqua e dei Comuni di Val di Nervia, Bordighera, 1966 (ristampa della seconda edizione del 1903), pp. 159-161; F. Rostan, Storia della contea di Ventimiglia, Bordighera, 1971, pp. 134-139.

2) Le prolungate occupazioni militari del territorio ventimigliese causarono danni gravissimi all’economia locale, anche attraverso le ruberie e le spogliazioni nelle campagne. Si vedano in proposito i lavori citati nella nota precedente.

3) La tradizione popolare, riferitami sempre dalla signora Luisa Palmero, attribuisce a quest’epoca la formazione del toponimo Massabò, indicante una zona a poca distanza dall’abitato di Seglia, ove gli Austriaci avrebbero macellato i buoi necessari al loro sostentamento.

4) Cfr. H. MORIS, Opérations militaires dans les Alpes et les Apennins Pendant la Guerre de la Succession d’Autriche (1742-1748), Parìs - Turin - Rome - Florence, 1886 (Extrait du Tome X des Annales de la Société des Lettres, Sciences et Arts des Alpes-Maritimes), pp. 294 e 308.

LA VOCE INTEMELIA anno XLI  n. 12  - dicembre 1986

 

 

SECOLO  DECIMO  OTTAVO

 

1700     Imperiale Doria otteneva di riavere la signoria di Dolceacqua.

Trasferitosi a Sarzana il vescovo Pastori, l’arcivescovo genovese prendeva tempo nella nomina del successore.

Il perinaldese Giacomo Filippo Maraldi veniva ascritto all’Accademia delle scienze di Parigi.

La Villa di Boccanegra, sopra Murru Russu, che risultava proprietà della famiglia De Mari, si trovò a far parte della Mensa Vescovile.

1701     Il 2 gennaio, per apoplessia moriva Luigi I°, signore di Monaco, lasciando il principato al figlio Antonio.

Il 18 giugno, veniva nominato vescovo il nobile genovese Ambrogio Spinola, chierico regolare barnabita, che sarà anche vescovo a Sarzana.

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In questo secolo, i canonici della Cattedrale salirono al numero di dodici. Da sempre, essi vivevano in comune sotto la regola di Sant’Agostino ed il preposito veniva eletto dai canonici stessi.

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Il Reggimento sabaudo “La Marina”, sciolto dai francesi per tradimento, veniva ricostituito col nome di “Nizza”.

Antonio I di Monaco dotava il Principato del Magistrato di Sanità, che sorvegliava anche sull’igiene nella raccolta dei limoni.

1702     Il 3 aprile, il vescovo Spinola riceveva una lettera anonima che lo rendeva edotto attorno all’attività di due “botteghe di ricreazione” , con l’invito di chiuderle espellendo le tenutarie, con l’ostracismo.

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La prima delle due botteghe era situata fuori le mura, sotto la casa dell’alabardiere di San Biagio, gestita da Franceschina a Rànga; l’altra tra le case di Murrudibò, conosciuto come “u cantùn d’e dòne”, era condotta da Caterina de Motu e dalla Capa, figlia di Giuseppe. Erano frequentatissime nel giorno e nella notte ed infastidivano i benpensanti o gli insoddisfatti. In quel tempo, una delle punizioni verso un cittadino scomodo era la condanna all’ostracismo. Il punito veniva condotto fuori le mura della città, in pieno giorno, tra il pubblico, bendato. In quel luogo ascoltava la sentenza, enunciata dal Bargello, che prevedeva il divieto di rientro pena la morte per impiccagione e la confisca di ogni bene.

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1703     Nella mattinata del mercoledì delle Ceneri, alcuni chierici si abbandonarono a “inspiegabili nefandezze” reduci dalla partecipazione ad un Rezegnùn” per festeggiare “u Scüròtu”. (Nino Allaria Olivieri)

Giacomo Filippo Maraldi veniva ricevuto da papa Clemente XI, al quale propose un perfezionamento del calendario.

1704     Il 24 marzo, da Giò Vittorio e Margherita, nasceva Anastasio Porro.

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Ascritto nei Teatini in Genova, nel 1740 recitava il discorso per l’incoronazione del Doge Nicolò Spinola e, due anni dopo, partiva incaricato della Repubblica d’una missione in Vienna, dove fu accolto con segni di particolare stima dall’imperatrice Maria Teresa. Al suo ritorno fu investito della prepositura di San Siro. In Genova era tenuto in gran conto, infatti nella sollevazione contro gli Austriaci del 1746, fu  designato, col principe Doria, di venire a patti col generale comandante.

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1705     Il 4 marzo, tre colonne francesi, al comando di La Feuillade, passarono il Varo e si disposero intorno a Nizza, Villafranca, La Turbia e Sospello. Dopo 25 giorni Nizza si arrese.

Il 9 aprile, si arrivava ad una tregua, che consegnava quasi tutto il Nizzardo a Luigi XIV.

Monaco rimase neutrale, ma il Re di Francia si annetteva La Turbia ed in quell’occasione demoliva la fortezza, costruita sul Trofeo d’Augusto.

Il 10 aprile, per difendere la cittadella nizzarda, il conte Thaon conduceva seimila uomini, varcando il Colle di Tenda.

Il 17 maggio, il vescovo Ambrogio Spinola consacrava la parrocchiale di Vallebona.

Il 14 novembre, capitolava anche la cittadella di Nizza.

Antonio I di Monaco rinforzava le difese del Principato, lavori conclusi nel 1714.

1706     Il 4 gennaio, il castello nizzardo era un mucchio di rovine ed il Marchese di Caraglio capitolava con l’onore delle armi, rientrando a Saorgio.

La comunità del villaggio di San Lorenzo si dotava di un “destréntu”, il torchio sociale, per le vendemmie di tutti gli abitanti.

1707     I francesi dovettero abbandonare il Piemonte ed il Nizzardo. I Piemontesi portarono un’armata di 8.000 uomini, accampati da Mentone al Varo, con l’intenzione di attaccare la Provenza.

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I Savoia perdevano alternativamente il dominio su Nizza, fino al Fiume Varo, che il Re francese voleva sua. In quel periodo la Valle della Roia, unica strada per raggiungere Nizza da Torino, coi passi del Braus e del Bruis, Breglio e Saorgio, restava in mano sabauda fino al montante di La Penna (Piena), ma la conca di Sospello seguiva le alternanti ritirate dei Savoia. Briga era sabauda, con Realdo, Verdeggia, Upega e Carnino. Il Principato di Monaco era indipendente con Roccabruna e Mentone, mantenuto dai Grimaldi, non senza difficoltà. Dolceacqua era marchesato dei Doria, con Rocchetta, Airole, Perinaldo e Camporosso. Pigna era Sabauda, dirimpettaia di Castelfranco (Castelvittorio), che era territorio della Repubblica genovese, con un confine che conteneva Triora, Langan, Baiardo, Monte Bignone, Monte Caggio, Soldano e Vallecrosia, oltre Ventimiglia, fino a Piena, il Monte Granmondo e il Torrente Garavano. Seborga era principato dei monaci di Lerina, con annesso il priorato di San Michele, in Ventimiglia. Oneglia e la riva destra della Valle dell’Impero erano sabaude, come lo era Loano, incuneate nei territori genovesi.

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In febbraio, a Genzano, moriva Domenico Antonio Gandolfo, nato a Ventimiglia nel 1653.

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Abbracciò l’ordine Agostiniano divenendone predicatore generale dell’Ordine. Fu ascritto alle più celebri accademie letterarie del suo tempo, Arcadia compresa. Resse le sorti della Biblioteca Aprosiana, dopo la morte del fondatore, potenziandola in misura notevolissima.

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Le suore Domenicane dedicavano un nuovo monastero a Santa Caterina da Siena, in Taggia.

1709     Il 6 gennaio, eccezionale nevicata. Un inusitato gelo diede la stretta alla raccolta delle olive, facendo morire una grande quantità di alberi secolari nelle nostre campagne. Le coltivazioni di limoni vennero perse quasi totalmente, con gravi danni agli alberi. Qualche marinaio perse le gambe per congelamento.

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La grande e diffusa gelata aveva danneggiato le colture provenzali ancor più di quelle liguri, facendo aumentare la domanda europea ed inducendo a piantare olivi anche ad alte quote con una densità maggiore per ettaro. Intanto, a partire dall’onegliese si andava sviluppando l’attività legata alla produzione dell’olio.

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1710     Il 10 marzo, il vescovo Spinola, non riuscendo a sbloccare il sequestro delle decime savoiarde, sceglieva di venire trasferito a Luni e Sarzana.

Il 3 aprile, un altro barnabita, Carlo Maria Mascardi veniva nominato vescovo da papa Clemente XI, ed entrava in diocesi il 9 giugno.

Il 7 aprile, il marchese Grimaldi di Cagnes veniva arrestato dal conte d’Artagnan con l’accusa di fabbricazione di monete false, trovandosi l’officina nelle cantine del castello.

L’estate era stata calda e secca, seguita da un autunno mite e fin troppo asciutto.

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I vini si presentavano di buona qualità, ma in quantità ridotta; mentre la raccolta delle olive prometteva un ottimo olio. Ma nei frantoi dalla Bassa Val Bevera, gli Olignani lamentavano scarsità d’acqua per frangere, tanto che si indissero parecchi giorni di “sequella” per la dragatura dei “beà”. Si arrivò a pavantare di dover frangere “a sangue”.

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Dal 9 al 13 dicembre, una tempesta di terra e di mare fece straripare la Roia, inondando il sobborgo di Sant’Agostino.

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Iniziò con un fortissimo vento di mare, che sradicò ulivi e scoperchiò il monastero dei Conventuali e fece danni alle Canoniche, poi la Roia si allargò sulla piana dei Paschei, arrivando a lambire il Convento. Il 10 e il 12, riprese a piovere, allarmando non poco le Autorità. Venne tenuta una processione, verso il Capo, con le reliquie di San Secondo. Durante l’inverno invasione di lupi cervieri e di gatti selvatici, venivano ad infestare le vicinanze della città, arrecando gravi danni in alcune ville e negli isolati casolari. L’incarico di avvertire la città sulla qualità di questi predatori era stato assunto dalla Confraternita dei “Neri”, che dava strepito con la campana del piccolo campanile dell’Oratorio.

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1712     Il vescovo Mascardi faceva restaurare la villa vescovile di Latte, ponendo mano anche alla riadattazione della cappelletta dedicata alla Misericordia, presso il guado del torrente, che portava sulla Piana di Latte.

Il 14 settembre, a Parigi, moriva Gian Domenico Cassini, astronomo di chiara fama.

1713     Il 5 febbraio, il magnifico Gaetano Olignani uccideva il giovane patrizio GioBatta Galleani, poi si rifugiava nel convento dell’Annunziata e riparava nelle terre del principato di Monaco.

In febbraio, a Nebbio, in Corsica, moriva il ventimigliese Jacopo Rusconi, vescovo di quella Diocesi.

L’11 marzo, la Bolla di elevazione alla Sede di Nebbio perveniva a Gaetano Aprosio, che andava a Roma, dove il 21 gennaio 1714 veniva consacrato vescovo.

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L’Aprosio giungeva in Nebbio e in San Fiorenzo dopo 22 giorni. L’episcopio era in fase di costruzione ed egli diede inizio a ristrutturare le case canoniche fatiscenti. Istituiva scuole e soccorreva poveri. Moriva la sera del 19 dicembre 1730,  all’età di 48 anni.

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L’11 marzo, il ventimigliese Gaetano Nicolò Aprosio veniva eletto vescovo di Nebbio, in Corsica.

L’11 aprile, la pace di Utrecht rendeva al Piemonte il Nizzardo.

