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    In questi ultimi anni, la convinzione che l’antico Popolo Intemelio avesse caratteri assai affini alle popolazioni celtiche confinanti, hanno portato molti ricercatori ad ammettere la qualifica di celto-liguri per molte entità degli antichi abitanti sulla costa Nord-Ovest del Mediterraneo, dalla Lunigiana alla Catalogna.

    Fino a quasi tutto il Novecento, l’intellighenzia interessata non ammetteva, nel modo più assoluto, di poter giudicare celtici i Liguri, accettando solamente qualche sporadico caso di influsso, quando si scopriva un toponimo celtizzante od un’usanza druidica non opinabile nel mondo ligure.

    Dopo aver rilevato una nutrita serie di toponimi d’indubbia origine proto-celtica sul territorio intemelio, ed una volta aver accertato il ricordo di usanze legate a antiche celebrazioni druidiche, non si poteva fare a meno di porre attenzione alla connessione, sovente efficace, di consuetudini tendenti in quella direttrice.

    Quello che, per gli antichi frequentatori del Monbego, avrebbe potuto essere il “‘logo”‘ per definire il clan o la tribù, confermato da analoghi grafici, presenti su monete galliche dell’anno 50 prima della nostra Era, non poteva che rilevare la sacralità centrale del territorio e portare al rinvenimento di un’entità ieratica che ha saputo mantenere nei secoli il promettente nome di “‘Fascia Sagrà”‘.

    La consuetudine della radura ieratica centrale per un territorio è una confermata costante delle popolazioni celtiche, tra le quali i celto-liguri: Intemeli ed Ingauni, per restare nelle vicinanze.

    Da qualche anno si è fatta strada, persino, la teoria che i Liguri abbiano occupato il territorio, che da loro ha assunto il nome, sulla costa settentrionale mediterranea, provenienti dalla Normandia, (terra celtica) spinti a loro volta dall’esodo delle tribù celtiche provenienti dall’Europa continentale più profonda.

    La dice lunga in proposito, la menzione che Plutarco inserisce nella Vita di Mario, (10, 5-6) sul fatto avvenuto durante la Battaglia di Aquae Sextiae, nel 102 a.e.V., quando sia le tribù celtiche coinvolte, sia le truppe liguri alleate dei Romani urlavano “‘Ambrones, Ambrones!”‘ come grido ancestrale di battaglia; il medesimo grido emesso in campo avverso dai guerrieri celti.

 

    Il contenuto di queste pagine è stato argomento per un pubblico incontro, tenuto nel Salone della Civica Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia, a cura del Comitato Centro Storico, sabato 5 aprile 2003.

 

FASCIA   SAGRÀ

RADURA  IERATICA

CENTRALE  INTEMELIA

OMPHALOS, BETILO e NEMETON

    In quasi tutte le tradizioni l’origine del mondo ha inizio da un ombelico, “‘Omphalos”‘ da cui la manifestazione si irraggia nelle quattro direzioni. Oltre ad indicare il centro fisico, l’Omphalos è anche il nucleo spirituale del mondo stesso.

    Così il beith-el, il bétilo a forma di colonna, eretto da Giacobbe, oppure, lo stesso omphalos di Delfo, centro del culto di Apollo.1 Sull’ombelico del mondo si pone simbolicamente il fuoco sacrificale vedico, ed ogni altare o qualsiasi focolare raffigura per estensione un tale centro.

    L’isola di Ogigia, era chiamata da Omero “‘ombelico del mondo”‘, l’isola di Pasqua era ed è un ombelico per le popolazioni dell’Oceania, alla stregua della pietra dell’Arca dell’Alleanza, nel Tempio di Gerusalemme, oppure di certi menhir che sono stati omphaloi locali, tra i Celti.

    In ambito celtico il simbolismo dell’ombelico è rappresentato principalmente dal teonimo “‘Nabelcus”‘ soprannome della divinità simile a Marte, attribuita a quella cultura, documentato da alcune iscrizioni del Sud-Est della Gallia.

