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Cinquecento  precario

 

P I R A T I

BARBARESCHI

 

 

    Caduto il 29 maggio 1453, per mano dei Turchi Ottomani, l’Impero Bizantino lasciò in mano Islamica tutto il Mediterraneo Mediorientale e la costa africana. All’inizio del Cinquecento, il Solimano attaccò anche i possedimenti veneziani orientali; mentre Genova era da più di un secolo dominata dal Regno di Francia e dai Duchi di Milano.

    Da quando nell’estate del 1508, corsari tunisini saccheggiarono le valli del Dianese, prive di rivali sul mare, flottiglie di pirati Barbareschi, comandate da Khair-ed-Din, il Barbarossa e da Dragut, provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente, presero ad attaccare sistematicamente le coste liguri.

    Questi ed altri motivi spinsero Andrea Doria a servire Carlo V, che, nel 1528, permise una qualche restaurazione della Repubblica genovese. Un gruppo di “Riformatori” stese una nuova costituzione, mentre gli armati genovesi interravano il porto di Savona, controllando la città, con l’edificazione del Priamar.

    La Repubblica rese ancora più importanti gli “Alberghi”, elenchi di famiglie nobili, riconosciute dal governo. Questo vezzo si diffuse su tutto il territorio ligure, indebolendo le amministrazioni delle città costiere e la loro reazione agli attacchi barbareschi. Fino al 1509, il predone Kurtòg Alìn dalla sua base di Biserta, era il più attivo, lungo tutta la costa.

Dopo l’aggressione alle Valli Dianesi, Genova si rese conto di non aver mantenuto adeguatamente il servizio di controllo del territorio, eseguito dalle torri di avvistamento, che erano presenti lungo tutta la costa, fin dalle incursioni saracene del X secolo. Questi torrioni, chiamati “fařodi”, che avvistandosi tra loro, potevano inviarsi segnalazioni, accendendo vistosi fuochi al loro culmine.

    Convinse le comunità a riorganizzare il servizio di custodia e di guardia, a loro spese; obbligando persino al potenziamento di punti d’avvistamento, con la costruzione di nuovi torrioni, sulla base delle variazione abitative, avvenute in quei cinque secoli.

Vallecrosia dovrà provvedere alla edificazione del Torrione, aiPiani. Bordighera completava le proprie mura, elevandole fino a sette metri, ma ha dovuto costruire la Torre dei Mostaccini e quella del Beraldi, a Sapergo, per ottenere continuità ottica con gli avvistatori dei borghi nelle vallate. Ospedaletti costruì la torre a Levante, mentre Coldirodi, privo di mezzi per dotarsi di mura, verrà assalito e depredato.

    Intanto, per vie terrestri, le truppe di Maometto II attraversarono i Balcani, giungendo alle porte di Vienna, nel 1541. Toccata da questa presenza, la Repubblica di Venezia, coinvolse papa Pio V nella creazione di una Lega Santa, fra i cristiani.

    Dal 25 maggio 1571, una imponente flotta, che riuniva le forze di Spagna, Papato, Impero e Venezia, comandata da Giovanni d’Austria, fratello del re spagnolo; fece rotta verso il golfo di Lepanto.

    Il 7 ottobre, dandosi battaglia da mezzogiorno al tramonto, le duecentotrentasei navi cristiane, batterono le duecentottantadue navi turche comandate da Capudan Alì Pascià.

Il Mediterraneo occidentale tornò nuovamente ad essere un mare più o meno sicuro.

 

 

ODISSEA DI UN GIOVANE PIRATA

di Nino ALLARIA OLIVIERI

    In chiara e intelligibile esposizione tre atti di abiura, conservati nell’Archivio della Curia, datati all’anno 1571, narrano, sotto dettato dell’interessato, le mille peripezie incorse durante la prigionia e le vicissitudini di aiuto corsaro.

    Protagonista è Benedetto Martini, cittadino di Ventimiglia, abitante in Bevera, figlio di Domenico e di Domenica che così narra al Vescovo e agli inquisitori in atto di essere riammesso alla fede cattolica.

    Era il 24 agosto 1523, quasi a notte inoltrata, una galea turca cala l’ancora a due miglia dalla baia di Latte; dalla Mortola gli uomini dei rastrelli, intenti alla guardia, non pensano a sorprese ne immaginano la presenza di una nave turca corsara.

    I corsari, calati alcuni “Burchielli”, a forti remate toccano terra; con il favore della notte si arrampicano al Passo e da qui ripiegano verso Bevera. Trascorrono la notte nel casolare dei frati in attesa dell’alba e a giorno scorrazzano per i campi depredando cose, bestiame e persone.

    Martini e alcuni compagni sono intenti al lavoro nella campagna “fuori le mura, denominata Roberto”, terra di proprietà del Matteo Orengo. Ha appena 14 anni; con lui ad un tiro di archibugio è la madre che, alla vista e alle grida dei corsari, fugge e si nasconde. Benedetto viene fatto prigioniero e con lui altri tre uomini. Maltrattati, legati, a passo da corsa vengono condotti in Latte e avviati sulla galea.

    Al Vescovo Grimaldi, a cui aveva chiesto la riammissione nella Chiesa Cattolica, voglioso di conoscere tutti i particolari, non sa rispondere a molti particolari “perché gli anni passati e il molto soffrire me li hanno scordati”.

    Ricorda che dopo un lungo pellegrinare di isola in isola, da porto a porto, giunse nel Luogo di Algeri e in un giorno “di mercato posto in vista è comperato ad alto prezzo perché in giovane età” dal pirata Carolai “in una lunga corsa di pirateria” in cui “annoverato tra la ciurma dei pirati”, lo sbarcò sul mercato di Costantinopoli.

    Un duro uomo, di cui non ricorda il nome, lo comprò: “era piaciuta la mia persona e il mio parlare arabo”. Iniziano i guai, continue mi­nacce e, fustigazioni, per­cosse e ultima umiliazione la costrinse ad abiurare la fede cristiana e ad aderire “alla falsa fede di Maometto”.

    Dirà al Vescovo e ai due inquisitori che in “cuor mio sempre amai Dio, la sua chiesa e pregai con la mente che per grazia mi facesse far ritorno a Ventimiglia”.

    Nel mese di dicembre del 1571 Benedetto è ricomprato dal pirata Carolai: parla ormai la lingua turca al pari di uno del luogo, legge il Corano; Carolai lo chiama a suo interprete per la puntata sull’Isola di Corfù. Gli viene affidato il comando di un gruppo di pirati che scendono a terra “per far razzia di carne”.

Benedetto pensa essere un’ottima occasione per darsi alla fuga. Lascia i turchi, si avvicina alle mura della fortezza, incontra un folto gruppo di cavalieri templari, custodi dell’Isola, pronti a combattere contro gli odiati invasori.

    Dirà al Vescovo Grimaldi: “mi lanciai a grande passo verso li detti cavalieri che vistomi in bianca carne e non di stirpe turchese, con bontà e buon tatto mi fecero prigioniero”.

