D’in baixadone cun a stela
surve a man ti m’ai marcau,
e l’è d’alura, mì meschina,
che òn u cö tütu incantau.

Delongu vegu chela sciura
ch’a se cincia e a me da’ a mente …
A l’à ina vuxe tantu duçe
che l’è tü che stagu a sente …

Che stagu a sente ... e nöte e giurnu,
ascundendu u mei segretu,
caminu persa drente in sonu
amaru e duçe e inchietu.

Perché marcàme ti ài vusciüu
e redüxime cuscì ?
Avù luntan ti sei partiu,
cume pösciu mai garì ?

Che sempre chela sciura russa
a l’è lì ch’a me dà a mente,
a me da’ a mente e ch’a me parla,
e l’è tü che stagu a sente.

 L’INCANTAMENTU D’U BAIXADONE
                                                                                                            Filippo Giglio Rostan

               PAPAVERO - BAIXADONE

            
Con l'approssimarsi della bella stagione, approfittando della grandiosa fioritura spontanea nei prati, durante le scampagnate; era usanza assai diffusa che il giovanotto imprimesse, onde suscitarne l’amore, il marchio d'una stella sul dorso di mano della ragazza in simpatia, servendosi del pistillo di un papavero.

 USANZE  E  GESTI
   Ritualità intemelia, ripresa dall'opera "TRA L'ERBA", di Filippo Giglio Rostan
                             stampata da S.A.S.T.E. - Cuneo 1963

       La spiaggia ventimigliese per antonomasia è sempre stata la «Marina San Giuseppe», che prima ancora è stata «San Nicolò», ma che i dialettofoni conoscono come «Ciasa de Suta a Cola», con la sua dépendançe degli "Scoglietti", che domani saranno del tutto cancellati dal costruendo porto. La Marina è stata caratterizzata nel tempo dalla vistosa presenza di alcuni grossi scogli, dei quali oggi resta soltanto la "Pria Margunaira, che rischia molto di arenarsi miseramente alla base del prossimo molo dell'esuberante porto.
       Gli scogli storici sono stati: l
a «Pria Grania», detta anche «Pria Naviglia», lo «Scögliu Autu », la «Schina d'Ase» e la «Pria Margunaira», appunto. La prima, era sul bagnasciuga ed è, oggi, ricoperta (subacà) dalla ghiaia. Lo « Scögliu Autu », enorme scheggione ritto accanto ad essa, rovinò una notte del 1917 ed è anch'esso ricoperto dalla rotonda della Margunaira. Negli Anni Novanta, la Schina è stata usata come appoggio per un poderoso molo  frangiflutti, il secondo a partire dalla foce.

 SICUT TRANSIT ...
                                         
Filippo Giglio Rostan


       Unde l'è avura a Pria Grania ?
       L'è suta a grava subacà.
       U Scögliu Autu u l'à seghia:
       L'à faitu, u Tempu, derrucà.

       A mei stagiun a l'è sparia,
       In ventu gramu u l'à spassà:
     
Gh'è caiche facia arreperia,
       In caiche buca, in cascelà.

 

    «Gaglineta d’u Scegnù mostrarne u camin d'amù»: così dicono i ragazzi alla coccinella che mettono sul dorso della mano. L'insetto gira, gira finché vola via. Mostrerà loro la direzione per trovare il grande amore?

 U CAMIN D'AMÙ  
                       
Filippo Giglio Rostan


        - Gaglineta d’u Scegnù,
        Mustrame u camin d'amù. -
        A zira, a zira a galineta
        In scià man, a dröve l'ařeta
        E a piglia u vöřu versu in sciü:
        A se n'è andaita, a nu’ gh'è ciü.