    La parola è apparentata al gallese naf: capo, signore ed è conosciuta, a livello indoeuropeo, quale corrispondente del greco omphalos: punto centrale, centro.2

    Marte Nabelcus è quindi padrone o signore, oppure il dio di un centro. I Celti hanno avuto dunque centri sacri: Cesare parla di un locus consecratus nella foresta Carnua.

    Questo luogo era considerato il centro del paese e, in ogni caso, in Gallia si hanno diverse decine di toponimi, come Mediolanum, “‘centro della perfezione”‘ o “‘pianura centrale”‘. In Irlanda tutta la vita religiosa era concentrata nella provincia centrale di Midhe, nella grafia inglese Meath.

    Così, come non hanno avuto città vere e proprie, i Celti non hanno avuto templi nel senso classico del termine. Hanno avuto “‘németon”‘ o santuari tra i boschi sacri, centri iniziatici e spirituali, quali per l’appunto, il bosco al centro della Gallia, presso i Carnuti, dove i Druidi eleggevano il loro capo.3

    Il querceto sacro, ovvero il tempio della quercia, veniva chiamato “‘Drynemetun”‘, dove “‘dry”‘ stava per quercia. “‘Driade”‘ era la ninfa della quercia, che dai laziali era chiamata Egeria o più genericamente Diana, dai romani.4

    Scavando a Zignano, sopra La Spezia, è stato ritrovato un cippo, databile al VII-VI secolo a.C., nella cultura di Hallstat. Questo cippo è sormontato da una testa grossolanamente scolpita, recante un’iscrizione in caratteri etruschi che si legge MEZUNEMUSUS.5

    L’iscrizione corrisponderebbe sia ad un toponimo celtico MEDIONEMUSUS, sia ad un nome d’uomo MEDDUNEMUSUS. Nel primo caso il significato sarebbe assimilabile a MEDIONEMETON, varrebbe a dire santuario di mezzo; nel secondo si riferirebbe a colui che si prende cura dei luoghi sacri e li misura.

    Anche in latino, nemus - nèmoris risponde al significato di bosco, selva, foresta, bosco sacro, in particolare quello di Diana presso Ariccia, descritto dal Frazer ne “‘Il ramo d’oro”‘.6

    In greco, invece, nemo assume il significato di pascolo di montagna, quello che per noi sarebbe l’alpeggio, o meglio l’ARPE.

 

IL LOGO DELLA TRIBÙ

    Considerando gli Intemelii, così come tutti i Liguri, popolazioni indoeuropee molto affini ai Celti, almeno nella religiosità, sul nostro territorio si possono scovare e ricercare toponimi e tradizioni affini alla “‘celticità”‘, quali le iscrizioni rupestri e soprattutto l’espressione artistico-artigianale della “‘Rosa celtica”‘, logo diffuso lungo tutto l’Arco Alpino, dalle Marittime alle Dolomiti, sui territori anticamente frequentati dai Celti subalpini.7

    L’elaborazione di questo segno prevede la conoscenza delle tracce esoteriche più elementari, ma essenziali nell’evoluzione del genere umano, quali il punto inscritto nel cerchio, a voler indicare l’uomo sul territorio che lo ospita, il totem al centro del territorio, se non addirittura l’albero ancestrale, quale luogo di rifugio e di religiosità.

    In quel momento l’uomo primitivo lasciava da parte l’originaria, incombente individualità, prendendo coscienza dei privilegi acquistati vivendo in tribù, nella quale il totem centrale al territorio assumeva tutti i significati “‘centrali”‘ fino allora conosciuti.

    Nel 1909, tra le incisioni rupestri del Monte Bego, l’archeologo Stiegelmann ha individuato un segno da lui già trovato su monete galliche e su altri reperti della prima età del Bronzo, nel bacino del Mediterraneo; assai simile al punto inscritto nel cerchio.8

    Al cerchio era stato aggregato un quadrato picchiettato, assai simile ai segni così detti: bovidi cornuti; ma in questo caso starebbe rappresentando l’insieme della tribù, unita attorno al totem.

