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TERRITORIO INTEMELIO

 

ABEGLIO COME AVALON

Rifugio per lo spirito dei condottieri defunti d’un popolo ispirato alle api

 

    Ulteriori segni sulle caratteristiche celtiche, stemperate nella combinazione specifica da celto-liguri delle antiche Popolazioni Intemelie compaiono analizzando la toponomastica dei siti più rappresentativi della sacralità territoriale.

    Il Monte Abeglio rappresenta il prototipo del luogo sacro, giacché e rimasto tale durante il dipanarsi della “Storia” ed, ancora nell’Ottocento, tutte le leggende che lo riguardano sono state farcite di indubbia sacralità.

    Il toponimo Abeglio o Abegius è stato presente sul territorio Intemelio sotto forma di un castello con torre che si ergeva sull’omonimo Capo, posto sul mare tra Monaco ed Eza, oggi conosciuto come Cap d’Ail.

    La frequente rilevazione di termini legati all’apicoltura in tutto l’ampio territorio del bacino imbrifero della Roia porta a considerare l’ape quale animale totem di quelle popolazioni, arrivando alla conclusione che la comunità dell’alveare abbia potuto ispirare il sistema di vita di quegli uomini.

    La variante toponimica che G. Rossi riporta nella nota a pag. 6, sulla sua "Storia", concede ai due Abegli il culto per la divinità ligure Beleno - Belen.

 

IL SITO MONTANO

    Il Monte Abeglio ed il suo omòlogo Abegliotto, sono situati nel mezzo del bacino idrografico della Roia, proprio all’altezza dell’ultimo terzo nella sua distanza dal Mar Ligure.

    Fanno parte del crinale che si sviluppa dal Pietravecchia e dal Toraggio verso la Collasgarba, tra i letti della stessa Roia, a ponente, e del Rio Barbaira, affluente della Nervia, a levante.

    Sulla sommità di entrambi i monti sono rilevanti le tracce di costruzioni, forse appartenute ad antichi castellari, frequentati in epoca preromana; ma i resti più evidenti sono appartenuti ad un ridottissimo castello medievale, del quale è ancora presente la cisterna per la raccolta delle acque piovane.1

    L’Abeglio risulta alto 1016 metri, mentre l’Abegliotto è soltanto 901, le loro cime sono divise dalla Bassa d’Abeglio a 752 metri, detta anche Sella degli Abegli. A nord-ovest dell’Abeglio, sul crinale che porta ai 1026 metri del Monte Colombin, si trova la Fontana dei Saviglioni, la fonte perenne più interessante del circondario, che oggi si è quasi seccata, per incuria.2

    Il significato provenzale di linfa, che potrebbe essere concesso all’acqua dei Saviglioni, aprirebbe un discreto spiraglio tra le numerose leggende sorte attorno all’Abeglio ed a questa fontana.

    Tra la Bassa ed i Saviglioni si dirama le rete delle mulattiere, che da sempre hanno consentito gli scambi fra i villaggi di Airole, in Val Roia, e Rocchetta, sulla Barbaira.

 

IL TOPONIMO

    Sul suo dizionario intemelio, pubblicato nel 1946, Nino Lamboglia riporta il toponimo “Abeglio”, citato in fonti del XVII secolo e del 1760, sostenute da un omonimo, presso Monaco Principato, attestato dal XIII secolo.

    Nell’ipotesi etimologica, il Lamboglia porta ad un collettivo mascolinizzato da “abéglia”, il dialettale per “ape”, col significato di “monte delle api”, a riferimento di qualche antico diritto locale del tipo dell’abellagium o abellarium.

    Subito dopo, cita Girolamo Rossi; il quale aveva connesso il nome alla divinità preromana Abellius, o più semplicemente all’Abellio di molte iscrizioni dell’Aquitania; ma segnala anche come Abellius avrebbe dato normalmente Avéglius, nell’area intemelia.3

    Ebbene, le iscrizioni aquitane hanno come significato “albero di melo”, derivato dalla radice indoeuropea “abel“, equivalente ad “aval”, la mela in bretone e gallese. È noto come “aval” abbia determinato il nome della mitica isola delle mele “Avalon”, che Goffredo di Monmouth chiama Insula pomorum.

    In quell’isola, dove riposavano i sovrani e gli eroi defunti, si era rifugiato re Artù, nell’attesa della riscossa gallese e bretone; e sempre là, sotto un melo, teneva scuola il Mago Merlino.

