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    Il Comune di Ventimiglia si estende su un territorio di 54,06 kmq, con altitudini che arrivano fino ai 1378 mlm di Monte Granmondo. L’ultimo tratto del Fiume Roia e la spiaggia marina delle Asse, a Levante, con la Piana di Latte, a Ponente, sono gli unici tratti di pianura. Sul territorio insistono una ventina di frazioni, inserite nelle valli principali e poste sulle alture fronte mare, verso Ponente.

 

Val  Roia

Abitati situati lungo le sponde del Fiume Roia, a partire dal centro cittadino:

Riva sinistra :  Gianchette  - Roverino  - Lacüxan  - Porre  - Trucco  - Verrandi

 Riva  destra :  Sant’Anna - Parmarin - San Bernardo - Boi - Seglia - Varase

 

ROVERINO -  Gianchette

    Da qualche tempo, questo vasto abitato steso alle falde della Collina di Sietro, verso quella delle Barme di Monte Baraccone, lungo il primo tratto della Strada Statale 20 di Val Roia, non è più considerato una frazione, ma parte integrante della cintura cittadina, considerato che, anche con la presenza del Camposanto cittadino e le sue arée di rispetto, le abitazioni e le industrie sorte attorno al luogo, si sono riunite a quelle del sobborgo, detto Gianchette, che da tempo era ormai continuativo del Sestiere Sant’Agostino. La maggior espansione, Roverino l’ha sopportata negli Anni Settanta e Ottanta, a seguito dell’apertura dello svincolo della Autostrada dei Fiori, la A10, che con la nuova viabilità privilegiata, ha liberato la vecchia Statale da un traffico, prima insostenibile.

STORIA: Nel Basso Medioevo, le Barme soprastanti l’attuale abitato sono state insediamento temporaneo per i Saraceni, negli anni attorno al 814, quando quei pirati mussulmani devastarono ed incendiarono la Città di Ventimiglia, che si andava formando sullo Scoglio. Nel 1221, durante l’assedio che avrebbe sottomesso Ventimiglia, sulla riva sinistra del Roia, alle Gianchette, i genovesi scavarono un largo canale lungo due miglia ed interrarono il porto del Lago, situato sulla riva destra. Era il 1811, quando Napoleone in persona decretava l’apertura di una strada carrozzabile lungo la valle Roia, che verrà appena progettata, per il suo primo tratto. Nella primavera del 1814, l’ingegnere Giacomo Agostino Brusco predisponeva un progetto per grandi lavori stradali, sia lungo la Riviera che verso la Val Roia. Nell’aprile 1866, veniva appaltata la strada della Val Roia; giunsero l’ingegner Musy e l’aiutante Arnaud. Nell’anno 1871, si iniziava a costruire il nuovo Cimitero, alle Gianchette, sui terreni dei fratelli Orengo, acquistati con la somma pagata dall’amministrazione delle Ferrovie per il vecchio cimitero, ove stava sorgendo la stazione ferroviaria. A Roverino, la prima pietra dell’antica chiesa parrocchiale è stata posta dal vescovo Reggio, nel 1877; il 7 settembre dell’anno successivo, una grande festa inaugurava N.S. di Loreto, con spettacolo pirotecnico. Il 2 giugno del 1887, saltava in aria la polveriera ubicata presso il villaggio, verso le Gianchette; a dicembre si provvedeva a costruire una nuova polveriera, in luogo più sicuro. Sul terreno della vecchia polveriera veniva creata una succursale della Cartiera di Isolabona, per sfruttare la cellulosa di scarto fornita dalle numerose segherie che producevano li attorno.. Il 15 luglio del 1895, iniziava la produzione lo stabilimento per fabbricare il ghiaccio, della ditta Fratelli Semiglia. Il 21 agosto del 1944, in piena Guerra Mondiale, ebbero corso una serie di cannoneggiamenti ed un bombardamento aereo, tesi alla distruzione dei collegamenti ferroviari, che si abbatterono s Roverino e le Gianchette, con vittime e gravi danni. Il 23 settembre, cannonate dal mare, il 4 e 21 novembre, granate da Mont’Agel; riprese il 25 ed il 29. Il giorno 8 di settembre 1945, festa patronale, con fuochi d’artificio non annunciati, che spaventano gli abitanti. Al termine dei fuochi, un grande acquazzone interrompe la festa, ma era fortemente atteso, dopo la perdurante siccità. Nel 1946, durante una bonifica, sul greto del Roia antistante le Gianchette è stata trovata un’ancora di metallo di quasi due metri, forse di periodo bassomedievale. Nel 1971, l’Autostrada dei Fiori apriva al traffico lo svincolo della barriera di frontiera, che ha sbocco sulla Statale 20, dopo Roverino, da dove si diparte il percorso della variante d’argine che supera la linea ferroviaria verso la Francia, per calare su Largo Torino, con un nuovo ponte sul Roia che affianca quello storico. Sui riempimenti che fronteggiano le Gianchette, fino alla variante d’argine, sono sorti ampi parcheggi per auto e autotreni. Di fronte al cimitero, nel 2007, iniziarono i lavori per costruire la caserma che accoglierà il distaccamento dei Vigili del Fuoco

TOPONIMO: Ruverìn, frazione di Ventimiglia.  - 1152 ... sicut claudit aqua Redoie versus Roolinum (CAIS, Cont. Vent., 48); 1156 ... usque ad flumen Rodoie versus Roolinum (CAIS, Cont. Vent., 119); 1177 ... ex alia parte versus Rolinium (CAIS, Cont. Vent., 126); 1257 in Rodolino (not. Amand.); 1413 in loco dicto Royrino (Perg. Com. Vent.); 1442 loco dicto Royrini (Perg. Com. Vent.); 1655 una terra detta Roirino (ct. v., passim); sec. XIX Roverino passim. Risulta da questa documentazione che il passaggio a Roverino, nella grafia e nella pronuncia, è un fatto assai recente, sotto l’influenza di ruve «quercia». Tutte le forme antecedenti tradiscono una pronuncia Rujrin, che appare un diminutivo di Röj(r)a (Roia); ed infatti le forme più antiche conservano ancora, nei due o, il segno della recente caduta del d e della provenienza da un Rudurín diminutivo di Rudúja > Redúja, con la stessa propagginazione di r che è, sebbene alquanto più tarda, in Rodoria (cfr. sopra). Il top. deve dunque trarre origine dal braccio del Roia che si stacca, in questa parte bassa della valle, dal letto principale verso il margine destro e costeggia l’argine sinistro, lasciando in mezzo terre coltivabili: infatti nei documenti più antichi il top. è sempre citato in relazione al Roia, e solo più tardi si riferisce ad una località.  N. Lamboglia

Gianchete da chiantà’ : La dottoressa De Vincenti-Amalberti ha trovato il toponimo “Chianchette” in un documento cinquecentesco conservato all’Archivio di Stato, termine che può riferirsi alla località Gianchette, quella che oggi ospita anche il nostro cimitero e che ricorda le rovine ed i lutti per l’orrendo bombardamento del quarantatrè. L’origine etimologica potrebbe derivare da “cianca” nel significato di “sorta di riparo con grosse travi e terra usato nell’antica fortificazione od in idraulica”, lo stesso che “palancola”. E’ vero che il luogo, prima che venisse messo in opera il terrapieno sostenente il tracciato ottocentesco della Strada per il Piemonte, interagiva in totale sintonia col greto del fiume Roia, fino a far credere che il nome potesse definire una palificazione a sostegno degli orti, ricavati sui terreni alluvionali di braida. Potrebbe trattarsi persino delle opere per la deviazione praticata dai genovesi durante l’assedio del 1221. La medesima simbiosi con le acque del fiume, specialmente del ramo in correntia, deviato all’altezza di Roverino onde ottenere il Lago portuale alle falde della città medievale, suggerirebbe il medesimo etimo nel significato di “tavola che serve da ponte volante tra un natante e la terra”, ponendo il sito in qualità di scalo fluviale, magari soltanto per un periodo limitato di tempo. A pensarci bene, non sarebbe da disdegnare il significato per un insieme armonioso delle due accezioni riunite, onde dare il senso d’uno scalo d’estuario, fortificato, al servizio della polveriera ventimigliese, vincolo che la zona ha sopportato fino all’anno 1887.       L.M.