    Il punto iscritto nel cerchio ingrossato da un riquadro nel quarto inferiore, ossia rinquadriato, starebbe ad indicare l’unione della tribù, rappresentandone il logo fin dall’antichità.9

    Nella moneta gallica citata, le due appendici distaccate dal cerchio sarebbero la parte terminale delle corna del bovide contenuto nel grafito, col loro significato di ricorrenza temporale per un avvenimento.10

    Quel grafico celebrerebbe un “‘ver sacrum”‘, la cerimonia tribale tesa a evitare una calamità che comprendeva il sacrificio agli dèi di tutte le persone e gli animali nati in una certa primavera.

    Nel VI secolo a.C., questa pratica cruenta era già abbandonata, ma i giovani che in quella primavera consacrata avessero raggiunto la maggiore età avrebbero dovuto emigrare e lasciare la patria, guidati da coetanei di rango, portando entità celtiche verso il volere degli dèi.

    Interessante è notare come la pratica del Ver Sacrum sia stata suggerita dalle api, che nelle medesime condizioni di ristrettezze alimentari dell’alveare, in quella stagione effettuano la condotta dello sciamare, anche se a partire è l’ape regina più attempata ed esperta, accompagnata dalle operaie anziane.11

 

CENTRALITA’ INTEMELIA

    La centralità del punto sacro, sia esso totem, omphalos o nemeton, si è dimostrata dunque di grande importanza per le antiche popolazioni, dal Neolitico fino all’Età del Ferro.

    Era sacrale il centro del villaggio, ma anche il punto di mezzo posto tra i villaggi di un medesimo clan, così come il centro di un più vasto territorio, abitato da elementi di una stessa tribù.

    Considerando la riconosciuta padronanza di conoscenze astronomiche, nelle popolazioni affini ai Celti, questa avrebbe permesso una perfetta localizzazione del centro di una zona molto estesa, tanto da poter ritenere non casuale la localizzazione del sito sacrale, anche per una zona vasta come quella abitata dagli antichi Intemelii.

    Tanto più, se questa zona risulta essere, fin dall’antichità, una radura nel mezzo di un ragguardevole bosco, fino a rappresentare quello che potrebbe essere stato un nemeton.

    La certezza della sacralità del sito è racchiusa nel toponimo, che si è conservato fino ai nostri giorni, nella cultura parlata delle nostre genti, come per contro lo stesso toponimo è opportunamente evitato dalla cultura scritta e dalla cartografia ufficiale.

    A due chilometri da Gola di Gouta, lungo la strada sterrata che porta a Testa d’Alpe, sul bivio che conduce all’Arpetta, a quota 1360 metri sul livello del mare, è situata FASCIA SAGRÀ, una radura tra una fitta foresta di larici, lunga poco più che ottanta metri, per il verso Est-Ovest, e larga meno di quarantacinque, sul lato Sud-Nord, nei punti di maggior estensione

    Oggi il terreno è assai dissestato, per il passaggio di numerosi fuoristrada, ma in passato lo spiazzo si presentava abbastanza appianato, con un dislivello, a calare, da Ovest ad Est, di non più di tre metri, e con un avvallamento concavo, nel senso Nord-Sud, di circa due, dal limitare del bosco.

    Da Ovest a Est, il centro della spianata è percorso da un fossato che raccoglie le acque piovane, dell’ampio anfiteatro che cinge la radura.

    Nel sottosuolo sono stati ritrovati scheletri umani maschili, databili al tardo medioevo, per qualche esperto ragguagliabili persino al periodo feudale, non disdegnando di giungere fino all’VIII secolo, longobardo.

