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Categoria: U BERRIUN
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LISSA  l’ ASSU  d’ê  ASSE

                                                                                                                                            di Danilo Gnech

             Questa mattina, percorrendo Via Vittorio Veneto, mi sono accorto che è stato abbattuto il grosso platano che si tramava all’incrocio con Corso della Repubblica. L’albero, a causa delle correzioni alla viabilità che si sono succedute nel tempo, da anni si trovava fuori dal marciapiede, sul selciato stradale. In passato, aveva visto passare carri della Battaglia dei Fiori e corse ciclistiche senza creare grossi problemi ma ora, nella risistemazione del verde pubblico, probabilmente era diventato un intralcio al traffico. Quell’albero aveva una sua storia e faceva parte anche di un simpatico evento della mia infanzia che ora racconterò.

          Ma prima devo parlarvi di un personaggio conosciuto ed amato da tutti a Ventimiglia, pescatore ma anche appassionato ciclista: Armando Lissa. Armando era uno scapolone che negli anni Sessanta - Settanta, viveva in "Via Regina" e frequentava il "Bar Tabacchino Delia", oggi "bar Galeone". Il suo lavoro principale era fare il pescatore. Non aveva una barca propria, ma tutti i "padroni" lo imbarcavano volentieri. Un po’ burbero e solitamente silenzioso, Lissa era un gran lavoratore e con ogni tempo accettava volentieri un "imbarco". Non era raro vederlo lungo la passeggiata o di fronte al "dispensario" mentre tirava a riva la rete. In una tasca un panino, nell’altra una cipollina fresca e, tra un tiro e l’altro della rete, dava ora una dentata al pane ora una alla cipollina.

             Quando non era impegnato nel lavoro da pescatore, amava passare i suoi pomeriggi al Bar Delia dove con gli amici giocava a carte: scopone, briscola ma anche la belota per lui non avevano segreti. Con lui sempre il suo fedele cane: un bastardino a chiazze bianche e nere, con pelo raso simile ad un cane da caccia che si chiamava, ovvio, "Luvassu": tale era il nome di un pesce che poteva scambiarsi con quello di un cane lupo. Naturalmente, come tutti i giocatori di carte, alla fine di una mano andata storta, anche Lissa aveva qualcosa da dire sul modo di giocare del compagno, ma era talmente buono che non osava prendersela direttamente col compagno. Poiché Luvassu dormiva vicino a lui, diventava il sostituto destinatario del rimprovero e Lissa cominciava a dirgli " ...ti duvevi piglià cun l’assu, ti sei in ase, nu ti imparerai mai ..." e qualche volta, quando era proprio arrabbiato, gli appioppava anche uno scappellotto. Naturalmente il cane non rispondeva e tutto finiva lì. Cane e padrone erano talmente in simbiosi che, non appena il padrone si calmava e ordinava un cono di gelato, se lo mangiavano in due: una leccata Armando, una leccata Luvassu. E così via, tutti, come sempre, amici.

            Ma Lissa aveva anche una grande passione: era un tifoso di calcio, juventino, e adorava Sivori: guai a chi parlava male del suo Campione preferito. Proprio per questo tutte le domeniche compilava la schedina, nella speranza di un 13 fortunato. Ma anche compilare la schedina richiedeva un rito particolare. Recuperata una schedina ed una penna, Lissa lasciava le Asse e saliva in Siestro, sul piazzale della chiesa di San Secondo. Lì sedeva sulla panchina antistante la chiesa e, sentendosi più vicino al Santo protettore cittadino, e dunque animato da maggiore speranza di vincita, si accingeva a compilare la famosa schedina. Che si sappia non vinse mai.

           Quando era libero da tutti i suoi impegni, amava andare in bicicletta: possedeva una Bianchi da corsa che puliva ed oliava tutti i giorni. Aveva partecipato a due, forse tre Milano - Sanremo ed affermava di aver fatto anche un Giro d’Italia, ma forse lo aveva fatto solo nella sua immaginazione. Certo è, invece, che partecipava a tutte le gare ciclistiche che si tenevano in provincia. Era già avanti negli anni ed i risultati erano scarsi anche se spesso veniva premiato perché era l’unico della sua categoria. Ed eccoci al platano.

          Negli Anni Sessanta, a Ventimiglia, si teneva una gara ciclistica organizzata dall’Azienda Autonoma, con un circuito cittadino che percorreva il lungomare, lungo Roja fino alla passerella, corso Repubblica e via Vittorio Veneto: la partenza in genere era davanti al Ristorante La Grotta. Tutti conoscevano Armando Lissa, sapevano della sua passione e cercavano di assecondarlo. Pertanto era abitudine e tacito accordo tra tutti i partecipanti, lasciarlo partire in testa e fargli percorrere alcuni giri sempre al comando della corsa sì che i suoi tifosi ed anche i suoi concittadini potessero applaudirlo, naturalmente poi veniva raggiunto e superato. Ma questo a Lissa non andava giù e così, per non rischiare la brutta figura, tutti gli anni trovava una scusa per fermarsi e dare la colpa alla sfortuna: o aveva bucato, o si era storto il manubrio... aveva rotto un freno o... e qui siamo al famoso albero.

         Un anno, quando il gruppo di corridori stava per raggiungerlo, finse di urtare quel platano che si trovava sul suo percorso. Quando si rialzò da terra, mentre il pubblico lo applaudiva e prendeva atto della sua sfortuna, egli cominciò a prendere a calci la bicicletta, colpevole di non aver visto l’ostacolo. Venne subito raggiunto dalla macchina Ammiraglia e condotto fuori circuito. Sì, perché come tutti i grandi ciclisti, Armando Lissa aveva una macchina Ammiraglia di appoggio che lo seguiva nelle corse. Si trattava d’una seicento che gli amici di Via Regina avevano approntato apposta per lui. Non aveva bicicletta di scorta o meccanico pronto ad intervenire, ma una botte da vino sul tetto e da essa scendeva un tubo che serviva a rifocillare il nostro atleta.

       Naturalmente, non mancava il gruppo di fans che esibivano simpatici cartelli tipo "Viva Lissa l’assu d’ê Asse" oppure "Armando tu sei il Vento, carrubali tutti". Così confermato nella sua sfortuna e nel suo intatto valore, in serata, al Bar Delia, con la sua platea di attenti spettatori, tra un bicchiere e l’altro ci descriveva la sua tattica di approccio alla corsa. Prima aveva messo in atto il tentativo di sfiancare i suoi avversare con una lunga fuga, poi di illuderli facendosi riprendere e infine, se non fosse stato per quell’albero, avrebbe sferrato, all’ultimo giro, un attacco micidiale lasciandoli tutti di stucco.

            Ed ecco come fosse svanita, per un banale incidente, una vittoria che ormai aspettava solo lui. Semplicità e buonumore e un po’ di sfottò con molto garbo. Ora "il platano di Lissa" non c’è più. È vero che ingombrerebbe il traffico, ma perché non mettere sul posto qualcosa a ricordo di questo nostro simpatico concittadino? Magari una vecchia bicicletta da corsa, saldata alla recinzione dei giardini ed una targa con sopra scritto "Viva Lissa, l’asso delle Asse". Ricorderebbe, per chi fosse interessato a saperlo, un uomo, un evento, un gruppo di amici che pur di essere solidali tra loro accettavano anche le storie fantasiose di "una vittoria mancata".

 

Armando Lissa è il pescatore in piedi a braccia conserte

L'ammiraglia di appoggio con gli amici