    Trascorre tre mesi prigioniero alla fortezza e, quando approda in Corfù la trireme dell’Ammiraglio Principe Nicolò Doria, Benedetto viene ceduto al Capitano. Era, questi “un uomo saggio genovese, dal quale ben presto con i miei servigi potei riscattarmi e, sopra di una nave della Santa Lega, feci ritorno nella mia patria Ventimiglia”.

    Riabbraccia dopo quattro anni i genitori e gli amici, ma suo grande desiderio è di ritornare alla fede Cattolica. Dietro consiglio del rettore Allabena (Allavena) il 1573 presenta richiesta di riammissione alla Chiesa di Roma. Il Vescovo Grimaldi lo chiama presso di sé per udirne la ragione. Il giovane prostrato ai suoi piedi e in lacrime gli narra della sua odissea.

    Il Vescovo ha il dovere di istituire un processo canonico di riammissione, ma colpito dalla pellagra, nomina quale suo delegato il vescovo di Albenga, Negrone, e per regolare proseguo del processo viene affiancato, in qualità di relatori, il Canonico Porro e Giovanni Olignani.

    Per Benedetto inizia il tempo delle prove imposte dalla Santa Sede. Frequenta la Cattedrale, spesso assiste al Coro e ai vespri e ogni giorno sotto la guida degli inquisitori si istruisce nella fede della Chiesa di Roma.

    Nel gennaio del 1574, studiate le relazioni, vagliate e confrontate le deposizioni attuate nelle precedenti inquisizioni, il Grimaldi, per scrupolo di scienza, sente la madre, che prostra­ta ai piedi del vescovo, rifarà, in lacrime, i momenti dell’arresto del figlio.

    Con solenne parato liturgico, la Comunità della Chiesa ventimigliese, iscrive Benedetto “nel novero dei figli della loro Chiesa, per i meriti di Cristo e degli Apostoli Pietro e Paolo”.

Le prove non sono però terminate; “per esserne degno e purificato dovrà (impone la sentenza) ogni venerdì salire scalzo e in preghiera all’eremo di N.S. delle Virtù; ogni quindici giorni portare una piccola offerta sulla feriata di N.S. dell’Aria Auverta; pregare ogni giorno per la salute del Pontefice e del suo Vescovo”.

    Con rammarico dobbiamo dire che di Benedetto resta solo un ricordo cartaceo. Avrà tenuto fede agli impegni? Forse che pellegrinando in vista del mare mai e poi mai avrà avuto nostalgia delle terre lontane, delle bravate turche, dei ricchi bottini e dei canti e del suo pregare rivolto alla Mecca ?

 

NOTA:

1) C’è da distinguere tra Corsari e Pirati. I corsari facevano guerra di corsa, ossia assalivano con azioni belliche, con navi comandate da un capitano autorizzato dal proprio Stato per danneggiare il commercio dei nemici e impedire quello dei neutrali. I pirati erano dei fuorilegge che con atti illegittimi di violenza depredavano e sequestravano navi ed uomini per i loro fini personali.

LA VOCE INTEMELIA anno LIX n. 1  - gennaio 2004

 

 Il Torrione ai Piani di Vallecrosia

 

CINQUECENTO INTEMELIO PRECARIO

1520     Nei primi giorni di gennaio, l’inesorabile crescita della depressione economica non trattenne la Comunità dall’affrontare la ricostruzione del ponte sulla Roia.

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La necessità di costruire il ponte proveniva dal maggior traffico di carri e pedoni lungo la strada litoranea; dovuta alla pericolosità del viaggiare in nave, per la costante presenza di feluche razziatrici in agguato. I pirati turco-barbareschi erano micidiali anche sulla terra, dove operavano numerosissimi sbarchi, ma erano prevedibili perché si annunciavano con la presenza delle navi. L’unico pericolo inevitabile erano gli agguati, su passi obbligati, mentre le feluche erano state nascoste in precedenza, dietro un promontorio lontano. Il pericolo turco-barbaresco durerà fino al 1570, quando la battaglia di Lepanto, distruggendo la flotta turca, liberò il Mediterraneo dalla supremazia navale  orientale. Le scorrerie continuarono, ma assai rarefatte e molto meno incisive.

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In febbraio, Nicolò Porro, ufficiale dell’Annona, proponeva di vendere le eccedenze di grano dei magazzini ventimigliesi, per timore che si deteriorassero.

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Bono e Olignani, gabellotti per la città e Balestra, Siccardi e Lupo per le Ville furono d’accordo di vendere 120 misure di grano ed altrettante di orzi e varie; ma trovarono difficoltà a distruirli in un mercato che tendeva al rialzo, prevedendo future scarsezze. La mensa vescovile riceveva, in decime, da Sospello 240 stare di grano, oltre ad altre di orzi.

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In primavera, la carestia provocò notevoli disagi, smorzati da acquisti di grano, effettuati dalla Comunità a Savona, Genova ed in Corsica.

Nella chiesa di San Francesco, Onorato Lanteri faceva erigere la cappella di famiglia, dedicata ai Re Magi.

Veniva eretta una cappella, la dove in uno speco del colle di Siestro, i Frati agostiniani avevano posto un ritratto, su legno, dedicato alla Vergine delle Virtù.

1521     Il duca di Savoia Carlo III operò la riforma della segreteria, emettendo numerosi provvedimenti monetari, nei suoi stati.

1522     Ventimiglia era afflitta da casi di peste. Il vescovo De Mari dimorava a Finale.

Nel governo di Ventimiglia predominavano i Fregoso e i Doria, contro gli Adorno.

Era principe di Monaco, Luciano Grimaldi, nato nel 1481 da Claudina. Nasceva Onorato Grimaldi.

Nell’assedio di Rodi, si distingueva il ventimigliese Matteo Oliva, Cavaliere Ospitaliere di San Giovanni.

1523     In luglio, GioBatta Doria prevosto di Ventimiglia, procuratore di Agostino Grimaldi per il Priorato di san Michele, annunciava un assassinio (di Luciano Grimaldi) ed improvvise fortune di casa Doria.

Il 22 agosto, a Monaco, Bartolomeo Doria uccideva Luciano Grimaldi, Andrea Doria che incrociava al largo, con la sua flotta, preferiva non intervenire.

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Era disegno di Andrea di occupare la rocca ed infeudare il Principato di Monaco, ma alla notizia dell’assassinio il popolo monegasco insorse e mise a mal partito Bartolomeo, che riesce a fuggire verso la Turbia, da dove raggiunge Sospello e traversata l’Alpetta giunge ad Apricale: Dopo qualche giorno, sentendosi braccato, raggiunge Breglio, nei territori dei Savoia, dove potrà aver salva la vita, dietro giuramento di fedeltà e la cessione di ogni suo possedimento al duca Carlo III. Agostino Grimaldi, vescovo di Grasse, si fa eleggere successore del fratello ucciso, promettendo di vendicarlo. Lo stesso chiede al Parlamento ventimigliese affinché consegni i sicari che accompagnavano il Doria e non avendo ottenuto risposta, stimola il Conestabile di Borbone affinché assalti la città.

