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Religiosità a Ventimiglia

 

I L   P A T R O N O

SAN SECONDO

    Il martirio di San Secondo avvenne nell’antica Vittimulo, oggi frazione San Secondo di Salussola, in provincia di Biella; in un anno compreso tra il 286 e il 306. Le notizie più antiche che abbiamo su San Secondo martire sono contenute in documenti medievali del IX secolo.

    Luogotenente della Legione Tebea, Secondo era nativo della Tebaide, nell’Alto Egitto. Gli Imperatori romani Diocleziano e Massimiano avevano inviato questi soldati in Svizzera, agli ordini di Maurizio, per sedare la rivolta dei Bagaudi. L’intera Legione trovò la morte per ricorrenti decimazioni ad Agauno, che è l’odierna St. Maurice, nel Vallese, in quanto i suoi membri, non rinnegarono la propria appartenenza al credo cristiano, partecipando al consueto sacrificio pagano che si teneva prima di ogni battaglia.

    Pare però, che Secondo fosse martirizzato prima che la Legione varcasse le Alpi. La sua “Passio” narra che, dopo essersi professato cristiano, gli fu dato un termine per abiurare che scadeva con l’arrivo a Vittimulo, stazione di sosta nella marcia verso le Gallie. Al suo diniego venne decapitato: il sangue di un martire bagnava la terra biellese. Secondo fu d’esempio successivo a tutti i compagni.

    La piccola comunità cristiana del paese lo seppellì e la tomba divenne luogo segreto di preghiera, pubblico dopo l’editto di Costantino. Se ovviamente non esistono documenti coevi ai fatti, certo è che il suo culto a Vittimulo fu immediato. La più antica pieve del basso biellese fu eretta in suo onore, sul luogo del martirio, da Sant’Eusebio, vescovo dal 345 al 371. Se ne conserva una lapide del V - VI secolo, oggi al Museo Civico di Biella. La venerazione era talmente radicata che, nei secoli successivi, il luogo era denominato semplicemente “plebes S. Secundi".

    Le reliquie di San Secondo lasciarono Vittimulo nel VIII - IX secolo, a causa della distruzione del paese. Furono portate nell’abbazia benedettina della Novalesa, tra le maggiori del Piemonte, fondata nel 726 lungo una delle vie più importanti delle Alpi. Probabilmente furono prese durante la distruzione, poi donate o vendute ai Benedettini. Nel 906, per sfuggire all’invasione dei Saraceni, i monaci ripararono a Torino portando le reliquie dei santi e preziosi codici manoscritti. Una loro proprietà era il monastero di Sant’Andrea, che è l’odierno Santuario della Consolata, e lì trovarono rifugio. Negli antichissimi codici di Vercelli, alcuni dei quali provenienti dalla Novalesa, la ricorrenza era stabilita al 28 agosto. Anche a Torino fu eletto compatrono della città durante una pestilenza, nel 1630. Qui, in un altare del Duomo, sono conservate le altre sue reliquie e, in città, gli è dedicata una parrocchia che dà il nome alla zona circostante. La diocesi di Biella, dal 2004, ha ripristinato la memoria liturgica nel calendario diocesano.

    Nell’anno 973, le milizie radunate in Liguria e Provenza, in una “Tregua per la Pace”, dai nobili e dai cives emergenti in queste regioni, attraverso la neonata “Tregua Dei”, guidate dal conte Guglielmo d’Arles, scacciavano definitivamente i Mori-Saraceni, dal Frassineto. Oltre alle diffuse connivenze locali, questo sito marittimo lagunare, assai difendibile, aveva concesso impunemente ai Saraceni di espandere le proprie incursioni piratesche nell’intera Provenza, sulla costa Ligure e sui valichi di tutte le Alpi Occidentali, fino alla Val d’Aosta.

