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CASTEL D’APPIO

NELLA STORIA

di Paola Lorenzi - 1977

    Le rovine di Castel d’Appio, dalla tradizione attribuito ad Appio Claudio, condottiero che fu incaricato di sottomettere i Liguri nel 185 a.C., non sono considerate di origine romana dagli esperti, per quanto sia probabile che una fortezza romana esistesse nelle località, prima che i Genovesi vi costruissero un castello nel XIII secolo.

    Gli Intemeli, come i popoli vicini che avevano fama di essere bellicosi, stettero, infatti, secondo Tito Livio, per ottant’anni contro i Romani, ma la grave perdita di parte dei libri dello storico latino ci impedisce di sapere come i nostri antenati venissero da questi sottomessi. Si parla allora del console Appio Claudio che, inviato nel 185 a.C. da Roma ad assoggettarli, compiuto il mandato, lasciava  il suo nome al monte ed al castello. A questo proposito lo storico ventimigliese Girolamo Rossi supponeva che la colonia stabilita sul luogo della vittoria, cioè in vicinanza del poderoso «Castellar» caduto in mano alle legioni romane, venne chiamata Appia e il prelibato vino di queste terre venne da allora chiamato apiano. Esiste comunque, più semplicemente la voce comune «api(u» = sedano, diffusa in tutto il dominio romanzo occidentale, sebbene oggi non più vitale nella Liguria intemelia. Forse, quindi, il Castello prese il nome da un campo di sedani, tanto più che resta esclusa la derivazione da un personaggio romano.

    Nel Medioevo Ventimiglia fu corsa e depredata più volte dai Saraceni di Frassineto nel secolo X. È del 962 la prima notizia di una contea di Ventimiglia dipendente dal Marchesato di Susa e compresa approssimativamente tra i torrenti  Roia e Taggia.

Anche quando nel secolo XII si costituì il Comune, i Conti continuarono la loro giurisdizione sulla città ma soprattutto nelle valli superiori. Sin dal secolo XII Genova aspirò al possesso di Ventimiglia e cominciò ad affermare il proprio dominio. Ma avendo i cittadini di Ventimiglia apertamente dichiarato di non volersi assoggettare alla supremazia di Genova, questa nel 1130 bandisce una crociata con la convenzione scritta: «guerram vivam contra Ventimilienses faciemus, nec mercaturam eis dabimus nec dari faciemus», sottoscritta dai Comuni liguri. Investiti per mare e per terra, costrinse i Ventimigliesi a sottomettersi.

    Ma non molto tempo dopo, avendo infranto il giogo di Genova, abusarono così della loro libertà che l’imperatore Corrado III fu obbligato a dare l’incarico alla reggenza di Genova di sottometterli nuovamente. I Genovesi marciarono tosto contro Ventimiglia, costrinsero tutto il paese a giurare fedeltà e, affinché non rinascesse in quegli abitanti il desiderio di rendersi, indipendenti, vi costruirono un forte-castello con un buon presidio per tenerli in soggezione.

    Nel 1156 Guidone Guerra, conte di Ventimiglia, si fece feudatario del Comune di Genova, cioè donò tutti i suoi Castelli a quel Comune, conservandoli poi in feudo conferitogli con solenne investitura. Nella prima metà del secolo XIII, i cittadini di Ventimiglia, approfittando delle strettezze nelle quali si trovava il Comune genovese per varie costosissime imprese in Oriente, si ribellarono. Genova, dopo avere tentato invano di assoggettarli con la forza, intavolava pratiche per ridurli all’obbedienza: offriva loro il perdono dichiarandosi disposta a non chiedere compensi per le spese della lotta e per i danni sofferti. Ma i suoi maneggi riuscirono vani, anche perché i Ventimigliesi si mostrarono più disposti all’accanita resistenza incitati dal Conte di Provenza che diede loro un valido aiuto.

L’allora Podestà di Genova, Loteringo Martinengo da Brescia, mandò nuove forze a Ventimiglia, i cui abitanti vi opposero una resistenza vigorosissima per lo spazio di quattro anni. Ma poiché miserrime erano le condizioni della città, nell’agosto del 1222 i Ventimigliesi tornarono alla obbedienza del Comune Genovese che li sottopose a dure prove.