La notizia che Bartolomeo Doria partiva da Ventimiglia, per la Francia, via mare, fermandosi poi nella rada di Monaco per effettuare la ferale visita allo zio Luciano, ci consente di stabilire come il porto fluviale nel lago della Roia fosse di nuovo ed ancora operante, almeno per navigli di medio cabotaggio. Questa situazione ci è ancora confermata da stampe e disegni del XVIII secolo che mostrano sartie ed alberi, molto all’interno di Porta Marina.

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Per prevenire colpi di mano da parte dei partigiani dei Fregoso, il Dogato genovese inviava, via terra a Ventimiglia, cinquanta fanti, al comando di GioMaria da Trino.

Il 13 ottobre, il Trino si accampava alla Bastida, con molti uomini di San Römu.

Assalito il Convento agostiniano, ne traeva prigioniero il marchese Stefano Doria, che era partigiano degli Adorno. Spinto dall’interessamento di molti ventimigliesi, il reggente Simone Spinola liberava il Doria, scortandolo al confine con Dolceacqua.

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Con scaltrezza, i ventimigliesi liberarono il Doria, così da poter rinforzare i commerci con Dolceacqua, mentre lo Spinola riusciva ad allontanare gli uomini di San Römu, senza troppi danni. I sanremesi che non potevano passare da Bordighera, dove avevano causato gravi danni, andarono ad imbarcarsi a Monaco, per far ritorno nel loro borgo, via mare.

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In agosto, Agostino Grimaldi abate di Lerina, vescovo di Grasse, interveniva e cercava protezione da Savoia e Francesco I°, per vendicare il fratello.

Agostino Grimaldi occupava Perinaldo e ne distruggeva il castello dei Doria. Poi, era la volta di Apricale, Isolabona e Dolceacqua, dove i castelli sono stati risparmiati.

Il 3 novembre, gli abitanti di Dolceacqua erano a Monaco per giurare fedeltà al loro nuovo Signore, Agostino Grimaldi.

1524     Il 1° luglio, Bartolomeo Doria firmava l’atto di sottomissione al duca di Savoia.

In luglio, Francesco I contrastava Agostino Grimaldi che si affidava a Carlo V, mentre il Duca di Savoia infeudava Dolceacqua a Bartolomeo Doria, togliendo il feudo al Grimaldi.

In novembre, Carlo V inviava il Conestabile di Borbone ad occupare Marsiglia e Monaco, poi il Connestabile si recava a Genova, per difendere il ducato di Antoniotto Adorno.

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Marsiglia resisteva, dando lo smacco al Conestabile, che lasciato l’assedio per recarsi forzatamente a Genova, se la prendeva con Monaco sottomettendolo e con Ventimiglia distruggendone importanti settori.

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1525     Agostino Grimaldi si alleò con la Spagna, che gli impose il protettorato sul Principato di Monaco, fino al 1641.

Papa Leone X annetteva il Priorato di San Michele e di Seborga alla mensa abbaziale di Lerino.

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Da quel giorno la chiesa con tutti i beni dati in enfiteusi a varie famiglie, di cui ultime sono gli Arnaldi ed i Busca dai quali passò nei Rossi, non segnava anno per anno, che nuovi guasti.

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1526     Il Conestabile di Francia, Carlo di Borbone, di passaggio per andare in Genova a debellare la fazione degli Adorno e dei Doria, sollecitato da Agostino Grimaldi, metteva al sacco Ventimiglia, sottoposta al Doria, distruggendo gli archivi del Comune e del Capitolo della Cattedrale, gestito da Gian Battista Doria. Molti edifici parte delle mura, vennero distrutti. La piana di Latte  venne messa a fuoco, dopo aver divelto gli alberi da frutto.

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Agli inizi del XVI secolo, in Ventimiglia erano sorte due fazioni: quella dell’Albergo Grimaldi e l’altra dei Doria di Dolceacqua. Entrambe le fazioni riuscivano, nell’arco di un ventennio a sollevare il popolo alternativamente. Dopo la congiura monegasca i Doria dovranno abbandonare la nostra città.

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1527     Agostino Grimaldi, otteneva dal Borbone di presidiare il castello di Penna, mentre Genova avrebbe voluto avere Monaco ed il suo porto, dando al Grimaldi: Ventimiglia con i luoghi di Castelfranco e Bajardo.

Si provvedeva al restauro del Chiostro delle canoniche, presso la Cattedrale.

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Il canonico Giauna commissionò ardesia a Pigna per eseguire i davanzali, perché più resistente; a Torri fece prelevare le lastre per la copertura del tetto, perché più leggera.

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GENOVA  COSTITUITA  A  REPUBBLICA

    Con il ritorno al sistema aristocratico, dove il Doge era condizionato da Censori, lo Stato ligure, che comprendeva buona parte dei territori costieri dalla Lunigiana a Ventimiglia, veniva incluso nel sistema politico degli Asburgo, per scelta di Andrea Doria, il quale lasciava Francesco I per mettersi al servizio di Carlo V e della Spagna.

 

1528     I legali “Reformatores” del Dogato genovese in Repubblica emendarono la costituzione genovese, che durerà in vigore fino al 1797, soltanto in parte modificata nel 1576.L’Ufficio delle Virtù emanava divieti per famigli, fantesche e schiavi.

La Repubblica genovese si dotava di una “Rota”, tribunale civile e criminale, composto da loggisti forestieri ed un priore.

Il 10 agosto, a Madrid, convenzione tra Andrea Doria e l’imperatore Carlo V, che garantiva la piena indipendenza e la sovranità della Repubblica di Genova: oltre alla liberalità commerciale.

La magistratura dei Sindicatores, creata nel 1403 ed allora in pieno svolgimento, era diramata in ordini: supremi, maggiori e minori.

Il 12 dicembre, essendosi manipolata in Genova una nuova nobiltà, si vollero distribuiti in ventotto alberghi i nomi di coloro, che per natali, per ingegno e ricchezze fossero meritevoli di aspirare al governo.

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Per rafforzare la casta dei nobili, agli “alberghi” vennero ammessi molti popolani, disponendo che venissero esclusi dal governo tutti quelli che non vi fossero ascritti. Tale ordinamento, base della più raffinata oligarchia, si mantenne in vigore circa tre secoli, fino alla Rivoluzione francese. Ventimiglia vide ascrivere all’albergo D’Oria: la famiglia De Giudici, la Sperone, la Genzano e parte della Galleani; al Grimaldi: la Oliva e la Lanteri, al Lomellino: la Porro, al Pinelli: la Aprosio, al Cattaneo: la Riccobono, al Promontorio: la Massa ed al Fieschi: parte della Galleani. Scimmiottando quanto si andava facendo in Genova, si stabiliva, «che vi fosse somma et rigorosa separatione della nobiltà dal populo: che niuno potesse essere priore di consiglio, se non fosse ascritto all’ordine dei magnifici; che fosse vietato ai popolani di abitare nella via principale detta di piazza dove abitano i soli magnifici; che il locale detto loggia fosse unicamente destinato per trattare dei negozi e per essere convegno di passatempo ai magnifici: che i magnifici ammessi al governo avessero un trono in chiesa con più gradini, e nell’entrare del vescovo essi non fossero obbligati di salutarlo che piegando leggermente il capo».