 

SAN BERNARDO -  Boi  - Sant’Anna  -

                                                       Parmarin

Un agglomerato di case, sorte attorno ad una rinomata fonte d’acqua purissima, oggi ridotta, completato dalle sovrastanti Case Boi, con vocazione agricola. Nell’estate del 1899, venne raggiunto dall’attrezzata pista che sostituiva la mulattiera di crinale, dal Funtanin. La carrozzabile, detta di Sant’Anna, che si inerpica dalla Gallardi, un tempo toponimo col di Santo Stefano, è giunta nel 1922, mentre nel 1924, si dipartiva da li la carrozzabile verso i Boi, Castel d’Appio, San Lorenzo, per Sant’Antonio e il vallone di Latte. Attuale è la vocazione residenziale

 

SEGLIA  -  i Franchi

    Appollaiata sul ciglio orientale del Monte Magliocca, in posizione elevata alla confluenza della Bevera nel Roia, dal medioevo Seglia ha svolto presidio all’agricoltura e all’olivicoltura ed alla transumanza, sul percorso di crinale, tra Peidaigo e Monte Pozzo, attraverso il sito de i Franchi. Attualmente sta espandendosi con vocazione residenziale.

STORIA: Il 5 settembre 1747, si accampava in Seglia l’armata austro-sarda del comandante Novatin, riducendo la campagna ad uno scempio e provocando la reazione dei residenti. Un contingente, guidato dal nizzardo Thaon di Revel, otteneva il ritiro del La-Serrai nel Forte San Paolo, ponendo fine all’accampamento. La vicina zona di Massabò, ha conservato il suo nome per esser stata il luogo dove le truppe austriache macellavano gli animali per il loro sostentamento. Fin dal 1790, vi si celebrava la Candelora, come festa patronale, in comunità  con la “comarca” dei Boi. Nel 1915 giunse l’agognata carrozzabile. In guerra, il 3 agosto 1944, Seglia subiva mitragliamenti aerei in preparazione all’arrivo delle truppe senegalesi qui temporaneamente accampate.

TOPONIMO: Séglia, frazione di Ventimiglia.  - 1261 terra uhi dicitur Celia (not. Amand.); 1523 in Cegìa (ct. v. A); 1618, 1655 Seglia (ct. v. B, G, passim) ; 1861 Seglia (C. Sard.). Può essere semplicemente la voce séglia «secchia» (SITULA, REW, 7962), ma assai meglio un antico riflesso di CILIUM, REW, 1913, in senso analogo all’italiano «ciglio» (cfr. il prov. seio in senso di «cresta montana», vivo nel Delfinato, MISTRAL, II, 870). Potrebbe anche risalirai al pers. Ceylla ( < Coelia lat.), attestato in uno dei più antichi documenti ventimigliesi (1166 Ceylla de Aubrigalla, cfr. il n. 5).          N. Lamboglia

 

VARASE

    Sulla riva destra del Roia, è la frazione sita più a Nord, è stata una grangia, sorta attorno a un priorato benedettino. Ha conservato nei secoli l’incarico di guardia verso il frequentatissimo Passo dello Strafurcu, oltre a quello del guado, nel Roia, il più battuto nei secoli. Il suo territorio, dagli Anni Sessanta, è stato indirizzato verso la specialistica produzione di pregiate talée per per la floricoltura, specie per i garofani. è sede di un pregiato campo ippico

STORIA: L’atto di donazione d’una parte di due mulini, redatto in Varase nell’anno 1040, per Giovanni Cavaria, menziona i monaci di Lerina, attivi nella “Grangia di Varaxe”, che vegliava sulla strada dello Strafurcu, sul crinale di Monte Pozzo, punto obbligato per transitare sulla strada che portava in Piemonte, alla antica via Domitia. Il 26 agosto 1909, a conclusione di una corsa ciclistica indetta per festeggiare il patrono San Secondo, in un’osteria di Varase, fu fondata la Unione Sportiva Ventimigliese, che proponeva ai giovani alcune specialità sportive, quali: ginnastica, corsa podistica, ciclismo e gioco del calcio, oltre al gioco delle bocce. Il presidente fu Settimo Bono, detto u Cartun, ad aderire intervennero i rampolli delle famiglie più in vista della città.

TOPONIMO: Varas’e, frazione di Ventimiglia. Sec. XI in flumine Redoie a Sancta Maria de Varaie usque in mare (E. Cais de Pierlas, I Conti di Ventimiglia, il priorato di ....... 1884 - 112) 1523 in Varaze (Catasto Ventimiglia: G) 1540 loco dicto Voragine (doc. in F. GALLEANI, I Galleani di Ventimiglia, p. 225) 1591 Varagii (15 febbraio) Varase (26 febbraio) (Registro Nascite Ventimiglia) 1655 a Varaze (Catasto Ventimiglia: G) 1760 la Maddonna di Varraggio (Carte dell’Archivio di Stato di Torino) Varaggi ancora nella carta sarda del 1861. Per quanto la documentazione sia finora discontinua, l’evoluzione fonetica appare parallela a quella già vista per il nome del Roia : in origine Varàge, onde si sviluppano una forma indigena antica Varáje ed una più recente, influenzata dal genovese, Varás’e. Ma poiché l’area intemelia ha conservato quasi invariabilmente il g’ antico di fronte ad s’, anche la pronunzia Varáge dev’essere sopravissuta sino a tempi assai recenti. È certo un: omonimo di Varazze (Savona) (medioevale Varagine) e di Varages (nel Var) in Provenza, nonché di Varaggio, località presso Briga. Giandomenico Serra, nel Contributo toponomastico alle Comunità rurali - 1931, 184, ha spiegato da *VARACIS, ossia dal personale Varus, ma mi sembra che siamo in presenza di una voce comune varago -inis, che si riflette nei quattro toponimi citati. Se questa possa coincidere con parragoinis «portico», come ho supposto in La voce ligure *VARA, Rivista Ingauna e Intemelia, III, 89, o se sia un’alterazione di vorago -aginis, come pensa il MISTRAL, II, .1085, citando l’alpino varajo «ravin», «dirupo», rimane ancora oscuro, data la complessità delle sovrapposizioni e delle contami-nazioni nei derivati di *vara, che ho messo in luce nel citato articolo.       N. Lamboglia

 

TRUCCO -  Porre  -  Lacüxàn


    Si tratta dell’abitato situato più a Nord, sulla riva sinistra del Fiume Roia, nel territorio comunale, lungo la Strada Statale 20 di Val Roia, prima dell’imbocco in galleria, nella variante del 1996. Le prime case di Trucco sono state edificate nel 1655. L’economia prevalente è agricola, con abbondante olivicoltura, oggi vi ha sede qualche artigiano e un rinomato panificio di rivendita. A partire dagli Anni Sessanta, le Porre hanno assistito ad una massiccia urbanizzazione residenziale, ancora priva dei servizi essenziali. In riva al Roia, nei pressi di Lacüxan è sorta la stazione di pompaggio dell’Acquedotto di Mentone.