Il 29 settembre, pur amareggiato dal comportamento del senato di Nizza sulle decime trattenute, il vescovo Mascardi andava a Sospello per accogliere il passaggio di Vittorio Amedeo II, che si recava a prendere possesso del Regno di Sicilia.

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Ancora, in quegli anni, il Savoia cercava di permutare Dolceacqua con una signoria piemontese, ma il Doria preferiva ritirarsi in Camporosso, territorio della Repubblica, mandando a monte le tresche del Savoia, quali il matrimonio tra Vittorio Francesco, marchese di Susa, figlio naturale del duca, con Luigia Ippolita, unica erede di Antonio Grimaldi di Monaco. Si trattava anche, attivamente la vendita del principato di Seborga e del Priorato di san Michele di Ventimiglia, tra l’abate del monastero di Lerina ed il duca di Savoia, già re di Sardegna. Anche la Repubblica di Genova era interessata all’acquisto. Entrambe le parti acquirenti erano confinanti con il principato ed il possederlo avrebbe significato un vantaggio sull’altro. Molte delle casate nobili ventimigliesi, si erano estinte, tra queste: i De Mari, i Genzano, i Massa ed i Ruscone; altre erano esulate altrove, come: i Manchelli a Monaco, I Riccobono a San Römu, i Curlo a Taggia, gli Sperone a Genova, ed i De Giudici, parte a Nizza e parte a Napoli. Le poche casate di Magnifici, ancora presenti in città, non paghe delle contrarietà loro riservate dall’esercizio della vita pubblica, si astiavano tra loro con grande violenza, fino a far correre il sangue.

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Nella prima domenica di dicembre, si dava riparazione al tetto della Pubblica Loggia.

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Il capomastro Francesco Borgogno di Perinaldo, alla guida di sei operai, dovendo cambiare la trave maestra del tetto, cercava in città una lunga e capace fune, presente soltanto nel campanile della cattedrale. Ottenuto il permesso di recuperarla da Antonio Ricci ed Antonio De Lorenzi, due dei tre consoli comunali, operò la sostituzione della grossa trave, innestando però una corposa querelle tra il Senato e la giurisdizione ecclesiastica, risoltasi anch’essa per il meglio.

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1714     Il 21 giugno, il Principe di Monaco veniva costretto a riconoscere il vassallaggio di Mentone e Roccabruna al Duca di Savoia.

La duchessa Elisabetta Farnese, andando sposa in Spagna, passando per Ventimiglia veniva ospitata dall’illustre famiglia Orengo.

Il Reggimento sabaudo “Nizza” riprendeva il suo nome originario di “La Marina”, costituito da cinque Compagnie che formavano il Battaglione delle galere.

1715     Il 9 gennaio, veniva deliberata la prosecuzione della fabbrica del ponte sulla Roia.

Nel mese di giugno un vero diluvio ingrossò la Roia ed il Resentello che inondarono il sestiere di Sant’Agostino. Nell’inverno seguente si ebbe un’invasione di lupi cervieri.

A Monaco, Luisa-Ippolita, unica erede di Antonio I, sposava Giacomo di Goyon di Matignon, nobile di origine bretone, che prese il nome e le armi dei Grimaldi, principi di Monaco.

1717     Il 29 novembre, nasceva Nicolò Orengo. Scriverà: Notizie storiche della Città di Ventimiglia.

Il 21 aprile, Antonio I di Monaco prevedeva sanzioni e pene corporali per i recidivi contro le regole sulla raccolta dei limoni. La pena più punitiva era la estrapade, o gogna della culattazione sulla ciapa per la vendita del pesce nel Mercato.

1718     In Bassa Val Bevera, una particolare siccità, che durava da febbraio a maggio, richiese un decreto di invocazione divina da parte della Comunità, emesso dal vescovo Mascardi.

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Giovanni Guglielmi di Calvo, non ottemperando al decreto, l’intera giornata del 7 giugno, Pentecoste, invece di recarsi in chiesa ad implorare la pioggia, andò a pescare, praticando la tecnica del “guado”, poi andò in Ciassa, al Mercato, per vendere l’abbondante pescato. Venne denunciato al Vescovo. (N.A.Olivieri)

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1719     Nella sua “Italia Sacra”, l’Ughelli, lasciava trasparire la decadenza, anche delle istituzioni ecclesiastiche.

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L’Ughelli definiva la Cattedrale molto antica e di struttura elegante, con otto canonici, ricordava i tre monasteri, il seminario, ma rilevava l’inesistenza di collegiate e di un monte di pietà.

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Il sale a Ventimiglia costava più caro che a Mentone.

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Il 27 aprile, Matteo Vinzoni relazionava al Governo genovese che il prezzo del sale a Ventimiglia era di £. 8.94 per un carico di 13 rubbi e mezzo; mentre a Mentone il carico di 14 rubbi costava £. 7.4. Il sale di Mentone giungeva a Millesimo dove era venduto a £. 17 e mezza di Savoia, corrispondente a £. 21 della moneta di Genova. A Cairo si vendeva a £. 22, a Monesiglio a £. 19, pari a £. 22.16 di Genova.

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1720     Una epidemia di peste, scoppiata a Marsiglia, costringeva la Repubblica ad inviare due commissari di Sanità, uno risiedente in Camporosso e l’altro a

Ventimiglia, per impedire qualunque contatto con le terre di Provenza e del Re di Sardegna.

Tra il settembre e l’ottobre, il Commissario di Sanità, per rendere impraticabile l’antica strada romana, provvede alla demolizione del ponte alle falde dei Balzi Rossi, nei pressi dell’antica chiesetta dedicata a san Luigi.

1723     Il ferraiuolo Antonio Rossi gestiva l’osteria “La Romana”, in Sestiere Oliveto. La vigilia di Natale, Antonio Moranino, Giovanni Sibbono, Francesco Rossi e Franco Carenco si sfidarono a morra, cercando il perdente tra colui che sarebbe stato riconosciuto il “meno giastremiéro”.

1724     Nasceva GioAgostino Galleani, ventimigliese di elevata cultura, ascritto alla Compagnia di Gesù.

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Dopo aver esercitato alcuni uffici nei Gesuiti, attese a raccogliere le “Memorie Universali della Città di Ventimiglia” e “Raccolta di notizie varie appartenenti alla Città e Famiglie di Ventimiglia”. Dopo la soppressione dell’Ordine, ritiratosi in famiglia, moriva il 30 novembre 1775, a cinquantuno anni.

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1726     Il 30 maggio, il nobile Pietro Antonio Palmari veniva ucciso da GioBatta Porro e Rocco Maria Orengo.

1727     Il 19 maggio; papa Benedetto XIII, eleggeva a Vicario residente nel luogo di Sospello Paolo Ottavio Vacchieri, ponendo fine al sequestro delle decime nei territori savoiardi, sotto gli auspici del vescovo Mascardi.

Il 19 luglio, la Repubblica genovese rinforzava il presidio di Castelfranco.

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A causa di sospetto di guerra da parte del Duca di Savoia, venivano mandati a Castelfranco soldati di Badalucco, Taggia, Riva, Pompeiana e Baiardo, dove restarono per tre mesi. Durante il servizio ricevettero due pani al giorno e un’amola di vino ogni quattro, oltre alla minestra o altri cibi cotti.

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1729     Il 20 gennaio, il re di Sardegna entrava in possesso del Principato di Seborga e del priorato di san Michele, dall’abate di Lerina, acquistato nel 1697 dal duca Vittorio Amedeo.

Il colonnello Matteo Vinzoni era impegnato al rilevamento topografico della costa fino ai Balzi Rossi.

La popolazione di San Römu insorgeva contro il Governatore genovese, facendo valere l’editto del Barbarossa, datato 1183, che decretava la città feudo imperiale.

Il 1 dicembre, a Parigi, moriva Giacomo Filippo Maraldi, lasciando in gravi difficoltà il nipote Gian Domenico Cassini, che dimorava presso di lui.

1730     Il 19 dicembre, a Nebbio, in Corsica, moriva il vescovo Gaetano Nicolò Aprosio.

Il 1° agosto, il colonnello Matteo Vinzoni scriveva al Consiglio della Repubblica genovese per proporre lavori di salvaguardia sulle strade percorse dagli “sfroxadori” che contrabbandavano sale da Mentone.

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La prima strada era: Mentone, Balzi Rossi, spiaggia Latte, Porta Canarda e Ventimiglia. La seconda: uguale fino a Latte, poi Sant’Antonio, San Paolo e Calvo. La terza: Mentone, Garavano e Balzetto, in territorio di Ventimiglia. La quarta: Mentone, Castellaro di Nizza, Monte Gerri, Passo Treitore, Olivetta, Fanghetto o Airole, chiusa d’inverno. Mentone era del Principato di Monaco, Castellaro dei Savoia e il Passo Treitore era già genovese.

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Il 1 dicembre, a Parigi, moriva Giacomo Filippo Maraldi, astronomo.

1731     In gennaio, nevicata e gelata dei frutti.

Il 17 febbraio, a Gaeta, moriva GioAngelo Orengo, nato da Giò Batta e Vittoria Casanate nel 1655.

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Lasciò numerosa figliolanza dalla consorte Elena Lorenzetti. Le memorie che di lui ci restano lo rivelano personaggio di molte lettere ed abilità nei maneggi governativi.

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Il frate Teatino e teologo, Giuseppe Francesco Orengo, preposito di Sant’Andrea della Valle in Roma, fu candidato al generalato dell’Ordine.

Il 29 settembre, da Paolo e Margherita Fenoglio, nasceva Paolo Gerolamo Orengo, che sarà vescovo in patria.

Il 9 dicembre, moriva il vescovo Mascardi.

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Nel suo vescovado aveva ampliato la torre di Latte, coi proventi ricevuti per aver estinto gli, obblighi degli Orengo per la terra di Nervia e dei Lamberti per la terra di S. Vincenzo. Incoronò il gruppo marmoreo della vergine del Rosario che era sull’altare maggiore in Cattedrale.

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1732     Il 31 maggio, veniva nominato vescovo Antonio Maria Bacigaluppi, genovese, dei chierici regolari della Madre di Dio. Celebrò un Sinodo e consacrò la parrocchiale di Vallecrosia.

Antonio I di Monaco pubblicava un regolamento sull’esportazione dei limoni.

1733     Moriva Antonio I°, principe di Monaco, lasciando erede Luisa-Ippolita, che morirà pochi mesi dopo, lasciando il principato al marito Giacomo I° di Grimaldi-Matignon.

1734     Il 19 ottobre, il vescovo Bacigaluppi troncava il contenzioso delle decime tra il Capitolo della Cattedrale e le parrocchie degli Otto Luoghi.

Un sopralluogo di mastri, decideva di intervenire sul fatiscente palazzo episcopale.

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Il vescovo Bacigalupi, per ordine del Visitatore Apostolico metteva l’interdetto sull’Oratorio di San Nicolò alla Marina “fino a che non sia portato a dovere e si corra ai ripari”.

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1735     Veniva riaperto al culto l’Oratorio di San Nicolò alla Marina, con l’aggiunta del culto a San Giuseppe, patrono della Buona Morte, concedendone la gestione alla Confraternita della Misericordia,  la quale conduceva, alla Marina, un servizio pubblico di attracco per lo scarico della merce, con un pontile.

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Nell’Oratorio si celebrava: un triduo per la festività del 6 gennaio, distribuendo ai marinai i “panéti de San Niculò”, fatti a forma di barca, che venivano posti sulla prora, a protezione delle imbarcazioni.

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1736     Stanco delle reticenze del re di Francia, Giacomo I di Monaco lasciava il principato al figlio adolescente Onorato.

1737     In gennaio, a Vallecrosia, il vescovo Bacigaluppi consacrava la chiesa di Sant’Antonio

Francesco Lascàris di Castellar lasciava eredi i figli di uno sciabecco due leudi ed un pinco, all’ancora nel porto di Mentone.