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In una cappella ricavata nel perimetro Battistero, veniva sepolto il canonico della Cattedrale Jacopo Grosso, di San Römu.

1529     I Genovesi apprestarono una generale revisione delle strutture fortificate, specie delle città costiere, per far fronte alle armate francesi.

Per il restauro delle mura la città spendeva 3.240 fiorini d’oro.

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Le mura cinquecentesche si rivelarono utili a scoraggiare gli assalti turco-barbareschi, assai frequenti nel XVI secolo. Rivolta verso Francia, Porta Canarda ricevette un opportuno restauro, col rafforzamento dei bastioni e la copertura con tegole della torre. La città aveva sofferto, coinvolta nella guerra franco-spagnola. Le campagne attorno erano devastate e spoglie, costringendo la povera gente all’indigenza. I nobili abitavano in Piazza e frequentavano la Loggia, instaurando l’oligarchia degli “alberghi”. Agostino Giustiniani, negli Annali genovesi rileva che “la popolazione sua fu già molto maggiore di quel che è al presente” e non dedica troppa attenzione a Ventimiglia. Fornisce, però, i primi dati attendibili sulla consistenza della popolazione, purtroppo non confrontabili con dati più antichi, dopo l’incendio degli archivi dell’anno 1526. Erano seicento i fuochi e sull’attività economica scrive il laconico: “i cittadini sono mercadanti e lavoratori”. Lo stesso, attestava a Rocchetta settecento fuochi, mentre ne dava cinquecento a Pigna e cento a Buggio; duecento a Dolceacqua e duecentocinquanta a Saorgio.

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A Carnolese di Mentone, nasceva Tommaso Stridonio, francescano, miracolante, beatificato. Predicatore nella nostra diocesi in un periodo non troppo consono alle virtù.

1530     Il Comune genovese cominciò a chiamarsi “Respublica” sullo Statuto dei Padri e lungo tutte le Riviere. La città capitale cominciò a chiamarsi “Genua”, al posto di Ianua.

Il 18 aprile, papa Clemente VII minaccava scomunica agli illegittimi detentori dei beni mobili ed immobili, scritture e diritti spettanti ai frati eremitani dell’ordine di Sant’Agostino, del Convento della Beata Maria della Consolazione.

1531     La Repubblica genovese rivedeva le leggi suntuarie, controllate dall’Ufficio delle Virtù.

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Concedeva di indossare colletti di seta “pur che non siano di colori cremixinè morèllo di grana né di altro colore rosso, ne foderati di zibellini o lupi cervieri”. Le “camicette” non potevano essere di seta, giamelotto o zarcano, ma semplice tela ... senza ornamenti d’oro o d’argento. Nei banchetti nuziali nessuno aveva facoltà di invitare nel primo giorno più di venti persone; più di dieci nel secondo, nel terzo era proibito invitare. In tale circostanza gli sposi non potevano inviare a nessuno galline ed altri cibi, eccetto ai rispettivi suoceri. Neanche le beghine erano salve:”et perché le geishe sono fatte per orare ... accade che homini e donne non li stanno cum la debita riverentia ... fanno logia e murmurazione si comanda che le donne debbano sempre star allo loro lochi ... non possono ordire più di una messa et quella subito audita tornar a casa loro e non star a zanzarare ne far logia alcuna in giesia”. Le scostumate che mostravano le tette venivano pubblicamente tosate.

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1532     Il Senato genovese chiedeva alle Podesterie della Riviera galeotti per le galée armate contro i Turchi.

Nel timore di attacchi dal mare, ad opera di corsari barbareschi, il Consilium Antianorum Civitatis Vintimilii, chiedeva a Genova di ripristinare e potenziare le vecchie mura fortilizie del Cavo.

1533     Il 7 giugno, i deputati all’Ufficio di San Giorgio pronunciavano un accordo sui nuovi disordini scoppiati tra città e Ville.

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Il lodo dell’Ufficio di San Giorgio stabiliva che il catasto o cottumo degli stabili fosse formato da dodici deputati, sei dei quali eletti dalla città e sei dalle ville, e che il cottumo si computassero quanto pertineva alle Compere di San Giorgio ed alle chiese; che nessuna deliberazione della Repubblica fosse valida senza il concorso di tre quarti dei votanti; che un maestro razionale fosse accordato anche alle ville; e la giustizia potesse essere amministrata nelle ville dai consoli locali fino alla somma di quaranta soldi genovesi; che le ville avessero campari propri che gli alitanti delle ville non fossero obbligati a vendere i latticini solo in città, potendo esitarli a doppio prezzo nei luoghi stessi, e che delle pescagioni di Bordighera, un terzo almeno fosse riservato alle ville.

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La mattina dell’8 ottobre, costeggiava la galera papale “la Capitane”, che portava papa Clemente VII a Marsiglia, dove celebrerà le nozze di sua nipote Caterina con Enrico, duca di Orleans, secondogenito di Francesco I e futuro re di Francia.

La mattina del 23 ottobre, costeggiava il brigantino che trasportava Caterina de Medici a Nizza.

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Giunta a Nizza, Caterina percorrerà la Provenza per via di terra. Giungerà a Marsiglia il giorno 28, quando lo zio, papa Clemente VII, celebrate le sue nozze con Enrico II, futuro re di Francia.

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1534     Il 2 maggio, si ratificava il trattato doganale tra Ventimiglia ed i centri vicini sotto gli auspici del vescovo Filippo De Mari, che veniva nominato amministratore della Diocesi di Nizza.

Molti Valdesi di Provenza sfuggivano ai massacri raggiungendo la nostre coste e le nostre montagne.

1536     Il 20 gennaio, i comuni di Taggia e di Baiardo autorizzavano Giacomo e Paolo Galiardo e Marco Siffredo di Riva a tagliare alberi per costruire navi.

In luglio, trattenuti da una tempesta di mare, si fermano nella nostra città, ospiti della famiglia Oliva, il duca di Savoia Carlo III, con la moglie Beatrice del Portogallo e la loro corte, in viaggio da Milano per Nizza.

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La duchessa Beatrice richiedeva la graziosa figlia degli Oliva, Leonora, come Dama di compagnia e la portava nella sua corte, dove moriva appena ventenne.

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In novembre, l’imperatore Carlo V° passava per Ventimiglia, con il suo esercito. Ricordato dalla lapide di Porta Canarda e dall’affresco nel patio di Villa Hanbury.

1537     A Monaco, soggiornava Ignazio di Loyola, in viaggio via terra da Parigi a Roma, dove aveva radunato i vertici dei Gesuiti, a servizio di Paolo III, onde ottenere la Regola.

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Sulla lapide di Porta Canarda questo transito non viene ricordato, forse per la gravezza del personaggio, o per la sua diffusa impopolarità.

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1538     La Riviera di Ponente veniva presidiata dal più grande esercito d’Europa, migliaia di soldati tedeschi mantenuti dalle comunità locali.

