Luigino Maccario                                       LA VOCE INTEMELIA - febbraio 1984
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   ETNIA BRIGASCA

   Nell’appendice al Glossario Medioevale, però, è più ampio, ma è allora che ci mette in guardia del disprezzo dei Brigaschi. Figonus (appellazione di dispregio, onde venivano chiamati nelle diocesi di Ventimiglia e d’Albenga operai randagi, un quid simile del Cici del Triestino, colla differenza per altro che mentre questi erano famigerati pei ladronecci (vedi Cameroni ecc.) quelli erano rinomati per infìngardagine.
   "Lo Senequier" (Les patois de Biot, Vallauris, Mons et Escragnoles, Nice - Malvano Mignon - 1880) ristringe ad una località posta ad occidente del comune di Ventimiglia la stanza dei Figoni; ma documenti comprovano che tale appellativo si estendeva ed abbracciava la diocesi di Albenga. Nel quaderno, conservato negli Archivi di Stato in Genova, dell’anno 1520 intitolato Corsicae Fabr. Adiacii, nel quale sono registrati i nomi degli individui che in detto anno abbandonarono la Liguria per recarsi a ripopolare Aiaccio in Corsica, col nome di Battista Lanteri da Porto Maurizio, unus ex conductorum familiarum missarum a M.° Officio ad habitandum in presenti loco Adiacii, sono registrati con alcuni pochi di Bajardo, e Vallebona (della diocesi di Ventimiglia) uomini di Pietralata, Boscomare, Alassio, Andagna e di Cosio jurisdictions Albingane.
    Ebbene in detto sommario si legge: Racio grani siculi, cum armis missis per M.° Officium pro subvenendis familiis figonorum nuper missis. Dal quale si evince che Figoni erano appellati i girovaghi abitanti di queste due regioni, che andavano in cerca di sorte migliore.
    Questo è quanto dice il Rossi, mentre noi diciamo ai Brigaschi: «Non è il caso di fare di ogni erba un fascio, ed aggiungiamo, deducendo, quel Battista Lanteri da Porto Maurizio, con un tal cognome, tipicamente Realdese, perché si mescolava coi tanti disprezzati Figun. Ma non ve ne vogliamo».
 

    Sul n° 6 anno IV della rivista "Etnie", pubblicata a Milano, ho letto, con grande interesse, la relazione etno-antro-pologica, curata da Pierleone Massajoli : I Brigaschi: Una nuova minoranza ?
   L’autore, notissimo ricercatore, si dice mosso a questo particolare impegno, dal canonico Guido Pastor, assiduo collaboratore della "Voce", e sull’articolo traccia per grandi linee i risultati del suo studio sincronico e astorico, ma ci rimanda al volume "Cultura Alpina in Liguria - Realdo e Verdeggia", che la Sagep di Genova sta per distribuire, entro l’anno.
   In questo preciso momento, nel quale la comunità Brigasca, sta ritrovando le proprie radici, e la decisa volontà etnica, per mano di figli emigrati, fondatori di un movimento che si riconosce, per ora, in una rivista ciclostilata, del resto interessantissima, dal titolo ‘R NI D’AIGURA, che regolarmente riceviamo, uno studio di queste dimensioni è il toccasana per il decollo del valoroso movimento. Ed è proprio in questo momento, cioè prima che si cominci, che intendiamo mettere le cose in chiaro, noi abitatori della Liguria, che stiamo da Triora in giù fino ad un punto non ben determinato, esclusi i genovesi.
    Sì !  Lo sappiamo che i Brigaschi ci definiscono Figun, con evidente disprezzo, ma non per questo ci plachiamo, solo perché il Massajoli, evidentemente a scopo diplomatico, traduce Figun come: "mangiatori di fichi".
   Non è proprio così ed anche se per aderire ad un armistizio, che permetta ad entrambi di portare a termine la comune battaglia per la salvaguardia dei dialetti, delle lingue e dell’etnia, facciamo conto di credervi, ben sappiamo come veniva considerato in passato il termine Figun.
    Ed è Girolamo Rossi che ce lo documenta sul suo Glossario Medioevale Ligure: nella parte "Glossario del dialetto" al termine Figone dice: "servo" e riporta "Denegata ingiustamente tale licentia a tale servo o serva, fante o fantesca, figone o famiglio" (Stat. Padri, pag. 132).