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Pur non disponendo di un porto, tra il 1600 e metà del 1700, Ventimiglia contava un passabile parco di naviglio di piccola stazza che serviva allo smercio dei prodotti agricoli in eccedenza e ad importare il fabbisogno dei materiali per le crescenti costruzioni. Un leudo, chiamato “il Portiere”, espletava il servizio postale bisettimanale tra Ventimiglia, San Remo ed Oneglia; tre volte la settimana faceva rotta verso Mentone, Monaco e Villafranca. L’imbarcazione poteva anche essere noleggiata per il trasporto di consistenti quantitativi di merce. Giunta a terra, col sistema del “Radeu”, la merce era scomposta o travasata in quantitativi minori, adatti ad essere trasportati a dorso di mulo o a spalle da facchini o da “camàle”, donne esperte che portavano le merci sul capo, protetto da un canovaccio avvoltolato.

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A Tenda era nata la “Compagnia de’ Mulattieri”.

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Da Confraternita, veniva ad assumere un aspetto giuridico più responsabile. La loro attività si svolgeva tutto l’anno, anche d’inverno, quando ogni mattina i collanti (gli uomini del colle) partivano da Tenda e Limone con quattro coppie di muli per tagliare gradini nel ghiaccio e togliere la neve accumulata dal vento, assicurando così il passaggio dei muli carichi di mercanzie. Nel corso del 1777 transitarono sul Colle di Tenda 46000 muli, con 30000 carichi di sale e 16000 di altre merci, con una media di 150 muli al giorno. L’antica aggregazione assumeva il nome di “Confrairia di Sant’Eloi” e sovraintendeva all’aspetto folcloristico e religioso, titolo portato avanti ancora ai giorni nostri.

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1738     Il priore della Confraternita del Santissimo Sacramento, coinvolgendo anche quella dell’Immacolata Concezione, officianti in Cattedrale, prendeva l’obbligo di pagare al Capitolo trentasei Lire l’anno, in moneta “fuori banco”, e di provvedere ogni domenica le cere e le officiature solite.

1739     A Roma, il ventimigliese GioMaria Curti pubblicava “La vita di Santa Caterina da Genova”.

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GioMaria Curti,  sacerdote e dottore in legge, pubblicava alcuni opuscoli in poesia e in prosa. A Genova, nel 1721: “Eccitamento spirituale alla gran protezione del glorioso S. Antonio Abate”, importante per alcune nozioni su detto santo e sua patria. Nel 1726, “Augurio nelle nozze di Andrea Doria”.

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In settembre, Charles De Brosses, scrittore e magistrato, Presidente del Parlamento di Digione, a causa del mare tempestoso prendeva terra ad Ospedaletti.

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Il De Brosses medesimo documentava la sosta nelle sue Lettere familiari scritte dall’Italia nel 1739 e nel 1740. “Finalmente la bonaccia succedette al vento contrario, e i nostri marinai, invece di mettersi a remare, accostarono a riva, presso un brutto buco di nome Speareti, dove considerammo una fortuna trovare dei polli a 50 soldi l’uno. Ritornato alla barca, una dozzine di fanciullette danzarono per noi, tutte accovacciate in terra, una danza da selvaggi irochesi, cantando canzoni che non erano da meno. Tutte le contadine vanno con la testa scoperta, s’intrecciano i capelli e se li arrotolano dietro il capo, stringendoli in una crocchia fermata con un ago d’argento. Il De Brosses nasceva a Digione nel 1709 e moriva a Parigi nel 1777, fu due volte esiliato a causa del suo spirito d’indipendenza.

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1740     Il 15 luglio, nella villa di Latte, moriva il vescovo Bacigaluppi.

1741     Il 17 aprile, Pier Maria Giustiniani era nominato vescovo di Ventimiglia.

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Nato nell’isola di Schio, già vescovo di Sagona, in Corsica, da dove era fuggito, veniva vescovo a Ventimiglia, annunciando la sottomissione della Diocesi agli interessi genovesi. Si deve a lui l’acquisto del nuovo attuale episcopio, pensando di istituire in quello vecchio il Seminario diocesano. Trasferiva la sede vescovile a Mentone, venendone poi esautorato. Applicando i dettami del Concilio di Trento, scomunicò Camporosso, la Confraternita di Santa Chiara, un magnifico della città ed i Consoli del Comune di Baiardo.

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Il 13 maggio, veniva celebrata per l’ultima volta, in questo mese, la festa per la dedicazione della Cattedrale ventimigliese.

Il 2 giugno, il Parlamento, senza venirne richiesto, con atto del notaro Pasquale Amalberti, prestava quattromila lire al vescovo Giustiniani, per la durata di otto anni

Il 2 agosto, il vescovo Giustiniani convertiva in canonicato la cappellania laicale istituita dal Signor Francesco Olignani.

1742     Il giorno 11 gennaio, il vescovo Giustiniani convertiva in canonicato la cappellania laicale istituita dal Signor Pietro Merazzano.

Il Senato genovese lamentava al vescovo Giustiniani il proliferare dei Romiti.

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Erano questi uomini che sceglievano di vivere di elemosine, abitando le chiese e le cappelle campestri, altrimenti abbandonate. Il Senato li accusava di fannullaggine e chiedeva ai vescovi liguri di porre rimedio all’ormai vasto problema, regolarizzando le questue. Il Giustiniani decretò che solo tre eremiti potessero agire sul territorio di Ventimiglia: Giacomo Rondelli, al santuario di Ciaixe; Muratore da Badalucco, nel santuario di Sant’Anna in Camporosso e fra Pasquale dell’Isola, a Latte.

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Il 20 marzo, veniva benedetto dal vescovo Giustiniani, a nuovo ricetto pei defunti, un lembo di terra che fronteggia la Roia. Il cimitero verrà convertito poscia in una batteria d’artiglieria, detta di San Secondo. (Sarà poi sede della Stazione Ferroviaria)

Il 14 aprile, con documento vaticano, la celebrazione della festa per la Dedicazione della nostra Cattedrale veniva spostata alla terza domenica del mese d’ottobre, restando in vigore fino a tutto il XIX secolo.

Il 20 luglio, veniva adattata a romitorio una piccola cella adiacente la cappella della Misericordia, sulla Piana di Latte, dove era autorizzato a dimorare il frate romita, questuante, Pasquale Cassini, da Isolabona.

Il 25 luglio, in Mentone, il vescovo Pier Maria Giustiniani conferiva a fra Pasquale da Seborga l’abito eremitico, affidandogli la custodia della cappella campestre della Misericordia, in Latte.

Il 2 agosto, il vescovo Giustiniani convertiva il canonicato la cappelania laicale istituita dal signor Francesco Olignani.

In agosto, pur essendo Genova neutrale dalla guerra di successione austriaca, l’ammiraglio inglese Mathews, faceva partire da Oneglia un vascello con duecento soldati che sbarcarono a Ventimiglia per sperperare le farine nei mulini e dar fuoco alla paglia contenuta nella casa di Antonio Rossi, console di Spagna, onde limitare le provvigioni che l’armata spagnola trovava in città.

Il 2 settembre, il romita Rondelli ebbe in urto i Massari del santuario di Ciaixe. Il 22 il Muratore aveva screzi con lo stesso Vescovo.

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I massari: Angelo Cascilo e Giovanni Beglia pretesero tutte le questue ottenute nel giorno della festa annuale al santuario, che il Vescovo ordinò di riconsegnare al Rondelli. Dopo qualche giorno il Rondelli domandò al Vescovo di cambiare il romitorio con quello della Madonna delle Virtù, in Sietro.

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Genova inviava il commissario Domenico Invrea con un buon numero di granatieri còrsi a proteggere e restaurare il Forte del Colle.

In ottobre, una sconcertante polemica tra la nobiltà ed il vescovo scoteva la città, sull’opportunità di spostare a primavera la festa patronale di San Secondo.

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I nobili locali chiedevano al vescovo di fissare un’altra data per festeggiare il patrono San Secondo, giacché in quel periodo la maggior parte di loro soggiornava in Villa, a causa dell’aria irrespirabile in città, a causa dell’impaludamento della Roia.

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1743     Il 28 gennaio, il vescovo Giustiniani convertiva in canonicato la cappellania laicale istituita dal preposito GioBattista Biancheri.

Nel mese di marzo, dalla Congregazione dei Riti giungeva il benestare a festeggiare San Secondo nella seconda domenica dopo la Pasqua.

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Il Priore del Consiglio, Carlo Innocente Porro, decretava la solita salva di bombarde dagli spalti del Forte, nella sera della vigilia, quando ogni famiglia doveva accendere un fuoco dinnanzi alla porta di casa, in segno di pubblico giubilo.

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Il Senato genovese volgeva le proprie simpatie verso la causa Gallo-Ispana, nel conflitto per la successione Polacca; mentre si teneva neutrale nella Guerra di Successione austriaca.

Il 25 aprile, passava per la nostra città l’esercito Gallo-Ispano che procedette all’occupazione di Dolceacqua e di Oneglia, accampandosi dalle Asse a Bordighera.

In aprile, il popolo evitò di festeggiato San Secondo nella nuova data.

Il 26 agosto, i Confratelli Bianchi, in veste da cerimonia, invasero la Cattedrale per dare inizio alla processione, con grande tumulto, fino all’intervento del Vicario Generale che impose l’ordine, inviando a Roma la relazione di certo Filippo Buttari, che incolpando du tutto il vescovo, chiedeva, coi nobili, il ripristino della data in agosto.

Il 31 agosto, la Congregazione dei Riti, da Roma ingiungeva al vescovo Giustiniani, residente in Mentone, di ripristinare la festa patronale di San Secondo all’usato tempo del 26 agosto.

Il 6 ottobre, da Mentone, il vescovo Giustiniani replicava alle accuse, ripristinando la festa nella sua data precedente.

1744     Il 5 aprile, con un editto, il vescovo Pier Maria Giustiniani decretava la data per la celebrazioni, ogni anno, della festa patronale di San Secondo, nella giornata del 26 agosto.

Nel mese di maggio, le truppe gallo-ispane del generale Las Minas bombardarono il castello di Dolceacqua, distruggendolo. Il comandante della piazzaforte, De la Reque, costrinse le milizie, con marcia forzata, a ripiegare su Breglio.

Il rettore di Bevera, in calce al registro di battesimo, al 7 di maggio, annotava il transito delle truppe Gallo-ispane attraverso la Val Roia, Bevera, Varaze e La Penna, in numero di uomini 3670, altro transito di 800 uomini con bestie da soma, provenienti da Sospello, Olivetta, per il passo dello Strafurcu, diretti a Dolceacqua.

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Il 16 giugno, giorno del Corpus Domini, Fiorez, comandante delle milizie sabaude, avanzava da Breglio verso la Bassa Roia, con percorso Olivetta, Collabassa e Strafurcu verso Varaze. Sulla porta della Colletta, il magnifico Sperone ed il colonello Fenoglio si presentarono al conte Alfieri, strappandogli la promessa di non ingaggiare battaglia con il presidio francese di stanza nel Forte del Colle (San Paolo). Vana promessa, giacché duecento granatieri e fanti sabaudi sfondarono i magazzini gallo-ispani, quello del vescovado e quello dei canonici; alla Bastida, bruciarono pagliai e casali, predando anche alcune navi di marinai portorini e sestresi, onde toglierle all’esercito avversario, per poi volgere alla volta di Breglio. Tra la merce razziata si segnalavano: calzature, liquori, vini bianchi e neri. Con loro portano prigionieri 50 soldati francesi coi loro ufficiali. Nei casali della Bastida e della Vallata, venivano raziati 150 tra muli e cavalli, capre e pecore; alcune delle quali vengono cucinate nel corso della sosta a Collabassa.

