Ottavio Trucchi
A trent’anni dalla scomparsa di un delicato poeta in lingua francese della stirpe dei «Ciampinaiga»
di Giovanni Giraldi
Il 17 maggio 1957 si spegneva a Ventimiglia, dove era nato nel 1882, Ottavio Trucchi. Suo padre (lo chiamavano Ciampinaiga) era piccolo, tarchiato, di pelo rosso. Faceva il barbiere ed aveva molti figli; Tavio era uno dei molti.
Un giorno, il ragazzetto Tavio servì la messa ad un prete francese, di passaggio per Ventimiglia; il prete gli propose di andare con lui in Francia: lo avrebbe fatto studiare. Fu chiesto il gradimento di Ciampinaiga, il quale lo diede senza difficoltà; e Tavio andò a Montpellier. Fu accolto nel seminario francese e vi rimase alcuni anni. Imparò il Francese, il Latino, la Matematica; ma non credo che abbia studiato il Greco. Invece imparò bene la Musica, e saliva a suonar l’organo nella chiesa del collegio, mentre i compagni erano già nei banchi.
In quegli anni era uscito il Quo vadis ? In Francia tutti lo leggevano, ma i preti torcevano il reverendo muso. Tavio se lo lesse di nascosto all’organo, tra un «pezzo» e l’altro: scoperto, fu diffidato severamente.
Più tardi, si decise ad uscire dal seminario, e tornò a Ventimiglia. Possedeva una discreta istruzione, ma non aveva titoli legali di studio. Così cominciò la sua difficile vita «nel mondo». Dava lezioni private, scriveva per qualche foglio locale, e poetava in lingua francese. Nel 1905 pubblicò, a sue spese, Amour et larmes (Bordighera, Imprimerle P. Gibelli). Il volume è elegante, con bei fregi.
Le poesie sono di un chiaro gusto Lamartiniano. Non mancano versi molto belli, merito grande specie se si pensa che erano di un giovane.
In una sua «consolation» esordisce come Malherbe nella Consolation à M. Du Perrier: O mère ta douleur sera donc éternelle?
Eppure, se non era sempre originale la forma, era originale, cioè vero, il sentimento.
Le poesie più belle sono le ultime del libro. In Mes vingt ans ci sono gruppi di versi da non lasciar passare inosservati; c’è il ricordo di cose e persone viste nell’infanzia, durante le soste e i giuochi su quella riva di mare, di là dal fiume, che anche adesso si chiama «La Marina», e dove, allora, era tutta la vita «marinara» della piccola Ventimiglia. Chi conosce i luoghi, ritrova in questi versi qualcosa anche di suo:
J’aimais le roulement des flots sur un rivage, / les soupirs cadencés de vagues sur la plage, / le chant de nos marins s’étendent sur le flots, I ces visages brunis , ces figures paisibles, / ces enfants de nos mers à la mort insensibles / et tous ces braves matelots.
Il fanciullo andava in chiesa, e cantava, e nel canto l’anima gli s’apriva: pareil à l’orgue saint qui commence ses chants / quand il voit tout le temple éclatant de lumière, I quand sur l’autel paraît l’homme de la prière / encencé par la main d’enfants.
Quest’ultimo tocco è stupendo, e pur tanto vero: «il sacerdote sull’altare incensato da mani di fanciulli !»
A vent’anni si parla, un po’ tutti, di morire; e si ha più coraggio di poi. L’esperienza sua, non era soltanto sua: C’est l’heure du départ, c’est l’heure des adieux ... / Pas de funèbres chants sur le bord de ma tombe ... / De là l’on chante aussi, j’entends ! le voile tombe; I Amis, comme il sont beaux les deux !
In Volez volez ha descritto la partenza degli uccelli, con la mutazione stagionale. Ci sono versi lieti, rivolti a questi compagni volanti dell’uomo: Pauvres petits, il faut partir! / Gardez du moins le souvenir / de votre couchette de mousse. / Vous allez parcourir des mers, / vous visiterez l’univers, / vous n’en aurez pas de plus douce, / de plus douce avant de mourir.