Albenga veniva assalita da una flotta corsara che cattura ambasciatori e tesori di cardinali.

In aprile, papa Paolo III°, si recava a Nizza.

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Il secondo sabato di quaresima, papa Paolo III, Alessandro Farnese, partiva da Roma per andare in Provenza, alla città di Nizza, presso il campo di Carlo V per pacificare  questi, imperatore cattolico, con il cristianissimo re di Francia, Francesco I°. Andando via mare, avrebbe fatto tappa a Savona, Albenga e Monaco. A causa del mare agitato, sbarcò a San Römu, proseguendo via terra. Soggiornò nel vescovado della nostra città e la mattina seguente proseguì il suo cammino verso Monaco, passando per Porta Canarda.

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In luglio, papa Paolo III, reduce da Nizza dove aveva messo in tregua Carlo V e Francesco I, passava per Ventimiglia.

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Era un viaggio che in genere si svolgeva sulle galere della Repubblica e con tappe quasi sempre uguali: Savona, Loano, Albenga, dove l’ancoraggio era alla “fossa” di Alassio, San Römu e Monaco. Alcune fermate, come Savona, Albenga e Monaco, sono fatte per consentire agli illustri ospiti di dormire a terra, altre, come San Römu, erano brevi fermate diurne per alleggerire la fatica del viaggio o per ricevere i festeggiamenti di qualche principe feudatario, come il Doria, a Loano. La navigazione era dunque in vista della costa ed a piccole giornate. Questo consentiva di osservare il paesaggio e gustarne le delizie, più e meglio che viaggiando faticosamente per terra. La sosta notturna concedeva un migliore riposo.

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1539     Il Capitolo della Cattedrale ventimigliese rinnovava i propri statuti, andati persi nell’incendio provocato dal Borbone.

1540     Onorato I Grimaldi, signore di Monaco, invitava il Capitaneo ventimigliese a porre attenzione al contagio della peste via mare. Nell’occasione, Ventimiglia restò immune dal morbo.

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Onorato Grimaldi così scriveva:”… li Uffiziali di Ventimiglia stessero bene attenti a quanto arrivasse dal mare rovesciato o gettato da navi in corsa o in fuga … star bene attenti a raccogliere con lunghe pertiche il materiale portato a riva dalle onde, e di non toccarlo con le mani, ma di provvedere assolutamente a bruciarlo …”.

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Moriva Pietro Sperone, illustre giureconsulto, inviato di Andrea Doria presso Francesco I.

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Era presente ai fatti d’arme di Modona e Corona, da dove riportò in Ventimiglia sette schiavi. Nel 1518, raggiunge la carica di Vicario della Corsica. Grazie ai suoi meriti, dopo il 1528, la famiglia otteneva di essere ascritta all’albergo Doria.

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1541     Il Comune di Pigna dava inizio al rinnovamento dei propri Statuti, che avrà termine attorno all’anno 1587.

1542     A causa dei continui fermenti in Alta Valle Roia, il Banco di San Giorgio fece eseguire importanti restauri al castello di Penna.

1543     Il 5 luglio, una flotta barbaresca condotta dal corsaro Barbarossa, intentava la conquista di Nizza a nome di Francesco I°.

Il 7 agosto, una ventina di vascelli barbareschi, non riuscendo ad entrare in San Römu, si accontentava di depredare Bordighera, Vallecrosia e Gorbio.

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I sanremaschi per ringraziamento alla vittoria sul Barbarossa, ottenuta con la prontezza del Podestà Luca Spinola, dedicarono alla Madonna una chiesa a Verezzo, luogo della battaglia.

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1544     Il 2 febbraio, alla presenza del Capitaneo Matteo Calvi, il Parlamento, guidato dal Priore Lamberto Casanova, deliberava sulla modalità delle decime ecclesiastiche.

Il 5 febbraio, il vescovo De Mari siglava gli accordi sulle decime, intercorsi col Parlamento locale.

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In quel tempo, le decime venivano riscosse principalmente sulla produzione di grano, di vino e di fichi. Anche il lino e la canapa venivano tassati, giacché godevano di diffusa produttività, sia nella coltivazione che nella lavorazione al telaio o in corda. (Nino Allaria Olivieri  - febbraio 2002)

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Nella seconda metà di maggio, un parte della flotta del Barbarossa, sbarcava a San Römu; dove respinta dalle porte chiuse per tempo, depredava la chiesa di San Siro, fuori le mura.

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Nella stessa giornata, il Barbarossa attaccava e depredava: Borghetto, Ceriale ed Albenga, portando via oltre a duecento persone fra uomini, donne e ragazzi.

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1545     Dai dintorni di Aix in Provenza, molti Valdesi fuggivano alle persecuzioni che li massacravano in massa, giungendo in barca sui nostri lidi e passando i monti per sentieri poco battuti.

Onorato I Grimaldi sposava la cugina Isabelle di Boglio.

L’insediamento cittadino abitativo veniva diviso in sestieri.

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Il nucleo urbano del Castello non risultava essere molto popolato, ma piuttosto sede di strutture a carattere religioso e civile. Veniva edificata l’intera Colla, dove verranno innalzati i viridari pensili, ancora oggi esistenti. Il Borgo ampliava la sua giurisdizione su gran parte del quartiere di Castello, mentre a nord di questo la nuova ripartizione urbana della Platea cresceva vertiginosamente. A Levante di questa si estendeva il Campo, comprendente la primitiva Rocchetta fortificata, mentre verso nord si sviluppava l’Oliveto, attorno alla chiesa di San Michele, fino al Murrudibò. Cinque sestieri erano dunque all’interno delle mura, ed uno, la Bastida, extra moenia. Il borgo Marina era un minuscolo agglomerato di casette attorno alla chiesetta di San Nicolò.

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1548     Filippo II, re di Spagna, in viaggio per Genova, dimorava a Ventimiglia.

La sera di Natale, una feluca turca sbarcava alla Ruota per attaccare San Römu.

Il 19 giugno, GioMaria Doria Sperone, ventimigliese, figlio di Pietro e di Ananeta Galleani, consigliere ed amico di Andrea Doria; era come suo procuratore, nella città d’Asburgo, ove riceveva da Carlo V, l’investitura dei feudi sottratti ai Fieschi.

1549     L’Ufficio delle Virtù emanava divieti per famigli, fantesche e schiavi.

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Si proibisce loro di portare “veste di seta o ricamate, grembiuli rossi o morelli, cosa alcuna di metallo prezioso, scarpe di cuoio bianche nero e rosse”, sotto la pena di essere esposta alla berlina con una mitria di carta sulla testa o punito con venticinque “patte sul sedere” a Genova sulle scalinate della cattedrale, a Savona “in palladio”, a Ventimiglia sulla “clapa pisci”, in precedenza usata per la contrattazione del pesce; situata davanti al portale della Cattedrale, sull’angolo che portava in quella che oggi è via Falerina.

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1550     A cura del canonico Pellegrino Brocardo si restauravano e si ampliano le abitazioni dei Canonici.