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Il 26 settembre, la flotta inglese minacciava il bombardamento del Forte.

1745     L’Austria cedeva al re di Sardegna, le sue ragioni sui marchesati di Savona e di Finale. Ancora Austria ed Inghilterra si impegnavano ad appoggiare gli interessi che il re di Sardegna aveva verso Ventimiglia, dopo l’acquisto di Seborga e del priorato di san Michele.

Il vescovo Giustiniani giungeva ad una convenzione amichevole tra il Capitolo della Cattedrale ed i sindaci dei Comuni di Rocchetta, Dolceacqua, Apricale, Perinaldo ed Isolabona.

Il primo maggio, passava per Ventimiglia un esercito condotto dall’infante Filippo di Spagna, che rafforzava la guarnigione dei granatieri còrsi.

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Il grafico che tracciò la carta sulle conquiste dell’Armata Gallo-ispana, in quegli anni, segnala ancora il toponimo “Cabane” ul sito dove, nel Duecento, era stato eretto il “Campo” dell’esercito genovese, ai piedi delle Mauře, protetto dalle mura, ancora presenti sull’altura.

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Il 7 maggio, col trattato di Aranjuez, Genova rompeva la neutralità e si alleava con Francia e Spagna.

Quattrocento banditi savoiardi, detti Barbetti, al comando di certo Olivieri da Cuneo, portarono sul territorio comunale ogni sorta di scelleratezze.

Nel mese di luglio, l’Olivieri era ucciso, con cinquanta dei suoi, in una grotta dei Balzi Rossi da soldati corsi guidati dagli abitanti di Mortola.

Il primo ottobre, la flotta inglese bombardò San Remo, con gravi danni.

Il 3 ottobre, la flotta inglese dell’ammiraglio Rollengh minacciava di bombardare Ventimiglia.

Il 4 ottobre, il conte Balbiani, del presidio sabaudo di Dolceacqua, tentava la presa de La Penna, inviando trecento armati del battaglione svizzero al comando dei conti Alfieri e Pampara. Il generale Guarini.

Sulla Piana di Latte, per lavori riguardanti l’allargamento della strada vicinale, veniva abbattuto il romitorio, ricavato nel 1742, ampliando la celletta

adiacente la cappella della Misericordia. Fra Pasquale, il romita che vi abitava, veniva trasferito presso la chiesa di Sant’Andrea in Alta Valle Latte.

1746     Nel mese d’aprile, in Mentone, dove si era trasferito adducendo fastidi per l’aria ventimigliese malsana, il vescovo Giustiniani celebrava il Sinodo diocesano.

Nel mese di giugno, un grosso e malconcio contingente di gallo-ispani, in seguito della sconfitta toccata presso Piacenza, si accampava nei pressi di Ventimiglia.

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Bande di gallo-ispani allo sbando venivano attaccate dai locali come rivalsa di quanto gli stessi militari avevano combinato quando marciavano verso Genova, nel 1744. Si conoscono fatti d’arme presso Pigna e Borghetto. A Collardente sono stati sepolti i francesi uccisi, mentre al Passo della Cupéira, sul lato settentrionale di Monte Bàuso, esiste il sito di Ciàsa Vitòria dove sono stati sepolti i numerosi morti di uno scontro con gli uomini di Borghetto insorti.

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Don Filippo, infante di Spagna e fratello di re Ferdinando trovava ospitalità a Bordighera.

Il comandante francese Tambeuf attivava le difese del Forte, aggiungeva batterie sul Cavo e sulla Colla, minava alcune arcate del ponte sulla Roia, in attesa delle truppe sarde.

Il 27 giugno, duecento granatieri corsi lasciavano il castello de La Penna alla volta di Genova, richiamati dalla Repubblica; avvertendo il Podestà di Ventimiglia, che 700 armati sabaudi, agli ordini del conte Alfieri, liberi dal presidio dei corsi, avrebbero puntato sulla città.

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Due soldati gallo-ispani informavano il Savoia che il forte era stato rafforzato da bombarde ed un buon numero di soldati.

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Il 29 settembre, giungeva a Bordighera il re Carlo Emanuele III, a capo della sua armata, accompagnato dal figlio Vittorio Amedeo.

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Questi inviava mille uomini al comando del generale Martini ad attaccare la città, mentre egli l’avrebbe attaccata aggirandola, infatti si scontrava coi francesi a Castel d’Appio e li faceva ritirare con un piccolo presidio nel Forte, occupando la città.

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Il grosso del contingente gallo-ispano sulla via di ritirata veniva mitragliato dalla flotta inglese, presso i Balzi Rossi, trovava modo di raggiungere Mentone attraverso Grimaldi.

Il 5 ottobre, le truppe del generale austriaco Giurani razziavano città e dintorni. Per questo veniva sostituito dal generale Bertola, che prendeva ad attaccare il Forte, appostando una batteria sul colle di Siestro ed una successiva su Peidaigo, mentre il conte de la Tour attaccava decisamente le postazioni della Magliocca. Il Savoia, passando per il passo di Sant’Antonio e la Val di Latte si recò ad acquartierarsi a Mentone.

Il 10 ottobre, duemila armati guidati dal re Carlo Emanuele III, col figlio Vittorio Amedeo, andarono a Mentone.

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Risalendo il Nervia fino a Dolceqcua, poi per la strada della Madonna della Muta e il Vallone delle Rolande giunse a Bevera a notte avanzata. Alloggiò nella casa degli eredi Lorenzi. L’indomani, dopo aver ascoltato la messa nella parrocchia, prese per Sant’Antonio; il Vallone di Latte, le Terre Bianche e giunse a Mentone”.                       da “Storia della Contea di Ventimiglia” F.Rostan. I:I:S:L: 1971.

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Il 23 ottobre, il Forte si arrendeva e veniva rilevato dai sardi del comandante Borea che lo riassettava, rinfrancando anche di viveri la città.

Il 5 dicembre, Genova, incitata dal Balilla, insorgeva contro gli austriaci.

1747     Le truppe sarde attaccate in Nizza, ripiegarono in Villafranca; poi attaccate da terra e da mare dai francesi si ritirarono in Ventimiglia.

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In Val Roia gli austro-sardi si attestarono con sessanta battaglioni, contando sull’aiuto di quattro vascelli inglesi. I galli-ispani schierarono a Ventimiglia cinque battaglioni, mentre gli altri dodici battaglioni venivano ritirati in Nizza. Ventimiglia era una città tagliata in due: il borgo medievale col Forte San Paolo e la frazione di Bevera erano diventate il capisaldo austro-sardo del colonnello Molck, oltre il Fiume Roia, sulla riva orientale nella piana fra la foce ed il colle di Siestro, nel Convento semi distrutto, risiedeva il presidio gallo-ispano. Le campagne non potevano più sostenere la famelicità dei due eserciti ed i cittadini soffrivano la più nera miseria. Ad Olivetta, il comandante De Buffj rubava un gregge di 90 capre al prete Giovanni Limon ed alle sue rimostranze lo mette in prigione. Per affrontare la miseria, in Dolceacqua, i Sindaci decidevano di vendere l’olio delle scorte, ma non trovarono compratore, così vendettero gli argenti della Parrocchiale ad un Ebreo.

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In primavera, apriva lo scanno in Oliveto il notaro Gavotti di Sassello, chiamato in città dal Capitaneo Francesco Maria Di Negro, Governatore di Ventimiglia per tre anni.

Il primo aprile, il magnifico Giovanni Andrea Curti, veniva iscritto nel patriziato romano.

L’11 maggio, Il Parlamento decideva di recarsi a Mentone, dove viveva il vescovo Giustiniani, per chiedergli di rientrare del credito di quattromila lire anticipatogli. Ottenevano soltanto mille lire in zecchini

In giugno; l’esercito Gallo-Ispano tornava a ripassare da Ventimiglia, attaccando il Forte.

Il primo luglio, il Borea lasciava con i suoi sardi il Forte, che veniva munito dai francesi agli ordini di La-Serrai. Il comandante Novatin minacciava di dare il sacco alla città. I sindaci Galleani e Fenoglio, col vicario Filippo Orengo riescono a convincere il La-Serrai a non oporre resistenza e salvatre così la città.

Il Savoia decideva di aumentare il numero delle navi corsare al suo servizio, per incrementare la presenza della flotta inglese.

Il 5 settembre, tornava l’armata austro-sarda del comandante Novatin. Un contingente, guidato dal nizzardo Thaon di Revel, otteneva il ritiro del La-Serrai nel Forte San Paolo, accampandosi in Bevera e Seglia,  riducendo la campagna ad uno scempio.

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In quell’occasione, gli abitanti di Seglia si ribellarono alle soverchierie di alcuni soldati austriaci, che impauriti, servendosi di un fischietto dal sibilo acutissimo, chiamarono rinforzi alla postazione dei Boi, riuscendo così a sedare la rivolta. La zona di Massabò, presso Seglia, era il luogo dove le truppe austriache macellavano gli animali per il loro sotentamento.

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Il 21 ottobre, la città veniva ripresa dai Gallo-Ispani che ristorarono le mura, chiedendo per contro ingenti provviste. Non trovandosi i fondi necessari, pur con l’intervento del vescovo Giustiniani e del principe di Monaco, la città venne data al sacco la città alta ed il Forte erano in mano ai Gallo-ispani. Gli austro-sardi ripiegarono dai Balzi Rossi a Sant’Antonio, verso Bevera, perdendo la guarnizione di Castel d’Appio e ritirando il 1° fucilieri oltre la Roia.

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Sulle colline tra Roia e Val Nervia si distendeva l’armata imperiale protetta dai campi fortificati fatti costruire dal barone di Leutrum, per conto del Savoia. Era una formidabile linea trincerata, in altura, coltellata da forti inespugnabili, guardati da ventottomila soldati, da Saorgio a Collasgarba e da Colle Aprosio a Pigna e oltre, compreso la rivalutazione di Castel d’Abeglio, antica postazione contile.

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Il 17 dicembre, il Parlamento, in crisi istituzionale, decideva di richiedere le rimanenti tremila lire prestate vescovo, il quale comprese le istanze del popolo le concede, riducendo un poco la fame diffusa.

1748     Il 13 e 14 gennaio, le truppe francesi tentarono una sortita oltre la Roia e vennero trucidate.

Dal 30 aprile i preliminari di armistizio bloccarono gli eserciti. L’armistizio avvenne il 21giugno.

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I negoziati iniziati a Breda nel 1747, vennero trasferiti ad Aquisgrana all’inizio del ‘48.

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Il 27 luglio, si allontanavano gli acquartieramenti franco-ispani che lasciavano una piccola guarnigione nel Forte.

In ottobre, la pace di Aquisgrana lasciava Ventimiglia in condizioni disastrose.

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La Marina era distrutta, il quartiere del Ponte semi abbandonato. Restavano San Michele, ove s’accalcava la popolazione modesta ed il piccolo nucleo aristocratico della Piazza. L’economia era a pezzi ed in declino il prestigio dell’autorità ecclesiastica. Le abitazioni popolari dell’epoca si discostavano ben poco dalle dimore medievali. Soltanto le chiese e le abitazioni dei signori si potevano permettere i vetri alle finestre, piccoli vetri intessuti con liste di piombo, il resto delle case aveva finestre chiuse con tela, detta stamegna, oppure con la carta.

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Il 4 dicembre, a Nizza, si regolava il ritorno alla normalità della Riviera di Ponente: Finale e Savona vennero restituite, mentre Nizza e la sua contea tornarono sabaude il 25 febbraio del 1749.

1749     Il 16 marzo, ripassava per la nostra città l’infante Filippo di Borbone, dalla Spagna, per andare ad occupare la signoria di Parma e Piacenza.

Vincenzo Orengo, abate ventimigliese, pubblicava “Narrazione della Guerra del 1748”.

