SOLSTIZIO INVERNALE
SAN GIOVANNI EVANGELISTA
IL GIANO DELLA CAVERNA COSMICA
Luigino Maccario - 2006
OSCURITÀ E LUCE NEL SOLSTIZIO D’INVERNO
Il sole che ha cambiato la propria rotta in elevazione, durante il Solstizio d’Estate, disponendosi a calare decisamente verso l’orizzonte, nel corso di tutta la bella stagione, fino all’Autunno; nei giorni antecedenti il 21 ed il 22 di dicembre, rende l’impressione di volersi soffermare, lungo il suo arco in cielo, in attesa di decidersi a risalire, come dovrebbe fare da quella data, trionfalmente verso lo Zenith.
Fin dall’antichità gli uomini si erano resi conto che questo cambiamento era il riflesso dell’alterazione avvenuta in estate e lo avevano celebrato con molto più consenso dell’appuntamento estivo, considerando il timore che li aveva tenuti in apprensione, nell’angoscia che il grande astro dispensatore di vita avesse mancato di ritrovare la forza per risalire nel cielo, al fine di riportare responsabilmente la bella stagione, dopo le necessarie sofferenze dell’inverno.
Col pervenire del Solstizio invernale, nelle campagne celtiche d’Europa, semmai travestita con simbolismi cristiani, ha continuato a svolgersi la festività di Yule, fin dall’antichità legata alla celebrazione del Sole, il quale riscaldando la Madre Terra, la prepara alla futura germogliazione.
Tra i vari temi collegati a Yule, il principale è quello della battaglia che il vecchio Re Agrifoglio, simbolo di oscurità e di vecchiaia, ingaggia con il giovane Re Quercia, simboleggiante la luce del nuovo anno. Il vecchio sovrano viene simbolicamente ucciso e il giovane Re prende il suo posto sul trono, per governare, mentre il ceppo dell’agrifoglio vinto si consuma sul fuoco rigeneratore.
La ritualità collettiva impegna l’intero corso della notte più lunga dell’anno, dal tramonto all’alba successiva, per constatare che il sole sorga nuovamente.
Da quelle ancestrali usanze nordiche, assieme alla ritualità del fuoco, rappresentata qui dal “Fögu d’u Bambin”, nella tradizione ligure, per secoli si era mantenuta in vigore l’esigenza di corpose bevute, in quell’occasione. Queste erano ammesse soltanto con l’assunzione d’una pozione speziata e zuccherata, appositamente preparata dagli “speziai”. Sugli statuti liguri, questa era nominata “clarea”, ma generalmente quella bevanda risponde al lemma “giulebbe”.1
IL DIO GIANO, GUARDIANO DELLA PORTA SOLSTIZIALE
Divinità tipicamente italica e latina, il primo dio nel panteon di Roma sarebbe stato Giano, che giunse sulle coste del Lazio, per mare dalla Tessaglia. Era quindi considerato l’inventore delle navi e il protettore della navigazione, dei porti e delle vie fluviali, dato che possedeva il potere di far zampillare dal terreno sorgenti e polle d’acqua.
Definito anche Janus Pater, Giano era considerato padre di tutti gli uomini, della Natura e dell’Universo. Dio dell’apertura e dell’inizio, era assimilato alla divinità solare che aprendo il cammino alla luce, accompagna la giornata attiva dell’uomo.
Il suo nome evoca la porta, in latino ianua, così come januarius è il mese che apre l’anno e dà inizio alle stagioni, tanto che il primo giorno di gennaio si celebrava la festa del dio. Presiedendo alle porte, aveva la chiave e il bastone; sorvegliava tutto ciò che stava all’interno della città o della casa, non perdendo però di vista quello che accadeva all’esterno. Giano bifronte era rappresentato con due facce.
Deteneva il ruolo di custode della pace, la sola condizione che possa dar luogo ad esordi positivi e creativi, nella vita quotidiana; pertanto, il tempio a lui dedicato doveva rimanere aperto in occasione di imprese belliche, ma formalmente sbarrato in tempo di pace.
Nell’intraprendere qualsiasi impresa o attività era necessario supplicare la benevolenza di Giano, protettore persino del concepimento e della nascita individuale; quell’avvicendarsi giornaliero di vita e morte, di luce e tenebre, cui segue sempre una rinascita. Considerando tale evenienza, dato il valore universale delle leggi cosmiche, l’uomo ha dedotto per se la medesima sorte.
La posizione di Giano a guardiano del Solstizio invernale, rammenta all’uomo i riferimenti al destino dell’anima, oltre che al naturale perpetuarsi della vita sulla Terra, attraverso la Porta del Capricorno, in uscita dalla Caverna Cosmica.2
SAN GIOVANNI APOSTOLO NEL SOLSTIZIO D’INVERNO
La religione Cristiana, non poteva ignorare la portata delle usanze solstiziali radicate in ogni angolo d’Europa; pertanto, a partire dal IV secolo dell’Era Volgare, si preoccupò di sovrapporvi le solenni celebrazioni che riguardavano l’arrivo del Messia. Al Solstizio d’Inverno si aggregarono le celebrazioni per il Natale di Gesù, così come a quello d’Estate si collegò il mito di Giovanni il Decollato, proposto quale San Giovanni il Battista, attributo guadagnato durante il suo incontro con Gesù.