    Non sarebbe da escludere che l’etimo possa derivare da entrambe le ipotesi citate, cioè, che il diritto di allevare api su Abeglio e Abegliotto rispondesse a precise esigenze di sfruttamento della fioritura delle numerose piante di melo selvatico che avrebbero caratterizzato il Monte delle Mele; per ricavare i frutti che venivano usati come ingrediente acidulo nella produzione dell’idromele, la “bevanda degli dèi”, utilizzato durante le cerimonie.

 

RISVOLTI MITICI

    Abellio come Avalon dunque, alla ricerca dei miti preindoeuropei che dovrebbero aver caratterizzato gli Intemelii, in qualità di popolo ligure, con notevoli infiltrazioni celtiche; come quella di considerare le montagne il rifugio per gli spiriti dei defunti e forse, addirittura come tomba degli antichi capi.4

    Il melo è l’Albero simbolico della Conoscenza salvifica che conduce all’immortalità in tutte le culture del mondo antico. Anche Alessandro Magno, cercando in India la favolosa “Acqua della Vita” fece la scoperta di mele che allungavano indefinitamente la vita di alcuni sacerdoti; mentre nella mitologia germanica, la dea Idum possedeva mele che impedivano l’invecchiamento.

    Nel mito greco di Eracle, l’undicesima fatica consisteva nel cogliere i frutti d’oro di un melo, dono di nozze della Madre Terra (Gaia) ad Era, 5 che lo aveva piantato nel suo giardino sulle pendici del monte Atlante, dove i cavalli del sole terminavano la loro corsa.6

    Atlante, messo in guardia da una profezia di Temi, cinse l’albero con alte mura ed affidò la custodia di questo alle proprie figlie, le Esperidi, che provvide a chiudere nel giardino.

    Le Esperidi provarono a cogliere i frutti proibiti, ma l’attenta Era ordinò al drago Ladone di avvolgersi attorno al tronco e montare attenta guardia. Per conoscere dove fosse il giardino, Eracle si recò in riva all’Eridano, dove abitava Nereo, che lo avrebbe informato su come operare. Ucciso Ladone, Eracle ricevette i frutti d’oro dalle Esperidi, le quali, per la loro manchevolezza, erano trasformate in alberi, un olmo, un pioppo ed un salice.

    Il mito del “Giardino delle mele”, non può far dimenticare il richiamo del toponimo all’ape che per il Popolo Ligure potrebbe rappresentare molto di più.7

 

TOTEMISMO INTEMELIO

    Il totemismo, che attraverso metodici riti propiziatori ed una mitologia sacra, legava tra di loro i componenti dei più antichi gruppi sociali, garantendone l’unità e la sopravvivenza, è stato la prima forma di religione che l’umanità abbia conosciuto.

    Ad esso bisogna rifarsi, per spiegare gli altri riti ed i costumi primitivi, dall’Era Olocene in poi. La Comunità protostorica, che non conosceva ancora le divisioni in classi contrastanti ed ignorava quindi ogni forma di organizzazione basata sullo Stato, era tenuta insieme da legami di parentela, di sesso, di età e solo in via subordinata, da vincoli che scaturivano dalla specializzazione di alcuni gruppi.

    Anche la sacralità, in quell’antichissima fase della vita associata, sarebbe stata basata su legami analoghi di parentela, di sesso e d’età, trasferiti dal CLAN originario ad un mondo di rapporti irreali, fantastici, nei quali si esprimeva la debolezza del gruppo di fronte alla natura.

    Quasi impercettibilmente, anche l’animale, la pianta, o in via analogica l’elemento della natura di cui il gruppo si nutriva, o del quale aveva rispetto, venivano considerati come Progenitore, l’antenato, espressione e garanzia della coesione ed emblema collettivo, oggetto di sacra venerazione.

    Questo legame misterioso, quasi biologico, di parentela, di affinità di sangue e di gruppo, era espresso dal totem, o simulacro dell’affine al fratello. L’animale totem dell’antica popolazione ligure, quella che ha dato vita agli oppida della gente intemelia ed ingauna, ma anche alle città col prenome Alba, potrebbe essere stata l’ape, la laboriosa APE LIGUSTICA.