    Potrebbe trattarsi di semplici boscaioli che avessero avuto il vezzo d’essere sepolti in un sito che conservava i caratteri di una sacralità ancestrale, se non i continuatori di usanze che prevedessero l’interro di personaggi importanti come i nostri antichi “‘druidi”‘, dei quali finora non sono stati trovati resti, riferibili all’età del bronzo.12

TOPONIMI ADIACENTI

    Il territorio, più vasto, attorno al sito di Fascia Sagrà, è caratterizzato dal toponimo SUAN, che dall’Arpetta, verso Levante, contrassegna una superficie di oltre settecento metri quadrati. In questo territorio, è attiva la Margheria di Suan, a meno di cinquecento metri ad Est della Fascia. Il significato di Suan, potrebbe ritrovarsi in sudante, ossia: territorio ricco d’acqua affiorante, caratteristica appropriata al sito in questione.

    A Nord-Est si erge la Scafa di Gion, monte che viene definito sacro persino da Girolamo Rossi. Suggerisce come, nei secoli antichi fino al V, i Flamini ventimigliesi si recassero a in adorazione di Giove, proprio nella radura alla Scafa di Gion, altura dalla stupefacente forma di nave, (vista da Nord) rivolta verso i grandi santuari montani delle Alpi Liguri, come Monte Bego, ma specialmente il Colle di Cornio, passo alpino da dove gli antichi Intemelìi sono entrati in quello che diventerà il loro territorio .13

    Altro toponimo interessante è GOUTA, che la Petracco Sicardi individua in “‘estremità laterale”‘, dando come causale: “‘... nel senso figurato di monte che ha l’aspetto di uno sbarramento laterale”‘, mentre potrebbe voler dire semplicemente che contribuisce ad esaltare il lato d’un importante punto sacrale.

    Anche le adiacenti Testa d’Arpe ed Arpetta contengono significati degni di attenzione: il toponimo Albium - Alba, per definire montagne, pare abbia delineato anche il nome delle Alpi, cioè di tutta la Catena Alpina.

    Ciò sarebbe avvenuto, passando attraverso il latino “‘Alpem”‘ che ha traslato un termine di origine preindoeuropea, col significato di montagna alta, appunto.14

    Per gli antichi abitanti della Val Roia, quindi, Testa d’Alpe avrebbe potuto indicare l’inizio di un’infinita catena d’alture rilevanti, tra le quali la prima è proprio l’Arpetta.

    Fascia Sagrà potrebbe essere stata il MEZUNEMUSU degli antichi Intemelii, ossia il luogo di raduno dei Druidi, capi spirituali della più ampia tribù, in certi periodi dell’anno, per celebrare cerimonie sacrali.

 

SCELTA SACRALE

    Nell’antichità, la scelta della radura sacra non avveniva per caso, magari selezionando un luogo per poi opportunamente disboscarlo, al contrario, il sito sarebbe dovuto, obbligatoriamente, essere indicato da un intervento celeste, quale un fulmine che avesse provocato un vasto incendio tra gli alberi di una foresta, o il passaggio di una tromba d’aria devastante, come la caduta di una meteora, ossia, tutto quello che avrebbe potuto indicare l’intervento effettivo di congiunzione tra il cielo e la terra.15

     Se il cielo sceglieva un determinato luogo per unirsi alla terra onde fecondarla, quel luogo era certamente degno di essere sacralizzato e frequentato in futuro come tempio della comunità.

    Anche gli Ingauni determinarono il centro geografico del loro territorio e vi posero il loro Nemeton, in un sito che conserva ancora un particolare fascino paesistico.

    Il Mucchio di Pietre è un’altura di 770 metri s.l.m., situata presso la frazione di Càrtari, in Comune di Cesio, nell’alta valle Impero, nei pressi del Colle di San Bartolomeo, dove oggi viene segnalata la presenza di un antico Castellaro.16

    La displuviale di Ponente del Mucchio di Pietre avvia il vallone del Rio Trexenda, affluente dell’Impero, nome probabilmente derivante dai frequenti tremendi temporali che interessano il circondario del Mucchio di Pietre, su quel lato.17

     Come per tutte le località che supportavano un antico sito ieratico, il Mucchio di Pietre conserva una leggenda che lo vorrebbe riempito di contenitori zeppi d’oro, magari soltanto in determinati periodi dell’anno.18

    A ratifica dell’opportunità di centralità nella conferma del sito sacrale per gli antichi Celti o simili, si può costatare la recente determinazione del territorio abitato dalla tribù degli Insubri, nella Pianura Padana.