TOPONIMO: u Trüccu, frazione di Ventimiglia. 1655 una terra detta il Truco (Catasto Ventimiglia: G) 1861 Trucco (Carta topografica Regno Sardo) L’abitato è di origine assai recente; forse chiamato così dalla proprietà della famiglia Trucco; oppure le famiglie Trucco e Trucchi hanno dedotto il loro cognome dalla località, che ha acquisito il toponimo da voci comuni. trüc : col significato di «altura», è voce diffusa in Piemonte ed in Provenza.  (MISTRAL, II, 1058) trüc : in franco-provenzale è l’esito onomatopeico provocato da sassi che rotolano da un’altura, scontrandosi a fondovalle. Lo potrebbe confermare il microtoponimo “i bàussi”: ciottoli, sito sull’altura sovrastante l’attuale centro abitato principale. trüch : nell’antico idioma celto-ligure aveva significato di “taglio / fenditura / spaccatura del terreno” trücu : a Ventimiglia conserva ancora il significato di «gioco di bocce alla lunga».

Porre : e Pore, case attualmente associate alla frazione Trucco. Zona selvo-pastorale, resa abitativa molto di recente. All’inizio del secolo conteneva alcuni uliveti intramezzati da bosco ceduo e macchia mediterranea. e pore : col significato rilevabile ad una particolare «pianta gigliacea» ivi presente.                                                                                                                                                  L.M.

 

VERRANDI

    Sopra Trucco, verso Levante, sulle falde di Cima d’Aurin, nel vallone che porta il nome del villaggio, questo gruppo di case è presente fin dal XVII secolo, con vocazione agricola nell’olivicoltura. Nel 1915 è stato raggiunto dalla strada carrozzabile. Fuori abitato la chiesa di San Lorenzo, del 1880.

TOPONIMO: i Veràndi, frazione di Ventimiglia. 1861 i Verandi (Carta topografica Regno Sardo) «Nel 1696 presero ad abitarvi certi Nicolo, Luigi ed altri individui della famiglia Verrando di Dolceaequa, dando così origine alla borgata Verrandi» (Rossi, Storia di Dolceacqua., 158). È questa l’origine di varie altre borgate recenti attorno a Ventimiglia, non attestate prima dei secoli XVIII o XIX.                                        N. Lamboglia

 

 

Val Bevera

Abitati lungo la Bassa Valle della Bevera, a partire da affluenza nel Roia:

    Santa Teresa - Maneira - Bevera - Calvo - San Pancrazio - Serro - Torri - Palanchi

 

BEVERA -  Santa Teresa - Maneira

    Alle pendici sud-est del Monte Pozzo, nella confluenza del torrente Bevera col Roia, sorge l’antico paese di Bevera, il quale, durante il breve periodo della Repubblica ligure, ebbe l’onore di chiamarsi Comune, dal 1798 al 1803. Le case annerite dal tempo dimostrano chiaramente l’antichità del paesello. Bevera fu eretta in parrocchia indipendente il 13 dicembre del 1619 dal vescovo Nicolò Spinola. Possiede un cimitero proprio, un oratorio, una pubblica fontana e un orologio. Essendo situata nell’unica zona pianeggiante di una certa ampiezza del comune di Ventimiglia, ospita numerose industrie ed attività, tra le quali la Cava Bergamasca, che si occupa dell’estrazione di materiali da costruzione, una cava di sabbia nel letto del Roja, un’industria farmaceutica e diverse serre per la floricoltura.Sulla sommità di Monte Pozzo, raggiungibile da una carrozzabile di 5 km che si stacca dal centro abitato nei pressi della stazione ferroviaria, si trovano numerose fortificazioni risalenti alla seconda guerra mondiale.

STORIA: Nel Medioevo i suoi abitanti erano frequentemente colpiti da febbri intermittenti, a causa della impropria gestione delle acque. La notte del 25 agosto 1563 le navi del corsaro Ulug-Alì si ancorarono nella baia di Latte; i pirati salirono a Sant’Antonio e, scesi a Bevera, razziarono cose e persone, tra le quali Benedetto Martino che venne condotto schiavo in Algeri. L’estate del 1710 era stata calda e secca, seguita da un autunno mite e fin troppo asciutto. I vini si presentavano di buona qualità, ma in quantità ridotta; mentre la raccolta delle olive prometteva un ottimo olio. Ma nei frantoi dalla Bassa Val Bevera, gli Olignani lamentavano scarsità d’acqua per frangere, tanto che si indissero parecchi giorni di “sequella” per la dragatura dei “beà”. Si arrivò a pavantare di dover frangere “a sangue”. Di nuovo nel 1718, in Bassa Val Bevera, una siccità che durava da febbraio a maggio, richiese un decreto di invocazione divina da parte della Comunità, emesso dal vescovo Mascardi.  Il rettore di Bevera, in calce al registro di battesimo, al 7 di maggio 1744, annotava il transito delle truppe Gallo-ispane attraverso Bevera, Varaze e La Penna, in numero di uomini 3670, altro transito di 800 uomini con bestie da soma, provenienti da Sospello, Olivetta, per il passo dello Strafurcu, diretti a Dolceacqua. Nel 1747, la frazione di Bevera erano diventate il capisaldo austro-sardo del colonnello Molck. Nel 1889, si costruì la carrozabile per Bevera e Torri. Nel 1902, I “Piccoli Fratelli di Maria”, detti Maristi, presero residenza in regione Santo Stefano, dove edificarono l’accogliente convento. Nel gennaio 1904, si lavorava alla strada che dal Ponte Roia porterà a Bevera, oggi, con la galleria del Poggio porta anche in Francia. Il 15 settembre 1909, dalla Stazione ferroviaria di Ventimiglia partiva il primo treno carico di arena e mattoni, per costruire quella di Bevera. Il 16 luglio 1935, sulla nuova strada per Bevera, veniva inaugurata la Caserma Gallardi, nuova sede dell’89° Reggimento di Fanteria. In guerra, nell’agosto del 1944, una serie di bombardamenti aerei rovinarono Bevera. Nel gennaio 1985, avevano inizio i lavori per la costruzione del Parco Merci ferroviario della Roia. Nel 1991, veniva aperto il cantiere per la costruzione della variante autostradale di Val Roia verso il Piemonte, attraverso la collina dei Maristi ed il viadotto verso Bevera con la bretella per le Porre, oltre la Roia.

TOPONIMO: Béveřa, Béura, affluente del Roia, e frazione del Comune di Ventimiglia alla confluenza di esso col Roia.  - sec. XI in valle torrentis Bevere (CAIS, Cont. Vent., 113); 1096 in valle Bevera et in loco ubi dicitur Bevera (CAIS, Cont. Vent., 115).; 1177 usque ad Beveram (CAIS, Cont. Vent., 126); 1303 a Bibera versus Rodoriam (Stat. erb. Vent., III); 1344 loco dicto domus de Bevera cui coheret ab una parte aqua Riorie ... (Perg. Com. Vent.); secoli seguenti Bevera passim: Beula o Beura, nelle carte sarde e nei documenti sospellesi dei sec. XVII-XVIII, per effetto della pronunzia di Sospello Béuřa contrapposta al ventimigliese e ligure Bévera.  - Piuttosto che risalire ad una voce preromana (quale potrebbe essere il noto *bebros «castoro», onde Bebronna, Brevenna, ecc.), ha ragione l’OLIVIERI, Top. Lomb., 104, a chiedersi se i numerosi Bevera applicati a corsi d’acqua della Lombardia (in Brianza bevera è tuttora usato come voce comune, nel senso di «rivo povero di acque») non siano che semplici derivati di beverare (ABBIBERARE, REW, 12). L’attuale pronuncia di Sospello Béuřa è appunto modellata sul provenzale abeuřar, di fronte al ligure abeveřà (Béula è una falsa regressione ad l da ř palatale). Il SALVIONI, It. dial., V, 303, aveva invece pensato, per gli esempi lombardi e ticinesi, a un riflesso bédola > bevola del franco BED (o gallico BEDO), come preferisce il MEYER LÜBKE (REW, 1016), onde il ligure beu, provenzale besál «ruscello». Bévera sarà dunque in origine, molto probabilmente, nel significato di «corso d’acqua dove si abbeverano le greggi».       N. Lamboglia.