Riflesso sull’arco invernale del cerchio zodiacale, il Battista ha il suo gemello dallo stesso nome a vegliare sui riti solstiziali. La sensibilità cristiana aveva posto il nome Johannes in rapporto con quello di Janus, ed entrambi con il termine Ianua. Certo, dal punto di vista filologico, il primo di questi due rapporti non è legittimo; resta però il fatto che Giano è il dio bifronte che protegge i due termini dell’anno, la fine del precedente e il principio del seguente. Allo stesso modo i due Giovanni, il Battista e l’Evangelista, divennero gli ianitores delle due Porte solstiziali.
In Giovanni Evangelista, che quale custode del solstizio d’inverno ha “sostituito” il dio Giano dai due volti, uno di giovane e uno di vecchio, i caratteri unificati della giovinezza e dell’eternità, sono più chiari: giovinetto nel Vangelo, lo ritroviamo vecchio nell’Apocalisse e vegliardo immortale nella tradizione cristiana, che lo vuole ancora vivente in attesa della Seconda Venuta del Cristo.3
Il san Giovanni invernale rientra nella realtà dei dodici giorni, o meglio, delle dodici notti che separano il Natale dall’Epifania: notti misteriose, integrale compendio dell’anno, notti di trasgressione delle norme abituali di comportamento, derivante dalle antiche “libertà di dicembre”, notti che oggi accompagnano la “Grande Festa” del Capodanno.
VERSO NATALE E OLTRE: I SATURNALIA DEL CAOS
Nei Saturnalia romani, fra il 17 e il 23 dicembre, il mondo sembrava rovesciarsi e, in particolare, la fine dell’ordine costituito e il ritorno del caos primordiale erano caratterizzati dall’abolizione delle differenze fra i servi e i padroni. Ma in realtà il caos della fine dell’anno non era altro che quello d’un tempo esaurito, che stava per esser rifondato con maggior vigore: non a caso Saturno, l’antico dio laziale poi identificato con il greco Chronos, era un dio civilizzatore, e la festa dei Saturnalia si diceva fondata da Giano, un’altra divinità civilizzatrice.
Così, la notte di Natale è la notte del grande rovesciamento, della Grande Rivoluzione: la notte in cui gli animali, secondo una diffusa credenza folklorica, parlano nelle loro stalle e in cui il Re dell’Universo nasce in una mangiatoia; ma è anche la notte da cui inizia il riscatto dell’umanità, la notte della Grande Restaurazione dell’ordine turbato dal peccato dei progenitori.
Per riportare l’ordine, oltre a celebrare san Giovanni Apostolo ed Evangelista, il 27 dicembre; fra Natale ed Epifania, la Chiesa ha voluto compendiare con santi appropriati, la storia della sua stessa fondazione.
Il 25 dicembre è Natale; ma in quel giorno la Chiesa commemora anche il Progenitore, Adamo, a sottolineare il rapporto fra lui e Gesù interpretato come Nuovo Adamo.
Il 26 è la festa di santo Stefano, il Protomartire. Il 28 si celebrano i Santi Innocenti, e secondo un’antica tradizione il giorno della settimana in cui tale festa cade sarà infausto per tutta la durata dell’anno a venire.Il 31, ultimo giorno dell’anno del calendario giuliano, si festeggia san Silvestro papa, colui che secondo la tradizione battezzò Costantino e con lui cristianizzò l’Impero.
Il 1° gennaio la Chiesa solennizzava tradizionalmente la circoncisione, quindi a un tempo l’entrata ufficiale del Salvatore nella famiglia dei figli di Giacobbe e la prima effusione del sangue divino. Infine, il giorno 6, con l’Epifania, si giunge all’aperta manifestazione della divinità e della regalità di Gesù Cristo.
LA FIGURA DELL’APOSTOLO GIOVANNI
Giovanni, nato all’inizio del primo secolo, come il fratello Giacomo, era figlio di Zebedeo, pescatore sul lago di Tiberiade. Con Andrea, divenne discepolo di Giovanni il Battista, quindi assieme al fratello Giacomo, detto poi il Maggiore, in compagnia di Simone, detto Pietro, fece parte dei dodici apostoli, dov’era riconosciuto come “il discepolo che Gesù amava”, partecipe dei principali eventi della vita e del ministero del Maestro e unico degli apostoli presenti alla sua morte in croce.4
Oltre a quello di Apostolo, gli viene attribuito anche l’epiteto di Evangelista, essendo stato identificato come autore del quarto vangelo, oltre a tre lettere bibliche e all’Apocalisse, ma pare anche ad un Vangelo apocrifo.5
La tradizione racconta di come sarebbe morto in tarda età ad Efeso, ultimo sopravvissuto degli Apostoli. Tra le comunità cristiane del secondo secolo, correva la leggenda per cui Giovanni, l’apostolo prediletto, sarebbe rimasto vivo, in attesa del ritorno di Gesù, alla fine dei tempi.
