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ASTRAGILU

 

LA  NOTTE  DI  OGNISSANTI

                                                                                                                                       Luigino Maccario  - 2005

    Il consumismo globale è riuscito a riportare in Europa la bizzarra celebrazione di Halloween, concedendogli di ottenere un innegabile successo nel mondo delle discoteche e della ristorazione. La divulgazione dell’usanza “dolcetto o scherzetto” ha persino ampiamente coinvolto la sfera degli adolescenti, nell’ambito della quale ha preso forma una sorta di mascherata, che pare venga presa in considerazione molto più dell’opportuno ripristino del carnevale, in febbraio.1

    La festività d’Ognissanti, abbinata alla commemorazione dei defunti, che nel tentativo di rassettare quelle che oggi ci sarebbero indicate come le “radici d’Europa”, avrebbe dovuto sovrapporsi agli “eventi magici” che caratterizzano la notte di fine ottobre, non sono riuscite nell’intento; lo spirito popolare che aleggia in questo periodo dell’anno pare voglia continuare a riferirsi a radici ben più antiche.2

    Considerando le sensazioni interiori individuali, connaturali all’avvento della stagione del freddo e delle tenebre, il subconscio degli europei è ancora collegato con l’antichissimo capodanno ancestrale, che si manifesta comunque nell’ultima notte d’ottobre.

 

CAPODANNO AGROPASTORALE

    Le collettività di contadini e pastori che costituivano la maggioranza della popolazione europea nell’evo antico, sentivano la necessità di esprimere riti opportunamente rivolti a conservare la fertilità della Terra, che aveva da superare indenne la stagione oscura.

    Quel capodanno segnava la fine dei raccolti, mentre con l’inizio dell’inverno la vita cambiava radicalmente: i greggi rientravano dai verdi pascoli estivi, e le persone si chiudevano nelle loro case, per trascorrere al caldo le notti lunghe e fredde notti, passando il tempo a raccontare storie e a fare lavori di artigianato.

    Ma anche quelle genti avvertivano sensazioni interiori individuali, che li investivano spontaneamente in quel periodo, forse anche in misura superiore a quelle provate da noi, oggi; considerando la perdita di percettibilità che ci riguarda. Temevano che durante quel giorno di passaggio, tutte le leggi dello spazio e del tempo fossero sospese, permettendo al mondo degli spiriti di unirsi al mondo dei viventi.

    In quelle iniziali notti gelide, gli spiriti dei defunti recenti avrebbero magari sentito la necessità di riparare nelle case; quindi per evitare confusione di condizioni, lasciavano la casa disabitata, non tralasciando di porre generi di conforto a disposizione dei poveri morti.

    Ad ogni latitudine europea si sono evoluti e conservati differenti folclori, legati a questa manifestazione immateriale, tutti però vertenti al contatto con gli spiriti dei defunti.

                      Ossi da morti                                                                                      Pan dei morti

INTERVENTI CRISTIANIZZATORI

    Dapprima inopportunamente osteggiati, senza costruttivi risultati, quegli antichi riti sono stati assorbiti dal cristianesimo affermato. Nell’anno 835, papa Gregorio IV spostò la festa di “Tutti i Santi” dal 13 maggio al 1° novembre; con risultati insufficienti, a causa del troppo flebile collegamento col culto dei morti comuni.3

    Nel 998, Odilio di Cluny aggiunse a Ognissanti, il 2 novembre, la Commemorazione dei Defunti; ma il popolo cristiano adattò le vecchie pratiche alle nuove esigenze mantenendo una promiscuità dei riti che persiste ancor oggi, manifestandosi con la mania dell’addobbo smodato delle tombe cimiteriali, ad uso dell’esteriorità più banale.

 

USANZE LOCALI

    Ancora nel Tardo Medioevo, anche tra le nostre genti era viva l’antica usanza di recarsi nei cimiteri corredati da abbondanti cibarie per banchettare, in allegria, sulle tombe, dividendo coi defunti alcune porzioni.4

    Le autorità faticarono moltissimo ad estirpare questo tipo di ritualità, relegandola in insane paure ed in ferali tristezze, ma non cancellarono del tutto quel tipo di dolcetto realizzato con albume d’uovo e mandorle, che chiamiamo “ossu da mortu” ed è retaggio delle usanze appena accennate.

    Ancora nell’ultimo dopoguerra, nei villaggi delle nostre vallate, la sera della vigilia di Ognissanti, prima di coricarsi i bimbi ponevano un pezzetto di pietanza dolce sul bordo del letto o sotto il guanciale, affinché le anime dei morti, che quella notte venivano a trovarli, potessero calmare la loro fame.