1750     Il vescovo Giustiniani litigava ancora con Onorato III, principe di Monaco e lo scomunicava, abbandonando Mentone e Roccabruna, che il principe otteneva venissero assegnate ad un legato apostolico, strappandole di fatto alla Diocesi ventimigliese.

Il Giustiniani si recava a vivere in Bordighera.

L’antica torre di avvistamento, detta Avisium, sita presso la chiesa di Bordighera, veniva trasformata in campanile.

Il 21 agosto, il Parlamento ventimigliese, nelle persone dei sindaci Carlo Innocente Porro e Gerolamo Porro, si rivolgeva al Governo della Serenissima, accusando il vescovo Giustiniani di “grave e continuata offesa alla città, per aver da otto anni risieduto lontano dalla sua Cattedrale”. Il vescovo risedette a Bordighera ancora per sei anni.

1751     Un inverno particolarmente rigido, portava alla gelata del febbraio successivo, che segnalava la distruzione dell’intera cultura di agrumi, assai diffusa tra San Remo e Mentone.

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Nei secoli XVIII e XIX, nel contado ventimigliese si sviluppava in maniera intensiva la coltivazione della pianta del limone; lo smercio dei frutti, richiesti per l’ottima qualità e la confermata durata di conservazione dai mercati dalla vicina Provenza si estendeva alle maggiori città dell’Europa. La raccolta e la vendita dall’usato sistema familiare si faceva ora con metodi razionali e regolamentati per cui, a difesa del prodotto e della piazza, in Bordighera, Mentone e Ventimiglia era fondato il “Magistrato de’ Limoni”. Il metodo di raccolta, la pezzatura dei frutti, l’imballaggio, la vendita, venivano assoggettati a determinate regole e tempo; con alcuni capitoli “detti dei Frutti” si regolamentava il rapporto con i trasportatori e gli acquirenti, per la difesa della merce e l’onestà di acquisto. Le “leggi o capitoli” poco si differenziavano: in Mentone si riscontrava particolare severità contro chi tentava vendere i frutti “alla nascosta”; in Ventimiglia si lasciava più libertà ad una vendita privata purché non “disonesta e truffaIdina”; in Bordighera con massima severità il magistrato regolamentava ogni rapporto sia nella raccolta che nella vendita e sul prezzo. Si era dunque, in regime di grande ed affermato sviluppo di quella coltura che nei secoli antecedenti fu solo familiare e di ripiego. Dati cartacei confermano come la pianta del limone, da Capo Martino al golfo della Rota, cespugliasse vigorosa e produttiva per il costante clima. L’habitat aveva, nel tempo, creato alcune qualità selezionate: in VaI San Bartolomeo, in Olignana e, oltre la Roia, in vaI Nervia e vaI Verbone, si coltiva la “Bignata” dai frutti a pelle liscia, fine e gustosissima, la “Lerisca” dalla pelle liscia ma di poco succo e il “Bollotino” con pelle rugosa, spessa e di poco succo. Ogni varietà richiedeva particolari lavori di sterro, lunga ed attenta cura poiché non mancano malattie, sbalzi di temperatura e disastrose gelate. Al Magistrato competeva vigilare contro ogni disonestà ed all’osservazione dei capitoli, e per questo veniva affiancato da tre controllori dei frutti, da estimatori, da messi incaricati di reclutare i raccoglitori e dai sensali, ai quali competeva di sentenziare i prezzi. Il proprietario di limoneti non poteva interferire ne’ raccogliere, soltanto a fine stagione riceveva il dovuto. Due capitoli regolamentavano la pezzatura del limone sia nella maturazione e nella qualità che verrà classificata a secondo delle piazze di smercio. Tre sono le classifiche: limoni alla tedesca, alla ebraica, e da torchio. Il limone alla tedesca, destinato al centro Europa, veniva raccolto a metà maturazione con peduncolo a una o più foglia; la spedizione richiedeva ceste di canna e carta; di particolare smercio, in Italia e Germania, era il limone alla “Ebraica”; veniva acquistato in buona quantità dalle comunità ebraiche per uso liturgico; di ottima consistenza si smerciava con i cedri provenienti dalla piana di Carnolese. Il limone da torchio, detto più comunemente per “acido citrico”, di bassa qualità e prezzo non veniva esportato, ma lavorato in loco, Ventimiglia, Latte, Bordighera; l’agro era messo in commercio con notevole successo e venduto in Italia e al Nord Europa. Contenitore era la “Bombona” grossa bottiglia da Otto litri; veniva usato nella confezione di bevande, nella tintura di alcuni tessuti, come emostatico e diuretico in medicina. I produttori dell’agro, a norma dei capitoli, all’inizio estraevano il succo con uno spremilimone, “la neveta da cavare l’agro de limoni”; per aumentare la produzione venne introdotto la torchiatura con conseguente peggioramento del prodotto, e perdita di molte piazze.

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1752     Il 16 febbraio, un terribile terremoto sconvolse la Liguria.

In marzo, Panfilo Vinzoni indicava come integro il ponte presso la chiesuola di san Luigi, ai Balzi Rossi.

Carlo Emanuele di Savoia fece costruire il nuovo scalo marittimo di Limpia, nell’ansa denominata di San Lamberto, presso il castello di Nizza, riparandolo con potenti opere murarie.

1753     In data 1° febbraio, una sentenza del Senato genovese dichiarava « ... uomini e Comunità della Colla d’ora in appresso, sieno e s’intendano separati dalla Magnifica Comunità di San Remo».

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La separazioni di Coldirodi ed il suo territorio, avevano ridotto l’avviata prosperità di San Remo al più cupo squallore:

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Il 4 giugno, a Pigna, nasceva Carlo Fea. Diverrà famoso archeologo.

Il 6 giugno, alle dieci di sera, la popolazione di San Remo si sollevava contro Genova, con il desiderio di passare sotto la protezione dei Savoia.

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La Giunta dei Confini della Repubblica di Genova inviava il colonnello cartografo Matteo Vinzoni a San Remo, per delimitare i nuovi confini tra il territorio di quel comune e quello della Colla, appena separatasi quale comune autonomo. Il Vinzoni, in occasione delle misurazioni per l’Atlante di Sanità, aveva trovato opposizione dai sanremaschi, in quanto cartografo ufficiale della Repubblica, in nome dell’autonomia e dei privilegi del comune “convenzionato”. Il 6 giugno, al suo arrivo, il colonnello veniva rinchiuso nel palazzo Borea, mentre scoppiava la rivolta popolare, richiamata dalla popolana Brigida Moreno, che aveva chiamato a raccolta i sanremesi battendo a martello il campanone di San Siro, per due ore filate. Dopo pochi giorni la ribellione venne domata ed i sanremesi dovettero accettare dure condizioni, tra le quali la costruzione della fortezza di Santa Tecla, alla Marina, rivolta soltanto contro San Remo, giammai a difesa dei nemici esterni.

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Il 13 giugno, un corpo di spedizione genovese si schierava per far rientrare la sollevazione sanremasca, che veniva soffocata il giorno 15. Il 22, si decretava la costruzione di un forte oppressivo, intitolato a Santa Tecla.

Il 28 giugno, il corpo degli ingegneri militari genovesi conduceva rilievi per la erezione del fortilizio sul mare, di Santa Tecla, dal quale egemonizzare la città.

1754     Il 19 ottobre, una transazione sottoscritta dai membri del Capitolo ed i sindaci degli Otto Luoghi, esonerava le popolazioni di queste località all’obbligo di pagare annualmente le decime, mediante il versamento di 7500 lire genovesi. L’atto otteneva la sanzione del Senato genovese e della santa Sede.

Alcune case di Gesuiti, scacciati dalla Francia, ripararono in Alta Val Nervia, fondando un convento presso Langan, dove oggi è il Palazzo del Maggiore.

1755     Il 17 febbraio, i Serenissimi Collegi genovesi stabilirono un nuovo Regolamento economico per la città di San Remo per riparare alle “... gravi irregolarità e gli abusi introdotti in quasi tutti gli articoli dell’amministrazione suddetta con danno e pregiudicio notabile di quella communità ...”

Il 13 giugno, con solenne cerimonia, in San Remo, fu posta la prima pietra per la costruzione della fortezza di Santa Tecla.

Il 1 novembre, un terribile terremoto sconvolse la Liguria.

Le Carmelitane scalze di Santa Teresa si trasferivano da St-Etienne a Sospello.

1756     Il 20 marzo, il vescovo Giustiniani concedeva alla famiglia Bellomo di costruire l’oratorio campestre alle Ville, dedicato agli Angeli Custodi.

Nel mese di ottobre, monsignor Prospero Camertino giungeva per reggere le parrocchie di Mentone e Roccabruna, che amministrerà fino alla sua nomina alla sede di San Severino Marche, lasciando l’incarico ad Alessandro Pretis.

In estate, il bastimento inglese Kent, carico di sale sabaudo, veniva catturato da un corsaro francese, nella rada davanti al Forte San Paolo.

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Il comandante del Kent, Robert Louves, trovandosi a terra per affari, chiese al Capitaneo genovese di usare il cannone per sventare l’attacco corsaro; però il Forte era privo di polvere da sparo. A Marsiglia, l’ammiraglio giudicò buona la preda, che invece il Tribunale di Parigi intimò di restituire.

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1757     Dopo l’avvenuta assunzione di nuovi Statuti a San Remo, dato che Alassio li aveva riformati nel 1706; Cervo nel 1709; Laigueglia nel 1722; Taggia nel 1738, Tenda nel 1752 e Coldirodi nel 1753; staccandosi da San Remo; i principali sostenitori della riforma in Ventimiglia sono stati: Domenico Maria Porro, Angelo Gaetano Fenoglio, Giuseppe Porro di Gio.Batta, Giuseppe Maria Orengo e Giuseppe Maria Porro, che denunciavano, presso i Serenissimi Collegi genovesi, l’inosservanza dei decreti emanati dal Senato da parte dei concittadini Magnifici.

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In particolare essi rilevano irregolarità e brogli nelle elezioni di sindaci e consiglieri e nella formazione delle magistrature e che “... è stato ammesso a cariche comunali chi è debitore di detta comunità, non ha reso conti chi è stato amministratore di casse, e chi è pubblico negoziante di grano è stato eletto al Magistrato dell’Abbondanza, oltre tante altre inosservanze di chi ha reso conti a persone congiunte, e parziali, e di chi non vuole mettere in cassa pubblica il reddito sugli effetti di detta comunità, onde la medesima continua ad essere malmenata dall’avidità di alcuni particolari, e restano sprezzati i decreti di Vostre Signorie Serenissime ...”. In realtà questi “zelanti del ben pubblico”, più che l’interesse per il benessere cittadino, avevano come obiettivo l’inserimento dei propri nominativi nei bussoli per le elezioni alle cariche comunali; è significativo infatti, che essi continuino ad essere esclusi dalla possibilità di adire alla pubblica amministrazione e che le loro lagnanze perdurino anche dopo la riforma dei capitoli.

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1758     Il 2 marzo, il Magnifico Consiglio in Generale Parlamento alla Loggia, deliberava sulla regolamentazione dei pascoli, nelle Bandite, in relazione ai danni provocati dai caprai.

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Restrizioni di percorso verso i pascoli, a loro volta limitati da precisi confini. Concessione di transito soltanto per “stercorare” i fondi terrieri

dei Magnifici e per “salinare” le greggi al mare, in estate.

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Il 23 giugno, il Senato genovese incaricava il deputato alla provincia del Magistrato delle Comunità di svolgere indagini e stabilire se il contenuto delle suppliche ventimigliesi corrispondesse a verità e, in tal caso, si prendessero i provvedimenti necessari a far rispettare i decreti.