    Nella parlare degli intemeli, l’alveare è detto aŗbinà, con la ŗb intervocalica palatale e la ř col suono intermedio tra r ed l, che porterebbe albion del prenome dato agli oppida della Riviera ad aŗbion, ma anche il prenome cittadino alba ad aŗba, con una impressionante affinità al nome della “città” delle api, l’aŗbinà.

    Ma anche l’usanza del “ver sacrum”, l’esodo forzato delle generazioni nate in una primavera non promettente nel settore delle scorte alimentari, è usanza imparata dal comportamento delle api.

    Nell’alveare è l’ape regina anziana a cedere l’arnia ad una nuova regina ed alla sua generazione, involandosi nella sciamatura; mentre nelle tribù liguri, era il figlio del capo, maggiorenne in quella sterile primavera, ad allontanarsi con la sua generazione verso nuove terre da colonizzare e nelle quali edificare la nuova aŗba.

 

CONFERMA TOPONIMICA

    Sull’area intemelia, alcuni segni, strategicamente coerenti, lasciati sul territorio dalla toponomastica antica, molti dai quali ancor oggi in uso, portano ad interessanti ipotesi sull’assegnazione del minuscolo, grandioso insetto, alla protezione del clan intemelio preistorico.

    Oltre al Monte Abeglio, del quale si è ampiamente trattato, si possono rilevare: Cap d’Ail, Capo Ampeglio, Castel d’Apio, Peille, Peillon, Ablé, Burigu, Monte Agel, Alpe Summa, Punta Bognoso, Peglia, Cima Veglia, Monte Peiga, Negi, Colle Melosa, Cima della Nave, Cima della Mâle, Aŗbinai, Poggio d’Avignà, Aŗbineira, Borega, Polignaga, Bignone, e persino Bego.

    Una descrizione sommaria di questi nomi è ritrovabile nell’apposita appendice, qui di seguito.

Luigino Maccario

 

APPENDICE

CAP d’AIL: In territorio francese, Capo d’Aglio è in dialetto Cavu d’Agliu, contrazione di Avegliu, come si era chiamato durante il Medioevo; supportato ancora dalle api che ancor oggi sono conservate ed evidenti nello stemma della città, derivatogli dalla presenza di una Torre d’Abeglio, della quale restano le rovine sulle alture della Testa de Can. Cap d’Ail, o meglio Capo d’Aveil o d’Abeil, segna l’entrata in mare della linea orografica che segna il limite occidentale della catena displuviale, che delimita la vallata del Roia e di conseguenza la terra degli Intemelii.

CAPO AMPEGLIO: L’altro capo dell’arco orografico, la displuviale orientale del Roia scende in mare a Capo Nero, limite est della contea interna, in tempi remoti, reso impraticabile dalle propaggini occidentali del Lucus Bormanus, del quale restano gli sparuti residui del bosco di Montenero. Capo Ampelio, in dialetto Cavu Ampégliu, segnava il punto marino praticabile più ad oriente della zona interna: esso conserva l’antico nome ligure o massaliota, con una sensibile assonanza ad Abegliu, Avegliu. Anche il dialettale “a peglia”, da Pecchia, così com’era chiamata l’ape in antico, calzerebbe col toponimo del capo bordigotto, frequentato nell’antichità, come punto d’approdo più orientale che si conosca, per i traffici marittimi dei coloni massalioti.

CASTEL D’APPIO: Sito in punto strategico, con vista sulla bassa valle Roia e dominante la piana di Latte ed il valico di Sant’Antonio; è l’altura dominante il seracco di colline retrostanti la città medievale. Citazioni dell’XI e del XII secolo lo indicano come Monte Apio, podii de Api, podium de Api. Se non è riferito direttamente all’insetto, potrebbe essere attribuito al sedano di montagna, in latino “apium”, detto comunque: erba delle api.8

PEILLE: Sulle pendici nordoccidentali di Mont Agel, oltre il Col de Gariglian, il villaggio e l’altura che lo sovrastano, ora chiamata Col Madone de Gorbio, erano conosciute come: Peglia.

PEILLON: Sullo stesso contrafforte montuoso nordoccidentale di Mont Agel, a settentrione di Laghet, la nota borgata di Peglione.

MONTE ABLÉ: Monte e Colle sul crinale orografico, alle foci del Paglione, il torrente di Nizza, che ha il nome in assonanza con abeglia.

