Ancöi l'è e i sun e ure
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TRADIZIONE  e  FOLCLORE

in

 

 

VAL   VERBONE


Riti e manifestazioni della profonda tradizione locale

 

Il “Girar Maggio” a San Biagio della Cima

 

e le tradizioni di Soldano, dal sito “soudan”

 

 

Com’era il “Girar Maggio”

a San Biagio della Cima

 

    Ancora negli anni precedenti l’ultimo conflitto mondiale, in San Biagio della Cima era in vigore l’usanza di “Girar Maggio”. Complice la mitezza stagionale del clima, nella notte dell’ultimo giorno d’aprile, combriccole di “maggiolanti”, d’entrambi i sessi, si aggiravano per le campagne alla ricerca del ramo d’albero adatto ad essere elevato, in paese, al rango di “a rama de magiu”. Uno dei luoghi preferiti erano le macchie d’altura presso Santa Croce.

    Con la scusante della difficoltà nella ricerca, protraevano la sortita notturna fino alle ore piccole del mattino, col tradizionalmente riconosciuto beneplacito delle famiglie, in una trasgressiva promiscuità della leva giovanile, per l’intera comunità.

    Rientravano, ovviamente con un bel ramo verdeggiante, possibilmente fiorito, che nella mattinata del primo giorno di maggio sarebbe stato innalzato su un apposito filo, teso da un lato all’altro della piazza, in sostituzione della “ciota”, il fosso che veniva scavato per accogliere l’albero di maggio, in precedenza, quando la piazza grande non era ancora stata lastricata.

    Nel pomeriggio, tutta la gioventù del paese e di quelli vicini, vallivi e di Val Nervia; richiamata dalla leva giovanile degli anni più recenti, si ritrovava in piazza, per “girar maggio” intorno al ramo maggenco appeso, in una coinvolgente festa popolare di antichissima tradizione.

    Nel maggio 1978, la Cumpagnia Cantante ha raccolto in San Biagio della Cima, dalla memoria e dalle voci di: Candida Maccario Biamonti, Giuseppina Maccario e Maria Molinari Martini, la canzonetta propria del “maggio” ed una filastrocca-girotondo, piuttosto allusiva, che veniva svolta nel corso del girotondo festivo, alternandola con altre, purtroppo dimenticate, o delle quali si ricordavano spezzoni non troppo esplicativi dell’argomento.

    Da generazioni e generazioni, quella canzoncina e gli stornelli di supporto, facevano parte del patrimonio orale, canoro, del paese e dell’intera Val Verbone, se non di quello di tutta la Zona Intemelia; mentre oggi la gioventù, non avendo più la necessità di favorire un rituale, anche un po’ trasgressivo, per incontrarsi e familiarizzare tra i sessi, non ha più memoria del rito e non si tramanda più né canzoncina, né stornelli.

    Sempre nei primi giorni di maggio, collaterale a questa usanza giovanile, tutte le genti del paese praticavano la consuetudine della scampagnata alla Çima Croairöra, per assistere alla schiusa delle “müsseghe”, i bei fiori di un colore carminio, che creano chiazze molto simili a macchie rosse di sangue.

    Sulla sommità della Cima, poco discosta alla chiesa ottocentesca, è ben visibile tra l’erba la grande roccia cava, conosciuta come “a pila d’u crou”, dove si dice i corvi, che danno il nome alla Cima, vadano a ristorarsi.

 

       Ricostruzione del raccoglitore di acque lustrali

    La gita magenca sulla Cima era accompagnata da stornelli popolari che si concludevano col ritornello:«a la çima del ma’, a la çima del ma’», dove il ma’ tronco avrebbe potuto stare per “maggio”, ma anche per “mare”, considerando l’ampio panorama del luogo.