Alla Diocesi di Genova veniva tolto l’interdetto papale.

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Per i primi dieci secoli del Medioevo, in Occidente, le figure dominanti nel mondo della cultura erano state il santo, il monaco, il professore universitario, il militare, l’artigiano e il mago. Si affiancarono più tardi a queste figure quelle dell’umanista e del gentiluomo di corte. Fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento si affacciarono figure nuove: il meccanico, il filosofo naturale, il libero sperimentatore, chiamato virtuoso. I fini che perseguirono questi nuovi personaggi non erano la santità, né l’immortalità letteraria, né la produzione di miracoli atti a stupire il volgo. Il sapere del quale essi si sentivano portatori richiedeva “sensate esperienze” e “dimostrazioni certe”, tanto che a differenza di quanto era avvenuto nella tradizione, richiedevano che queste due cose, abbastanza complicate: andassero insieme, fossero indissolubilmente connesse. In quel mondo ogni affermazione doveva essere “pubblica”, cioè legata al controllo da parte di altri, presentata e dimostrata, discussa e soggetta a possibili confutazioni. In quel mondo c’erano persone che ammettevano di aver sbagliato, di non riuscire a dimostrare ciò che intendevano dimostrare, che si dovevano arrendere alle evidenze che altri hanno addotto. In quel mondo si teorizzò che il modo di comportarsi, nelle contrapposizioni e nelle discussioni, aveva da essere severo verso gli errori, ma cortese verso le persone, dato che il problema non sarebbe stato quello di provocare gli avversari, ma di convincerli. Nel Seicento, gruppi di studiosi che si occupavano di cose differenti, che avevano un atteggiamento critico verso il modo in cui le università trasmettevano  il sapere, dettero vita, all’interno della più vasta e sanguinosa e intollerabile società nella quale vivevano, a più piccole e tolleranti e accettabili società. Il prezzo che pagarono per ottenerne il funzionamento fu davvero alto: escludeva dalla discussione tutto ciò che direttamente riguardava la religione e la politica. Bisognava preliminarmente accettare di lasciare religione e politica fuori di quella porta che separava l’Accademia dal resto del mondo.

(Paolo Rossi  - IL TEMPO DEI MAGHI  - 2006 - pag. 7).

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1552     Bordighera provvedeva ad elevare le mura fino all’altezza di sette metri da terra e costruire la torre dei Mostaccini e quella dei Beraldi o Sapergo, collegata visivamente con la prima ed i paesi dell’entroterra.

Nello stesso sistema d’avvistamento corsaro, Vallecrosia doveva costruire sulla spiaggia la torre, detta poi Torrione.

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Eccettuati i provvedimenti per l’ordine pubblico nelle campagne e della costruzione di qualche torre per l’avvistamento contro i pirati Barbareschi, il governo genovese non dimostrava alcuna significativa attenzione per la città che in passato aveva costituito motivo di secolari contese. Nella riorganizzazione delle amministrazioni locali, Ventimiglia veniva destinata a sede di Capitaneato ed in tal modo subordinata al Governatorato di San Römu. Dal Capitano di Ventimiglia dipendevano: Ponte dei Balzi Rossi, Grimaldi, La Mortola, Latte, Carletti, San Pancrazio, Bevera, Airole, Calvo, Fanghetto ed il piccolo Consolato di Penna. Oltre a queste località, Ventimiglia considerava più che comunità dipendenti, vere e proprie “colonie” i luoghi di: Bordighera, Borghetto San Nicola, Sasso, Camporosso, San Biagio, Soldano, Vallebona e Vallecrosia.

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1553     Il 27 luglio, il Comune di San Römu pagava uno scudo a Battista Gallo per la pulizia del pozzo sito nel centro dell’attuale via Corradi.

1554     Il 13 gennaio, Filippo De Mari, amministratore apostolico a Torino, rinunciava alla nostra Diocesi, a favore del nipote di fratello, GioBatta, nato nella nostra città.

Giovanni Maria Olgiati ispezionava le mura costruite dai genovesi, attorno a tutta la città, vera piazzaforte di confine.

Il 18 maggio, GioBatta De Mari veniva consacrato vescovo.

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In giovane età, dallo zio già investito di un canonicato in cattedrale, sedette a vescovo per settant’anni e mezzo, intercedendo presso il conte Fungoso, luogotenente del Duca di Savoia, onde ottenere franchigie commerciali pei ventimigliesi. Seguì una solenne riparazione alla croce, spezzata dagli Ugonotti in Sospello, nel 1559. Concesse in enfiteusi al fratello Lorenzo una proprietà della mensa vescovile, appellata San Vincenzo, situata oltre il torrente Nervia.

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1555     Nasceva Carlo Grimaldi, dei principi di Monaco.

1556     Il 24 luglio, a San Römu si rinforzavano le difese contro i Turchi.

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Veniva data facoltà agli abitanti della Colla e Valli Rodi di far travi e legnami nel bosco per costruire una torre di difesa dagli attacchi dei turchi. (Torrione existentem prope Portam Palatij)

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1558     A vista del golfo di Ospedaletti, veniva eretta una torre di avvistamento e segnalazione.

In questo secolo, il Comune ventimigliese appaltava numerose imposte,  in pubblica callega.

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Erano presenti: Gabella macella rum  - Gabella quintarii et lignaminum  - Gabella Rossi multae  - Gabella drictus territorii Vintimili   - Gabella macelli, pedagii  - Gabella piscium recentium  - Gabella forestariae  - Gabella panis   - Gabella albaxiorum  - Gabella panno rum  - Gabella aestimariae canellae  - Gabella passagii animalium - Gabella accordi  - Gabella trezeni vini  - Gabella porco rum  - Gabella aestimariae brocarum  - Gabella tractae victualium  - Gabella tractae vini  - Gabella scodani  - Gabella stractiarum  - Gabella olii  - Gabella setae e Gabella chiaravugli.

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1559     In conseguenza al trattato di Chateau Cambresis, la Repubblica di Genova decise di revocare a se’ tutti i dominii di terraferma, compresa Ventimiglia.

Il 23 agosto, radunato il Parlamento, veniva letto il decreto che ordinava alla città l’atto di sottomissione.

1560     L’11 agosto, da Roma, papa Pio IV benediceva “alcune montagne vicino a Nizza”, affinché i diavoli permettessero di lavorare in pace nelle miniere di Emanuele Filiberto di Savoia.

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Si tratta della miniera di galenite in valle Vallauria, presso il Monte Bego, mentre i “diavoli” citati altro non sarebbero che le numerosissime incisioni rupestri, tendenti a rinnovare il ricordo di “pericolosi” culti precristiani.

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Il 28 marzo, contro la minaccia dei corsari turchi lungo le coste liguri, la Repubblica genovese erigeva tutte le sue Podesterie a “Commissariati” per la regolamentazione dei turni di guardia alle torri di avvistamento.

Era molto attivo il transito di pellegrini verso il “camino” di Santiago de Compostela.

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La curia arcivescovile genovese rilasciava una commendatizia per Battista Falcone di Rapallo, che desiderava andare in Spagna per visitare la tomba di San Giacomo, passando per la nostra città.

