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RESTAURI  A  VENTIMIGLIA

LA  LOGGIA  DEL

P A R L A M E N T O

Conosciuta  anche  come  Magazzino  dell’Abbondanza

 

    A Ponente dell’antico Teatro, oggi Civica Biblioteca Aprosiana, nel 1962, Nino Lamboglia, archeologo a tutto campo, rilevò una singolare struttura medievale, con la presenza di due perfetti archi a sesto acuto, presumendo si trattasse della assai citata Loggia del Parlamento.

    In seguito quella struttura venne indicata come il Magazzino dell’Abbondanza, primaria struttura della Ventimiglia medievale, spostando l’eventuale ricerca della Loggia Comunale in un sito più vicino all’angolo della strada con la Platea Crotarum, l’attuale Piazza Cattedrale.

    La costruzione del Teatro, nel 1816, avrebbe cambiato destinazione d’uso di un caseggiato confinante con l’antica Loggia del Parlamento, citata come demolita d’un suo lato, nell’anno 1862, per far spazio proprio all’ampliamento del Teatro; che coinvolse anche la casa contenente la Scuola, del Pio legato Devotina Orengo, che si dice fosse confinante con la Loggia.

 

VICISSITUDINI  DELLA  LOGGIA

    La Loggia del Parlamento potrebbe essere stata costruita nell’anno 1208, su quello che era l’angolo tra la Platea Crotarum e la strada principale della città; in una volumetria almeno doppia di quella delimitata dagli attuali rimanenti due archi esistenti.

    Nel 1425, il Comune ventimigliese decideva di guarnire la “platea crotarum” di alcuni olmi verzeggianti, per ridare alla piazza l’antico “splendore con i tolti alberi voluti dai nostri antenati”. La delibera recitava: “pro faciendo plantare urmos ante ecclesiam et pro ipso aquando”.

    La “platea crotarum” si stendeva davanti al palazzo vescovile e la stessa Cattedrale. Sotto gli olmi di quella ridente piazza medioevale, i notai stendevano i loro rogiti. Si tratta dell’attuale piazza, sostenuta dalle “grotte”, dove avrebbero potuto trovare sistemazione gli antichi Magazzini dell’Abbondanza, che gli storici indicano sottostanti alla Loggia del Parlamento.

    Nell’anno 1528, i legali “Reformatores” del Dogato genovese in Repubblica, emendarono la costituzione genovese, che resterà in vigore fino al 1797, soltanto in parte poi modificata nel 1576. La Repubblica genovese si dotava di una “Rota”, tribunale civile e criminale, composto da loggisti forestieri ed un priore. La magistratura dei Sindicatores, creata nel 1403 ed allora in pieno svolgimento, era diramata in ordini: supremi, maggiori e minori.

    Il 12 dicembre, essendosi manipolata in Genova una nuova nobiltà, si vollero distribuiti in ventotto alberghi i nomi di coloro, che per natali, per ingegno e ricchezze fossero meritevoli di aspirare al governo.

    Per rafforzare la casta dei nobili, agli “alberghi” vennero ammessi molti popolani, disponendo che venissero esclusi dal governo tutti quelli che non vi fossero ascritti. Tale ordinamento, base della più raffinata oligarchia, si mantenne in vigore circa tre secoli, fino alla Rivoluzione francese. Ventimiglia vide ascrivere all’albergo D’Oria: la famiglia De Giudici, la Sperone, la Genzano e parte della Galleani; al Grimaldi: la Oliva e la Lanteri, al Lomellino: la Porro, al Pinelli: la Aprosio, al Cattaneo: la Riccobono, al Promontorio: la Massa ed al Fieschi: parte della Galleani. Scimmiottando quanto si andava facendo in Genova, si stabiliva, «che vi fosse somma et rigorosa separatione della nobiltà dal populo: che niuno potesse essere priore di consiglio, se non fosse ascritto all’ordine dei magnifici; che fosse vietato ai popolani di abitare nella via principale detta di piazza dove abitano i soli magnifici; che il locale detto loggia fosse unicamente destinato per trattare dei negozi e per essere convegno di passatempo ai magnifici: che i magnifici ammessi al governo avessero un trono in chiesa con più gradini, e nell’entrare del vescovo essi non fossero obbligati di salutarlo che piegando leggermente il capo».