BURIGU: Presso Mentone, nella vallata di Sant’Agnes, il toponimo è riferito sia al sito d’altura, sia al torrente che, nato dal poggio, percorre la vallata, andando a sfociare alla Condamina, passando per le Vignasse. Burigu è il dialettale di bugno, l’alveare spontaneo.

MONT AGEL: Trovare una radice toponomastica per questa particolarissima altura, culminante con un pianoro, abbisogna d’arrivare all’antica voce: Azzero, col significato di ascia da guerra; o al gallico Âgé: vecchio/età. Nel caso, il dialettale Naixu; il recinto che contiene le arnie potrebbe aver perso la N iniziale, riferendosi al riconoscibilissimo profilo dell’Agel, che è sovrastante il luogo ora chiamato “La Turbia”, perché contenente il “Trofeo” delle Alpi, costruito in onore dell’imperatore Augusto, conquistatore della regione. Il luogo di Turbia, era conosciuto come Alpe summa.

    Altri azzardi toponimici.

ALPE SUMMA: Il toponimo “Alpion”, trattato per l’origine del nome Ventimiglia, seguito da “somma”, col significato di elevato, oppure di complesso/insieme, a custodia del proprio retaggio esoterico, custodito fin dalla remotissima Antichità.

PUNTA BOGNOSO: Tra Montecarlo e Cap Martin, la costa crea una serie di golfi appena accennati, di cale molto aperte e di punte scogliose. La più esterna di tutte, detta oggi Pointe de la Veille, è punta Bognoso, nome aderente all’alveare spontaneo dell’ape, chiamato “bugno “.

PEGLIA: Nel basso alveo della Roia, territorio delimitato a nord dalla collinetta dei Maristi e dalle fortificazioni del Ciousu, verso sud. Sormontato dallo sperone roccioso dell’Orignana, raccoglieva le ultime pendici di macchia mediterranea e, nel medioevo, era attraversato dalla strada per il Piemonte.

CIMA VEGLIA: Tra il passo del Cornà e la vetta del Granmondo è la cima più vistosa, oltre il seracco della Longoira, luogo ideale di sacrario primitivo all’aveglia.

MONTE PEIGA: Chiude a Nord-Ovest la conca dei Negi, tra Perinaldo e Seborga. Con i suoi 782 metri è il culmine di tutta la cerchia appena a ridosso di Bordighera. Da “pecchia” oltre a Peglia potrebbe esser derivato questo Peiga.

NEGI: Nella conca creata dal crinale Peiga-Caggio è luogo ideale per i recinti di alveari naixi/nexi.

MONTE PIETRAVECCHIA: Vetta a Nord-Est del Monte Toraggio. Priaveglia sarebbe il nome acquisito dal topografo sabaudo per le prime cartografie del Regno Sardo, dove veglia non aveva il significato di “vecchia”, ma di aveglia col chiaro significato di “pietra ape”

COLLA MELOSA: Protetta dal massiccio di Pietravecchia, in alta Val Nervia, è sormontata dal Monte Corma, in un succedersi di prati ricchi di fioriture endemiche. Situazione ideale per essere definita mielosa.

NÁVE: Testa d’a Nàva - Cima tra Marta e Sanson, che richiama la prora di un recinto a naçelle: naixi /naxe/nave.

CIMA DELLA MÂLE: Nelle pendici Ovest di Monte Saccarello, in alta Val Levenza. In dialetto è Çima d’a Màŗa, col significato "mediterraneo" di Mucchio di Sassi, col riferimento a dolmen, o a serie di alveari villici, con coperchi di pietre, che, nella tradizionale propensione all’allevamento apistico in Val Levenza, è la più probabile.

ARBINAI: Regione medievale, ora strada nell’abitato di Pigna, evidentemente sede di numerosi “arbinai”.

POGGIO D’AVIGNÀ: Prati e campi incolti, che furono bandita nel comune di Pigna, ideale per l’allevamento apicolo.

ARBIGNEIRA: Campi gerbidi a mezza costa, tra Orvegno e Carne, nel territorio di Pigna, ideali alle api.

BOREGA: Buréga, vallone affluente del torrente Bendola, ma anche l’adiacente terreno a bosco rado e campi incolti, luogo ideale per trovarvi bugni villici od alveari rustici.

POLIGNAGA: Località presso Briga, alle falde occidentali del monte Saccarello, potrebbe nascondere un riflesso di POLLINIACUM, inerente al luogo del polline.