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La Repubblica genovese annunciava la revoca al Banco di San Giorgio del mandato su Ventimiglia.

1561     Il 29 giugno, la flotta turca di Ulug-Alì, il pirata Luzzalino, sbarcati a Capo Verde, attaccarono Taggia, dalla quale furono respinti, allora fecero scempio a Castellaro e Pietrabruna.

Il 28 novembre, moriva il vescovo GioBatta De Mari.

Il 15 dicembre, papa Pio IV nominava vescovo il nipote Carlo Visconti, senatore milanese, di brutto aspetto.

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Di principesco lignaggio, che con fama di molta dottrina aveva vestiti la toga di magistrato, prima di abbracciare la carriera ecclesiastica. Essendo stato riaperto a quei giorni per la terza volta il Concilio di Trento e dovendo egli colà intervenire, con segrete missioni del Papa, inviava suo vicario generale nella diocesi, Bernardino Maccabruno, canonico di Siena e protonotaro apostolico. di lui si hanno due sinodi, uno tenuto nel palazzo episcopale, nel giugno del 1564 e l’altro nella chiesa cattedrale in maggio del seguente anno. Intanto il Visconti, nominato cardinale al termine del Concilio, pensò di mettere in atto immediatamente le disposizioni sui collegi per la gioventù destinata al sacerdozio e Ventimiglia va superba d’essere fra le prime città vescovili, che vantino l’istituzione del seminario. Applicava a tale istituzione la rendita del beneficio ecclesiastico col titolo di N.D. del Poggio, in Saorgio. Morirà, alla verde età di anni quarantadue, dando in eredità alcuni arredi sacri per la chiesa di Sant’Agostino e la costruzione d’un corpo di canonici della Cattedrale.

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Moriva Tobia Aprosio, valente giureconsulto di cui l’Oldoino ricorda i due volumi “Consigliorum” che dice esistenti nella Civica Biblioteca Aprosiana, oggi scomparsi.

 

VENTIMIGLIA DOMINATA

                            DALLA REPUBBLICA GENOVESE

 

1562     Il Senato genovese notificava al capitaneo Giovanni Battista Spinola:«Che dalla imperitia e poca integrità dei notari nascendo molte volte degli inconvenienti e danno a terze persone, per obviare a simili desordini havemo judicato salubre remedio sieno approbati da noi».

Il 17 agosto, Genova inviava il magnifico Battista Imperiale, quale commissario speciale della Repubblica, a riprendere possesso della città, dei castelli e delle ville.

Il 20 di maggio, il vescovo Visconti, si recava al Concilio di Trento.

Nasceva Ercole Grimaldi, dei principi di Monaco.

Il 13 giugno, il Podestà di San Römu emanava l’ordine di rientrare nella città murata allo sparo del cannone, pena da uno a dieci scudi e un tratto di corda.

1563     La notte del 25 agosto, le navi del corsaro Ulug-Alì si ancorarono nella baia di Latte, salirono a Sant’Antonio e scesi a Bevera razziarono cose e persone.

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A lavorare nelle terre del nobile Roberto Orengo, gestite da Matteo Orengo, si trovavano Domenico Martino, la moglie Bianchetta ed il figliolo dodicenne, Benedetto, che venne catturato e condotto come schiavo ad Algeri. Benedetto Martino venne ceduto al corsaro Crogiolai, che lo condusse a Costantinopoli. Non sopportando più le angherie cui era sottoposto, il giovane abbracciò la fede maomettana. Il 1 marzo 1571, presso Corfù, Benedetto fuggiva verso un presidio cristiano, dove venne catturato e venduto alla Galea Capitana genovese di Nicolò Doria. Da quella nave Benedetto assistette dal largo alla battaglia di Lepanto, del 7 ottobre 1571. Tornato a Genova, Benedetto riusciva a riscattarsi e tornare a Bevera, dove chiese di poter abiurare la fede maomettana, ciò che avvenne il 30 marzo 1572, innanzi a Carlo Cigala, vescovo di Albenga, temporaneamente a Ventimiglia, che lo inviò, a piedi nudi, ad assistere alla messa in un santuario presso Mentone. (Arch. vesc. Civil. 1  - Lorenzo Rossi)

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1564     Il 20 luglio, alle ore sette di sera, un terribile terremoto afflisse la Contea ed il Nizzardo, rovinando La Briga.

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A tale disastro, si lamentarono a Ventimiglia le royne delle case et strade e il deviamento del fiume, mentre la chiesa di San Michele perse la navata nord, che crollava.

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Il 18 settembre, Carlo Visconti, delegato in Roma, decideva di dotare Ventimiglia di un Seminario, secondo gli intendimenti del Concilio trentino.

Erano inviati da Genova due commissari che davano una descrizione avvilente della città.

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Lo stato di Ventimiglia in quel periodo era deprimente. Il fiume, deviato dall’incuria, non passava più sotto le mura, producendo terreni insalubri, mentre il ponte di legno che traversava la Roia era guasto. Case in rovina impedivano il transito per le strade, specialmente nel quartiere Lago, disabitato. Il terremoto, oltre a numerose case aveva provocato gravi danni alla chiesa di san Michele, che perse totalmente la navata nord, oltre a quella sud inagibile. La popolazione era ridotta a soli seicento fuochi, tanti quanti i seicento de La Briga e di Pigna, il Comune più popoloso della Val Nervia, e Taggia per la Valle Argentina, e non molti più di Tenda che ne contava cinquecento e Sospello coi suoi settecento, mentre Triora ne contava millecento; Ceriana quattrocentosettanta, Apricale e Castelfranco trecento, Dolceacqua duecento, mentre La Penna, Isolabona, Bordighera e Monaco ne contavano appena cento; Breglio e Perinaldo duecentocinquanta, come Saorgio. La ripresa non fu immediata, ma l’avvento della Controriforma e l’inserimento della nobiltà locale nell’orbita genovese, portarono al risveglio dell’attività edilizia ed architettonica. Drammatici i problemi derivanti dal brigantaggio diffuso nelle campagne, dalla minaccia piratesca sempre incombente e dalle crescenti pressioni sabaude sul territorio.

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1565     Il 12 marzo, al termine del Concilio di Trento, Carlo Visconti veniva nominato cardinale, così il 6 luglio rinunciava alla diocesi ed il 13 novembre moriva. Resse la diocesi il cardinale Benedetto Lomellino.

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Il Concilio di Trento sanciva l’obbligo per il vescovo di risiedere nella sua Diocesi. Nell’attesa della nomina di un vescovo intemelio, un cardinale amministrava la diocesi da Roma, come era capitato in vari periodi da oltre un secolo.

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Il 20 marzo, dopo aver provveduto a restaurare e rimodernare le fortezze e la cinta muraria, la Repubblica inviava le istruzioni per i Castellani comandati.

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Veniva inoltre costruita o rinforzata la torre posta sul promontorio della Mortola, oggi inglobata in villa Hanbury; che nel sistema di avvistamento corsaro era conseguente a quella di Balzi Rossi, dava inizio alla sequenza: Porta Canarda, Castel d’Appio ed era in vista col Torrione e Bordighera.