    Il contenuto degli stornelli era sempre velatamente erotico, tanto da far pensare che la “pila” fosse un raccoglitore d’acque lustrali, in un luogo sacrale deputato alla fertilità muliebre, dove le macchie rosso sangue del “cytinus ypocistis” davano il segnale stagionale, cultuale, di fertilità.

 

 

U màgiu girau

 

 

U màgiu u l’è ciantàu,

giréira, giréira.

U màgiu u l’è ciantàu,

giréira e giràu.

Chi l’averà ciantàu,

giréira, giréira.

Chi l’averà ciantàu

l’è a figlia d’u ferrà.

Fàighe la ciùmba la là.

 

 

I tréi uxelin

 

 

Gh’eira tréi uxelìn,

tüti tréi insc’ìna raméira,

fàighe la ciùmba la là

tüti tréi insc’ìna raméira.

 

I l’an pigliàu u ciü pecìn,

i l’àn méssu in gabriòla,

fàighe la ciùmba la là,

i l’an méssu in gabriòla.

 

I l’àn màntegnüu set’an.

a granigli de ninsöra,

fàighe la ciùmba la là,

a granigli de ninsöra.

 

A la fin de li set’an

l’uxelìn l’è uscì de föra,

fàighe la ciùmba la là

l’uxelìn l’è uscì de föra.

 

Torna, torna uxelìn,

torna, torna in gabriòla

fàighe la ciùmba la là

torna, torna in gabriòla

 

In gabriòla nun torno pa’

finché la gàbia non sia nova,

fàighe la ciùmba la là,

finché la gàbia non sia nova.

 

Te la faremo inargentà

prima de drénte e pöi de fora

fàighe la ciùmba la là,

prima de drénto e poi de fora.


. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

 

SPEZZONE DI STORNELLO

 

 

Oh, la çima del ma’

oh, Teresin, bel Teresin,

io te invito alle mie nosse

oh, la çima del ma’

             oh, la çima del ma’.

 

Cun tüte le roube ti ghe stai ben

ma la bianca ti strapassa,

oh, la çima del ma’,

             oh, la çima del ma’.

 

 

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

 

    La müssega, o Cytinus hypocistis è pianta priva di clorofilla, parassita sulle radici di cisto bianco, con foglie ridotte a squame carnose giallo-rossastre fittamente embriciate, fiori unisessuali in spighe contratte; il frutto è una sorta di bacca contenente numerosi semi immersi in una polpa vischiosa. L’Ipocisto rosso, molto simile ma con squame di colore rosso vivo, sarebbe parassita solo dei cisti a fiore rosa.

 

 

      I suggerimenti iniziali, sull’argomento:”Croairöra”, sono stati proposti da “Il giornalino di San Biagio” pubblicato in economia dal “tempo pieno” della locale Scuola Elementare, durante l’Anno scolastico 1986-87. 

 

A pila d’u cròu

    La fotografia de “a pila d’u cròu”, scattata dagli alunni del tempo pieno 1986-87, evidenzia assai bene i tre fori collaterali all’ampio scavo centrale, che paiono strutturati per accogliere tre paletti in legno, protesi ad angolo acuto oltre il perimetro di base della roccia.

    Potrebbero aver sostenuto una sorta di raccoglitore d’acque piovane, adatto a convogliarle nel grande foro rituale. Sulle travi legnose avrebbe potuto esservi distesa un’ampia pelle bovina, atta ad incettare il più possibile di quell’acqua, la quale, per il fatto di cadere su una postazione riconosciuta ieratica quale la Çima Croairöra, veniva considerata acqua lustrale e, a dir poco: miracolosa.

    Ancora nei primi anni del Novecento non era del tutto sopita la reminiscenza di quelle credenze ancestrali, per le quali l’intitolazione del luogo alla Santa Croce non aveva ottenuto il completo abbandono delle tradizioni popolari, cancellato invece dalla massificazione devastante e laicista di questo dopoguerra, eccessivamente mediatico.

 

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U  SOUDAN

 

 

                                         San Giaixu                                                                                         Soudan