    L’antico cerimoniale popolare legato all’ultima notte d’ottobre era conosciuto come “Astràgilu”, non mancando di mostrare evidenti similitudini con le usanze celtiche del periodo; quelle stesse che hanno permesso ad Hallowéen di tornare trionfante dall’America, dopo aver subito trasformazioni nel corso di parecchi secoli.

 

SAN MARTINO

    Nelle usanze celtiche accennate, i riti per il capodanno invernale duravano due fasi lunari; da quel bagaglio calendariale ci è pervenuta la conclusione del periodo che conserviamo con la ricorrenza di San Martino, vescovo di Tours, la quale indubbiamente mantiene la funzionalità del capodanno dato che, un tempo era considerata festa di precetto e veniva celebrata con fiere e banchetti innaffiati dal vino nuovo pronto proprio in questi giorni.5

    Tra i menù dei banchetti era sempre presente l’oca, giacché quest’animale è attributo del Santo. La popolarità del vescovo di Tours è derivata dal collegamento con le antiche tradizioni celtiche e dai rituali druidici che egli contribuì ad estirpare.

    Il fatto che fosse stato un soldato ed un cavaliere ed avesse deciso di tenere per sé una corta mantella, dividendola col povero infreddolito, aveva contribuito a renderlo erede del culto verso una divinità celtica che era considerato cavaliere del mondo infero, patrono della vegetazione che potrà sbocciare soltanto attraverso la morte “invernale”, nella semina.6

    E appunto l’oca, sempre presente nell’iconografia del Santo di Tours, è attribuita al culto degli inferi. Le oche, migranti in questo periodo dell’anno, da nord a sud, erano considerate dai Celti come messaggere dell’Altro Mondo; e anche per questo motivo oche sacre accompagnavano i pellegrini verso i loro santuari nei boschi.7

    La zampa dell’oca sarebbe stata dipinta sul petto degli artigiani nomadi dell’Ançien Régime, stilizzandosi via via in conchiglia e diventando anche il simbolo dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela, in origine santuario celtico. Il segno della palma d’oca fu così sostituito con le bianche conchiglie a pettine come quelle che i viandanti medievali raccoglievano sulle spiagge di Finisterre, a memoria dell’avvenuto pellegrinaggio.8

    Una delle “vie franchigene” transita proprio sul nostro territorio; è d’importanza minore di quella che scavalca le Alpi Cozie tra il Piemonte e il Delfinato, ma è stata pur sempre uno dei percorsi più graditi dai pellegrini medievali, che compivano il viaggio verso Compostela.9

    Era tradizione accogliere, con benevolenza, tutti i pellegrini; sia si recassero a Roma, sia ai Luoghi Santi, tanto che nei nostri paesi si sono accasati molti “Palmero” (portatori di palme) e persino dei “Romeo”(pellegrini diretti a Roma), mentre trovarono qualche difficoltà, almeno fino al secolo XII, i pellegrini diretti a Compostela, i quali dovevano evitare la città scegliendo percorsi alternativi lungo i crinali.10

 

I DUZÀIRI

    Le popolazioni celtiche consideravano quelli che oggi sono i primi undici giorni di novembre, aggiunti all’ultimo di ottobre, l’Inizio del Tempo. Ancor oggi, i celtici abitanti di Sulmona, in Abruzzo, chiamano quei giorni Capetiémpe e danno loro il significato divinatorio per stabilire la meteorologia per i mesi dell’anno che verrà.

    L’originalità divinatoria dell’antico capodanno celtico stava nell’aver stimato quella che noi chiamiamo l’Estate di San Martino, nel valutare il rapporto meteorologico dei mesi futuri.

    Dai proverbi apprendiamo che l’Estate di San Martino, che dura circa tre giornate, potrà giungere cinque giorni prima dell’undici novembre, ma qualche volta arriva cinque giorni più tardi.

    Se giunge cinque giorni prima, considerando il trenta di ottobre quale gennaio, abbiamo: febbraio al due, marzo al tre ed il sei sarebbe giugno, inizio dell’estate; dopo tre giorni di “estate” ecco settembre ed il peggioramento del tempo.

    A conclusione si può ammettere che i primi giorni di novembre sono più adatti alla divinazione dei duzàiri, più dei primi giorni di gennaio, come capita ora, quando l’Estate di San Martino non ci verrà in aiuto.