           F I G U I

      ETNIA BRIGASCA

 

                                                                  Renzo Villa                                             LA VOCE INTEMELIA - marzo 1985
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                             F I G U I

    Possiamo, pertanto, dire che figùn ha riacquistato e conservato, fra i suoi vari significati, soltanto quello, un po’ scherzoso, di abitante della Liguria occidentale, terra produttrice di fichi.
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Ma, se fra i tanti figùi del passato, prendiamo, ad esempio, quelli della ristretta zona ad occidente di Ventimiglia, posta a ridosso della frontiera, troviamo che la loro terra era chiamata addirittura Figounìa (Mistral TRESOR DOU FELIBRIGE, 1° 1151) e che, per i provenzali, figoun era un Habitant de Figounia, hameau de la commune de Vintimille mentre Lou figoun era il patois qu’on parle a Figounìa et dans quelques localités des environs de Grasse, telles que Mons et Escragnolles: c’est une corruption du génois.
    Per i monegaschi, i figunin erano les habitants de Grimaldi et de ses environs (L. Frolla DICTIONNAIRE MONEGASQUE-FRANCAIS, pag.135). E.R. Arveiller (ETUDE SUR LE PARLER DE MONACO, pag.65) aggiunge: quand un enfant avait un langage traìnant, on lui faisait honte en lui disant: "parli ‘kum u figu’ni"; tu parie comme un habitant de Figunia; il s’agii d’un hameau dépendant de Vintimille. Da ricordare ancora che, nel passato, la passeggiata domenicale dei mentonaschi a Grimaldi era definita: andà in Figunìa.
   Quanto alla Mortola, i suoi figùi non erano meno conosciuti, non soltanto come venditori di fichi, ma come pascolatori abusivi di capre nel territorio dei mentonaschi suscitando le vivaci proteste di questi ultimi: Les récriminations soni faites bien souvent a rincontro des "FIGHONS" habitants de la Mortala, hameau génois, qui laissent paìtre leurs chèvres au quartier des Cuses [.....] (LA VIE A MENTON SOUS LA REVOLUTION ET L’EMPIRE, Annales de la Société d’Art et d’Histoire du Mentannais, pag.75).
Nella stessa opera, in nota n° 487, si dice: Lamboglia (N.) essaie de definir le sens du nom "Fighons" donne alors en Provence aux hommes qui venaient de la Ligurie. Il pense que c’était parce que ces derniers avaient coutume d’apporter une corbeille de figues a ceux qui les accueillaient. Durbec (J.A.) constate l’existence de cette coutume a Cannes dans la première moitié du XV siede où des éléménts ligures commencent a s’infiltrer dans cette localité (Recherches régionales 1976, n" 2, p.63).
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Questi, dunque, erano i figùi d’una volta, i quali non è detto trascorressero tutta la vita a vendere fichi o a svolgere mansioni subalterne. Qualcuno di essi - più intraprendente e fortunato degli altri - durante le peregrinazioni, trovava il modo di sistemarsi, migliorava la propria condizione sociale o faceva fortuna dimenticandosi però - da buon parvenu - dei suoi compagni meno favoriti dalla sorte. Lo diceva anche il proverbio: Candu u figùn u munta in sciu u figu, u se ne fute de l’amigu.
 