    Nell’anno 976, scongiurato il pericolo saraceno, i monaci benedettini tornarono a riedificare il monastero e l’ospizio di Novalesa, sull’antica strada verso il Moncenisio, presso Susa. Nel 990, per riconsacrare l’Abbazia annessa al convento, veniva inviato, quale legato apostolico, il vescovo della Diocesi di Ventimiglia, di nome: Pentejo. Lasciando Novalesa per far ritorno in patria, il vescovo Pentejo riceveva in dono la reliquia del capo di San Secondo; che trasferiva a Ventimiglia, lasciando una piccola reliquia a Limone Piemonte, prima di accingersi a valicare il Colle di Tenda. Giunta in Ventimiglia, la reliquia di San Secondo è stata posta nell’altare della chiesa marittima di San Nicolò, insieme alle reliquie di questo santo.1

    Nel 1237, alla morte del parroco Bonfilio, la chiesetta di San Nicolò alla Marina, venne chiusa, a causa del spopolamento dovuto alle ridotte attività marinare, dopo l’interramento del porto. Le reliquie di San Nicolò e di San Secondo vennero traslate in Cattedrale. Il 7 di settembre dell’anno 1330, San Secondo veniva commemorato in Cattedrale, nella quale l’antico necrologio riporta in quella data: nota de beato secundio qui decollatus fuit apud vintimilium.

    Nel 1346, in Cattedrale, il vescovo Bonifacio Villaco consacrava l’altare di San Nicolò, ponendovi anche le reliquie di San Secondo e quelle del beato Cristoforo, provenienti dalla chiesa a cavaliere delle Mauře. Il 3 gennaio del 1505, Proprio in Cattedrale, il canonico Secondino Giudici fondava una cappella in onore a San Secondo.2

    Nel 1567, il vescovo Carlo Grimaldi attestava come per il crollo di un altare, veniva rinvenuta una cassetta con tutta quasi la testa e un documento di autenticità di essa reliquia di San Secondo martire. Il 14 giugno del 1573, il vescovo Galbiati scriveva al cardinale Carlo Borromeo sulla situazione delle numerose ossa e dei molti teschi ritrovati nell’altare alla Madonna delle Virtù. Si diceva che potessero appartenere al martirio di San Secondo e dei suoi compagni, ma il vescovo Galbiati assicurava il metropolita Borromeo sulla certezza per l’infondatezza della diceria popolare.3

    Il primo marzo del 1597, una ricognizione sulle reliquie di San Secondo, eseguita dal vescovo Broglia, relaziona: Restano più e diverse ossa, le quali sono conservate in un grande vaso con dentro l’effige di un uomo armato, in numero di 29, cioé 27 insigne e due frammenti.

    Il 10 luglio del 1579, scoppiata in Genova una terribile pestilenza, venne spedito a Ventimiglia un Commissario di Sanità, il quale tenendo chiuse le porte e murate le Ville, fece in modo di preservare dal morbo il nostro contado. Ma durante il protrarsi del morbo, onde aiutare l’opera del Commissario, la popolazione ventimigliese si votava alla protezione totale di San Secondo.4

    All’inizio del XVII secolo, il vescovo Stefano Spinola decretava il solenne culto della città e della Diocesi al nuovo santo Patrono, il martire della legione Tebea, San Secondo, protettore nella sfuggita pestilenza. Nel 1602, la nobile famiglia Porro, su un suo terreno presso il Resentello all’ombra delle Mauře, annessa ad una casa colonica, volle edificare una modesta chiesuola in onore di San Secondo, patrono della città e Diocesi di Ventimiglia. In una riunione del Consiglio ventimigliese, del 1611, si approvava il pagamento dei fuochi eseguiti nella ricorrenza di San Secondo.5

    Nel marzo dell’anno 1623, le reliquie di San Secondo vennero racchiuse in un artistico busto d’argento, eseguito a spese del Comune, quello che nonostante le vicissitudini settecentesche contiene ancora le reliquie e viene esposto il giorno della celebrazione.

    Nell’ottobre del 1742, una sconcertante polemica tra la nobiltà ed il vescovo scoteva la Città, sull’opportunità di spostare a primavera la festa patronale di San Secondo. I nobili locali chiedevano al vescovo di fissare un’altra data per festeggiare il patrono San Secondo, giacché in quel periodo la maggior parte di loro soggiornava in Villa, a Latte, a causa dell’aria irrespirabile in città, a causa dell’impaludamento della Roia.

    Il 31 agosto del 1743, la Congregazione dei Riti, da Roma ingiungeva al vescovo Giustiniani, residente in Mentone, di ripristinare la festa patronale di San Secondo all’usato tempo del 26 agosto. Il 6 ottobre, da Mentone, il vescovo Giustiniani replicava alle accuse, e forte della ingiunzione romana, celebrava la festa nella sua data precedente.