    Recenti studi, portati da Mariateresa Grassi, segnalano gli Insubri dislocati nelle vallate del Ticino e dell’Ossola, tra le Valli Sesia e Serio, fino alle rive del Padus flumen.

    Al centro di questo territorio sorge Milano, l’antica Mediolanum, della quale è oramai nota la realtà sulla fondazione per mano del leggendario Belloveso, a capo degli Insubri e d’una coalizione di Bituringi, Arverni, Senoni, Edui, Ambarri, Carnuti ed Aulerci.

    Presso il villaggio che costituirà il nucleo dell’attuale metropoli, provocata dal fulmine in un particolare momento vissuto dalla tribù, era situata una radura, scelta dai Druidi di Belloveso come “‘luogo di perfezione”‘, così come lo sarebbero state Fascia Sagrà ed il Mucchio di Pietre.

 

NOTE:

 (1)  Betilo deriva dal greco baitilos, nome dato nell’antichità alla pietra sacra, che si supponeva animata da vita divina.

 (2)  Nell’attuale lingua tedesca, nabel ha il significato di ombelico.

 (3)  I Carnuti sono stati un antico popolo della Gallia Lugdunense che occupava la regione compresa tra la Loira e la Senna. Si ribellarono ripetutamente a Cesare e furono definitivamente sottomessi dal legato Caio Fabio.Centri principali Cenabum (Orléans) ed Atricum (Chartres).

 (4)  Forse “‘druido”‘ stesso deriverebbe dal nome celtico della ü dialettale, dove “‘ü”‘ ha il significato di rigoglioso, come “‘drudo”‘ in lingua, può significare florido e prospero, ma anche leale e fedele. Nelle designazioni topografiche il dorso deriva dal celtico drum. “‘Droma”‘ è l’insieme dei pezzi di un’alberatura marinara.

 (5)  In ventimigliese la glossa “‘mézu”‘ ha il medesimo significato di metà.

 (6)  Sempre in latino, l’aggettivo nemorosus si addice a boscoso, ricco di alberi, fitto, frondoso; mentre nemoralis ha il significato di “‘silvano”‘, appartenente ad un bosco sacro, inoltre, nemorivagus è poeticamente detto ad uno vagante per i boschi.

 (7)  Oltre a riportare in disegno il cerchio rilevato dalla forma dell’astro solare, astro assai apprezzato per quanto concede, anche il cerchio lunare ha ispirato l’homo disegnatore, ma la precarietà nella forma del pianeta terrestre oltre alla circonferenza ha insegnato anche a disegnare la figura cornuta, che noi chiamiamo “‘bovide”‘, nelle iscrizioni delle Meraviglie. Sull’evoluzione della croce inscritta e della Rosa celtica, rimando al mio: INTEMELI POPOLAZIONI CELTOLIGURI, sulla base di toponimi e tradizioni, confermati dalla diffusa presenza, sul territorio della “‘Rosa celtica”‘ - C.d.V. 1999.

 (8)  Stiegelmann rilevò il segno in questione sulle Ciappe di Fontanalba e il Gruppo Imperiese di Ricerca Archeologica riporta la notizia sul volume secondo dell’opera “‘I LIBRI DI PIETRA DEL MONTE BEGO”‘, edita da Dominici ad Oneglia nel 1983..

 (9)  Tra le tribù dell’Amazzonia o del Borneo, l’ampia capanna che funge da abitazione comune è situata sul bordo di una radura circolare in mezzo alla quale è eretto il totem. In tempi più recenti questo logo, col medesimo significato, è servito a progettare la pianta del colonnato del Bernini, antistante San Pietro in Vaticano, con l’obelisco a fungere da centro della cristianità.

(10) Una teoria trova, nella rappresentazione del cranio bovide, la figura discontinua della falce lunare, nelle sue fasi, indicanti le stagioni ed il trascorrere ripetitivo e rassicurante del tempo, riferibile alla vita della tribù.