 

 

CALVO  - San Pancrazio -  Serro  - Cardi - Brüghé

    Sulla riva sinistra della Bassa Bevera, il villaggio di Calvo è l’emanazione, sorta lungo la carrozzabile di fondo valle, dei precedenti abitati, disposti in riva destra, sulle basse pendici della Colla Rossa,  presso  il Vallone del Cornà. Si tratta degli abitati  dei due Serri, più antichi degli inferiore Brüghé e Cardi e di San Pancrazio, abitato sorto e decaduto accanto ad una chiesa sovradimensionata. Piuttosto di recente il centro era stato arricchito di una caserma della Guardia di Finanza, in servizio confinario, oggi fuori servizio.

TOPONIMO: u Cárvu, frazione di Ventimiglia. - 1618 in Calvi (et. v. B); 1655 li Calvi (et. v. G); 1861 il Carvo (C. Sard.). - Da proprietà della famiglia Calvi. Il top. è stato evidentemente restaurato al singolare dopo il sec. XVII.     N. Lamboglia

 

 

TORRI - Torri Superiori - Palanchi - Lupi

    Al culmine della parte bassa e piana della vallata della Bevera, che viene fuori precipitoso dalle “gorge” dell’Avaudurin, alla confluenza del Bevera col Rio Meré, calante dal Granmondo, è insediato il villaggio di Torri, paese che, in passato, ha avuto maggiore densità di popolazione e sviluppo, grazie al terreno fertile, che ha permesso la piantagione di ulivi, viti e limoni; sebbene quasi disabitato in questi ultimi decenni, conserva antichi frantoi ad acqua, di cui alcuni ancora funzionanti. Più in alto, sull’altra sponda del Rio Meré si è rigenerato l’abitato di Torri Superiori, divenuto eco-villaggio. In piano, sotto la confluenza, in riva destra vi sono le Case Lupi e sulla sinistra: case Palanchi.

 STORIA: Il primo nucleo abitativo, che sorge in posizione sopraelevata, dovrebbe risalire al XIV secolo, epoca segnata da gravi conflitti che potrebbero giustificare l’aspetto architettonico delle costruzioni in pietra a “torre”, unità abitative alte e ravvicinate, simili ad una roccaforte a difesa dei propri abitanti. Questo tipo di costruzioni, che si estendono in altezza su cinque e più livelli dai sotterranei alle terrazze, con soluzioni architettoniche originali ed ingegnose, e in larghezza su un fronte di quasi cento metri, da nord a sud, probabilmente ha dato il nome all’antica borgata. Le ultime costruzioni a torre sono state edificate intorno alla fine del XVIII secolo, periodo in cui si registrava una popolazione di circa trecento abitanti. A partire dal XIX secolo, per ragioni economiche, sociali e soprattutto pratiche (case prive d’acqua corrente, riscaldamento ed elettricità) il borgo si sviluppò poco più in basso, sulle rive del torrente Bevera con un nuovo nucleo abitativo di stampo ottocentesco, edificato intorno alla chiesa parrocchiale. Dopo un periodo di forte abbandono, a partire dagli Anni Ottanta, la borgata medioevale è tornata ad essere abitata, grazie alla sapiente opera di restauro nel rispetto del territorio e del carattere originale dell’abitato, alla ricerca di un nuovo modello di vita. L’attuale chiesa parrocchiale è stata edificata negli anni anteriori al 1844 sotto il titolo di Maria Santissima Addolorata per sostituire quella precedente di San Luigi che è oggi Oratorio. Nel 1876, la parrocchiale è stata dotata di un degno organo Agati, giunto dalla Cattedrale. Nel 1527, agiva una cava di ardesia leggera, adatta alle coperture. Nel 1619, la maggior parte delle pietre e tutta la calce, per la costruzione del Ponte sul Roia, giungeva da Torri e Bevera, prodotta da cavatori e calcinai locali. Nel 1797, al giungere della Rivoluzione Francese, Alessandro Galleani, aggregato ai Viva Maria, a capo di duecento militi, reclutati tra i popolani del villaggio di Torri e delle campagne circostanti traduceva a Genova alcuni prigionieri.

TOPONIMO: (a)e Túri, frazione di Ventimiglia.  - 1073 actum in castro ubi Ture dicitur (CAIS, Cont. Vent., 108; ma non potrebbe anche essere una località del castrum (Vintimilii) ? 1760 le Torri (C.A.S.T.). Pluralizzato e reso maschile da un primitivo Ture «torre», risalente al medio evo.   N. Lamboglia.

 

 

 

Val LATTE

Abitati che costellano le alture di Ponente della Val Latte, dalla foce:

Latte - Bottazzo - Casette - Sant’Andrea - Carletti - Dormidormi - Lercari -

Tantei - Zanin - Sgorra - Roberto - Ciappe - Bastei - Sealza - Balli - Peiri;

in alto,  sulle pendici del Granmondo,  è posta Villatella,

infine, a Nord sul crinale del Bevera, domina Sant’Antonio.

 

LATTE - Bottazzo

    Dalle pendici Est della Longoira, il Rio Latte percorre l’erta Valle del Ruassu, che lo porta dai mille metri della Fontana del Lupo agli ottanta metri, sulla base delle pendici Nord-Ovest della Cima di Gavi, sotto il borgo di Sant’Antonio. Da quel punto, il Rio volge deciso a Meridione percorrendo il Vallone di Latte, nel quale è sito il borgo che un tempo era conosciuto anche come San Bartolomeo. Dopo aver percorso la piana alluvionale, alla base delle pendici Est del Colle Belenda, il Rio Latte sfocia nel Mar Ligure, nel territorio di Sant’Anna, dove i pastori di Tenda erano usi “transumare” le greggi al mare, nei mesi invernali. Valle dalla spiccata economia agricola, indirizzata specialmente alla floricoltura, che conserva le medesime pregiudiziali nella vallicella di Rio Bottazzo, a Levante, che da qualche tempo si è rivolta al residenziale.

STORIA: Nell’anno 56 dell’E.V., in Latte, nella proprietà di Giulia Procilla, madre del generale romano Agricola, il marito di lei, Giulio Grecino famoso per i suoi studi sulla coltura delle viti, avrebbe dato inizio alla produzione di prelibati vini. Pochi anni dopo, nel 69, Giulia Procilla venne assassinata dagli Otoniani, nella sua splendida villa. Nel 1270, i Ghibellini che avevano abbandonato Ventimiglia, chiesero aiuto a Genova, da cui giunsero milizie, battute però nel Pian di Latte e accerchiate sul Ruassu, fino alla resa. Nel 1526, Carlo di Borbone, metteva al sacco la piana di Latte, dopo aver divelto gli alberi da frutto. Nel 1578, alcuni possidenti nella Valle di Latte invitavano il Capitaneo a riparare i danni intervenuti sulla Via Romana, da Latte verso Mentone. Nel 1629 il vescovo Gandolfo noleggiava un leudo, per smerciare in Nizza, una corposa quantità di vino Moscatello, prodotto a Latte. Nel 1649, padre Angelico Aprosio non mancava di magnificare i vini, Rossese e Moscatello delle colline di Latte. Nel 1698, i ricchi avevano adattato le ville della piana di Latte in dimore per la villeggiatura estiva e non perdevano occasione di festeggiare sagre. Durante il XVIII secolo, nei poderi di Latte si coltivava la “Bignata”, una qualità di limoni dai frutti a pelle liscia, fini e gustosissimi, che venivano esportati in tutto il Mondo, imbarcandoli nel porto di Mentone. Un manoscritto del 1754 rende alla Piana di Latte il titolo di amena pianura circondata da colline, onde i patrizi l’hanno scelta a loro villeggiatura, costruendovi molte grandi che sollevano maraviglia e diletto nei passanti. Anche nel 1805, San Bartolomeo di Latte veniva definita villeggiatura eccellente adorna di molte belle case di campagna. Nel 1880, le scuole di Mortola, Grimaldi e Latte venivano edificate per impulso di sir Thomas Hanbury. Nel 1881, in Latte, il maresciallo Antonio Carcassola di Gallarate introduceva la coltivazione industriale dei fiori. Il 3 luglio 1884, il Commissario Noghera stabiliva, a Latte, il cordone sanitario contro il colera. Era aperto un lazzaretto nella casa Boeri, dove sei medici ebbero da attendere alla quarantena di duemila ricoverati, che divennero ben presto tremilaseicento. Il 12 luglio, arrivava a Latte la fregata Napoli, che caricava mille ospiti della quarantena. Il 17, altri tre vapori prelevarono tremila ricoverati. Nel 1886, Notari invitava a lavorare in Latte il botanico milanese Carlo Riva. Nel settembre 1902, si costruiva al Pian di Latte una fermata ferroviaria. Nel 1912, si iniziava a costruire l’ampio Ricovero per anziani, mantenuto per molti anni dal cospicuo lascito elargito dal benemerito ventimigliese comm. Ernesto Chiappori. Nel 1922, il mare ingoiava la chiesa di Sant’Anna, costruita nel 1328 ai bordi della grande spiaggia di Latte, poi erosa dai lavori per la ferrovia, fin dal 1870. Il 2 maggio 1945, erano disseppelliti i dodici partigiani trucidati a Latte e le salme ricomposte al cimitero. Nel 1950, veniva a stabilirsi a Latte lo scrittore Antonio Aniante, che lavorava a Nizza.