        - Gaglineta d’u Scegnù,
    
Unde u va’ u camin d'amù ?
        Unde l'auxelu u t'à pitau ?
        Unde l'auxelu i àn massau ?
        Unde ‘stu giurnu u nu’ gh'è ciü ?
        Unde gh'è u sanghe de Gesü ? -

   U TOU CASSÌ
                                      Filippo Giglio Rostan
                                      A Berta

- Gh'eira in cassì contru â müraglia,
In sci mandrigli u sou audù,
In sce sou perle in po' d'aigaglia,
Intu mei cö in po' d'amù. -

- Avù i son gianchi i tou cavegli,
E rispuntau l'è u tou cassì;
Gh'è in rie, de vote, tra i tou çegli ...
Te l'òn daitu, forsci, in po' mi ? -

Il «Cassì» è l'acacia farnesiana, i cui fiori arieggiano quelli della mimosa. Si usa metterli tra la biancheria per profumarla.

 

Caru d'esse inseme strenti
E vive cume i fan
E granete int'ina spiga,
Ina spiga de bon gran.

O Belessa, tè ringraçiu
Pe' u tou salüu gentì
Pe' ‘stu duçe bon regordu
Che purteron cun mi.

Che ti seci benedeta,
Cumpagna de camin,
Tü, che a gioia ti recami
In sciù nostru destin.

Tüta ben vestia de giancu
A seve, ‘sta matin,
U bongiurnu a m'à augürau
Passandughe veixin,

E inte l'aria, tüt'asseme,
Ciüvina ina cansun
Che d’u cö, cian cianinetu,
A smorça a cremaixun.

Brila e rie cuntentu u mundu
Drente l'ouru d’u sù,
Unde pa’ ch'u zire in mazu,
Mazu de grand'amù.

Dème a man, a drita, a lerca,
Fème iscì mi cantà:
Inta vostra cumpagnia
Caru m'è ancöi zirà;

     A CUMPAGNA
                                                                  Filippo Giglio Rostan

         Ancora nel periodo che è intercorso fra gli ultimi due Conflitti Mondiali, era usanza che, nelle sere di maggio, i giovani si riunissero nelle piazzette, o in qualche altro luogo adatto, per allestire un giro-tondo attorno ad una fronda, oppure ad un mazzo di fiori,  sospeso, appeso ad un filo teso fra due case. Si diceva che girassero il maggio, tenendosi per mano e cantando opportune canzoncine.
          L'usanza si è perduta persino nei villaggi dell'entroterra, anche se ai giovani che vi abitano non costerebbe molto cercare documenti dell'usanza e magari ripristinarla. In Ventimiglia, l'Agosto Medievale ha ripreso l'uso de «zirà in mazu», nella manifestazione «CiantàMazu», che oggi è diventata patrimonio degli scolari che frequentano il Tempo Pieno nel Secondo Circolo di Via Veneto, Via Roma e Via al Capo.

 

Claude Monet

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 rivista il: 10 ottobre 2013

 

CHI A L’È
  
A REGINA ?
A l’è bela a bebina,
Unde a va’ a regina ?
A regina a va’ de-longu
Unde bate u cö d’u sù,
Ma a regina, unde a passa,
A fa’ cresce u gran d’amù.

Fate bela bebina,
Perché turne a regina.
E a bebina cu’u ventagliu
Dui tre passi a fa’ de balu
E a se mete ancura au colu
A sou resta de curalu.

Fate bela bebina,
Duman passa a regina.
A bebina a dröve a cua,
Dui trei passi a fa’ de balu
E a se mete apesa au colu
Ina resta de curalu.

A l’è bela a bebina,
Unde a l’è a regina ?
A regina a l’è inti liri,
Inte röse e i giaussemin,
A regina a l’è inte l’üga,
Inte aurive e i mandurin.

A l’è bela a bebina,
Cose a porta a regina ?
A regina a porta e cose
Ch’i sun bone da mangià,
A regina a porta e cose
Ch’i sun bele e i fan sperà.

«Fate bela bebina, che duman passa a regina», così dicono i ragazzi al tacchino (a bebina) per fargli aprir la coda (a cua).  Oltre ad aprire la coda, il maschio fa vistosamente dondolare il bargiglio (i barbagli), composto di verruche rosse, che assomigliano molto al corallo.

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