(11) Incontreremo il toponimo Alpem o Albium, che ha creato i nomi di Albenga, Ventimiglia ed Albissola, oltre che quello della Catena Alpina, legato al significato di montagna, ma anche di oppida primaria, gli antichi “‘castellari”‘ liguri situati in altura. Nel dialetto intemelio, l’alveare viene detto arbinà, con la r palatale dal suono intermedio l-r, lo stesso col quale si chiamano le menzionate alture Tésta d’Árpe ed Arpéta

(12) Alcuni scheletri ritrovati, malamente sepolti, al termine del Secondo Conflitto Mondiale si sapeva appartenuti a combattenti partigiani trucidati da quelle parti.

(13) A pagina 6 della STORIA DELLA CITTÀ DI VENTIMIGLIA, scrive: Si fu Intemelio adunque, che forse compì il primo atto religioso a Belen, dio dei Liguri sul monte Belenda, nella vallicella di Latte; come molti secoli dopo i flamini si recavano a sacrificare al Re degli dei sulla vetta del monte Giove (Gion), nella valle di Nervia; ne si può pensare altrimenti, scrivendo il Manzoni, che dove i fatti sono scarsi, si deve scernere ciò che ha carattere di probabilità, e meglio si connette cogli altri fatti principali, affermati comunemente da tutti. - Il toponimo in questione è il picco alpino: Scafa di Gion, dove Scafa sta per gnomone di cui si servivano gli antichi per misurare la distanza zenitale di un’astro; ma lo stesso termine è adoperato per indicare il vaso per sacrifici, in forma di gondola, o definire una piccola nave.

(14) Il professor Lamboglia, nel suo “‘Toponomastica intemelia”‘ del 1946, citando Strabone, presume che le città dei Liguri di ponente sorgessero in forma di oppida fortificati in cima alle alture, assumendo perciò lo stesso significato di “‘montagna”‘.

(15) Le pietre ritrovate dopo la caduta di una meteora erano dette del fulmine e per la maggior parte si tratta di selci preistoriche, ritenute punta della saetta.

(16) Tra le prerogative che si attribuivano a San Bartolomeo apostolo, era prevalente la lotta contro i demoni ed i falsi idoli. Nella “‘vita”‘ del santo scritta da Jacopo da Varagine viene descritto l’episodio del demone di Astaroth, costretto dal santo a confessarsi e fuggire:”‘ ... e quello subito uscendo demolì ogni genere di idoli; fece a pezzi non soltanto il grande idolo, ma le insegne ornamentali e distrusse ogni paura”‘.

(17) Nella cartografia sabauda ottocentesca dell’Imperiese, il Monte Mucchio di Pietre era segnato come “‘Monte Baraccone”‘. Un’altura con questo nome è sita tra la località di Ciaixe e quella di Brunetti, sul crinale che da Collasgarba a Testa d’Arpe divide i bassi corsi del Roia e del Nervia.

(18) Dal 6 maggio del 1800, la leggenda, allacciata all’antica ricorrenza celtoligure dei maggi, è stata legata ad un fatto d’arme tra Austriaci e Francesi, terminato con la sconfitta di questi ultimi, i quali si ritirarono su Nizza, abbandonando sul sito la cassa del reggimento, sotterrandola.

 

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE

Franco Amirante - Nico Vatteone

   I LIBRI DI PIETRA DEL MONTE BEGO

     Gruppo Imperiese di Ricerca Archeologica -

Joseph Campebell                                 Dominici - Oneglia 1983

   LE FIGURE DEL MITO

     Mondolibri S.p.A. - Red studio - Como 1991

Terence Meaden

   STONEHENGE - Il segreto del Solstizio

     Gruppo editoriale Armenia - Milano 1998

Paolo Cerasetti - Dario Cimorelli

   LE VALLI DELL’OLIVO

     Comunità Montana dell’Olivo - A. Pizzi - Cinisello Bals. 1998