TOPONIMO: Làjte, frazione di Ventimiglia. - 1125 in valle de Laiyte (doc. in LATOUCHE, Not. Vint., 187); 1182 decimam quam habetis in Lacte (A.S.L., 480 =  Doc.  Ment.,  11);  1260  usque ad fossatum Lactis (ROSSI, Doc. Vent., 133);  1264 terram quam habeo in valle Lactis (CAIS, Cont. Vent., 133); 1303 ... cum erbatico territorii Penne et montium Lactis, Ulmetque, etc. (Stab. Erb. Vent., I) ; 1523, 1618, 1655 a Layte. Laite (et. v. A, B, E, F, G, passim); 1760 Laite (C.A.S.T.); it. Latte passim. - Se direttamente da lajte < LACTE «latte» occorre pensare ad un senso metonimico di «bianco», riferito al torrente (cfr. un Fiumelatte in Lombardia, OLIVIERI, Top. lomb., 242). Altrimenti potrebbe essere il rifacimento etimologico di un primitivo latte, dalla voce latta «pertica», «palo di vite», diffusa in tutto il dominio provenzale e presente nel medio evo anche nella Liguria occidentale (ad es. negli Statuti di Ceriana: ROSSI, Gloss., app. 42), dal germ. LATTA, REW, 4933, di identico significato. Numerosi altri esempi nella toponomastica della Provenza: cfr. les Lattes frazione di Sant’Albano (A. M.), les Lattes (com., Hérault), ecc., v. MISTRAL, II, 191.   N. Lamboglia.

 

CARLETTI - Casette

                             Sant’Andrea - Dormidormi

    Lungo la strada carrozzabile che dalla “Curva del Latte” oggi rotonda spartitraffico, sale a Sant’Antonio, si dipartono alcune strade che servono gruppi di case d’un certo rilievo. Da Casette, passa sotto Sant’Andrea e attraverso Dormidormi, per giungere al bivio di Carletti, che è l’ultimo centro, prima della salita verso il crinale che conduce in Val Bevera, attraverso il nuovo ponte di Calvo; ma può condurvi a Villatella, come a San Lorenzo.

STORIA: Nel 1745, sulla Piana di Latte, per lavori riguardanti l’allargamento della strada vicinale, veniva abbattuto il romitorio, ricavato nel 1742, ampliando la celletta adiacente la cappella della Misericordia. Fra Pasquale, il romita che vi abitava, veniva trasferito presso la chiesa di Sant’Andrea in Alta Valle Latte.

TOPONIMO: i Carlétti, frazione di Ventimiglia. - 1760 Carleti (C.A.S.T.). Da proprietà e cascinali di una famiglia così soprannominata. L’abitato è di origine assai recente.     N. Lamboglia.

 

SEALZA - Lercari - Tantei - Zanin - Sgorra -

                           Roberto  - Ciappe  - Bastei

    Adagiata, in altura, su un ameno poggio del Monte Cimone, sulle pendici di Levante della Cima dei Sogli, nel gruppo della Longoira, Sealza vive d’una economia agro-pastorale abbastanza vivace. Le carrozzabili per raggiungerla si dipartono dalla strada di valle per i Carletti, con bivio a Sant’Andrea, oppure in faccia a San Bartolomeo, dov’è la chiesa parrocchiale. Seguendo la prima si raggiungono anche gli abitati Lercari, Tantei, Sgorra e Roberto. Con la seconda si arriva agli abitati di Zanin, Ciappe e Bastei

STORIA: Nel 1875, Giovanni Lorenzi di Sgorra, apriva nelle Asse, una fabbrica di quadrelli policromi in cemento, per pavimentazione. Il 24 agosto 1904, nella casa Chiappori alla Marina, conferenza sul Libero Pensiero, tenutae per incarico del Comitato internazionale, in preparazione del congresso che si terrà a Roma. Presidente della sezione ventimigliese era Andrea Giovanni Lorenzi della Sgorra, detto Martello.

TOPONIMO: a Seáusa, frazione di Ventimiglia.  - 1618 le Seaussa (ct. v. B); 1655 la Sealsa (ct. v. E, V, G); 1760 Seausa (C.A.S.T.), ecc. Seàusa è nella Liguria occidentale la denominazione del gelso: credo da un primitivo *SETACEA, che avrebbe però dato normalmente seàssa, col suffisso incrociato forse con quello di sàusa «salice» (< *SALICEA).    N. Lamboglia.

 

VILLATELLA

    Arroccata sulle falde del Monte Granmondo, è la frazione più distante dal capoluogo e quella posta a quota più elevata, con i suoi 400 metri dal livello del mare. Villaggio di montagna, vive di una economia conseguente, ma oggi ha scoperto la vocazione al residenziale.

1868  Il Sindaco Rossi, con lettera del 18 agosto, riservava al Comune: N.S. di Varaxe, Santa Reparata al Calvo, la Cappella di Villatella e N.S. delle Virtù.

TOPONIMO: Vilatèla, frazione di Ventimiglia.  - 1523, 1618, 1651, alla Villatella (ct. v. A, B, E, F, G, passim); 1861 Villatella (C. Sard.).  - Diminutivo di villata, antica voce romanza per villa, che ricorre pure nel più comune Villatalla (un es. presso Imperia, due nell’alta valle del Varo a Ghuglielmi e Salice, uno presso Nizza ed uno presso Dolceacqua: cfr. ROSSI, Gloss., 105). Villatella è anche registrato come voce comune dal MISTRAL, 1123, nel senso di «petite bicoque» in Provenza. VILLA, REW, 9330.    N. Lamboglia.

 

SANT’ANTONIO  Valloni - Balli - Peiri

    Proprio la pianta dell’abitato di Sant’Antonio suggerisce la qualità di villaggio sulla viabilità di crinale, che caratterizza questo centro, sorto attorno alla chiesa dedicata all’anacoreta, impiantata a segnale di un quadrivio di grande importanza. Le carrozzabili sono piuttosto recenti, giunte nel medio Novecento; mentre il ponte che lo collega con la Val Bevera e del 2008. Le poche case di Valloni, Balli e Peiri che gli sono collegate, danno il segno di come l’economia sia esclusivamente agricola. 

        Il sito dove sorge la chiesa di Sant’Antonio, in tempi assai remoti, è stato il punto di caduta d’acque della Bevera verso la Valle Latte. Prima della sua cattura, condotta da parte della Roia; dal percorso forzato nell’Avaudurin, la Bevera conduceva i detriti provenienti dal Col de Turinì, dal Ventabren e dal Braus lambendo un più ampio Monte Pozzo fino al sito di Serro, contrastato da Cima di Gavi, per precipitarli quindi verso la Valle del Latte, oggi supportata dal solo Ruassu.