    Il 5 aprile del 1744, con un editto, il vescovo Pier Maria Giustiniani decretava la data per la celebrazioni, ogni anno, della festa patronale di San Secondo, nella giornata del 26 agosto, per la Chiesa Ventimigliese e per la Diocesi.

    Il 5 aprile 1798, il Direttorio del Governo ligure rivoluzionario decretava la requisizione degli ori, degli argenti e tutte le gioie di chiese, conventi ed opere pie, per rafforzare la Tesoreria Nazionale. Il giorno 8, tra malumore e disordini il commissario Gandolini eseguiva la requisizione. Dalla Cattedrale venivano tolti sei candelabri di argento massiccio, mentre si dovette riscattare in contanti il busto e la cassa argentei del patrono San Secondo.6

 

NOTE:

 1)  Proprio dopo il rientro a Ventimiglia del vescovo Pentejo, potrebbe aver avuto inizio la costruzione della Cattedrale romanica, sul terreno occupato precedentemente da una chiesa longobarda, edificata sulle fondamenta di una precedente bizantina o normanna, che aveva preso il posto di un tempio pagano, dedicato a Giunone. Il restauro che dal 1947 ha interessato l’esterno, fino al completo racconcio interno degli anni attorno al 1960, ha riportato alla luce le pietre originali dell’XI secolo, nascoste dai precedenti rifacimenti, fino a quello del Mella, nel 1877. Le reliquie di San Secondo sono servite per dare ai ventimigliesi qualcosa di concreto da venerare, in alternativa all’Assunta, patrona della città e dalla diocesi, che di reliquie proprio non poteva fornirne, ma nella nostra città dettero inizio a numerose leggende locali sul santo.

 2)  Quell’altare di San Secondo è ancora presente, sul lato di Levante della Cattedrale; mentre quello intitolato a San Nicolò, che dal 1378 conteneva le spoglie del vescovo Ruffino, venne convertito poi all’Angelo Custode ed ora è l’altare della Misericordia.

 3)  Una delle leggende, diffuse tra il popolo ventimigliese,  era quella che dava San Secondo condannato dai giudici di Vintimilium, ultima città sulla strada delle Gallie, oggi identificabile nelle rovine della Città Nervina, mentre il suo martirio sarebbe avvenuto fuori le mura, alla foce del Rio Resentello, dove sorse una chiesuola ed oggi è presente una chiesa in architettura moderna.

 4)  Il Comune ventimigliese inviò il magnifico Agostino Sperone a porgere, in omaggio alle cure dei genovesi, trenta barili di vino Moscatello, centocinquanta barili di fichi e venti di prugne, undici sacchi di mandorle ed alcuni fasci di spigo, oltre ad una quantità di reste d’aglio e di cipolle. La Repubblica genovese, che nel tempo era stata appellata: il Grande Comune, dai popoli del Mar Nero, contentandosi dei titoli di “‘prestante”‘ o “‘spettabile”‘, dopo aver preteso l’illustre, l’eccelso e l’eccellentissimo, al cessare della grave peste, pretese il titolo di “‘Serenissima”‘. Furono 50.000 le vittime nel solo Ponente ligure.

 5)  Venivano anche sanati altri debiti, contratti dalla Comunità di Ventimiglia, per ottemperare all’ordinaria amministrazione: Il costo del falò di Natale, con quello della polvere consumata il giorno del Corpus Domini e per eseguire i fuochi di San Secondo. La paga a colui che ha l’incarico di serrare le Porte cittadine la sera e aprirle la mattina; come il salario a chi apre e chiude Porta Canarda. La retribuzione a chi mantiene le chianche a Bevera. La “‘Fabbrica del Ponte”‘ era garantita da un certo numero di Capifamiglia, che per quello scopo si erano consorziati.

 6)  Fu molto dolorosa l’asportazione, eseguita dal padre Semini, che interessò anche preziosi manoscritti e incunaboli della Biblioteca Aprosiana, ancor oggi rimasti a Genova.

 

 

 

Il 27 agosto era

 

San Segundin

                                                                                                         di Luigin Maccario

 

    Dalle colonne de "La Riscossa", il foglio ventimigliese edito nel 1908, e conservatoci dalla accortezza del celebre dottor Ughetto, si può ricavare come allora il giorno dedicato alla festa patronale di Ventimiglia venisse tenuto in importanza col titolo di "San Segundu", anche quando fosse incappato in semplice giornata feriale. ... Quasi come oggi !