    E da Marchisio Scriba negli «Annali Genovesi» dell’anno 1222 abbiamo notizie sulla  ricostruzione del Castel d’Appio, e non è escluso che coincida con questo il castello omonimo distrutto dai Ventimigliesi e ricostruito  dai Genovesi nella guerra del 1158 di cui parla Caffaro nei suoi «Annali». Ma questi stessi «Annali» mostrano che il termine “Castello” fu applicato solo dopo la co­struzione della vera e propria fortezza nel 1222. Marchisio Scriba ricorda un certo Messer Spino di Soreina che, venuto a Ventimiglia con alcuni nobili, prese le fortezze della città a nome del Comune di Genova, facendo prestare giuramento al Podestà di Ventimiglia, Conte Guglielmo di Ventimiglia, e designando i luoghi dove dovevano farsi i castelli. Di questi castelli ne fece costruire uno in Apio ed un altro sulla rocca di Ventimiglia. La costruzione dunque fu intrapresa nel 1222 e compiuta nell’anno seguente. Per costruirli, il Comune di Genova comperò col suo denaro, come era stato promesso nel patto, la terra e le case che erano nel luogo e lo spazio lasciato vicino ai Castelli. Il Podestà designò quali custodi del Castello i nobili uomini Ugolino Boccuccio e Ottone di Murta con cento serventi; inoltre fece abbattere le mura costruite dovunque fuori della città e mise quale podestà a capo di essa per il Comune di Genova e in nome di questo il nobil uomo di Sorleone Pevere, che dovette giurare di sottostare ai comandamenti ed agli ordini del podestà dì Genova. Nel 1288 Guglielmo di Ventimiglia cedette il suo feudo agli Angioini: da allora ebbero inizio discordie e inimicizie della nostra città che parteggiava ora per i Guelfi, rappresentati dal Conte d’Angiò e dai De Giudici e Buferio, ora per Genova, partigiana dei Ghibellini, assecondata dai Curlo e dai Mombello, fino a che non riuscì a svincolarsi dal giogo di quest’ultima.

    Il periodo di indipendenza per la città andò dal 25 maggio 1335 al 1350 in cui essa diede ospitalità ai Grimaldi, agli Spinola e ai Doria. Al dominio del Comune genovese si avvicendarono così in tempestosa alternativa quelli degli Angioini, dei Grimaldi, dei Visconti, dei Savoia, cui si aggiunsero nel secolo XV le Signorie degli Sforza e della Francia, e per la sua posizione di confine Ventimiglia fu a lungo contrastata.

    Finalmente, dal 1505 ebbe lo stabile dominio della Repubblica, che dal 1514 al 1562 ne affidò il governo al Banco di San Giorgio e, come ad altre città rivierasche, le lasciò per l’intera amministrazione i propri ordinamenti. Seguì da allora le vicende dello Stato ligure.

    Così, col passare degli anni, il Castel d’Appio, abbandonato, andò in rovina, e tuttora i Suoi resti gloriosi sono visibili a testimonianza di una funziona militare e storica assolta per molti secoli in difesa della Città di Ventimiglia.

LA VOCE INTEMELIA  anno XXXII  - n. 10  - ottobre 1977

 

ANCORA SUL CASTEL D’APPIO

di Andrea Capano - 1978

    In un articolo apparso nel numero di ottobre di questo giornale, Castel d’Appio nella storia di Ventimiglia, Paola Lorenzi dava alcune notizie storiche sulla grande fortezza che domina ancor oggi Ventimiglia, e riportava due ipotesi sull’origine del nome Appio.

    In questo scritto non intendo entrare nel merito delle questioni storiche, che esulano totalmente dalla mia competenza, ne di quelle linguistiche, che si presentano molto più complesse di quanto non sembri a prima vista. Mi limiterò invece a tentare una descrizione dello stato attuale del castello.

    Prima di iniziare, sento però il dovere di ringraziare pubblicamente, anche a nome di coloro che questo dovere non hanno sentito, il gruppo di persone composto da: Dario Arcangelo, Ezio Macchia, Andrea Matteucci, Davide Medici, Franco Miceli e Sergio Pallanca, che ha provveduto, nei mesi di settembre e ottobre, a ripulire le rovine da rovi, sterpaglie ed arbusti, rendendone così possibile la «lettura» integrale.