   Dal Glossario Medioevale Ligure di Girolamo Rossi, apprendiamo che il significato (o i significati) del termine figùn, rivolto agli abitanti del Ponente Ligure anche dagli altri Liguri, sarebbe: mangiatore e venditore ambulante di fichi, ma anche servo, girovago e, qualche volta, magari ladruncolo, per necessità o per le occasioni che la vita randagia e zingaresca offriva.
    Pierleone Massajoli, studioso di cultura brigasca, diceva che, nel termine figùn, non è insito alcun significato spregiativo per i liguri della costa. Lo stesso segnalava che lo stessi termine era usato anche ad Ottone, in provincia di Piacenza, dove i liguri si spingevano a vendere i loro fichi.
    Trattandosi evidentemente di liguri del levante, fa specie che il Plomteux, così attento alle voci di quell’area linguistica, non riporti il termine figùn nella sua opera I DIALETTI DELLA LIGURIA ORIENTALE ODIERNA, Patron 1975.
     Ma, forse, la cosa è spiegabile: figùn, come soprannome attribuito ai liguri migranti, era più diffuso e usato dagli abitanti delle zone contermini che dai liguri stessi che se lo vedevano imporre dagli altri.
     Tornando, ora, dalle nostre parti e a quelli che erano considerati figùi dai piemontesi e dai provenzali, resta la questione fondamentale che può essere posta in questi termini: dire figùn a un tale significa semplicemente definirlo un ligure d’occidente o volerlo, in qualche modo, offendere?
     La risposta, non facile, potrebbe essere la seguente, a principio, figùn significò probabilmente soltanto venditore di fichi, ma, poi, col passare del tempo, il termine subì un ampliamento semantico, in bene e in male.
      Forse più in male che in bene perché se è vero che - per gli abitanti del Basso Piemonte e della Provenza - diventò sinonimo di oriundo della Liguria di Ponente, nello stesso tempo, assunse il significato peggiorativo di girovago e di infingardo.
     E, se, dall’area ligure-provenzale allarghiamo la nostra indagine a quella panmediterranea, spingendoci sino alla Spagna, scopriamo che, già ab antiquo, dire figon a qualcuno non era proprio fargli un complimento.
   Figon - che in spagnolo vuol dire "bettola" o "rivendu-gliolo", ma è pur sempre una variante di higo "fico" - è attestato, fin dal 1636, come "tabernucho, bodegon donde se guisan y venden cosas ordinarias de corner. Significò antes ‘figonero, tabernero de figon’ 1603, y en el origen fue termino despectivo e insultante, [...]
   Risparmiamoci il seguito poco gradevole della definizione, che è tratta dal BREVE DICCIONARIO ETIMOLOGICO DE LA LENGUA CASTELLANA di Joan Corominas, pag.272.
     Oggi, nessuno va più in giro a vendere fichi e molti pregiudizi che esistevano un tempo nei confronti dei forestieri, sono scomparsi.
    

    Un altro componimento anonimo, pubblicato nella prima metà del ‘500; anch’esso in un misto di ligure ed italiano, descrive in versi il sacco di Genova compiuto da spagnoli e milanesi nel 1522: verso la fine, alludendo alla facilità con cui i nemici si sono impadroniti della città, l’autore dileggia i soldati zenoesi e «maxime quelli figoni e quegliantri levantini».
    Mi pare, da ambedue le citazioni, che venga messo in evidenza il carattere etnico della voce figùn, la prima volta contrapposto a lombardo (nel significato generico di "abitante dell’Oltregiogo, anche Piemontese", tuttora conservato a Pietra Ligure e ad Arenzano, qui anche con valore spregiativo), la seconda contrapposto a levantino, "abitante della Riviera di Levante".
    Riassumendo, il termine figùn doveva significare a Genova, tra ‘400 e ‘500, "Rivierasco del Ponente". Più oltre, tale voce passò a significare, in particolare, "uomo di bassa manovalanza, generalmente proveniente dal Ponente": tale è il significato ricavabile dalle poesie del Foglietta.
Altrove, dove il termine si è conservato, esso ha mantenuto il significato originario, come è chiaramente dimostrato da Villa, assumendo eventualmente una connotazione scherzosa o lievemente ironica.
     Un ultimo dato interessante può essere l’esistenza del cognome Figone, diffuso nel Levante ligure con ampia frequenza in due comuni dell’Entroterra (Varese Ligure e Casarza), ma attestato anche in Riviera tra Chiavari e Sestri Levante. La diffusione di tale cognome potrebbe riflettere l’antica presenza di oriundi Ponentini nella Liguria Orientale, completando il quadro geografico dell’antica diffusione della voce figùn.

L'ALTRO NOME DEI PONENTINI
Fiorenzo Toso                                               LA VOCE INTEMELIA - aprile 1987

   NUOVE NOTE SUL TERMINE FIGUN

     I lettori della "Voce Intemelia" ricorderanno l’articolo di Renzo Villa del marzo 1985, che riprendendo un accenno di Luigino Maccario, del febbraio 1984, illustrava ampiamente l’origine e il significato del termine figùn, vivo in varie lingue e dialetti nel significato di "Ligure Ponentino".
    Qualche lettore ricorderà anche un mio intervento dell’aprile 1985, in cui segnalavo l’esistenza di tale termine nelle poesie genovesi di Paolo Foglietta (fine sec. XVI), col significato di "persona addetta ad umili mansioni, per lo più proveniente dalla Riviera".
     A circa due anni dall’articolo di Villa, penso di poter aggiungere qualche nuova delucidazione, spigolata qua e là, per meglio chiarire la storia della parola figùn.
     Intanto essa si incontra, nella forma figon (pl. figogni,) anche a Calizzano, sempre col significato di "Rivierasco": il termine si trova quindi diffuso nelle aree dell’Oltregiogo di lingua ligure (Briga, Calizzano appunto e, come afferma Villa, Ottone in Val Trebbia), così come in Provenza e nel basso Piemonte.
     Quanto alla presenza di tale termine in genovese, è possibile retrodatarla di circa un secolo rispetto alle citazioni del Foglietta tenendo conto di due testi della fine del ‘400 e dell’inizio del ‘500.
     La Raxone de la Pasca è una sorta di almanacco pubblicato nel 1473, che in una lingua mista di ligure e italiano da tra l’altro informazioni geografiche su varie località della Liguria: parlando di Toirano e del suo mercato, l’anonimo autore afferma testualmente: «Lombardi e figoneti li vano di e nocte», intendendo, naturalmente, per commerciare.
   