Questo mito era conseguente alla notevole anzianità dell’apostolo, che all’epoca avrebbe compiuto un’età superiore ai cent’anni; ma anche per l’ipotesi di come all’autore dell’Apocalisse sarebbe stato concesso di vivere quello che aveva visto in forma estatica.6
A considerare la figura di Giovanni quale Veggente dell’Apocalisse, da teologo preparato, ci ha pensato papa Benedetto XVI: “Facciamo subito un’osservazione: mentre né il Quarto Vangelo né le Lettere attribuite all’Apostolo recano mai il suo nome, l’Apocalisse fa riferimento al nome di Giovanni ben quattro volte (cfr. 1,1.4.9; 22,8). È evidente che l’Autore, da una parte, non aveva alcun motivo per tacere il proprio nome e, dall’altra, sapeva che i suoi primi lettori potevano identificarlo con precisione. Sappiamo peraltro che, già nel III secolo, gli studiosi discutevano sulla vera identità anagrafica del Giovanni dell’Apocalisse. Ad ogni buon fine, lo potremmo anche chiamare “il Veggente di Patmos”, perché la sua figura è legata al nome di questa isola del Mar Egeo, dove, secondo la sua stessa testimonianza autobiografica, egli si trovava come deportato “a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap1,9). Proprio a Patmos, “rapito in estasi nel giorno del Signore” (Ap1,10), Giovanni ebbe delle visioni grandiose e udì messaggi straordinari, che influiranno non poco sulla storia della Chiesa e sull’intera cultura cristiana. Per esempio, dal titolo del suo libro - Apocalisse, Rivelazione - furono introdotte nel nostro linguaggio le parole “apocalisse, apocalittico”, che evocano, anche se in modo improprio, l’idea di una catastrofe incombente”.7
Note:
1) Il lemma “clarea” è riportato nel NUOVO GLOSSARIO MEDIEVALE LIGURE, con il quale Nilo Calvini ha voluto aggiornare il vetusto lavoro di Girolamo Rossi, per farlo editare dal Civico Istituto Colombiano, a Genova nel 1984. Il lemma giule lo troviamo nelle voci derivate dall’arabo giuleb. Questo ci porta ai termini: giulebbe, col significato di pozione fatta con acqua e zucchero; però cotta, a giusta consistenza. Troviamo anche: giulebbare, che riflette cuocere nello zucchero ed altresì conciare per le feste.
2) La tradizione assegna alla Porta del Capricorno un significato positivo in quanto apre la fase dell’anno in cui il Sole cresce e alla Porta del Cancro un significato negativo in quanto dà inizio al semestre oscuro. La Porta Invernale è detta Porta degli Dei, perché attraversandola le anime ascendono al divino e le influenze superiori discendono sulla terra. La Porta Estiva è detta Porta degli Uomini o degli Antenati perché destinata alla discesa delle anime sulla terra ed al perpetuarsi del ciclo delle esistenze materiali.
3) Il vecchio rivoluzionario Saintyves proponeva l’assioma costante che determinava i santi quali “successori” degli dèi pagani, anche se oggi non si è più disposti a concedere: almeno non deterministicamente, questa necessità della chiesa.
4) Ricerche archeologiche condotte alla fine del secolo scorso, sulla base delle visioni monaca agostiniana Anna Katharina Emmerick (1774-1824), hanno permesso il ritrovamento, a sud di Efeso, della casa dove l’apostolo Giovanni avrebbe assistito la madre di Gesù, da dopo la Crocifissione, fino alla morte di questa.
5) Quale evangelista, la profondità speculativa dei suoi scritti, lo ha indicato come “il teologo” per antonomasia, assegnandogli il simbolo dell’aquila, giacché la visione che descrive nel Libro dell’Apocalisse, lo indica come l’unico ad aver contemplato la Vera Luce del Verbo, così come si riteneva l’aquila capace di fissare direttamente la luce solare.
6) Nell’Apocalisse, testo che gli è ampiamente riconosciuto, Giovanni Evangelista rivela la fine del mondo e il ritorno del Signore, “parusia” che aveva recepito in qualità di veggente, nell’isola di Patmos.
7) “Giovanni, il veggente di Patmos. Breve introduzione all’Apocalisse di Benedetto XVI - udienza generale nell’Aula Paolo VI, di mercoledì 23 agosto 2006.
BIBLIOGRAFIA:
Giuseppe Cocchiara STORIA DEL FOLCLORE IN EUROPA Boringhieri - Torino 1971
Julius Evola LA TRADIZIONE DI ROMA “Areté”, Manduria - 1977
Mircea Eliade IL SACRO E IL PROFANO Bollati - Boringhieri - Milano 1984
René Guénon SIMBOLI DELLA SCIENZA SACRA Adelphi - 1986
Franz Altheim STORIA DELLA RELIGIONE ROMANA Settimo Sigillo - Roma, 1996
Alfredo Cattabiani CALENDARIO
Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno Rusconi - Milano 1989