Ancöi l'è
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U  CIOUSSU

Orti  recinti  da   mura  urbane

    La camminata tra le otto porte della Città Alta, indetta ad inizio maggio dal Comitato Pro Centro Storico, ha portato all’attenzione un luogo caratteristico della Ventimiglia medievale, che oggi, pur conservando molte delle sue caratteristiche peculiari, passa inosservato ai più.

    Quello che dall’Ottocento chiamiamo “Ciòussu”, è stato anticamente l’insieme dei ciòuxi, che erano quei terreni ortili rimasti chiusi dalla cinta muraria cinquecentesca. Ciòuxe, nell’accezione di “chiudere - recingere”, è un termine usato in una vasta area ligure, da Ponente a Levante.

    Almeno fino agli inizi del XIII secolo, le balze su cui è sorta “a Rucheta”, avrebbero funzionato da “rümentà”, dove si accumulavano gli scarsissimi rifiuti gettati dalle case. Nel medesimo periodo, nel canalone che divide la Rocchetta da “a Culeta”, era aperta “a Porta d’u Ciòussu” che sarebbe stata percorsa da una “crösa” di collegamento della Città col suo Porto.

 

    Nel 1221, la città perse il suo porto ed il ciòussu divenne sede di orti, attivati per far fronte al lungo assedio. Questi continuarono ad essere coltivati, come in parte lo sono ancor oggi, dando alla località il toponimo “orti”, ancora vivo nei due carrugi confinanti.

    In seguito, la caratteristica collettiva degli orti duecenteschi dette spazio alla proprietà privata. Questa caratteristica è dimostrata dal muro di cinta di un fondo che passa nel bel mezzo dell’antica porta, come riporta la foto.

    Nel 1529, la città rivedeva la cinta muraria di Tramontana e di Levante, da Murrudibò a Porta Marina, cingendo gli “orti” all’interno delle mura, producendo in nuovo toponimo “Ciòussu”, che gli è rimasto.

L.M.

 

MURA DI TRAMONTANA - REVISIONE OTTOCENTESCA

 

A  SCAŘA  SANTA

    Nel 1529, la minaccia sempre più incombente, costituita dagli assalti improvvisi da parte dei pirati Barbareschi che infestavano i nostri mari con le loro flottiglie, obbligò gli occupanti genovesi a trascinare le autorità cittadine verso la edificazione d’una più ampia cinta muraria, che comprendesse anche le nuove abitazioni, costruite, dopo il XIII secolo, dalle famiglie filogenovesi appositamente importate. Erano queste situate fuori le mura di tramontana, fino alla chiesa di San Michele e verso la parte bassa del Murrudibò, su quelli che erano stati i possedimenti sequestrati all’eroico Guglielmo Saonese, dopo averlo trucidato.

    Calando dai bastioni della Porta di Provenza, le nuove mura cingevano la chiesa di San Michele, per proseguire verso il corso della Roia, allo scopo di cingere gli orti contenuti nel Cioussu, per poi sovrastare il Lago fino a giungere alla Porta Romea, chiamata Porta del Ponte, anche se il Ponte era un manufatto assai precario. Proseguendo verso la foce del fiume, le mura si addossavano a Porta Marina, che costituiva il baluardo di Mezzogiorno, salendo verso i bastioni sul Cavu, fino alla Colla.

    Il tratto di mura che cingeva il Cioussu, degradando da San Michele verso il Lago, avrebbe dovuto essere servito da un camminamento di ronda impostato a scaloni, del tipo di quelli ottocenteschi oggi esistenti, i quali avrebbero potuto trovarsi ad una quota certamente inferiore degli attuali.

    Nel 1828, le autorità militari del Regno Sardo decidevano di potenziare le fortificazioni della piazzaforte ventimigliese, in funzione antifrancese. Nei primi giorni di ottobre di quell’anno, giungeva in città, da Nizza, il luogotenente del Genio Camillo Benso, conte di Cavour, per dirigere i lavori nel Forte San Paolo e sul rifacimento della cinta muraria di Tramontana, ricalcando in parte il tracciato cinquecentesco genovese.

    Le nuove mura, ben visibili ancor oggi, calavano da Forte San Paolo per cingere l’intero Murrudibò e dietro San Michele racchiudere gli orti del Cioussu, fino alla casamatta del Lago. Su quel tratto il camminamento di ronda, che serviva le feritoie da moschetto rivolte verso il fiume, si presenta a gradoni di un certo volume per superare una decisa pendenza, ad una quota significativa.

    Dovrebbero esser stati i militari delle ronde murarie i primi a definire l’insieme di quei gradoni “Scařa Santa”, specialmente quando l’avranno dovuta affrontare dal basso. Quando nel 1883, la Città venne liberata dai vincoli di piazzaforte difensiva costiera, il camminamento a gradoni sul Cioussu venne aperto al pubblico, che continuò a chiamarlo “Scařa Santa” parafrasando la sovrabbondanza di scale che ormai potevano fregiarsi di quel titolo, basato su privilegi papali concessi, persino a vaghe riproduzioni dell’originale di Gerusalemme.

 

 

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LA PORTA DEL CIÒUSSU

      L’abbellimento del marzo 2019, riservato all’interno delle mura cinquecentesche di Nord-Ovest, nel tragitto sottostante la chiesa di San Michele, mentre si percorre la “Scařa Santa” mette in chiara luce la Porta del Ciòussu, che appare immersa nel verde, soffocata dalle muraglie di cinta, di ben tre orti privati, costruite nell’Ottocento, a parziale occlusione della ripida Crösa che la percorreva. Unica porta contenuta nell’espansione muraria che il Libero Comune ha costruita nell’anno 1140, per consentire l’accesso nella “Rucheta” di quanti provenivano dal porto nel “Lagu”. Oggi la crösa ha cambiato funzione e serve alla conduzione delle acque piovane verso valle.

      La Porta del Ciòussu ha goduto di una breve vita attiva. Già nel 1222, con l’interramento del porto-canale, che ha consentito agli occupanti genovesi di far capitolare Ventimiglia, la sua funzione si è rivolta verso l’assistenza ad una scorciatoia diretta verso gli orti e i mulini, quelli che operavano sull’isola fluviale dei “Guréti”.

 

 

ANTICO PORTO NEL LAGU