E più oltre: Une mère vous jait grandir, / Elle doit encor vour nourrir, / parmi les fleurs, parmi les roses.
Con cuore francescano augura agli uccelli la sicurezza e la buona fortuna; soli si è più esposti; in famiglia invece ...
toujours loins du plomb du chasseur ! / Cachés sous la fraîche charmille, / ne pleurez pas, mes petits rois, et surtout en quittant ces bois, / demeurez toujours en famille, / en famille on possède un cœur.
Ha scritto anche versi italiani, ma sono meno buoni. Da citare, e non lasciar cadere nell’oblio, un verso che ha la magnificenza d’un esametro omerico: les canons ont grondé dans l’éternelle Rome.
C’è da sfidare quanti si ritengono muniti di artiglierie semantiche robuste !
Il sito, le occasioni, il destino, hanno impedito al suo talento poetico di crescere ancora. A Ventimiglia egli era un personaggio di dimensioni locali; e non riuscì ad acquisirne di maggiori.
Egli era «il professore» per eccellenza; tutti i ragazzi «sono passati sotto» di lui; dava lezioni tutto il giorno; quanti ce n’erano, tutti li metteva insieme, intorno ad un gran tavolo; mentre uno raccozzava una versione latina, un altro faceva esercizi di francese, un altro problemi, un altro algebra, un altro macerava il tema d’Italiano; e lui era presente a tutti, richiamava una regola a questo, un concetto a quello, un episodio a quell’altro. Era ammirevole, e ammirato, per la sua tecnica didattica.
Chi lo pagava e chi no; erano più i no che i sì; forse per questo, di alunni ne ebbe sempre tanti, anche quando, oramai paralitico, stentava a parlare.
Lo ricordo uomo sano e vegeto: piccolo di statura, magro, diritto, testa alta, chiome alfierane al vento, cravatta a fiocco, passo lesto da bersagliere; salutava tutti con voce chiara e forte; camminava sempre in mezzo alla strada, e parlava di tutto, di fiori con uno, di Chateaubriand con un altro, di teologia coi preti.
Da giovane aveva visto, un giorno, due ragazze, sedute su un sasso, sotto l’ulivo che era nella discesa di San Giovanni. Una delle due si alzò, e andò via; l’altra rimase. Tavio si avvicinò; si salutarono; si piacquero. Lei era Sofia; lui Tavio. E furono sposi.
Hanno avuto tre figli. Vissero sempre nella stessa casa in via Falerina, sotto il gran muro della Cattedrale; una casa vecchia, non bella, anche se, in qualche momento, furono appesi tendaggi alle porte, collocato un pianoforte in sala, esposti libri sui mobili. Al tempo dell’ultima guerra, Tavio e Sofia non la vecchia casa, nonostante i cannoni, i Tedeschi, gli Italiani, la desolazione di un frontiera infelice.
Negli ultimi anni fu afflitto dalla paralisi e dalla solitudine. Sofia gli era morta inaspettatamente. Dalla morte di Sofia, non fece che piangere e pregare ... Anche così restò fedele al suo motto: «Amour et larmes».
Riportiamo un suo breve inedito:
A MON COEUR Pourquoi penser toujours à ton heure suprême ? / Aime au moins, ô mon cœur, aime celui qui t’aime. / Tous les mortels, heureux, vivent dans le bonheur: I pourquoi vouloir toi seul sentir couler tes heures ? / Le plaisir est pour toi; dis-moi pourquoi tu pleures; / parle, ô mon pauvre cœur. / Je comprends, ô mon cœur, c’est ta croix qui te pèse; / elle’ se fait bien moins lourde quand on la baise. / C est l’unique héritage accordé à nos jours; I tu dois comme l’argille en recevoir l’empreinte. / Va! ô mon pauvre cœur, mois seul j’étends ta plainte. / Pleure et souris toujours.
Un poeta valido. E poeta nostro.
da: LA VOCE INTEMELIA anno XLIII n. 3 - marzo 1988