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Solstizio d’inverno

... e l’albero di Natale ?


Antiche usanze europée

alloro e mirto, le essenze arbore usate negli addobbi

                                           Abete natalizio                                                                                                        Alloro nobilis

 

I VERDI ADDOBBI SOLSTIZIALI

    Addobbare gli interni della abitazione con vegetazione rigogliosa, durante il periodo dell’anno legato al Solstizio d’inverno, è una antica tradizione europea, che non si limita esclusivamente all’allestimento del classico “Albero di Natale”, usanza scandinava esportata in tutto il mondo; ma è legata a ritualità agresti, comuni in ogni contrada del Vecchio Continente.

    Quella dell’abete natalizio decorato di luci e leccornie, è appunto un’usanza nordica, legata alla fecondità della terra, che la seducente civiltà dei consumi ha saputo trasferire anche a latitudini più meridionali, eclissando tradizioni similari meno sorprendenti, che all’inizio del XX secolo, si mostravano già insidiate dalla cultura dominante, ben attenta a svuotarle dei fastidiosi significati ancestrali.

    Dai primi giorni di dicembre, fino quasi al termine di gennaio, il lungo periodo comprendente il Solstizio prevedeva, anche nel nostro Ponente Ligure, calde ritualità domestiche d’omaggio alla natura verdeggiante, proprio mentre all’esterno le gelide terre coltivate si presentavano alla stregua di solchi spogli, in attesa d’una ancor lontana primavera.

    Ancora a fine Ottocento, da metà dicembre, nelle magioni benestanti si provvedeva ad inghirlandare i saloni da ricevimento con frasche d’alloro, secondo l’uso genovese. Questi, veri e propri alberelli di alloro, la rituale auribàga, venivano addobbati con arance, limoni e mandarini; in qualche caso da nastri colorati, ad imitazione dei frutti; allo scopo di suggerire alle forze della natura l’auspicata condotta per la prossima primavera.1

 

                      Mirto - Murtura                                                                                          Lentisco

    Il sempreverde alloro trova ancor oggi impiego nella ripresa del rituale Cunfögu pubblico genovese e savonese. Altra pianta, considerata simbolica del periodo autunnale, era il mirto, a mùrtura; la quale veniva esposta durante i rituali per la vendemmia, in settembre, e conservata in bella vista fino al solstizio d’inverno, come ci ricorda lo stesso Thomas Hanbury, attraverso la memoria di Renzo Villa.2

    Oltre agli agrumi ed altri frutti autunnali, quali il melograno, “u pùmu granàu”, o l’uva d’inverno; le auribaghe rituali venivano guarnite con speciali biscotti, impastati con il grasso bovino, che li manteneva morbidi più a lungo; così da poter resistere appesi, esposti nei salotti, fino al termine delle festività. La caratteristica di questi dolcetti, detti “e Bugatéte”, era la forma antropomorfa, che li rendeva somiglianti a quei pupazzetti che si realizzano ritagliando strisce di carta, abilmente ripiegata.

    In Val Nervia, la strenna natalizia ricevuta dalle bimbe era sovente “a Mariéta ìnsci’a càna”. Si trattava d’un grosso biscotto antropomorfo a forma di donnina, confezionato con farina ed olio, da venditori ambulanti, che frequentavano le fiere e i mercati. A Camporosso, facendo dono d’una Mariéta ad una bimba, le si diceva: Eccu Mariéta, tàighe a téta, ciàntighe in ciòn e fàřa girà. Inviti assai cruenti se non si fosse trattato di un gioco.3

Alloro fiorito

    In bassa Val Nervia, nella penultima settimana di gennaio, la festività di San Sebastiano prevede la sacrale deambulazione di una grossa pianta di alloro, adorna di falsi frutti. A Camporosso, tali “frutti” realizzati in cialda basilare, opportunamente colorata, sono detti papete; le medesime che a Dolceacqua si chiamano négie e mostrano una colorazione appena accennata. Tali nebule vengono confezionale con appositi stampi dai “bastianeti”, i confratelli scapoli della apposita congregazione.4

NOTE :

 1. Nella settimana precedente il Natale, mio padre provvedeva a raccogliere abbondanti frasche di alloro con le quali addobbava, per le feste, la nostra macelleria, appoggiandole ai sostegni che reggevano i ganci, tutto attorno alle pareti. Nei primi anni Settanta, con mia somma meraviglia, la baronessa Maria Galleani mi ha raccontato come, lo stesso uso di sostegno per le frasche d’alloro, in periodo natalizio, era predisposto con le ferramenta atte a sorreggere gli arazzi, nei salotti delle case signorili liguri.