NELL'ANTICHITA'  LA BEVERA SFOCIAVA A LATTE

 

 

Ponente  mare

Abitati appollaiati sulle alture di Ponente, affacciate sul Mar Ligure,

verso il Confine di Stato con la Francia:

Calandri - Le Ville - Peidaigo - San Lorenzo Appio - Palmeira -

La Mortola  - Mortola Superiore  - Ciotti -

Grimaldi Inferiore - Grimaldi Superiore - Birretta

 

CALANDRI

Le Ville - Peidaigo

    La vecchia, quanto panoramica, Strada Aurelia, dal Ponte sul Roia, superando a sinistra il centro storico di Ventimiglia Alta, lungo una balconata con continua vista verso la Provenza, si ricongiunge alla Statale Uno, dopo la galleria del Poggio. Appena superata la Ridotta dell’Annunziata, si presenta una carrozzabile non molto larga che conduce all’abitato agricolo di Calandri, passando per due abitati residenziali con decisa propensione alla floricoltura: Le Ville, inferiori e superiori, queste ultime anche in armonia con l’olivicoltura.

STORIA: Nel XIII secolo, l’Ordine Cavalleresco dei Templari possedeva terre in zona Ville ed altri beni in Tenda. Nel 1655, una grave crisi economica incombeva sulla città, ponendo la raccolta del fieno quale maggiore attività economica. A causa di frequenti stagnazioni della Roia, d’estate, la nostra città restava quasi deserta, per cui la popolazione, d’ogni ordine sociale, si trasferiva nelle campagne e nelle Ville attorno alla città, in luoghi più salubri. Il 27 marzo 1688, il Capitolo della Cattedrale istituiva quattro cappellani, per ovviare alla mancanza delle sacre celebrazioni nelle Ville attorno a Ventimiglia, che d’estate veniva abbandonata. Durante l’inverno 1710, un’invasione di lupi cervieri veniva ad infestare le vicinanze della città, arrecando gravi danni in alcune ville e negli isolati casolari. Il 5 ottobre 1746, le truppe del generale austriaco Giurani razziavano città e dintorni. Sostituito dal generale Bertola, che prese ad attaccare il Forte, appostando una batteria sul colle di Siestro ed una successiva su Peidaigo, mentre il conte de la Tour attaccava decisamente le postazioni della Magliocca. Il 4 gennaio 1887, una terribile nevicata compromise la raccolta delle olive dalle Ville ai Verrandi. Il l° primo maggio 1899, un notevole gruppo di socialisti si riuniva nella proprietà di Ampelio Molinari, in Peidaigo, dove teneva conferenza il giovane Giobatta Ferrari. Messo poi il garofano rosso all’occhiello, sfilarono in città. Alla fine dell’Ultima Guerra, il giorno 8 di settembre 1945, grandi feste alle Ville ed a Roverino, con fuochi d’artificio che spaventano la cittadinanza; dopo tanta siccità, seguì un grande acquazzone che interruppe la festa.

TOPONIMO: Il villaggio di Calandri, sito sul versante Ovest della Cima Magliocca, e la spiaggia arenosa delle Calandre, ad Ovest della Punta della Rocca, prendono il nome dal fenomeno che li interessa molto da vicino: “i calanchi”. I calanchi sono una manifestazione geomorfologica che si produce per l’azione delle acque dilavanti su rocce argillose degradate, con scarsa copertura vegetale e quindi poco protette al ruscellamento.   L.M.

 

 

SAN LORENZO d’Appio - Palmeira

    Dall’alto crinale di Peidaigo, ad un tiro di schioppo dall’antico Castel D’Appio, sulle assolate pendici di Ponente della Magliocca, è adagiato il villaggio di San Lorenzo d’Appio, sorto attorno alla vetusta chiesa dedicata al martire della graticola. Il ritrovamento di alcuni antichissimi palmenti, in punto più elevato del colle, suggerisce una maggior vetustà per quell’abitato. Di evidente economia agricola, oggi il luogo non disdegna la presenza residenziale, richiamata dall’amenità del territorio. Le case Palmeira, site più ad Ovest, si richiamano alla genia dei Palmero. Una ardita ed assestata mulattiera scende da San Lorenzo ai Calandri, collegandosi con la strada per le Ville.

 STORIA: Nel 1706, la comunità del villaggio di San Lorenzo si dotava di un “destréntu”, il torchio sociale, per le vendemmie di tutti gli abitanti. Nel 1924, era in costruzione la via carrozzabile tra San Bernardo, Castel d’Appio e San Lorenzo, proseguendo per allacciare Sant’Antonio e il vallone di Latte. Castel d’Appio è nato fin dal XII secolo, quale fortezza di presidio genovese verso la riottosa città di Ventimiglia, sorvegliato da venti militi, sovente corsi. Situato in posizione dominante sulla cintura collinare alle spalle della città: esso domina tutta la Valle di Latte e un lungo tratto della Riviera Francese ad Ovest, mentre ad Est quella del Ponente Ligure e lo sbocco del Roia. Lo si vede bene dall’ autostrada e data la posizione strategica della rocca, alla fine degli Anni Trenta venne scelta per la costruzione di un’ opera in caverna del Vallo Alpino: il Centro 38, scavato al di sotto delle rovine del Castello. La fortezza era delimitato in parte dalle sue stesse mura, mentre ad ovest è stata ritagliata direttamente sullo strapiombo che la parete di roccia crea, verso un pendio assai scosceso, reso imprendibile dalla presenza di scivolosi calanchi. Le torri del castello sono diroccate, ma ben visibili: quella sud è la più demolita mentre quella nord, con base pentagonale, è completa ad eccezione di un lato. Oggi è in ristrutturazione da privato.

 TOPONIMO: Castéř d’Apju, altura fortificata sovrastante a Ventimiglia, sede a partire dal secolo XIII di un forte castello genovese.  - 1063 quoeret ... ab occidente Monte Apio (CAIS, Cont. Vent., 105); 1156 ex parte podii de Api (CAIS, Cont. Vent, 119); 1177 usque ad Podium et Apium et Cagallono et flumen Rodoie (CAIS, Cont. Vent., 126; delimitazione delle terre del priorato di San Michele di Ventimiglia, che ritorna in vari documenti); 1192 viam que est inter bedale molendinorum Sancti Michaelis et terris que sunt versus podium de Api (CAIS, Cont. Vent., 131); 1222 (convenzione di pace tra Genova e Ventimiglia): ... faciendo de Castro Apii quidquid volueritis (Lib. Jur., I, 668), ... facultatem et potestatem destruendi Apium (Lib. Jur., I, 674); 1303 in Castro Apii castellani duo (doc. in ROSSI, Vent., Ili); 1412, 12 ott. Gaspal de Montaldo locum tenens Iohannis de Montaldo eius filii castellani Castri Apii (Perg. Com. Vent.); 1523, 1618 in Apio, allo Castello d’Apio (et. v. A, B, passim).  - Sulla costruzione del castello, nel 1222, da particolari MARCHISIO SCRIBA, Ann. Gen., ad a. 1222. La località era certamente già fortificata in precedenza, poiché ricorre, col nome di Castrum Apii per la prima volta, presso lo stesso Marchisio Scriba nella narrazione degli episodi bellici dell’anno precedente 1221; e non è escluso che coincida con queste il castello anonimo distrutto dai Ventimigliesi e ricostruito dai Genovesi nella guerra del 1158, di cui parla CAFFARO (Ann., ad a. 1158). Ma i documenti su citati mostrano che il termine «castello» fu applicato solo dopo la costruzione della vera e propria fortezza, nel 1222. È assai labile l’opinione corrente, divulgata dal ROSSI (Vent., p. 8; Lig. Intem., p. 48), che il toponimo conservi il ricordo di un Appius d’età romana, e addirittura del proconsole Appio Claudio che combatté nella Riviera di ponente nel 185 a.C.  Esiste, più semplicemente, la voce comune api(u) «sedano», diffusa in tutto il dominio romanzo occidentale (APIUM, REW, 526; MISTRAL, 111), sebbene oggi non più vitale nella Liguria intemelia. Ma in C.A.S.T. 1760 trovò un Sapel de l’Apio presso Tenda e un Castel d’Apio presso Pigna, onde resta viepiù esclusa la derivazione da un personale romano.   N. Lamboglia

