Ancöi l'è e i sun e ure
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LEMMI ORIGINALI

 

CALITAE DE

 

BESTICUŘA

 

    Il termine «bestìcuřa» è originale del ventemigliusu, al punto tale che sul suo dizionario ALZANI del 2010, Enrico Malan pone come definizione «colpo in avanti che si da alla pallina posta tra l’indice incurvato e la nocca del pollice», non disponendo di un termine italiano adeguato, quale traduzione spicciola.

    Enrico si è valso della descrizione che ne ha fatto l’avvocato Goffredo Maccario, a pagina 14, quando ha pubblicato «I zöghi de baline inte Ventemiglia» sul Libru Sestu de «A BARMA GRANDE Antulugia intemelia», nel 1938: «U modu de daghe ciü cumün l’è a bestìcuřa. Se ten a balina serrà infra l’ìndicu e a nuxe d’u diu grossu, ch’u l’è cegau drente au parmu d’a man, e se ghe da a bestìcuřa che sereva in forte corpu in avanti destendendu u diu grossu in föra. A balina a fa’ fina a ciü d’in metru de vöřu. A man ch’a ghe da, a se ten pugià contru l’autra, che a toca per terra. Se ghe pö iscì da’, tegnindu l’autra man pugià insci’u zenugliu, e lulì candu se tira luntan».

    Quando, in luglio di quest’anno, è iniziato il Tour de Françe, all’amico Lorenzo Fenoglio sono tornate alla memoria le appassionanti sfide giovanili, ad imitazione delle tappe della Corsa Gialla o del nostrano Giro Rosa, che si sostenevano, con biglie o tappini, sulle piste di sabbia tracciate in spiaggia, o nei depositi dei cantieri edili, come pure semplicemente smuovendo il terreno argilloso dei Giardinetti. Avrebbe notato come, anche quelle prestazioni necessitavano di una «bestìcuřa», che però non rispondeva affatto ai canoni della descrizione sopra indicata.

    La «bestìcuřa da pista» consiste nel rilascio forzoso del dito medio, o a volte dell’indice, trattenuto dalla falange distale del pollice. A questo proposito esiste un termine locale centro-italico: «pistìcola», che risponderebbe degnamente alle necessità dell’avanzamento in pista di ogni tipo di biglie o degli artigianali «tappini».

    Negli Anni Cinquanta, la incontenibile espansione delle materie plastiche, aveva prodotto una qualità di biglie leggere, per metà trasparenti, che contenevano l’immagine di un “Campione ciclista”, adattissime per esser spinte sulle «piste» dell’epoca.

    Ad imitazione di quelle costose biglie, la intraprendenza dei ragazzi d’allora aveva posto in essere la realizzazione dei «tappini», riciclandolo ad arte i tappi metallici a corona, quelli che turano le bottigliette di birra o di alcune bibite gassate.

    Si sostituiva il tondo di sughero, posto all’interno, con una porzione di tappo più consistente, oppure con una serie appropriata di tondi gemelli sovrapposti, così da equiparare il livello superiore del contenibile a quello del bordo a corona; si ritagliava con riguardo l’immagine del Campione ciclista preferito, ricavandola da un giornale, una rivista o dalle figurine a colori delle raccolte allora in voga. Si poggiava l’immagine sul culmine del sughero, trattenendovela con un pezzetto di carta trasparente, rincalzato a dovere. Il predisposto veniva forzato nel cavo del tappo, andando a formare il «tappino» dedicato all’amato Campione ciclista, così come, infinite serie di «tappini» intitolati alle squadre di Calcio, permettevano lo svolgimento di epiche partite, precorritrici di quello che sarà il costoso “Subbuteo”.

    A proposito delle biglie coi Campioni ciclisti, su «LA STAMPA» del 31 maggio 1996, Nico Orengo ci informava sulla rivolta dei ragazzini francesi contro le palline, dove l’imperante «ricerca di mercato» aveva fatto eliminare i Ciclisti; raccontandoci al tempo stesso un quadretto degli anni giovanili, trascorsi in quel di Latte.

 

 

Francia, i ragazzini in rivolta contro le nuove  “palline”  pubblicitarie

 

Ridateci  le  biglie  coi  ciclisti

 

    Quelle di terracotta si spaccavano in due, se il colpo di bisticola era ben assestato. Quelle di vetro ingannavano il tiro perché i confini della trasparenza e del cuore colorato sfumavano sotto il sole e la luce.

    Quelle con dentro il volto del ciclista amato, le più desiderate. Biglie di passione. Di pomeriggi incantati lungo piste in sabbia o in terriccio, su spiagge o piazze di chiesa.

    Sacchetti ripieni di biglie. Tasche piene di biglie che risuonavano allegre durante le ore di scuola o il tragitto che separava la casa dal luogo della partita, della sfida.

    Partivi con un Coppi in maglietta e berrettino e potevi tornare a casa con un Bobet di cui poco ti importava. Allora pianti silenziosi. Il giorno dopo tornavi sui luoghi del duello con un Bartali strafottente e cercavi, fra striscio, sponda e colpo secco, di recuperare il tuo amato Coppi, così da non perdere più le lacrime sul cuscino.

    Tutto finito. Anche questo è finito.

    Ce lo dicono i bambini francesi: le biglie con nel cuore il volto di Anquetil, Poulidor, Gimondi, Motta, non verranno più fabbricate.

    Altri eroi ora incalzano. Incalzano, soprattutto, gli sponsor più ricchi, quelli che vogliono che le biglie vengano “ripiene” di Re Leone, Pocahontas, dalmati dei Centouno; o con marchi di frutta, di scarpe, di zainetti, di automobili.

    Come dire, non basta aprire il frigorifero per trovarci Mike Bongiorno. Anche quando giochi, ricordati del Grande Sponsor. Ricordati del gadget universale.

Re Leone-Disney ti accompagneranno dal pigiama allo zainetto, dal formaggino alle lenzuola, dalla matita alla biglia.

    Come dire: che la fantasia che si buttava lungo una pista, trasformando un nome, un volto, un colore in una lunga corsa, dove ci stavano salite e cielo, alberi e fiori e appassionati ai lati, non può più esistere.

    Si deve correre dentro a binari implacabili e precisi, sapendo fin da piccoli che altro non si potrà che essere consumatori.

                                                 Nico Orengo  LA STAMPA - 31.05.1996