NOTE:

  1) Quelle genti credevano che le anime dei morti giungessero tra i vivi per portare a termine quanto avevano lasciato incompiuto, andandosene. Per stemperare un eventuale macabro incontro avevano lasciato l'incarico ai bimbi, i quali, con l’arma della loro ingenuità, sarebbero stati gli esseri più adatti ad informare i viventi sulla “emergenza” di un simile momento spazio-temporale. Per questo Hallowéen, come sul nostro territorio la Ströpa natalizia, si somigliano. I bimbi informavano i viventi sul sopraggiungere dell’anomalia, ma in compenso pretendevano “dolcetto o scherzetto”, in un caso, oppure:”dolcetto o furterello” nel nostro territorio; ossia la questua che retribuiva il loro “lavoro”. Nei primi anni dell’Ottocento, con l’avvento dell’Impero Napoleonico e lo spostamento dei cimiteri fuori dell’abitato, la ritualità della “ströpa” perse vigore e soprattutto un’indicazione temporale precisa.

  2) La disapprovazione esternata da buona parte del clero verso le innocue pratiche dell’Hallowéen odierno, non sono raccolte dalla popolazione, in genere, mentre rischiano persino di allontanare ancor di più i fedeli dagli altari.

  3) La celebrazione d’Ognissanti fu resa obbligatoria, in tutta la Chiesa d’occidente, da papa Sisto IV, nel 1475. L’istituzione della festa, caldeggiata da Alcuino, consigliere di Carlomagno, per estirpare le usanze celtiche, fu istituita da Ludovico il Pio, per richiesta di papa Gregorio IV, nell’anno 830. La commemorazione dei defunti fu stabilita nel X secolo, ad imitazione dei bizantini, furono i monaci benedettini che ne introdussero la pratica.

  4) L’usanza di banchettare nei luoghi di sepoltura era in auge anche fra gli Etruschi; mentre i Romani, nelle Parentalia, celebrate dal 13 al 21 febbraio, offrivano sul sepolcro familiare farina di farro e sale, con pane inzuppato nel vino. L’ultimo giorno, detto Feralia, anche loro si radunavano presso il sepolcro per offrire libagioni. Inoltre, i primi cristiani celebravano la messa sulla tomba di famiglia, ma nel IV secolo, la Chiesa proibì sia quelle messe sia i banchetti funebri.

  5) In molte parti d’Italia, come la Lombardia ed il Piemonte, per San Martino cominciava l’attività dei tribunali e delle scuole, ma soprattutto si pagavano fittanze ed erano rinnovati i contratti agrari, quindi sovente si traslocava; evenienza che da noi era spostata a San Michele.

  6) Taranis (Thor) “dio buono”, detentore del tuono. Divinità druidica con funzioni sul sacerdozio. Riconoscibile per l’attributo della ruota. La ruota, assieme alla sua mantella corta e l’oca sono attributi, poi ereditati da San Martino.

  7) Come il cigno, l’oca è un animale benigno associato alla Grande Madre ed alla “discesa verso gli inferi”. Appare spesso nei racconti folclorici ed è collegata col destino, com’è dimostrato dal “gioco dell’oca”, che è una derivazione profana, spaziale e temporale del simbolo, rappresentando i pericoli e le fortune dell’esistenza, prima del ritorno al seno materno. Si credeva che la carne d’oca aumentasse il desiderio amoroso e la sua bile era considerata un mezzo per aumentare la potenza virile.

  8) Che cosa può essere la conchiglia, del tipo pecten, che oggi è simbolo del pellegrinaggio verso la Galizia, se non una stilizzazione della palma dell’oca, affermato segnale rituale celtico...? San Martino, così intransigente nell’evangelizzazione dei Celti, si è trovato a recuperare molti degli adattamenti, a volte inconsci, concessi ai convertiti per non sradicarli dalla tradizione.

  9) Dai documenti pubblicati da Laura Balletto, sui cartolari notarili dell’Amandolesio, rogati a Ventimiglia tra il 1256 ed il 1264, apprendiamo che: quando per un qualsiasi motivo, un pellegrino non avesse potuto proseguire il suo viaggio verso Compostela, con atto notarile, pagava un volontario che finisse il viaggio per lui, assolvendo dal voto, riportando le insegne del pellegrinaggio al titolare, che lo attendeva nella nostra città.

10) La chiesetta di San Rocco, a Vallecrosia, quella di San Giacomo, sul crinale di Ciaixe, le rovine della grangia sottostante i Martinazzi, lo stesso Santuario delle Virtù, San Rocco presso Bevera, Sant’Antonio sul crinale della valle di Latte e la perduta chiesuola di San Gaetano, sulla Spiaggia di Latte, potrebbero essere un percorso segnato per i pellegrini, anche con riferimenti visivi, che andrebbe studiato con approfondimento.

a partire da INTEMELION n. 13 - 2007 - Archivio della memoria p. 157

 

 

 

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