 2. Consulta Ligure/C.d.V. - Commemorazione di Sir Thomas Hanbury nel 150° anniversario della nascita 1832/1982. Relazione di Renzo Villa - Alzani Pinerolo.

 3. Assieme alla Mariéta, gli ambulanti portavano, infilati nelle lunghe canne di sostegno, attraverso il buco centrale connesso alla figura, altre realizzazioni, dette: u Fantin e u Galétu. L’informatrice di questa tradizione è Olga Anfosso, classe 1940.

 4. Sulla processione di San Bastian vedere l’album fotografico “auribaga e papete” da Ritualità in Val Nervia.

 

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TIPI  DI  ABETE

  l'arbaréu : abete bianco                 l'avéu : abete rosso

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                      Vischio                                                                                    Pungitopo

 

IL VISCHIO E L’AGRIFOGLIO

    Tra i cespugli sempreverdi che fanno parte della ritualità solstiziale d’inverno, la tradizione europea ci ha portato il vischio e l’agrifoglio, “u ghì” e “l’agrufögliu”. Il vischio ha origini lontane nella nostra tradizione, derivando le fioche consuetudini odierne dagli arborei riti celtici. Anche nella nostra antichità era attivo un mondo di Druidi, querce, vischio sacro, in una cultura di spiritualità che ci era giunta dalla lontana Asia, passando per le civiltà di Golasecca, di Hallstatt e di La Tene.

    Una popolazione europea, ordinata in tribù, originate da una divinità antropomorfa e accomunate da lingue semanticamente simili anche se molto distanti. Una civiltà che quando conquistava non devastava, ma “concordava” coi conquistati le regole di vita sociale.

    Il vischio è sempre stata considerata una pianta magica, nata dal cielo, il quale con la folgore lo condurrebbe ad affondare le sue radici nella corteccia di alcuni alberi. Le sue foglie sono sempreverdi e le sue bacche somigliano a perle; queste ultime si sviluppano nell’arco di nove mesi, una gestazione umana, e si raggruppano solitamente a tre a tre, un numero sacro che lo rende simbolo di immortalità e rigenerazione.

    I Druidi usavano tagliare il vischio di quercia, albero sacro, nel sesto giorno del solstizio d’inverno, indossando tuniche bianche e utilizzando un falcetto d’oro. Ce lo ha tramandato Plinio il Vecchio, dicendoci come i rametti venivano raccolti in un drappo di lino immacolato, così da poterlo utilizzare nelle cerimonie sacre, allo scopo di propiziare un buon raccolto e proteggere il bestiame, oltre a combattere le epidemie dell’uomo.

    La tradizione di appendere il vischio sul vano delle porte era usanza celtica che costringeva due nemici che si fossero incontrati sotto a un ramo di vischio avrebbero dovuto deporre le armi e concedersi una tregua. è ancora celtica la leggenda secondo la quale due fidanzati che si baciano sotto al vischio si sposeranno entro un anno; infatti questa era pianta sacra a Freya, la dea dell’amore.

Agrifoglio

    L’Ilex Aquifolium, l’Agrufögliu è un arbusto sempreverde, che cresce in Europa centrale e meridionale. Le sue foglie sono coriacee dal contorno spinoso, lucide e cerose sulla pagina superiore, opache e verde più chiaro su quella inferiore. È uno dei simboli del solstizio d’inverno, appetito dagli uccelli come il sorbo. Il legno è usato per lavori delicati e fini di artigianato. Preferisce un’esposizione al sole. Questa pianta, oggi è annoverata fra le specie protette.

    Somiglia molto all’Agrifoglio il Ruscus aculeatus, detto pungitopo, un arbusto sempreverde dell’Europa centrale, che trasforma i suoi rami e riduce le foglie a piccole brattee, per adattarsi al clima secco. Anche lui produce bacche rosse sul limite delle foglie. Nel tardo Medioevo, il pungitopo veniva usato per scacciare i topi dalle cantine, a pro delle sue spine, ma era appeso alla porta di queste, legato in mazzetti con lo Stramonio, che avrebbero dovuto tenere lontane le streghe.

    Giuntoci dall’America, lo Stramonio  era usato anche come droga, somministrata ai bambini per farli addormentare. Con lo Stramonio si poteva entrare in contatto con il mondo degli spiriti, per raccoglierne i messaggi. Somministrando lo Stramonio, gli stregoni equadoregni erano in grado di informarsi sul futuro dei ragazzi, interpretando le loro visioni.

 

                                              Quercia Roverella                                                                                            Corbezzolo - Arburussìn

                              Vischio  -  Ghi                                                                                               Stramonio