1759     Il 18 gennaio, Il 18 gennaio 1759, terminati gli accertamenti richiesti, il Magistrato delle Comunità compilava una relazione nella quale riferiva di aver riscontrato l’effettiva esistenza di disordini e reclami a causa dell’inosservanza dei capitoli da parte dei cittadini Magnifici. Segnalava inoltre come i Capitoli ventimigliesi fossero eccessivamente voluminosi, e non rispondenti a quanto decretato dal Senato il 14 settembre 1756.

Il 13 marzo, venivano sottoposti all’esame del Senato genovese i nuovi Capitoli della Città di Ventimiglia, proposti dal Magistrato della Comunità.

Il 20 marzo, il Senato genovese iniziava l’esame dei Capitoli, deliberando l’ingiunzione a coloro che erano stati eletti a ricoprire cariche comunali nel 1758 di continuare ad esercitare il proprio ufficio anche per il 1759, giacché saranno indette nuove elezioni per l’inizio del 1760, seguendo le nuove disposizioni.

Il 9 maggio, a mezzo miglio dalle coste di Ventimiglia, il corsaro britannico J. Gherrey a bordo di un pinco uscito da Villafranca, assaltò la feluca S. Antonio, di patron Nicola Musso, proveniente da Genova.

Il 21 luglio, un terribile terremoto sconvolse la Liguria.

Il 23 settembre, davanti al pubblico Parlamento e Consiglio ed in presenza del Capitaneo, I nuovi Capitoli venivano “... letti e pubblicati a chiara, ed intelligenza de congregati dal principio sino alla fine ...” dal notaio Angelo Giuseppe Aprosio, cancelliere della comunità.

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Venivano così riformati i regolamenti cittadini, onde le più importanti nomine pubbliche venissero sorteggiate per ogni quartiere, ma essendo il Borgo disabitato, i magnifici di Piazza confabularono perché il bossolo del Borgo fosse assegnato al loro quartiere, indignando il popolo.

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1760     Il 14 marzo, i un trattato con Carlo Emanuele III, re di Sardegna, la Francia cedeva ai Savoia i territori a Sud-Ovest del Colle di Tenda, fino a Nizza.

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I cartografi sabaudi tracciavano una carta ufficiale dei confini tra la Repubblica di Genova e il Regno di Sardegna, nelle sue terre piemontesi e già provenzali.

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Il Senato genovese interveniva a sedare una lite tra i Teatini e l’arcivescovo.

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La lite era stata suscitata dal ventimigliese Anastasio Porro, che era stato provinciale, definitore e visitatore generale dell’Ordine, contro l’arcivescovo, che usurpava il titolo di abate perpetuo di San Siro. Il Porro fu costretto a fuggire e riparò a Napoli, dal duca Fogliani, vicerè di Sicilia che lo chiamò a corte col titolo di teologo elemosiniere e confessore.

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In Val Vesubia veniva catturato l’ultimo orso “regionale”. Gli orsi erano assai diffusi nei nostri boschi.

Venivano rifatte le quindici cappellette votive lungo la mulattiera che conduce al Santuario delle Virtù.

1761     Venivano restaurate le coperture della Cattedrale.

1762     Il 20 marzo, nasceva Antonio Maria Orengo. Sarà prete Somasco ed insegnante di lettere a Napoli e Ferrara.

1763     Il 2 febbraio, in periodo di Carnevale, gli “abai” del Cuventu avevano indetto un ballo popolare sul piazzale antistante l’osteria di Caterina Doglia, alla Bastida.

Il 25 marzo, Giuseppe l’ebreo veniva espulso verso il ghetto di San Remo.

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Accusato di immoralità ed importuni verso donne locali, causati nel corso del ballo nella Badia del 2 febbraio alla Bastida, il 25 marzo raggiungeva il ghetto a San Remo, ma pochi mesi dopo si aggirava nuovamente in casa di belle donne, nel sestiere Uliveto.

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In giugno, il Bargello, Otto da Genova cercava di portar fine ad una serie di “ciaravügli”, in Camporosso e Vallecrosia.

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I vescovi Marcardi e Bacigaluppi, con solenni editti, avevano proibito la pratica dei tumulti che seguivano le “tenebre”, antica usanza espressa dai compaesani nel caso di nozze d’un vedovo, per ottenere uno ”spàudu”, ossia il versamento di generi alimentari e vini per far festa in comune. (N.A. Olivieri  - gennaio 2003)

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Il 7 ed 8 settembre, un terribile terremoto sconvolse la Liguria.

Il 9 dicembre, il Senato genovese emetteva un editto proibitivo delle “tenebre”. Il giorno 16, il Governatore del Ponente, Domenico Pineti ne faceva  battere grida in tutti i Comuni della Giurisdizione. (Le “tenebre” o “ciaravügli” vengono praticati ancor oggi)

1764     Il 25 giugno, il notaio Rossi stendeva l’atto di liberazione del vescovo Giustiniani, colpito da forte cecità. Il vescovo donava cospicui arredi alla Cattedrale.

Il grafico Giury, al soldo dei Savoia, tracciando la carta tra Varo ed Impero confermava il toponimo “Cabane” tra Cuventu e Asse, ai piedi delle Mauře.

1765     Il 25 luglio, un terribile terremoto sconvolse la Liguria.

Il 3 ottobre, nella casa presa in affitto fuori le mura di Bordighera, un colpo d’apoplessia toglieva di vita il vescovo Giustiniani, che veniva sepolto nel tumolo vescovile ricavato davanti all’altar maggiore, in Cattedrale.

1766     Nella Piana di Latte, la cappella della Misericordia, veniva decisamente abbandonata ad una progressiva rovina.

1767     Il 29 settembre, papa Clemente XIII consacrava vescovo Angelo Luigi Giovo, monaco di Montecassino, proposto dal governo genovese. In precedenza, il Papa aveva nominato Nicolò Pasquale De Franchi, senza mai consacrarlo.

1768     Il 7 febbraio, avveniva il solenne ingresso del vescovo Giovo.

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Il nuovo vescovo tenne amichevoli benemerenze coi principi di Dolceacqua e con quello di Monaco, dal quale ottenne la riammissione delle parrocchie di Mentone e Roccabruna, dovendovi egli nominare un Vicario.

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Il 16 maggio, a Versailles, Genova firmava il trattato col quale cedeva la Corsica alla Francia.

Il 29 maggio, il vescovo Giovo lanciava un interdetto verso la frequentazione dell’oratorio di San Luigi. a Torri.

Il 18 novembre, il cardinale De Rubis ordinava al vescovo Giovo di pore fine alla vertenza con i torraschi che a lui erano ricorsi.

1770     Il 5 gennaio, una bolla di papa Clemente XIV, elevava Anastasio Porro a generale dei Teatini, egli da Napoli, tornò a Genova, dove cessava di vivere nel 1774, lasciando una ricca biblioteca.

Marsiglia apriva il suo porto ed i suoi arsenali a grandi imprese private, diventando in breve il più grande porto del Mediterraneo, a scapito di Genova.

A Perinaldo, M.A. Chinea ricostruiva ed ingrandiva la chiesa di Santa Giusta.

1771     In marzo, nevicata e gelata di limoni.

1772     Il 6 ottobre, Matteo Vinzoni relazionava alla Repubblica genovese sulla funzione di guardia avanzata della Porta Canarda e sui lavori necessari al consolidamento del Forte al Colle.

Il 23 dicembre, in Genova, moriva il Doge GioBattista Cambiaso.

1773     Il 27 marzo, il vescovo Giovo riuniva ad amichevole componimento i rappresentanti della città e quelli degli Otto Luoghi.

I Gesuiti della provincia lasciarono le scuole ed i conventi dove operavano.

1774     Il 16 gennaio, il vescovo Giovo disponeva minutamente circa le sue esequie, i suoi debiti ede i beni.

Il 16 aprile, a cinquantacinque anni, moriva il vescovo Angelo Luigi Giovo.

Veniva riattato il palazzo comunale.

La Francia toglieva Sospello al Piemonte.

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Nel corso della guerra per la successione d’Austria, la posizione di Sospello, difesa da nove battaglioni piemontesi comandati dal marchese Cacherano di Bricherasio, venne attaccata da quarantamila gallo-ispani agli ordini del principe Conti e nonostante la strenua resistenza furono costretti ad abbandonare la posizione.

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1775     Il 26 marzo, veniva consacrato vescovo Domenico Clavarini, domenicano genovese.

Il 24 luglio, il nuovo vescovo giunse segretamente nella villa di Latte, per non aver annunciato la sua nomina in municipio.

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Il Clavarini, nominato da papa Clemente XIV, venne eletto da Pio VI il 13 febbraio 1775, mentre sarebbe entrato in diocesi solo il 25 luglio. Restaurò la Cattedrale e creò il Seminario dov’era precedentemente la sede vescovile. Percorse diligentemente tutta la diocesi, fino a quando la Rivoluzione francese lo destitui poco prima della morte avvenuta il 1 ottobre 1797. Nel 1802, le armi francesi, occupata le terre di Nizza, Monaco e Dolceacqua, spinsero papa Pio VII° a smembrare la diocesi ventimigliese delle parrocchie sotto la loro giurisdizione.

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1776     Scavando le fondamenta del monastero Lateranense, si rinveniva una medaglia dell’imperatore Giustiniano.

1778     Era rifatto il tetto al Monastero lateranense ed alcuni restauri in Cattedrale.

1779     In marzo, a Genova veniva eletto Doge Giacomo Maria Brignole.

Nel giardino delle monache Lateranensi  venivano ritrovate alcune monete d’oro d’imperatori romani.

1780     Sul Colle di Tenda  veniva aperta una  strada carrozzabile,  servita da una osteria rifugio, chiamata “A Ca’ “.

1782     Il febbraio, gelata dei frutteti.

Iniziavano i lavori per allargare la strada del Colle di Tenda, fino a Breglio.

L’11 agosto, i Sindaci della comunità di Ventimiglia e di quella degli Otto Luoghi, giungevano ad un accordo per il completamento della fabbrica del Ponte.

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Con l’intervento di manodopera da parte della Comunità degli Otto Luoghi, venne resa possibile la definizione dell’importante struttura pontile sulla Roia, costruita con un arcata aperta per facilitare l’accesso dei bastimenti al ricovero portuale, che viene tramandato potesse essere di fronte a Roverino, ma più semplicemente, sarebbe stato ubicato all’altezza dell’attuale ponte ferroviario sulla Roia.

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1783     Il 5 febbraio, un terribile terremoto sconvolse la Liguria.

1784     Sul Colle di Tenda, veniva iniziato il traforo incompiuto di quota metri 1450, tra La Panice e la Ca’.

 

1787     Il 27 agosto, il vescovo Clavarini convertiva in canonicato la pingua cappellania laicale della Trinità, investendone il proprio Vicario generale, GioPaolo Orengo, proto notato apostolico.

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Con quella della Trinità, le cappelanie trasformate in canonicati dal vescovo Clavarini erano salite al numero di dodici.

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In dicembre, gelata degli agrumeti e dei limoni.

1788     Il 14 novembre, a Perinaldo, moriva Gian Domenico Maraldi.

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Nato a Perinaldo il 17 aprile 1709, diciottenne, era chiamato all’Osservatorio di Parigi, in compagnia del cugino Giacomo Cassini. Realizzava la “Descrizione trigonometrica della Francia” prelusiva della grande carta geografica, redata dal cugino, conosciuta come “Carta del Cassini”. Nel 1733 veniva accolto nell’Accademia di Francia. Nel 1770, per i postumi di una grave malattia, ritornava a Perinaldo, dove allestiva un piccolo osservatorio. Continuò a lavorarvi per ben 18 anni, tenendo rapporti costanti con i grandi di Francia: Lavoisier, Bailly.