 

 

LA MORTOLA - Mortola superiore - Ciotti

    Lasciata la Piana di Latte, andando verso Ponente, la salita è dolce per il percorso di circa un chilometro e porta ad uno dei punti più pittoreschi della nostra incantevole Riviera. Il villaggio è La Mortola ed il territorio declinante che gli sta ai piedi ci avverte che qui comincia la Provenza, con quei suoi indefinibili caratteri, per i quali si può godere un clima quasi orientale. Il panorama mostra, a Levante, la mole severa della vetusta Ventimiglia, che si asside come regina sul suo Cavu, segue poi l’espandersi dalla città nuova, la pianura delle Asse e, più lontano la palmifera Bordighera, che si specchia nel mare di Sant’Ampeglio. A ponente la vista è una magnificenza: Ecco Mentone. il Capo Martino, Montecarlo, Monaco, La Turbia; il monte Agello, la Testa del Cane, dalle creste leggere e nude; i golfi dalle curve armoniose, ove si nascondono ville ricchissime; il Capo Ferrando, il Capo di Antibo, la punta estrema delle storiche isole di Lerino; e nelle mattinate luminose, come sfondo del quadro, lontana ed imponente, la catena dell’Esterel. Alla sera lo spettacolo non e meno stupendo. Sul crepuscolo, migliaia di lumi, disegnano i capricci della costa ed accendono le colline. Li vicino, esce Mentone, poi Montecarlo con le sue terrazze e, ad intervalli, i fari di Villafranca e di Antibo, luminosi nella notte profonda. Il villaggio è formato da piccole e graziose case, che corrono come una bianca striscia lungo la strada. Sulla punta più avanzata sorge la bella Chiesa parrocchiale, dedicata a San Mauro, quasi in atto di sicura protezione. Gli affreschi magnifici, l’Altare artistico, il confessionale, il pulpito, tutto è splendido. Sul meraviglioso Capo, che declina dal culmine della Croce di Mortola, sopra una striscia di terreno che, per una superficie di 40 ettari, si insinua dolcemente nel mare, come un bosco incantato, sorge il famoso Giardino di Hanbury. Io non so di aver contemplato mai attraverso le rive capricciose, della nostra Liguria e della vicina Provenza, un luogo pia caratteristico di questo. Di notte; in mezzo il riflessi lunari, prende l’aspetto di un vascello misterioso, cullato dalle acque silenziose. è aperto al pubblico e tutti possono ricevere indicazioni per la visita. I visitatori oltrepassano i 10.000 all’anno. A pochi passi del portone di entrata i visitatore trova la Fontana della Sirena, ed abbraccia collo sguardo la distesa imponente del sito verdeggiante. All’entrata principale, della grandiosa Villa, sotto l’atrio, si ammira un bel mosaico, opera del Salviati di Venezia; che rappresenta Marco Polo, il primo europeo che esplorò la Cina. Sir Tommaso Hanbury ha conservato al naturale un bel tratto dell’antica strada romana ed una epigrafe, ivi disposta, ci rammenta che per essa son transitati illustri personaggi: il 7 maggio 1251 il Papa Innocenze IV°; nel giugno 1376 Santa Caterina di Siena; nel novembre 1636 Carlo V°; nel 1538 il pontefice Paolo III°; nel marzo 1796 Napoleone Bonaparte. Attraverso questa strada passò sicuramente il Divino Poeta, nelle sue peregrinazioni e quel paesaggio gli ispirò il canto terzo del Purgatorio: Tra Lerici e Turbia, la più diserta / La più romita via, è una scala / Verso di quella, agevole ed aperta.

STORIA: Carlo Grimaldi che aveva ripreso il governatorato della nostra città, nel 1354, acquistava beni stabili in Sietro ed alla Mortola; dove promuoveva la produzione di mirto, aggregando il villaggio di La Mortola; giacché dal 1345, erano presenti attività artigianali di conceria, lungo il corso della Roia. Nell’antica casa, sita sul promontorio abitavano già nel 1400 i Lanteri, patrizi genovesi, i quali la cedettero nel 1620 alla nobile, famiglia 0rengo. Quivi  nella terza decade del 1511, vi soggiornò il segretario fiorentino Nicolò Macchiavelli, quando la Signoria di Firenze lo spediva commissario a Luciano Grimaldi, Signore di Monaco. Il 20 marzo 1565, dopo aver provveduto a restaurare e rimodernare le fortezze e la cinta muraria, costruiva o rinforzava la torre posta sul promontorio della Mortola, oggi inglobata in villa Hanbury; che nel sistema di avvistamento corsaro era conseguente a quella di Balzi Rossi, dava inizio alla sequenza: Porta Canarda, Castel d’Appio ed era in vista col Torrione e Bordighera. Coi decreti di settembre 1805, Napoleone varava la costruzione della “Strada di Cornice” da Nizza a Ventimiglia, che varrà iniziata a costruire soltanto nel 1826. Il 14 giugno 1860, erano temporaneamente stabilite Dogana e Posta alla Mortola, l’Ispezione di Dogana affidata a Bertolini; la Direzione delle Poste affidata a Bersani. Nel 1862, in città ed alla Mortola agiva un nucleo di Guardie di Finanza, appena istituite, aggregando i corpi esistenti prima dell’unificazione del Regno. Nel 1869, Thomas Hanbury assumeva come giardiniere Ludovico Winter, per iniziare il suo Giardino di acclimatazione alla Mortola. Terminata l’impostazione del Giardino Hanbury, alla Mortola, nel 1874, Ludovico Winter si trasferiva a Bordighera, dove darà vita ai magnifici giardini: nel Vallone del Sasso e alla Madonna della Ruota, oltre a quello di Villa Bischoffshein. Nei Giardini di Hanbury veniva sostitito da Alwin Berger. Nel 1875, alla Mortola, Villa Hanbury subiva notevoli cambiamenti. Il 25 marzo 1882, l’inglese Regina Vittoria era qui ospite e vi dipingeva un acquarello con una vista del paesaggio che si gode dalla veranda del salone. Nel 1906, dieci suore della “Dottrina Cristiana”, provenienti da Parigi, si fermarono alla Mortola, aprendovi un collegio femminile ed una cappella. All’inizio d’anno 1986, una insolita gelata, pari a quelle dell’anno precedente, fece assai soffrire Giardino Hanbury della Mortola, che era abbandonato in attesa che la burocrazia lo assegnasse a qualche curatore. Nell’ottobre del 1988, a Londra, la Royal Horticultural Society britannica ed il FAI per l’ambiente italiano si alleavano per salvare i Giardini e la Villa di Hanbury, alla Mortola, nell’imminenza dalla scadenza del mandato verso il Governo italiano, che stava per scadere nel 1990.

TOPONIMI: a Múrtura. - 1219 In partibus Fucis Ventimili et Murtule (OGERIO PANE, Ann., Gen., ad a.); 1351 loco dicto la Mortola (Doc. Grim., 391); 1398 la vale de la Mortořa (Perg. Com. Vent.); 1514 loco dicto lo cavo delle Multre (Doc. Mon., II, 137); sec. segg. Mortola passim.  - Già nel medioevo il top. abbracciava tutta la zona litoranea tra il vallone di Latte e il confine di Ponte San Luigi (cfr. anche il top. Grimaldi). È la voce ligura murta, riflesso di MYRTA, REW, 5801) «mirto», ampliata in -öla con lo stesso procedimento di prüxuřa < PULCIS, rösura < ROSA, ecc., frequente nel ligure. Cfr. un altro Mortola presso Portofino (Genova) e il cognome Mortola.