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In maggio, il saraceno Occhialì sbarcava a Bordighera ed attaccava Borghetto e Vallebona, già deserti, perché ben avvertiti.

Il giorno 8 settembre, veniva nominato vescovo il patrizio genovese Carlo Grimaldi.

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Chiamato dalla sede di Sagona, in Corsica; prelato fornito di soda virtù ed austeri costumi, il Grimaldi era afflitto dall’infermità della podagra. Arrivò nella diocesi nei giorni in cui il recente decreto di re Carlo IX di Francia, sul permesso del libero esercizio del culto riformato, aveva permesso a tutta la parte della diocesi soggetta al duca di Savoia di praticare il Cristianesimo di Lutero e di Calvino. Convinto dal nizzardo Pietro Antonio Boyer, dei minori conventuali, uno dei più colti sacerdoti dei suoi tempi, cavò dal secolare convento dei domenicani di Taggia i padri Cornelio Oddo ed Antonio Richelmi, nativi di Pigna, dell’ordine dei Predicatori, per sistemare l’apostasia in diocesi, praticando la confisca dei beni, l’esilio ed anche il rogo; il che non risparmiò neppure il luogo di Pigna. La mensa vescovile va debitrice al Grimaldi della costruzione di una torre nella villa di Latte, ingrandita poi dal Mascardi. Il potere dei vescovi locali espresse la massima energia contro la diffusione del protestantesimo, applicando nella diocesi i dettami del Concilio tridentino, sull’esempio di Carlo Borromeo, arcivescovo milanese, del quale la nostra diocesi era suffraganea, fin dall’Alto Medioevo. Tenda e Sospello, sempre in conflitto con Ventimiglia, memori dello scisma di tre lustri indietro, cosi come Pigna, furono le località dove la predicazione ugonotta trovò maggior credito. Claudio Lascàris, signore di Tenda, invitava a predicare il Pastore riformista Galatero. In quegli anni, nel clima di repressione e di paura, si scatenava la persecuzione contro le streghe, della quale si conserva un significativo episodio nel celebre processo di Triora, ma di cui si conservano memorie anche a Ventimiglia, Castellaro e Mentone.

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1566     Il vescovo Grimaldi attivava un’Inquisizione a Pigna.

Il 3 giugno, il Capitaneo rilevava i danni causati dal terremoto nel castel Vecchio ed in quello della Pena; a due anni di distanza.

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Due inviati del Banco relazionavano, a Genova, che un nuovo e gravissimo disastro aveva colpito la città di Ventimiglia. Il già popoloso quartiere del Lago era in rovina, le case erano cadute, le strade risultavano ostruite, il fiume s’era deviato, abbandonando le mura contro le quali scorreva, il porto canale non era più in grado di funzionare. Agostino Giustiniani, nei suoi Annali della Repubblica Genovese, da alcune notizie sulla Valle della Roia nel periodo del Banco di San Giorgio. Ventimiglia è ridotta a soli «circa 600 fuochi», mentre La Penna ne conta 100, Breglio 250, Saorgio pure 250, La Briga 600 e 500 Tenda.

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Onorato Lascàris di Tenda, succedeva al padre Claudio ed essendo fervente cattolico, si avvalse dell’opera di Pietro Antonio Boyer, dei Minori Conventuali, per soffocare la Riforma.

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I Calvinisti dell’Alta Val Roia, perseguitati dal Boyer, si ritirarono nelle grotte del Couvette, poco lontano da Tenda, in un alone di martirio e compassione.

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Il Capitolo della Cattedrale ventimigliese rivedeva i propri statuti, rinnovati nel 1539.

1567     Il vescovo Carlo Grimaldi attestava come per il crollo di un altare, veniva rinvenuta una cassetta con tutta quasi la testa e un documento di autenticità di essa reliquia di San Secondo martire.

1568     In Pigna, il capo del gruppo riformista locale, il notaio GioFrancesco Ughetto, perseguitato, era costretto ad emigrare nelle valli valdesi del Piemonte, finendo poi martire nelle carceri di Torino.

Una ventimigliese, tenuta schiava in Algeri, scriveva disponendo la vendita dei propri beni per il riscatto suo e della figlia.

Il 1 luglio, un dispaccio dal governo genovese avvertiva sulla partenza da Algeri di ventidue vascelli corsari intenzionati ad assalire le due Riviere.

1569     Il 19 aprile, davanti alle nostre coste, un colpo di maestrale investiva la flotta dell’ammiraglio di Castiglia Don Luis de Requenses.

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Sedici galere, in arrivo da Civitavecchia e Genova, stavano navigando verso Cartagena, quando cominciò a spirare un maestrale furioso. Tre navi affondarono, tre finirono ad Alghero, in una giornata; altre otto ripararono ad Oristano e Cagliari, il 25 aprile. Una, in soli tre giorni, a ben nove miglia orarie, giunse a Pantelleria, mentre l’ultima fini in pezzi a Porto Empedocle, il 7 maggio.

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COMUNITà  DI  VENTIMIGLIA

                            E  DELLE  OTTO  VILLE

 

1570     La Comunità ristrutturava il Palazzo Comunale, di fronte alla Cattedrale, sull’angolo dell’allora via Lascàris.

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Nonostante la non florida economia e le condizioni climatiche, ritenute piuttosto malsane a causa delle aree paludose alle foci della Roia e del Nervia, entro la prima metà del Cinquecento, le iniziative urbanistiche avevano cambiato il volto della Carreria soprana, detta via Lascàris, quella che ora è via Garibaldi. I palazzi che sorsero sul lato sudovest della Carreria, acquisirono una marcata caratterizzazione dei prospetti. Negli atri troneggiano ancor oggi ampie scale, ricche di balaustre e di colonne. Per loro tramite veniva consentito il collegamento con la sovrastante via Collabassa ed attraverso passaggi sopraelevati su questa, si era dato l’accesso, dai piani nobili, a preziosi giardini pensili, protetti da muri. Esempi ancora conservati di queste cinquecentesche opere sono i palazzi Galleani ed Orengo.

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Il Governo della Repubblica approvava il deliberato del Parlamento ventimigliese che ingiungeva agli abitanti delle Ville di concorrere al ritorno e al mantenimento del fiume contro le mura, con una giornata di lavoro per fuoco.

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Genova avversava un ritorno di Ventimiglia all’antica energia, era però lungi dal volerne l’annientamento e approvò la delibera, poiché ciò «concerne la fortezza della città».

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1571     La navigazione  sotto  costa riprendeva assidua, giacché a Lepanto il Mediterraneo era stato liberato dal dominio navale turco.

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Dopo il 7 ottobre 1570, quando nella battaglia navale di Lepanto, la coalizione cristiana distrusse la flotta Turca, le scorrerie barbaresche diminuirono e si fecero molto meno incisive.

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La commenda per il priorato di Sant’Ampeglio, in Bordighera, veniva concessa ad un certo Lomellini.