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1789     Avevano termine i lavori sulla strada del Colle di Tenda, fino a Breglio, che era così diventata una vera carrozzabile, fino a Nizza.

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Il futuro Presidente degli Stati Uniti d’America Thomas Jefferson, allora ambasciatore a Parigi; in un suo viaggio nel Sud della Francia, l’anno precedente, passando da Ventimiglia annotava:”… qui raggiungemmo il Fiume Roia che dopo aver ricevuto la acque del ramo su cui sorge Sospello (Bevera) conduce al mare a Ventimiglia. La Roia è larga circa dodici iarde, e abbonda di trote maculate. Se si facesse una strada da Breglio lungo la riva della Roia fino a Ventimiglia si potrebbe convogliare il commercio di Torino verso questo luogo, piuttosto che verso Nizza, perché si eviterebbe almeno la metà delle difficoltà del passaggio”.

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1790     Grande gelata di agrumeti.

A San Bernardo/Seglia si celebrava la Candelora, come festa patronale. La chiesetta serviva anche la “comarca” dei Boi.

In giugno, transitava il delegato papale, espulso da Avignone che entrava nello Stato francese.

1791     L’ordine dei magnifici otteneva di far riconoscere i titoli nobiliari dalla Repubblica genovese ed il commissario Girolamo Durazzo, con poteri straordinari, ascriveva alla ormai sparuta casta dei nobili le famiglie di certi: Alberti, Biamonti, Gibelli, Aprosio e Lanfredi.

1792     In febbraio, nevicata e gelata dei frutteti.

Il 2 marzo, nasceva Andrea Biancheri, imprenditore, produttore d’olio e spedizioniere. Amico di Giovanni Ruffini. Padre del Presidente della Camera.

Il 30 maggio, al di là del Varo, si costituiva l’armata del Mezzogiorno, che a fine giugno fece una dimostrazione nelle acque di Nizza, occupando l’entroterra.

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Dalla Francia, immersa nella Rivoluzione, giungevano nella città savoiarda di Nizza numerosi fuggiaschi. Si trattava di nobili, militari e sacerdoti. Questi ultimi raggiunsero il numero di 1200. Tutti tramavano per poter tornare in patria, mentre le autorità sarde non riuscivano a contenere le numerose risse che si verificavano tra i fuoriusciti di idealità contrapposte.

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Le notizie sull’armamento dei Francesi, suggerirono alla Repubblica Ligure di indire opportune “Coscrizioni di Leva”,

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Il 75% dei Coscritti, visitati nei Distretti costieri liguri dal 1792 al 1799, erano di altezza inferiore al metro e mezzo e di fattezza minuta.

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Sospello, occupata dalle truppe repubblicane, fu attaccata e conquistata dal corpo sardo comandato dal generale Saint-André.

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I Francesi si impadronirono di Chembéry ed allora, preoccupato per la difesa del Piemonte, il re di Sardegna fece ritirare il contingente militare nizzardo sul colle di Tenda, lasciando Nizza in mano ai francesi, mentre nell’Alta Tinea e nella Vesubia si organizzavano ardite bande di “barbetti”, che stancavano i francesi con la guerriglia. Questi non riuscirono a superare la guarnita fortezza di Saorgio.

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Il 15 dicembre, le truppe rivoluzionarie applicarono la Convenzione anche al Principato di Monaco, dichiarando decaduti i Grimaldi. Il Palazzo era stato adibito ad Ospedale.

1793     Il 19 gennaio, a Monaco, Mentone e Roccabruna si proclamava la Repubblica provvisoria, con una Commissione Nazionale.

Il 31 gennaio, la Francia rivoluzionaria, in guerra con il Regno di Sardegna, si annetteva la Contea di Nizza.

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La presenza in Nizza dei giacobini Cristoforo Saliceti ed Augustin Robespierre metteva in moto una centrale propagandistica rivoluzionaria indirizzata verso la Riviera ligure.

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L’11 febbraio, le truppe francesi del generale Biron con manovra d’aggiramento riuscirono a costringere gli austro-sardi ad abbandonare Sospello impegnando le restanti truppe sulla linea verso Saorgio, con scarsi risultati.

Il 14 febbraio, Parigi decretava l’annessione del Principato di Monaco alla Francia, incorporandolo nel Dipartimento delle Alpi Marittime.

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Dopo l’esperienza popolare della Repubblica rivoluzionaria monegasca, il governo di Parigi passava a vie di fatto, esautorando e scacciando i Grimaldi e cambiando il nome del principato in Porto Ercole. L’annessione comprendeva Mentone e Roccabruna, ancora parti integranti del principato medesimo. Tra i primi provvedimenti, messi in atto dai nuovi governanti, avvenne l’abolizione degli Statuti sulla coltivazione dei limoni; che rendevano liberi i contadini di praticare coltivazioni a loro gradimento, anche se molti agricoltori mentonaschi avrebbero preferito il dismesso assetto.

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Durando l’azione disturbatrice delle bande di barbetti, i Francesi inviarono un corpo di spedizione speciale agli ordini di Massena, per neutralizzarli definitivamente.

La chiesa pievana di Airole era eretta in prevostura.

Ancora importante gelata negli agrumeti.

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Il commercio risentiva delle gelate, ma si ricominciava. Veniva richiamato in vita il “Magistrato dei limoni”, perfezionato ed arricchito di nuovi capitoli. Puntualmente subentrava il mercato nero. Mentre in Mentone il Magistrato vigilava e riusciva a far fronte  alla sempre più crescente esportazione via mare dalla Sicilia, in Ventimiglia si lasciava I’avviato commercio in mano ai singoli produttori; i limoni dell’Olignana e della vaI San Bartolomeo venivano portati in Mentone a prezzi ancora remunerativi, mentre i produttori di Bordighera si immettono sulla piazza di San Remo, regolamentata e frequentata dai mercanti delle Fiandre e dell’Inghilterra.

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La Convenzione nazionale francese arrestava il principe di Monaco, Onorato III, che morirà nel 1796, appena liberato.

1794   Il 5 aprile, giungeva in città il generale francese Arena, che annunciava l’entrata di un corpo d’armata al comando del generale in capo Dumerbion, coadiuvato dal nizzardo Andrea Massena e da Napoleone Bonaparte, diretto ad occupare le savoiarde Oneglia e Loano.

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I generali Massena e Bonaparte vennero ospitati dalla marchesa Teresa Doria nella casa avita, in piazza della chiesa, a Dolceacqua; dove Napoleone assaggiò il vino Rossese, tanto gli piacque che in seguito se ne farà inviare una certa quantità a Parigi. I giorni 6 e 7 aprile, Massena e Bonaparte furono ospiti dei Maraldi, a Perinaldo.

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Il giorno 6, un pugno di armati guidati dal medico brigasco Rusca, in quell’occasione col grado di capitano, sconfinati nei territori genovesi, percorsero la Val Nervia per sorprendere alle spalle la munita fortezza savoiarda di Saorgio, che sarebbe caduta senza colpo ferire, il 28 aprile.

 

DOLCEACQUA FRANCESE  -

IL MARCHESATO DEI DORIA ANNESSO AL DIPARTIMENTO ALPI MARITTIME

 

I Francesi occuparono Dolceacqua, annettendo alle Alpi Marittime i territori con Rocchetta, Isolabona, Apricale e Perinaldo, parte integrante del Marchesato Doria. Dolcecacqua era capoluogo di Cantone.

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Il territorio di Dolceacqua, già appartenuto ai Doria, trovò annessione francese col territorio di Oneglia, dove il commissario francese Filippo Buonarroti, esule toscano, favorì la raccolta di molti esuli giacobini provenienti da tutta Italia e lo promosse quale centro di propaganda ed organizzazione rivoluzionaria verso tutta la penisola.

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Il 27 aprile, al Passo di Collardente, le truppe piemontesi del conte Radicati ebbero la peggio durante un violentissimo scontro con la fanteria francese del generale Massena, ma contrattacarono e costrinsero i francesi a desistere. Quattrocento morti, durante queste operazioni, trovarono sepoltura in Pian delle Fosse”, davanti a Cima Marta, da parte dei valligiani. “Cian d’ê Fosse” era toponimo esistente già nel 1280.

Il giacobino Filippo Buonarroti si insediava ad Oneglia, in qualità di commissario dei territori occupati, dirigendo l’amministrazione temporanea di tutta la Riviera.

Il 7 maggio, le truppe francesi entrarono in Tenda.

Il 27 luglio, con la fine del Comitato di Salute pubblica giacobino, cambiarono anche i sistemi amministrativi dei territori occupati.

Il 6 novembre, una barca approdava a remi nella darsena della Roia, portando, in fuga da Nizza, il conte Lascàris Ventimiglia di Castellaro e Peille, ospitato in Ventimiglia dai fratelli Massa.

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Alla foce della Roia, dunque, protetto dai bastioni di Porta Marina, un piccolo lago artificiale fungeva da darsena per la nostra città, ospitando barchi commerciali di qualche stazza, secondo quanto è visibile da una nota stampa settecentesca.

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1795     Il 13 marzo, da Giovanni Antonio, nasceva Giuseppe Secondo Aprosio, sacerdote e poeta, che pubblicherà “L’Atenaide” ed altri saggi stampati in Genova, nel 1841.

Battendo le truppe francesi presso Cesio, gli austro-sardi scacciarono i rivoluzionari da molti dei territori occupati, inseguendoli fino all’estremo Ponente.

Al Passo della Cupeira, presso Borghetto, i paesani attaccarono i fuggiaschi francesi per rivalsa dei danni da questi provocati durante il passaggio verso Oneglia.

Perinaldo diventava capoluogo cantonale, nelle Alpi Marittime, “soffiando” il titolo a Dolceacqua.

Il 24 novembre, a Loano, le armate francesi guidate da Scherer, Massena e Serrurier sconfiggevano l’austriaco Colli, togliendogli artiglieria e carreggio. L’Austria mandava in campo il generale Beaulieu.

1796     Il giorno 27 marzo, nel quartier generale di Nizza, Napoleone Bonaparte, nominato comandante dell’Armata rivoluzionaria d’Italia, passava in rassegna le malconce truppe francesi.

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Dopo Loano, gli ottocentomila uomini dell’esercito francese, demotivati da quattro anni di costante impiego, coi ranghi ridotti a metà di quelli assegnati, erano utilizzabili per un’ulteriore metà, pari a 37.600 uomini; contro le coriacée armate dell’austriaco Beaulieu. Il Direttorio aveva ordinato a Napoleone di blandire Vittorio Amedeo III di Sardegna, per distoglierlo dall’alleanza con l’Austria, mentre il Bonaparte decise di attaccare gli austro-sardi sui passi alpini tra Cuneo e Ceva, nell’intento di occupare Carcare, cerniera dello schieramento austriaco.

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Il giorno 3 di aprile, Napoleone, Comandane in capo della Campagna d’Italia, passava con le sue truppe per la nostra città, con l’intento di attaccare gli austro-sardi il giorno 15. La data è ricordata sulla lapide di Porta Canarda. Il giorno 5 giungeva ad Albenga.

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Il 12 aprile, novemila effettivi, mille dei quali privi di armi da fuoco, guidati da Le Harpe, attaccarono Cairo Montenotte, sorprendendolo sguarnito. Massena aggirò i seimila fuggiaschi disarmandoli e conducendoli seco nell’occupazione di Carcare, avvenuta con tre giorni d’anticipo. Serurier occupò Mondovì prima del giorno 21. Per evitare l’avanzata francese su Torino, le truppe sabaude di Colli chiesero un armistizio a Cherasco, il 28 di aprile. Il trattato assicurava alla Francia: la Savoia, Tenda e Breglio, oltre al passaggio delle truppe francesi sui territori piemontesi. Si racconta che Napoleone, di passaggio per raggiungere Cairo, pernottasse  a Dolceacqua, dove gradiva il vino Rossese servito dal duca Doria, il quale promise al Generale di fargliene pervenire alcune botti a Parigi; e così fece.