     Per contestare gli sprechi fatti dai nobili nell’acquistare cavalcature di gran pregio e nel mantenere paggi sontuosamente vestiti (sonetto XXXIII), Foglietta si richiama ai costumi dei vecchi genovesi che andavano in villa a dorso di mulo, senza usare sontuose briglie di velluto, concludendo
                 E IN VILLA E IN CA SERVIVA RO FIGON.
       (E in campagna e a casa bastava il servizio del figon).
    Infine ritroviamo il termine in un’altra poesia (XXXVI) assai critica verso gli abiti alla moda, e in particolare verso l’uso dei pantaloni,
                 CHE DE CITTEN, FAREI NE FAN FIGOIN,
                 BAZARIOTTI, SCHIAOI E MARINÉ.
       (che ci fanno sembrare, più che cittadini, figoin, / rivenduglioli, schiavi o marinai).
     Il termine figon, a quanto mi risulta uscito dall’uso vivo nel genovese (già non s’incontra nella letteratura seicentesca), sembra avere pel Foglietta un significato dispregiativo, ed è associato, almeno in due casi, ai muli. La tentazione di tradurre il termine come "mulattiere" sarebbe quindi grande, se vi fosse qualche altro elemento. Resta il fatto che il figon è pel cinquecentesco poeta genovese un uomo destinato a lavori servili, verosimilmente infido e non certo degno di grande considerazione.
    Il termine appare anche contrapposto a Citten, cittadino, il che potrebbe far pensare a un’origine rivierasca (o montanara) dei figoin, venendo così a corrispondere in parte coi significati proposti da Renzo Villa.

                               Fiorenzo Toso                                                 LA VOCE INTEMELIA - aprile 1985
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      ANCORA SU I FIGUI
          Quanto scrive Fiorenzo Toso sembra confermare che ci troviamo in presenza di un termine molto diffuso e antico, ricco di storia e di significati. Significati che potevano variare a seconda dei luoghi e delle epoche. La questione comunque resta aperta e il giornale è a disposizione di chi volesse ulteriormente interloquire.
                                                                                         Renzo Villa

     In relazione all’interessante articolo di Renzo Villa (Voce Intemelia del marzo scorso) su I Figùi, credo sia utile segnalare un’altra fonte in cui si parla di questi "misteriosi" personaggi. Alludo alle poesie di Paolo Foglietta, cinquecentesco poeta genovese di ispirazione ora civile ora amorosa. Nei suoi versi, pubblicati nell’antologia Rime diverse in lingua Genovese (Pavia 1583, di cui si conoscono anche edizioni precedenti), e recentemente riediti a cura di E. Villa e V. E. Petrucci (Genova, Tolozzi 1983), il termine figon ricorre quattro volte.
      Nella rima XXII, in polemica coi patrizi genovesi troppo amanti delle splendide ville di campagna, il poeta afferma essere la città stessa la sua villa, dicendo di Genova:
            UNA VILLA ME TROVO SI VEXINNA
            CHE SENZA TEGNÌ MURA POSSO STA
            NI SPEfSA DE FIGON ME CONVEN FA
            CHI RO MESCHIN PATRON SEMPRE ASSASINA.
     (Possiedo una villa così vicina, che posso fare a meno / della mula per recarmici, ed evitare la spesa del figon, / che sempre assassina il suo povero padrone).
      Altrove (sonetto XXVIII), criticando le nuove mode in seguito alle quali i nobili genovesi, abbandonando le toghe avevano adottato vestiti di altra foggia, afferma che i buoni cittadini non devono portare abiti corti
            COME FA RO ZANETO O RO FIGON
            CH’ESSE ESPEDIf PER SERVIRNE DEN.
    (Come fanno il servo ed il figon, che debbono / essere liberi nei movimenti per meglio servirci).

Nel XIII secolo
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 rivista il : 26 marzo 2015
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