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VENTIMIGLIA

POLITEAMA  SOCIALE

Alla ricerca del tempo perduto

CARO VECCHIO CINEMA TEATRO ...

                                                                                            di Angelo Maccario 1999

    «... ieri, 5 febbraio 1948, sono entrato in quello che fino a tre anni fa si chiamava “Cinema Teatro” e che io consideravo “il mio teatro”, e non l’ho più riconosciuto.

    In  seguito  all’appalto di due mesi or sono hanno infatti avuto inizio i lavori per mutare radicalmente la sua struttura, ed operai e muratori sembrano adesso invasi dalla sadica gioia di buttar giù, di smantellare, di distruggere ... per dar poi presto il via alle opere di trasformazione e di ricostruzione.

    Già sono scomparsi i palchi e le gallerie e il loggione, già sono stati aboliti gli ampi corridoi, e presto cadranno le restanti muraglie di cui il progetto dell’architetto Giuseppe Bosio prevede l’abbattimento ...

    Tutti, o quasi, i ventimigliesi appaiono consapevoli della necessità dell’ammodernamento di quel vetusto locale: ed anch’io,  in  fondo  in fondo; ma ieri, alla vista di quei monconi di pareti e di quelle sempre più numerose macerie, tutto questo mi è sembrato un sopruso ai danni del mio vecchio Cinema Teatro ...

    Sorse, per volontà di mio nonno Angelo, nel 1905. La società dei commercianti, promotrice del lancio di quel bel ritrovo (ormai, lo riconosco, di gusto vecchiotto e comunque di troppo limitate dimensioni) fu prima retta da lui, poi da suo fratello Secondo, quindi - dopo la loro morte - da mio padre Manlio, negli ultimi venti anni.

    Diversi gli impresari, che si susseguirono nella gestione del Cinema Teatro. Solo l’ultimo ebbi la possibilità di conoscere, il signor Amedeo Verrando, che fu sempre, nei miei riguardi, gentile e premuroso.

    Io, come figlio del presidente della società proprietaria, ebbi sempre (oh ragazzo baciato dai Numi !) l’ingresso gratuito. Posso quasi affermare di aver trascorso là dentro i primi anni della mia vita. L’espressione può riuscire incredibile e buffa ma non troppo lontana dalla realtà: è certo che molti dei miei pianti puerili (oh malaugurati spettatori che seguivate sullo schermo le vicende più diverse e giustamente reclamavate silenzio ...) risuonarono in quella sala.

    I miei genitori preferivano infatti condurmi con loro quando si recavano a spettacoli cinematografici o teatrali. Riguardo a questi ultimi, anzi, sin dall’età di dieci anni mi feci una discreta cultura (sic !) in fatto di commedie, operette, opere o, meglio, una cultura di primi atti di commedie, operette, opere. Già: perché dopo il primo atto giungeva immancabilmente la “tata” che, sonnolento ma ancor più scontento, mi riaccompagnava a casa, sul cuscino, indubbiamente più soffice della “poltrona” teatrale.

    Oh “Bohème”, oh “Geisha”, oh “Vedova allegra”, come tornerei volentieri ad ascoltarvi, ma stavolta da cima a fondo, finalmente !

    Ad ogni modo, la passione per il teatro mi aveva già colpito. Era, del resto, l’epoca in cui molte compagnie, famose e no, giravano ancora per i palcoscenici di provincia. Tramonto del mondo dei guitti ... Anni Trenta.

    Il cinematografo, poi, la fece da padrone e, salvo qualche eccezione teatrale, prese per sé i 365 giorni di vita annuale del Politeama (primo nome del ritrovo). Quali  films preferivo, allora ? Quelli comici, naturalmente. Charlot, Crik e Crok, Ridolini, Harol Lloyd, Buster Keaton erano i miei beniamini.

    Non manifestavo simpatia per le pellicole passionali: ad ogni bacio, più o meno casto, che appariva sullo schermo, la mia coscienza di bimbo “puritano” si ribellava. Già d’allora, in fatto di Decima Musa, la facevo da praticone, nelle discussioni coi miei coetanei: e già le mie opinioni non combaciavano (quasi) mai con quelle degli altri.

    Il cinema americano mieteva successi su successi (Clark Cable, Don Ameche, William Powell, John Barrymore ... quanti nomi !), quello italiano arrischiava qualche timida prova: De Sica, Viarisio, la Merlini, Totano, Besozzi ne erano gli eroi ...

    E quando a Ventimiglia sorse un altro cinema, l’Impero, seguitai a sostenere la causa del Politeama. Trascorsero gli anni, ed esso mi ospitò sempre più spesso nella sua galleria, intento ad osservare con diletto le storie più disparate anche quelle “passionali” (l’adolescenza s’avvicinava). Il vocabolo “regista” cominciò a risuonare sulle mie labbra con ostentata competenza; la mia prima occhiata, sul “Corriere della sera” comprato dal babbo, era per la colonnina di critica cinematografica.

    Mi feci amico il nuovo operatore del Teatro e potei così violare i segreti della cabina di proiezione: ricorda, ottimo signor Bosio, le nostre lunghe discussioni su Camerini, Blasetti, Duvivier e su altri registi, mentre sua moglie le approntava la cena che Lei era costretto a consumare tra un giro di manovella e l’altro.

    E, dopo l’operatore, il cinema cambiò anche macchina, per cui si poté visionare un film in due tempi e non, come prima, parte per parte. La pellicola che, in un giorno feriale, con una platea pressoché deserta, inaugurò il nuovo apparecchio di proiezione fu, ricordo, “Marocco”, interpretata da Imperio Argentina ...

    ... E poi la guerra (e il tetto del Politeama fu schiantato da una granata francese ...), e poi il dicembre del ‘43 in cui per l’ultima volta vi assistetti a “La peste a Parigi”, ... e i terribili bombardamenti che ne deturparono l’aspetto e, infine, la notizia che il Politeama era passato in proprietà al Comune e, recentemente, ch’era stato appaltato e si prevedevano sulla sua struttura mutamenti radicali ...

    Addio,  vecchio  caro  Cinema  Teatro,  ho  ancora  in  bocca il  sapore  delle  caramelle  che  il  tuo  fedele  custode  Giuseppe mi  regalava ogni qualvolta, piccolo, varcavo la tua soglia. Addio ...».