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Tra il 6 ed il 9 maggio, le truppe francesi passarono il Po, a Piacenza, dirette alla conquista di Milano.

Un colono roverinasco donava al cappellano della Cattedrale un appezzamento di terra per l’edificazione dell’oratorio Natavità di Maria, in Roverino.

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In occasione delle sue nozze con Paolina Bosio, roverinasca, Francesco Abbo “Françé u librà”, di anni ventuno, metteva a disposizione un ristretto appezzamento  di terra per edificarvi un oratorio, in memoria dei genitori. L’anno successivo, l’oratorio è già funzionante col titolo di Natività di Maria, con ricorrenza all’otto di settembre. Fin dal 1790, il vescovo Clavarini aveva decretato il servizio regolare in Roverino, che non disponeva però di oratorio. Verrà ampliato nel 1877,

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1797     Nei primi giorni dell’anno, venivano fuse due campane nuove per il campanile della Cattedrale.

Nel maggio, la rivoluzione scoppiata in Genova trovava seguaci nelle Riviere. Ventimiglia mandava deputati in Genova per aderire.

Il giorno 2, con un banchetto dato nel convento di san Francesco, mentre il giorno 14, nel corso di un corteo celebrativo, la cittadina Margherita Boeti non disdegnò di prestare le sue belle forme per rappresentare la Libertà, raffigurata a seno scoperto.

Il 20 maggio, si cancellavano i segni della nobiltà, il 22 veniva piantato l’Albero della Libertà. Anche a metà giugno, il 2 ed il 14 luglio, si festeggiarono i rivoluzionari.

Il 22 maggio, il Direttorio parigino erigeva in Genova la Repubblica Ligure, sorella di quella francese. Ventimiglia veniva eretta a capoluogo del Distretto della Roia, una delle ventotto giurisdizioni in cui era stata divisa la Repubblica Ligure e veniva diretta dal cittadino Gaspare Saoli.

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Al distretto vennero assoggettati i comuni di Penna, Bevera, Airole, Soldano, San Biagio, Bordighera, Vallebona, Vallecrosia, Borghetto e Sasso, che vantavano una popolazione di 10.401 abitanti. Ospedaletti, Coldirodi e Baiardo facevano parte del Distretto delle Palme, con capoluogo San Remo.

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Il 5 giugno, a villa Grivelli di Mombello Monferrato, la Deputazione genovese incontrava il generale Bonaparte per discutere un nuovo ordinamento della Repubblica Ligure, con una Costituzione sul tipo di quella francese.

 

REPUBBLICA  LIGURE  FILOFRANCESE

VENTIMIGLIA CAPOLUOGO DEL DISTRETTO DEL ROIA

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Il commissario Saoli chiamava a consiglieri il medico De Carli ed il negoziante Nicolò Abbo.  Si procedette poi all’elezione dell’amministrazione centrale del Distretto, nelle persone di: Bartolomeo Buonsignore, Giobatta Rossi, Antonio Rossi, il medico Biamonti e Domenico Biancheri. Il canonico Filippo Viale veniva retto a giudice di pace, l’avvocato Pietrantonio Aprosio a giudice del criminale e l’avvocato Luigi Noaro a giudice civile. Esistevano altri due Giudici di pace, di seconda categoria, uno per Bevera e un’altro ad Airole.

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Il 7 luglio, considerando la schiavitù personale contraria ai diritti dell’uomo, tutti gli individui barbareschi, detenuti nelle galere della Repubblica, saranno restituiti alla loro piena originaria libertà.

Negli ultimi giorni di agosto, nelle acque di Ventimiglia, un corsaro barbaresco con vela latina a mezzo e trevi a prora aveva predato un bastimento napoletano.

Il 19 settembre, un battaglione di milizia civica riceveva con gli onori i commissari Sebastiano Biagini e Tomaso Repeto, presso il torrente Verbone.

Terminati i convenevoli gli stessi militi proseguirono per Bordighera, dove arrestarono il parroco Bartolomeo Moraglia, dichiarato nemico della costituzione.

Poco dopo vennero ancora arrestati: un nipote del vescovo, il cappellano di San Bartolomeo ed i giudici Filippo Viale e Pierantonio Aprosio.

Il giorno 20, i due commissari entrarono in città accolti da grandi feste. Fu loro cura immediata costringere il vescovo alla pubblicazione di una pastorale, come avevano già fatto i vescovi di Albenga e Savona, per calmare la popolazione sugli interventi d’ordine religioso.

Il vescovo Clavarini, ormai ottuagenario, si rifiutò di collaborare, per cui il giorno 27 settembre gli vennero applicati gli arresti domiciliari, oltre alla sospensione dell’esercizio pastorale.

In qualità di vicario venne nominato il cittadino Carlo Giuseppe Viale, canonico primicerio, imposto a tutti gli ecclesiastici del Distretto.

Il 1 ottobre, affranto dai patimenti e dall’asma, si spegneva il vescovo Clavarini, generando vivo dolore tra i cittadini, che gli dedicarono solenni funerali.

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Il Biagini era stato frate, mentre il Repetto prete, invece il nuovo vicario Viale prima di abbracciare il sacerdozio aveva vissuto romanzesche avventure, oltre ad essere stato marito e padre. I commissari non ottennero però il consenso del governo genovese che li richiamò, lasciando la città ed il Distretto nelle mani della famiglia Viale, la quale era erede di un rinomato studio notarile da generazioni, ma non era mai riuscita ad entrare nel ceto dei Magnifici, propendendo cosi per il partito dei popolari, ora che primeggiava. Il canonico Giuseppe era dunque vescovo; il fratello Paolo sostituiva il giudice Aprosio, un’altro fratello Giobatta era cancelliere della Curia civile. Sebastiano Gibelli, comandante della Guardia Nazionale e rappresentante del popolo era genero del vescovo, mentre Bartolomeo Buonsignore, suo cognato, veniva eletto membro dell’amministrazione distrettuale.

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Il 26 dicembre, venivano indette le elezioni per l’amministrazione comunale che Alessandro Galleani seppe condurre a favore dei Magnifici, facendo eleggere presidente il nobile Nicolò Fenoglio e segretario il conte Nicolò Orengo di Roccasterone.

Le elezioni si erano svolte nella Cattedrale. Appena si proclamò il risultato, Paolo e Diego Viale zio e nipote, rovesciarono il banco degli scrutatori e dichiarando le elezioni nulle perché il Fenoglio e l’Orengo erano naturalizzati piemontesi. Nel tumulto che ne nacque i Viale ebbero la peggio e si rinchiusero in casa, mentre qualcuno era andato in cerca di soccorsi.

Domenico e Giobatta Biancheri organizzarono un buon numero di armati a Camporosso, ma vennero fermati e battuti presso la porta sul ponte della Roia. Venne anche arrestato il pseudo-vescovo Viale, che s’era rifugiato nel convento di Sant’Agostino, mentre erano saccheggiate le case del comandante Gibelli e del notaio Pietro Viale.

Verso la fine di dicembre, i prigionieri erano tradotti a Genova, trattati come malfattori e scortati da duecento militi al comando di Alessandro Galleani

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Il Galleani, già capitano dell’armata di Condò, si era segnalato nelle file dei Viva Maria in Genova ed aveva numeroso seguito in città perchè contava sui popolani del villaggio di Torri e delle campagne circostanti.

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1798     Il 4 gennaio, le elezioni causarono una serie di sostituzioni al vertice del Distretto.

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Alessandro Galleani veniva eletto comandante delle Forze Armate; Antonio Galleani comandante della Guardia Nazionale, sostituito poi da Sebastiano Gibelli. Giacomo Aprosio cancelliere del civile, Gaetano Amalberti copista presso la Centralità, mentre a giudice del criminale veniva eletto Giuseppe Balaucco di Bordighera.

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In gennaio, le bestie bovine venivano contagiate da un’epidemia già diffusa in Piemonte, mentre il pane veniva calmierato.

Veniva istituita l’importante Fiera dell’equinozio di primavera.

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Ventimiglia, tornata ad essere capoluogo di un vasto entroterra, concepiva l’importanza del proprio ruolo, o forse, furono le autorità francesi a gestire di fatto queste necessarie iniziative.

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Il 5 aprile, il Direttorio del Governo ligure decretava la requisizione degli ori, degli argenti e tutte le gioie di chiese, conventi ed opere pie, per rafforzare la Tesoreria Nazionale.

Il giorno 8, tra malumore e disordini il commissario Gandolini eseguiva la requisizione.

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Dalla Cattedrale vengono tolti sei candelabri di argento massiccio, mentre si dovette riscattare in contanti il busto e la cassa argentei del patrono san Secondo. Fu molto dolorosa l’asportazione, eseguita dal padre Semini, dei preziosi manoscritti e degli incunaboli della Biblioteca Aprosiana, che ancor oggi sono conservati a Genova.

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Ai primi di giugno, il comandante francese Langlade chiedeva rinforzi per proteggere Oneglia dall’attacco dei savoiardi.

Il comandante Gibelli partiva con cinquecento volontari, ma faceva ben presto ritorno sconfitto dai sardi già a Porto Maurizio.

Nella prima metà del mese di luglio, un nuovo ordinamento riduceva a venti i ventotto distretti liguri e Ventimiglia col suo Distretto entrava a far parte della Giurisdizione delle Palme, con capoluogo San Römu.

 

VENTIMIGLIA  NELLA  GIURISDIZIONE  DELLE  PALME

 

1799     Dopo il Ferragosto, transitava per Ventimiglia Ugo Foscolo, in fuga verso Nizza, dopo i fatti d’arme del Trebbia e di Novi.

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Dall’antico ponte volgeva lo sguardo verso l’orrida vallata della Roia che descriverà così bene ne: Le ultime lettere di Jacopo Ortis”.

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Dalla Toscana, “liberata” dalle truppe rivoluzionarie, venivano inviati a Monaco, in soggiorno obbligato, un centinaio di toscani, ostaggi della Rivoluzione.

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Il senese Lorenzo del Riccio, parroco di San Martino, tenne un diario della sua “prigionia” monegasca; dove tra l’altro descrive il costume di tenere la latrina presso le case, in attesa di portarla in campagna come concime.

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L’11 maggio, essendo la strada litoranea da Genova a Ventimiglia gravemente infestata da masnadieri, i quali non si contentavano di spogliare i poveri viandanti ma giungevano fino a trucidarli, la Commissione invitava le Giurisdizioni a provvedere.

Il 30 luglio, Bordighera dava notizie di attacchi da parte di naviglio turco-barbaresco.

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Due fregate ed un Brich inglesi nella notte di venerdì al Sabbato p.p. hanno predato sulla rada dell’Arma una Tartana Ligure carica di vino, e ne hanno obbligato un’altra ad arenare; quindi nella notte seguente hanno preso sulla spiaggia di San Römu un Brigantino francese ed un Ligure”.

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Il 1 giugno, la Repubblica Ligure attestava la scarsità di viveri della Comunità ventimigliese, in presenza di truppe francesi sul territorio.

Il 19 ottobre, il ministro dell’interno riproponeva lo sgombro dei frati Agostiniani.

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La Repubblica Ligure intimava alla poco zelante Municipalità di Ventimiglia, circa l’evacuazione del convento dei Conventuali: “… cessi questo scandaloso disordine, che si sgombri da frati il convento, si vendano li mobili e gli argenti impegnati ...” .

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Il 9 novembre, a Parigi, con il colpo di stato del 18 brumaio, varata una nuova Costituzione, Napoleone Bonaparte si autoproclamava Primo Console della Repubblica, cingendosi ad attuare nel corpo della nazione profonde riforme.