    La notizia sorprendente è quella per cui, in soli cento anni, siamo caduti nella dimenticanza di come il giorno successivo a San Segundu venisse registrato quale "San Segundin", in considerazione del fatto che si trattava del giorno successivo ad una solennità tra le più importanti dell'anno, come la Pasqua, il Natale ed il Ferragosto, le quali abbisognano del prolungamento d'una giornata di vera festa, per poter smaltire le eccessive derrate alimentari approntate, quale antidoto contro una paventata indigenza.

 

    Questa era l'importanza di San Secondo, a Ventimiglia, ancora nei primi anni del Novecento !  Importanza che gli derivava dal fatto di veder coinvolta l’intera Diocesi alle celebrazioni del mattino in Cattedrale, oltre a quelle per il Vespro, a seguito del quale prendeva avvio una fondamentale processione che, superato il sagrato dell’Assunta, percorreva la centrale Via Lascaris, poi divenuta Garibaldi e attraverso la Piazzetta del Canto si immetteva int’u carrùgiu longu, Via Piemonte, per recarsi a far sosta sulla Coléta, sagrato di San Michele, dove era celebrata la benedizione popolare.

     Dalla Coleta i portatori della pesante cassa argentea affrontavano l’impregnativa salita di Via Appio, la quale, per l’occasione assumeva il nome di Carrugiu d’a Prescesciun, aggregandosi al tracciato di Vico Saonese, che avrebbe condotto il sacro rito deambulante a sbucare di fronte al portico di San Francesco, così da ritrovare l’ampio selciato di Via Garibaldi e poter comodamente far rientro int’a Geixa Granda.

 

      In seguito, scarseggiando i portatori disposti a sorreggere la pesante teca argentea, contenente la reliquia del Patrono, una volta conclusa la benedizione insci’a Culeta, la consistente colonna dei fedeli trovava più pratico ripercorrere il Carrugiu Longu fino all’arco che indica la salitella di Ciasséta d’u Cantu per sbucare in via Garibaldi, da’u Relöriu, anche per dare onore all’Oratorio dei Neri.

 

     All’inizio degli Anni Settanta, la struttura processionale si è dotata di un amplificatore portatile, realizzato dal celebre Nino Greggio, che fungeva anche da trasportatore dell’attrezzo, il quale dava la possibilità di diffondere la voce dell’officiante tra la folla, ottenendo efficacemente una più ampia risposta nelle preghiere.

      Armato della pertica che reggeva l’attrezzo, il buon Nino diventava un moderno “Lanbardan”, quell’importante personaggio alabardato che controllava la serietà del popolo nel corso dei riti processionali in Val Nervia, ancora nei primi anni del Novecento.

 

U LANBARDAN

 

 

 

Pagine di storia ventimigliese

 

LA SOMMOSSA DI

SAN SECONDO

1743

                                                                                                                  di Nino Allaria Olivieri

    Il 31 agosto 1743 il proprefetto della Congregazione dei Riti, da Roma, al vescovo Maria Giustiniani - temporaneamente residente in Mentone in voluto esilio - faceva pervenire una lettera di richiesta nella quale si sollecitava urgente parere sulla reintegrazione della festa di San Secondo all’usato tempo del 26 agosto.

    La richiesta ridestò nell’animo dell’irruente vescovo il ricordo delle molte offese da parte dei Nobili e dello stesso Parlamento; rivisse gli insulti in pubblico contro la sua persona e le basse insinuazioni «per alcune amarezze tra qualche cittadino e il Vescovo».

    Fu così che il Giustiniani ruppe il silenzio e si mise in giustificata difesa. Un plico, datato al 25 settembre 1745, e dalla dicitura «Nonnulla documenta ad defensionem ill.mo Episcopi occasione pretensa reintegratione Festi Sancti Secundi ad 26 augusti», narra gli usati maneggi dei nobili ventimigliesi perché il vescovo divenisse il capro espiatorio del malcontento popolare.

    Questi, per sommi capi, sono i fatti. Nell’ottobre del 1742 i Nobili vogliono non essere disturbati nei loro riposi estivi e vedersi costretti al rientro in città per le feste di San Secondo. Al Vescovo, che da solo un anno si trova al governo della città, fanno richiesta di trasferimento festivo: «Aversi riconosciuto - scrivono - per esperienza che assai male può solennizzarsi la festa di un santo per cui tutti hanno gran divozione, perché le persone più nobili e molta parte del popolo son in campagna per l’aria cattiva».

