Ancöi l'è e i sun e ure
Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

 

 

ARDESIA NOSTRANA

 

La mappa geologica del nostro territorio è disseminata da chiazze o ridotti banchi di argilloscisto, materiale lapideo di colore turchino-grigiastro, facilmente divisibile in lastre sottili e leggere, adatte come copertura di tetti o come piastrelle per i pavimenti, qualche volta usato anche come lastra per i davanzali e perfino da soglia d’ingresso.

Nell’antichità, erano diffusissime le cave di ardesia del Ponente Ligure. Furono fonte di materiale edile per secoli e, per qualche decennio, trovarono attività anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. La difficoltà di trovare materiale edile ha provocato lo sviluppo di una fiorente economia nella estrazione di materia idonea. Per effetto della globalizzazione dei mercati, purtroppo oggi, l’attività non è più competitiva e l’ardesia si limita ad essere usata nell’artigianato e nell’arte, in modiche quantità. Sfruttare i banchi di miglior qualità è ormai limitata alle cave site nell’Alta Valle Argentina.

Nell’ambito della Zona Intemelia, Nino Allaria Olivieri ci comunica dello sfruttamento di banchi d'ardesia, a partire dal Cinquecento, in un articolo pubblicato su “La Voce Intemelia” nel marzo 2003. L’estrazione è durata fino ai primi decenni del Diciannovesimo secolo.

 

TOPONIMI

 

CIAPPEIRE: Il toponimo “Ciappeira”, comune nell’indicazione locale, sia presso i villaggi della marca ventimigliese, sia in tutta la Val Roia e nella Valle del Nervia; è ricordo di un mestiere ormai scomparso: l’arte dell’estrazione dell’ardesia ad uso familiare, artistico e decorativo. Da qui i toponimi: ae Ciappe, al Ciappeo’, ai Ciappin e Ciappeira, rintracciabili ai margini degli abitati. Nel lemmo ligure provenzale la Ciappa era una lastra di ardesia sottile di varie dimensioni, impiegata esclusivamente per la copertura dei tetti e se di maggiore spessore o di piccola dimensione destinata a lastricare i pavimenti. “U lastrigu de ciappe o ciappete”. Si fa anche menzione delle “lose”, anch’esse un’ardesia che per la sua composizione chimica si prestava a più facile estrazione, di grosso spessore, ma non atta, per il suo peso e composizione chimica, alla copertura dei tetti. Veniva impiegata per la costruzione di scale, portali e davanzali. Indicative in merito sono alcune note di archivio. Nell’anno 1527 il canonico Giauna, nel restauro dell’abitazione nel Chiostro delle Canoniche, commissiona gli stipiti della porta e delle finestre a Pigna “per la sua maggior resistenza ed attitudine ad essere travagliata” ma “siano delle Torri le coperture del tetto”. Il Vescovo Galbiati nel 1574 nel revisionare il progetto di restauro del tetto della Cattedrale “pericolante causa il peso della copertura, consiglia il ricorso alla Ciappina di Torri dalla pietra più leggera e di ottime dimensioni”. Per lo più la ciappa locale era di spessore di due o tre centimetri, di facile squadratura e di identica composizione chimica, atta ai tempi freddi e piovosi. Non sempre la coloritura tendeva al nero; la ciappa, comunemente sbiadita era a basso prezzo e ciò era dovuto alla facilità di estrazione. In Tenda la pietra tendeva al verde, a Fontan e al Tiné al violetto, nel basso Roia al rossigno, che con il tempo e le intemperie assumeva un colore verde cupo sporco. Per aprire una ciappera era richiesta attenzione: l’assaggio della roccia, la conoscenza della vena, la determinazione del quantitativo estraibile e la possibilità di un facile trasporto. Nel Bevera, ad Olivetta e ad Airole, la Ciappera ebbe la durata per il fabbisogno locale; non subì, né risulta che fosse di diritto o proprietà comunale. Aicardi di Bevera ottiene una mezza brenta di vino “per avere estratto due salmate di ciappe” e Girolamo di Torri “va a tre giornate per aver preso dalla ciappera tre carichi di ciappe”. Scoperta la vena occorreva avvedutezza, sapere sfaldare la vena giusta e maestria nel maneggio dei cunei di ferro o di legno, colpo sicuro di mazza. Ottenuta la pietra in lastra si doveva proteggerla dal sole e dall’aria e poiché una esposizione prolungata avrebbe nociuto alla sua compattezza si metteva in “stagionatura”, un periodo di venti giorni in verticale, ricoperta con felci o erbe, Trasportare la ciappa al cantiere era faticoso, avveniva a spalle di uomo o a dorso di mulo con basto, munito di cancelli a cassone, cordami robusti. Da documenti epocali, sec. XVI e sec. XVII, si deduce che le ciappere nel territorio di Ventimiglia, vennero, in parte, abbandonate. Rimasero in quiescenza “aperte” alcune piccole ciappeire per un eventuale fabbisogno. In due atti si menziona l’estrazione di pietra da ornamento alle Grimalde e alle Torri, a Tenda e a Pigna con la dicitura di “Cava di pietra d’ornamento”. I portali, gli stemmi, le pietre tombali, i rabescati davanzali, che il tempo ha conservato in Tenda, in Briga, a Pigna e Saorgio sono una testimonianza di un affermato gusto decorativo. L’amico Carlo Astrò in un suo studio “L’ardoise nella Liguria Occidentale” definisce i paesi dell’Alta Valle Roia culla dell’Arte della Pietra nera. Ventimiglia non è nel novero e l’autore tenta di indicarne le cause. “Nei sec. XVI e XVII, Ventimiglia fu soggetta a Genova e ad un suo Parlamento; mai, anche se patria di uomini illustri, poté annoverare dinastie ducali e famiglie di sangue nobile”, onde ornare gli ingressi con il loro blasone. Giustificazione solo in parte condivisibile.

 

Lacuxiàn: Nonostante i lavori per erigere il ponte Antonio Aniante, verso il Parco Merci, oltre al sottopasso della Verandona, per la Statale Venti; lavori che hanno riempito almeno trecento metri quadri di alveo sulla riva sinistra del Roia, appena fuori Roverino, la nostra sccìümàira ha provveduto a ricreare una zona palustre, presso il sito che un tempo ospitava il “lacus uggiano”, in altre parole il lago che sta in mancanza di luce e di sole, un’infida palude coperta da un fitto bosco, che la toponomastica di fine Ottocento ricordava ancora col sito di “Lacuxiàn”.

 

______________________

 

PORTIOLA, castello o fortificazione esistente nel medio evo presso Ventimiglia, in riva al Nervia. (cfr. per l’ubicazione G. ROSSI, Dove si trovava il castello di Portiiola ?, in G.S.L.L., I, (1900), p. 376-78).  - Sec. XIII Homines de Vtntimilio recesserunt et se posuerunt in loco qui dicitur Portiiola, prope civitatem Vintimilii per milliaria duo, guerram facientes hominibus Ianue (JACOPO DORIA, Ann. Gen, ad a.); 1242 actum in castro Portilorie (doc. in ROSSI, Dolc., 195); 1261 in territorio Vintimilii ad Portiloriam (ibid, P. 177); 1523 a la Portiglora (et. v. A).  - Certo *PORTIC(U)LOLA «portigliola», formazione del tipo di Costigliene, allusiva alla presenza di un’antica porta. Poiché la posizione approssimativa, stabilita dal Rossi, è nei pressi di Albintimilium in riva al Nervia, è possibile che il toponimo si riferisca all’antica cinta di quest’ultima, sul lato orientale o settentrionale.

             N. Lamboglia