    Nel 1529, i Genovesi apprestarono una generale revisione delle strutture fortificate, specie delle città costiere, per far fronte alle armate francesi. Per il restauro delle mura la città spendeva 3.240 fiorini d’oro.

    Le mura cinquecentesche si rivelarono utili a scoraggiare gli assalti turco-barbareschi, assai frequenti nel XVI secolo. Rivolta verso Francia, Porta Canarda ricevette un opportuno restauro, col rafforzamento dei bastioni e la copertura con tegole della torre. La città aveva sofferto, coinvolta nella guerra franco-spagnola. Le campagne attorno erano devastate e spoglie, costringendo la povera gente all’indigenza. I nobili abitavano in Piazza e frequentavano la Loggia, instaurando l’oligarchia degli “alberghi”. Agostino Giustiniani, negli Annali genovesi rileva che “la popolazione sua fu già molto maggiore di quel che è al presente” e non dedica troppa attenzione a Ventimiglia. Fornisce, però, i primi dati attendibili sulla consistenza della popolazione, purtroppo non confrontabili con dati più antichi, dopo l’incendio degli archivi dell’anno 1526. Erano seicento i fuochi e sull’attività economica scrive il laconico: “i cittadini sono mercadanti e lavoratori”. Lo stesso, attestava a Rocchetta settecento fuochi, mentre ne dava cinquecento a Pigna e cento a Buggio; duecento a Dolceacqua e duecentocinquanta a Saorgio.

    Nell’anno 1630, la facciata della chiesa di san Michele veniva ricostruita più arretrata di una campata, permettendo l’allargamento di piazza Colletta.

    La città andava adeguandosi al nuovo costume culturale, con la trasformazione delle chiese secondo i dettami della controriforma e dell’abitato medievale ai moduli barocchi. La strada della nobiltà modellata sulla Via Nuova genovese, aperta a giardini, pensili ed esclusivi; le ville dei dintorni. La loggia dei nobili, di fronte alla Cattedrale e questa inzeppata di cappelle giuspatronali. La fuga estiva, di chi poteva permetterselo, dalla malaria prodotta dall’impaludamento della Roia. La sostituzione dei ruderi dell’antico castello dei Conti con il Monastero delle Canonichesse Lateranensi, del 1668, segnerà il definitivo affermarsi del potere curiale sulla rocca di una città decaduta. Sul piano militare, G. Vincenzo Imperiale, ispettore delle Riviere, consigliava la Repubblica, in caso di guerra, a concentrare le forze intorno a Genova, abbandonando le città rivierasche, non difendibili. Era presente una guarnigione di soldati tedeschi ed italiani.

    Nella prima domenica di dicembre del 1713, si dava riparazione al tetto della Pubblica Loggia.

    Il capomastro Francesco Borgogno di Perinaldo, alla guida di sei operai, dovendo cambiare la trave maestra del tetto, cercava in città una lunga e capace fune, presente soltanto nel campanile della cattedrale. Ottenuto il permesso di recuperarla da Antonio Ricci ed Antonio De Lorenzi, due dei tre consoli comunali, operò la sostituzione della grossa trave, innestando però una corposa cherelle tra il Senato e la giurisdizione ecclesiastica, risoltasi anch’essa per il meglio.

    Il 2 marzo del 1758, il Magnifico Consiglio in Generale Parlamento alla Loggia, deliberava sulla regolamentazione dei pascoli, nelle Bandite, in relazione ai danni provocati dai caprai.

    Restrizioni di percorso verso i pascoli, a loro volta limitati da precisi confini. Concessione di transito soltanto per “stercorare” i fondi terrieri dei Magnifici e per “salinare” le greggi al mare, in estate.

    Nel 1816, la Città si dotava di un Teatro Politeama, adattando un caseggiato pubblico di via Lascaris, a poca distanza da Piazza Cattedrale.

    Nel 1862, era deliberato l’ampliamento del Civico Teatro, abbattendo un lato dell’antica Loggia del Parlamento. L’anno successivo, la casa contenente la Scuola, del Pio legato Devotina Orengo, veniva annessa al costruendo Civico Teatro, presso l’antica Loggia del Parlamento.

    Il 10 giugno del 1864, era stato coperto di tetto il nuovo Teatro Politeama, ora Biblioteca Aprosiana. Anticamente erano in loco la Loggia del Parlamento e, sottostante, verso la Platea Crotarum, il Magazzino dell’Abbondanza.