-----------: i Ciotti, frazione di Ventimiglia. - 1655 li Ciotti (et. v. G); 1760 li Ciotti (C.A.S.T.). - La voce cióttu è tuttora vitale in tutta la Liguria Intemelia nel senso di «fosso», «avvallamento», ed è l’equivalente di sótta, diffuso più ad oriente. Essa corrisponde a clot del Nizzardo e di tutta la zona alpina, «pianoro coltivato» (MAGNAN, 63; MISTRAL, 573); ma i significati non coincidono, e il nostro si avvicina piuttosto a quello di cros nizzardo. È probabile un incrocio fonetico e semantico tra cros, clot provenzali da un lato e il ligure sótta, dall’altro. *KLOTTON, REW, 4717.   N. Lamboglia

 

 

GRIMALDI - Grimaldi inferiore - a Birreta

    Ultima borgata del confine occidentale è Grimaldi, nome che rimase a questi località dopo che di essa fece acquisto nel 1351. Carlo Grimaldi, Signore di Monaco. La bella Chiesa, dedicata a San Luigi, é del XVIII secolo. Quella che è stata la Dogana Italiana sorge poco discosto, sopra un enorme scoglio a picco sul mare. Qui la discesa lungo la montagna detta di Garavano, nei cui fianchi si sprofondano grotte che dettero agli studiosi ricca messe di oggetti preistorici. Il confine politico tra Italia e Francia, corrispondente a quell’angusto e scosceso burrone di San Luigi, a Levante si trova un’antica rupe di calcare giurassico, entro la quale, sopra una scarpa detritica, si apre una serie di caverne, distribuite a varia altezza sul livello del mare. Quelle rupi nude sono caratteristiche per la tinta rossiccia della roccia, donde il nome di Balzi Rossi. Sono stati la dimora di una popolazione selvaggia di stirpe bene diversa da quella dal Ligure odierno. Là il nostro antenato chiudeva gli occhi al sonno, li fabbricava le sue armi e le sue suppellettili, là componeva per l’ultimo riposo le salme dei suoi morti, ponendo loro accanto gli ornamenti e le armi che in vita avevano portati insieme alla scorta di cibo che occorreva al gran viaggio. A valle del villaggio, lungo la vecchia strada Aurelia, è sorto un nucleo di case, prima nominato “a Birreta”, poi estesosi lungo la via, verso la Croce e oggi chiamato Grimaldi inferiore. La nuova strada a mare, che attraverso quattro gallerie conduce alla nuova dogana di Ponte San Ludovico, verso Mentone, conduce anche alle grotte ed al rinomato museo Paleolitico.

STORIA: La ricerche di Grand, di Forel, di Perez, di Moggdrige, di Lechantre, di Broca, di Rivière, di Costa di Beauregard, di Sulien, di Bonfils, di Verneau, dell’abate di Villeneuve, di Cartailhac e del compianto Arturo Issel furono coronate del più felice successo. Le tombe dei trogloditi dei Balzi Rossi furono oggetto di vivaci discussioni da parte di chi volle determinare l’epoca, ne sarebbe ancora risolta la questione, senza l’opera del Colini, il quale con esauriente studio di analisi e di critica ha potuto riconoscere essere recisamente «neolitici»; che lo scheletro rinvenuto nella quarta caverna appartiene al gruppo etnico dolicocefalo dei Cro-Magnons, spettante al periodo quaternario, caratterizzato specialmente dall’ascia levigata, dalla introduzione delle stoviglie, con l’uso del rito funebre dell’inumazione. Controversie circa l’età del depositi: Arturo Issel asserisce: «Uno degli studi più estesi, e pregevoli sulla stazione di Balzi Rossi certamente il più comprensivo, se così posso esprimermi, pel numero delle osservazioni riferite  e discusse,  e sopratutto pel confronto fra i manufatti delle celebrate caverne e quelli di altre stazioni di epoche diverse e di vari paesi è la memoria del Colini. Il Colini conclude il suo elaborato studio con queste parole: «Pertanto sotto qualunque aspetto si consideri la questione dell’età delle tombe dei Balzi Rossi, si viene sempre alle medesime conseguenze, che cioè mancano argomenti per farle risalire ai tempi geologici, nonché per i caratteri fisici degli avanzi umani, si collegano alle sepolture neolitiche della Liguria». Pei caratteri dei manufatti e dei fossili ivi scoperti fino a quella data (1835) le caverne di cui si tratta si possono legittimamente attribuire all’epoca delle renne, se si tiene conto della posizione geografica e topografica di Ventimiglia e se si riflette che sotto quella latitudine e sulle rive del nostro tiepido Mediterraneo le specie postplioceniche di tipo artico forse non giunsero e l’estinzione di certi mammiferi quaternari del tipo meridionale, per esempio dei grandi felini, deve essere avvenuta più tardi che altrove, si è naturalmente condotti a ringiovanire i depositi dei «Balzi Rossi» fino al punto di collocarli fra quelli di cui il renne suol essere il fossile caratteristico.

TOPONIMO: Grimàudi, frazione di Ventimiglia presso il confine di Ponte San Luigi. - 1514 loco dicto lo cavo delle Multre, vulgariter dictum le Grimalde (Doc. Mon., II, 137); 1655 terra detta le Grimaude (et. v. G); 1760 Grimardi; Grimaldi passim. - II nome, pluralizzato al femminile («terra dei Grimaldi»), è legato ai possedimenti acquistati in queste località dal principe di Monaco, a partire dal 1351; cfr. l’atto pubblicato in Doc. Grim., 391, mediante il quale Carlo Grimaldi acquista «quandam peciam terre positam in territorio de Ventimilio, gerbe, loco dicto la Mortola, cui choeret superius collis ... inferius via publica ... versus oriente valonus Multe ..., versus occidente terra Nicolossii Garoffii de Mentono», cioè l’intero territorio dell’attuale frazione Grimaldi, tra il vallone della Mortola e Garavano e dalla sommità della collina alla via pubblica, allora corrente presso il mare. V. anche ROSSI, Vent., 72.  N. Lamboglia.

 

 

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BORGATE ABBANDONATE

 

 

I MARTINAZZI

 

       Nella sua vita più recente, l’antico borgo dei Martinazzi è stato, per molti anni, l’abitato di confine sulla più pratica mulattiera che congiungesse Ventimiglia col vicino Camporosso, transitando nella vallata del Resentello fino a San Giacomo e poi giù, attraverso San Ruman.

      Ancora nei primi Anni Sessanta qualcuno abitava i Martinazzi, magari stagionalmente, per sfruttare l’economia del bosco. Erano i rimasugli di quanti avevano abitato quelle case per cercare di sopravvivere durante il Secondo Conflitto Mondiale.

      Edificato a partire dal tardo Cinquecento, per sfruttare appunto l’economia del bosco, il borgo era assai “transitato” dai ventimigliesi che si recavano a visitare San Giacomo, il loro santuario di crinale preferito.

        A partire dalla fine del Seicento, la ribellione ed il distacco delle Otto Ville ventimigliesi, resisi autonome col nome di Otto Luoghi, tolsero a Ventimiglia la pratica di San Giacomo, entrato nei confini camporossini, spostando la frequentazione verso il santuario della Madonna delle Virtù. Questo segnò l’inesorabile declino dei Martinazzi.

         Il toponimo Martinazzi è derivato dal medievale nome del territorio dove si ergeva una piccola chiesa dedicata a San Martino, abbinata ad un piccolo ricovero per i pellegrini, frequentato anche da chi si recava verso Santiago di Compostela.

 

 

 ANELLO DI SAN SECONDO

 

MAPPA MARTINAZZI