BIGNONE: Il monte che chiude San Remo a Tramontana, per la sua forma può essere considerato un grosso “bügnu”, da cui “Bügnùn”.

BEGO: Il monte sacro degli Intemelii potrebbe prendere nome dallo stato tra larva e ninfa dell’ape, che si dice “begùn”; giacché la larva è la “béga” e la ninfa è “bestiéta”.

 

NOTE

(1) Nel 1298, Genova si lagnava con la Provenza per l’accoglienza data ai suoi fuoriusciti nelle terre provenzali di Pigna e Rocchetta, nella Rocca di Monaco ed in un cert’altro castello detto Labeglio ... posto nella valle Nervia, in sito molto eminente e malagevole da espugnarsi.. G.Rossi, Storia del Marchesato di Dolceacqua ... – Bordighera 1966. pag. 64/67.

(2) L’etimologia di Saviglioni è da ricercarsi nella radice preindoeuropea SAV- che caratterizza un ampio filone di idronimi, tra i quali è notissimo la Sava, fiume balcanico, come altri Save si trovano in Francia. Nei dialetti alpini sava = linfa, tale quale all’occitano sabo, mentre nell’antico piemontese saveria = scarico. Prima di entrare nel Lago Lemano, il Rodano forma gli acquitrini di Saves, Saviez e Savorat, mentre il Canale di Savières scarica in quel fiume il Lago di Burget.

(3) Interessante ipotesi viene proposta dal ricercatore: Giannino Orengo di Pigna, sul toponimo Pietravecchia, descritta nel paragrafo: Conferma toponimica. A sostegno della tesi Orengo sussiste il vicinissimo toponimo Colle Melosa, che dell’ape sarebbe il risultato operativo.

(4) Un’auspicabile ricerca archeologica su quell’altura, ma soprattutto nelle numerose grotte che si aprono sui suoi fianchi, potrebbe risolvere molti interrogativi in merito.

(5) Un’antica iconografica dov’era raffigurato Eracle che riceveva i pomi d’oro dalle Esperidi, ingannò gli antichi autori greci che diedero inizio alla leggenda di Paride ed il pomo di Afrodite, con la conseguente distruzione di Troia.

(6) La Stella della Vita, detto anche Lucifero, “portatore di Luce”, era figlio della Triplice Dea, infatti, come stella della sera egli precedeva la luce della Luna.

(7) Questa arcaica iconografia ha ispirato la leggenda biblica dei progenitori nel giardino dell’Eden.

(8) L’Appio montano, nome volgare del Levistucum officinale, una pianta delle Ombrellifere - Apium, detta popolarmente Sedano di montagna, è detta anche “erba delle api”. E’ erba perenne, glabra, alta sino due metri con radice fusiforme, grossa, aromatica, caule eretto fistoloso con nodi, foglie grandi e lucide tripennatosette, fiori verde-gialli in ombrelle composte, frutti ad acheni biancastri; la sua radice, raccolta in maggio o settembre, ha azione diuretica carminativa ed è talora usata per sofisticare la radice di Angelica. Le piante più note tra le Ombrellifere sono il sedano ed il prezzemolo. I Greci ne facevano corone per i vincitori dei giochi istmici; dice Pindaro:“i verdi rami d’apio dorico coronano la fronte di questo fortunato vincitore”. Esso rappresenta la giovinezza trionfante e gioiosa. Aveva anche un ruolo importante nelle cerimonie funebri per indicare lo stato di eterna giovinezza al quale il defunto aveva infine accesso.


    Il contenuto di queste pagine è stato argomento per un pubblico incontro, tenuto nel Salone della Civica Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia, a cura del Comitato Centro Storico, sabato 6 marzo 2004.

 BIBLIOGRAFIA

Nino Lamboglia

  TOPONOMASTICA INTEMELIA

    Istituto Internaz. di Studi Liguri - Bordighera 1946

Pierre Grimal

  ENCICLOPEDIA DEI MITI - Le gesta i comportamenti

    Garzanti - Milano 1990

Paul-Louis Rousset

  IPOTESI SULLE RADICI PREINDOEUROPEE DEI TOPONIMI ALPINI

    Priuli & Verlucca - Ivrea 1991

Alfredo Cattabiani

  LUNARIO - Dodici mesi di miti, feste, leggende

    A. Mondadori - Milano 1994

Alfredo Cattabiani

  FLORARIO - Miti, leggende e simboli di fiori e piante

    Mondadori - Milano 1996