    La forma del castello, che segue quella della collina, è grosso modo triangolare. La base del triangolo, più breve che gli altri due lati, guarda verso settentrione, ed è costituita da un muragliene con merlatura guelfa, particolare questo da non trascurare per un’esatta collocazione storica.1

    Il lato rivolto verso la valle del Roia è formato da un lungo muraglione in più punti diroccato, mentre il lato verso la Francia anch’esso molto danneggiato, presenta verso metà una rientranza ad angolo quasi retto, in cui si trova la porta, robustamente fortificata, e sormontata da un bell’arco a tutto sesto. Verso l’esterno, davanti alla porta vi è un’altra porta, con arco di fattura assai più rozza, che pare costruita posteriormente per restringere la porta originaria.

    Sul vertice del castello, verso Ventimiglia, sorge una torre relativamente ben conservata, con porta sormontata da un massiccio architrave di pietra, ed un paio di finestre.

Dietro la porta principale, invece, sorgono i resti di una formidabile torre pentagonale, di cui è crollato completamente uno dei lati. Questa torre non presenta nei muri rimasti alcuna finestra. Sono invece ancora visibili delle mensole, che sostenevano probabilmente i vari piani.

    Nell’angolo nordest del castello si trova una grande vasca di profondità disuguale, un tempo coperta, come si ricava dai resti di volta e dalla colonna centrale.

Oltre a questi elementi di più facile interpretazione, si vedono anche dei resti di costruzioni lungo il lato verso la Francia, e un piccolo sotterraneo quasi sotto la grande torre, con una colonna ricavata nella roccia.

    Pare invero probabile che l’attuale livello della parte sud del cortile sia innalzato rispetto a quello originario, e che quindi al di sotto si possano trovare altri resti.

    Rimane ancora da dire che, in generale, la muratura del castello è costituita da pietre non lavorate, con l’eccezione della torre sud, che ha gli spigoli in pietre squadrate, e si innesta assai bruscamente sul muro di cinta, e della grande torre, interamente costruita in belle pietre squadrate, che parrebbero coeve di quelle dell’abside di San Michele.2

    Purtroppo, questo vasto complesso architettonico sta cadendo completamente in rovina. In più punti delle mura, specialmente del bellissimo lato nord, si aprono crepe paurose, che fanno temere crolli a breve scadenza.

 

1)  I merli guelfi hanno forma di parallelepipedo, quelli ghibellini sono a coda di rondine

2) Difatti il professor Lamboglia attribuisce le varie parti del Castel d’Appio ai secoli XII-XIV (cfr. N. Lamboglia, I monumenti medioevali della Liguria di ponente, Torino, Istituto Bancario San Paolo, 1970, p. 17).

LA VOCE INTEMELIA  anno XXXIII  - n. 1  - gennaio 1978

 

APIUM  COME  SEDANO

l’Apium è un genere di circa venti specie di piante fiorite nella famiglia delle Apiaceæ, distribuite in Europa e Asia, tra le quali si conta il Sedano.

 

    Il Castello che diventa “teatro” di feste e festini. La passione di un architetto olandese, Eldert Ovèrzee, sta portando Castel d’Appio, antica fortificazione che domina la baia di Latte, ad una nuova vita. Ed è il caso di dirlo, alla “bella vita”. Lo ha comprato da un’impresa di Panama nel 2009 e vi sta realizzando dei lavori d’urgenza per verificare e relazionare alla Sovrintendenza quello che la storia ha preservato.  Intanto, in attesa di poterlo sistemare completamente per consegnarlo al suo antico splendore e renderlo in un rinomato e polivalente centro culturale, lo ha trasformato nei mesi più caldi in una discoteca a cielo aperto dal sapore antico.  In particolare d’estate vengono organizzati romantici party sotto le stelle, che pare non influiscano sulla stabilità del castello.  In ogni caso i progetti futuri e in cantiere possono far dormire sonni tranquilli:  Castel d’Appio diventerà un museo a cielo aperto per accogliere mostre ed esposizioni e un teatro per concerti di ogni genere. Questa è l’idea del proprietario .......

                                                                                              Ponenteoggi 26/11/2012 - Donatella Lauria