    Il Giustiniani non rifiuta l’idea e tenta di temporeggiare. Il Parlamento ricorre a Roma, chiede a nome del popolo e del collegio canonicale il trasferimento della festa di San Secondo ad altra data; le ragioni addotte sono infinite.

    Nel mese di marzo 1743, sindaci e vescovo ricevono lettere affermative da Roma. Gerolamo Porro e Pietro Rossi, membri del Parlamento, sono inviati presso il Giustinani per concordare il nuovo giorno festivo. Il vescovo fu liberale e diplomatico nello stesso tempo. Si legge nell’atto giurato dai due inviati «ma sicome la prefata Signoria Ill.ma non voleva per cosa alcuna che non fosse gradita da tutta la Comunità, lasciava a noi l’incombenza di portarglierla, con dire, che avendo egli le facoltà di assegnare il giorno lasciava a nostro piacere».

    Si riunisce al Parlamento Generale; senza votazione il signor Carlo Innocente Porro, priore del Consiglio, ordina ai sindaci di porgere generale ringraziamento al Vescovo e che liberamente decreti il giorno festivo di San Secondo.

    Fu stabilita la seconda domenica dopo la Pasqua. Dal Consiglio si decretò la usata salve di bombarde dagli spalti del Forte San Paolo, con un proclama si ordinò che la sera precedente la domenica «ognuno fuori le porte de' respettive case dovesse fare in segno di pubblico giubilo un fuoco. Esito della votazione: 10 schede bianche, 1 nera, nessuna opposizione.

Trascorsa la festa, malcontento e opposizione cominciarono a serpeggiare tra il popolo e i confratelli di San Giovanni Battista. Vi furono avvisaglie di minacce; si volle interrogare i parlamentari che non seppero dare risposte giustificative.

    Il 26 agosto 1743 i ventimigliesi insorgono clamorosamente. Scrive il vescovo nella lettera in sua difesa: «Molti confratelli vestiti di cappa, calato il capuccio sul volto, quale schiera in guerra, invasero la Chiesa Cattedrale, con grande minacie e grida, affinché si consegnasse loro il capo di San Secondo che, senza alcun prete orante, avrebbero portato per la città. A ciò il mio Vicario Generale, perché Canonici e sacerdoti erano fuggiti per gli infuriati, pose fine al tutto comminando pene severe. Uscirono dalla Chiesa pregando, urlando "saturnalium more", scorazzarono per la città».

    La rivolta allarmò i nobili e gli amministratori i quali fur­bescamente si diedero ad incolpare il vescovo; con un libello non giustificativo, ma accusatorio, si premurarono richiede in Roma altro decreto di reintegrazione. Relatore fu un n identificato D (signore ?) Filippo Buttati: fu basso e meschino; accusò di inerzia apostolica il vescovo; disse dell’incapacità del Giustiniani nel reggere la diocesi; unico rimedio a tutto emettere nuovo decreto che riportasse la festa di San Secondo all’antica data: 26 agosto.

    Il 6 ottobre, da Mentone, Giustiniani replica ai dodici punti di accusa. Sono venti pagine fitte, chiarificatrici, difensive. Ne aveva capacità: «ingegno vasto, rara perspicacia, studi larghi e rigorosi costumi, erano le sue doti». Per il bene c popolo accetta la reintegrazione. A rafforzo della sua difesa acclude sette atti giurati con autentica di notaio civile. Depositano a suo favore gli stessi sindaci Porro e Rossi; Pasquale Amalberti, cancelliere del Consiglio; Orengo, vicario generale; Camillo Rostagno, nobile di Mentone; il nobile Onorato Clavesana e il nobile Imberti nonché i sindaci di Mentone.

    Del fatto nella Cattedrale - a lato della Cappella di San Secondo - resta una lapide marmorea che, se roboante e classica nel suo dire, difficilmente nasconde il vero allo storico.

 

                                                              (v. Atti «Nonnulla Documenta Archivio Vescovile, Filza 1344)

                                                                           Da: LA VOCE INTEMELIA anno XLVIII  n. 11  -  novembre 1993

 

SEGUNDIN D'ARGENTU