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ALLA BASTIDA

 

C U V é N T U         .

CARANTASéTE

    Nell’anno 1345, nel proprio testamento, Babilano Curlo auspicava la fondazione di un convento di Agostiniani, in Ventimiglia; allo scopo, patrocinava la costruzione di una chiesa dedicata a San Simeone, presso le “barme”, in località Bastida, sulla piana ad oriente della Roia.

    Nel 1349, attuando il volere del defunto antenato, la famiglia Curlo dava inizio alla costruzione della chiesa e del Consolazione, alla Bastida.

    Il 7 marzo 1487, il vescovo Campofregoso, dietro istanza di fra Giovan Battista Poggio, vicario generale degli Agostiniani, poneva la prima pietra del convento dedicato a N.S. della Consolazione, posto sulla piana ad oriente della Roia, nel luogo detto “Bastida”, da allora conosciuto come “u Cuventu”.

    Il 13 agosto 1500, il vescovo Fregoso riuniva il capitolo, nel convento della Consolazione.

    L’anno 1511 l’agostiniano Martin Lutero, di ritorno da Roma, sarebbe passato per i cenobi di Genova e di Ventimiglia, dove si soffermò nel convento di Sant’Agostino, tenendovi conferenze.

    Nel 1517, agli Agostiniani veniva sottratto il privilegio di vendere le indulgenze, concesso da papa Leone X ai domenicani.

 

    Il 18 aprile 1530, papa Clemente VII minacciava scomunica agli illegittimi detentori dei beni mobili ed immobili, scritture e diritti spettanti ai frati eremitani dell’ordine di Sant’Agostino, del Convento della Beata Maria della Consolazione.

    Nell’aprile 1638, nel grandioso convento alla Bastida, si teneva il capitolo generale della congregazione dei padri Agostiniani: « .. ove concorsero li padri principali di essa e nello spazio di quindici giorni che durò, furono tenute tre cattedre di conclusioni teologiche, nelle quali si segnalarono molto li maestri e loro discepoli; si sentirono eloquentissimi panegirici delle lodi dei santi e dei beati della religione: funzioni tutte assistite da monsignor Lorenzo Gavotti vescovo della città, che favorendo non solo colla presenza ma con l’argomentare a tutte le dispute, honorò quei congressi più di quello che havrebbero fatto tanti altri famosi letterati».

    L’anno, 1649, Padre Angelico Aprosio otteneva di aprire la prima biblioteca pubblica di Liguria e una delle prime “Libràrie” in Italia, nel Convento agostiniano di Ventimiglia, sarà la Biblioteca Aprosiana.

    Da Ventimiglia, padre Angelico Aprosio teneva corrispondenza con molti eruditi europei, ai quali non mancava di magnificare le trote della Roia ed i vini, Rossese e Moscatello, delle colline di Latte e di Ciaixe. Invece si lamentava dello stato cui era giunta la foce della Roia, impantanata e paludosa, portava disagi e malattie.

 

    Nel 1797, le truppe rivoluzionarie saccheggiarono il Convento agostiniano alla Bastida, spogliandolo di molta parte della Biblioteca. Il convento restò inagibile.

    Nel 1857, il vescovo Biale otteneva di riaprire la chiesa e il convento di Sant’Agostino, per adibirlo ad uso seminario. Il Vescovo nominò come primo rettore della chiesa il can. teologo don Giacomo Roggeri di Taggia, che fu eletto anche direttore del Seminario. Questi tenne tale carica fino al 1866, anno della sua morte. Morto il can. Roggeri, il Seminario fu trasferito nel convento di San Francesco in Ventimiglia alta.

    Il 29 settembre, parte del convento degli Agostiniani veniva adattato a caserma per i Reali Carabinieri.

    Nel 1882, la Chiesa della Consolazione e di Sant’Agostino, fino ad allora abazia del Convento, veniva eretta a parrocchia.

    Nel novembre del 1887, Ventimiglia venne decretata stanza del Carcere per i detenuti espulsi dalla Francia. All’uopo, l’ala di Levante del Chiostro agostiniano, già sede della Biblioteca Aprosiana, veniva adibita a carcere circondariale.

    Il portone del carcere rispondeva al numero civico “47” di via Cavour, per cui, in breve tempo, i ventimigliesi cominciarono a riconoscere il carcere con la parafrasi di “carantaséte”, fino a farlo diventare il toponimo popolare.

 

 Il chiostro ancora ingombro dei retromagazzini tollerati

 

U  CARANTASÉTE

                                                                                                                                        Luigino Maccario

    Al numero civico 47 di via Cavour, correndo il novembre dell’anno 1887, nei locali dell’ala a Levante dell’antico Convento Agostiniano, erano state ricavate le celle e gli uffici del Carcere Circondariale, dove, coi delinquenti nostrani, avrebbero cominciato ad alloggiare i detenuti espulsi dalla Francia.

    Dal 29 settembre de 1876, parte dei medesimi locali conventuali erano stati adibiti a caserma per i Reali Carabinieri.

    Definire Quarantasette il Carcere, prese voga tra il popolo, un po’ per parafrasare il nome d’un luogo non troppo nominabile; ma soprattutto per l’assonanza col nome di certi bazar, in voga nelle grandi città del giovane Regno d’Italia, che vendevano la loro merce a quarantotto e quarantanove centesimi, o a multipli di queste due cifre, di poco minori della apprezzata Mezza Lira.

    Il “Quarantotto” ed il “Quarantanove” era dunque le catene dei supermercati negli anni Ottanta dell’Ottocento, che a loro volta chiosavano il proprio titolo dalla data epica dei fermenti rivoluzionari nazionali; quelli che condussero verso la così detta: Seconda Guerra per l’Indipendenza.

    Erano anni assai importanti per le agitazioni nazionalistiche, ma nel nostro caso erano anche anni di profonda crisi economica, in tutta quella che sarebbe stata, qualche anno più tardi, la Nazione italiana; per questo, poter comprare molti articoli essenziali a prezzi visibilmente contenuti si mostrava cosa gradita alle popolazioni.

    Come sempre in prima linea le sfolgoranti idée pubblicitarie.

                                                                               LA VOCE INTEMELIA  anno LXI  -  n. 5  -  maggio 2006

 

 

LA  BASTIDA

                                                                                                                                    Luigino Maccario

    Nel marzo dell’anno 1221, guidati dal loro Podestà bresciano Loteringo di Martinengo, un gran numero di armati genovesi sbarcava a Bordighera e dava fuoco ai copani da trasporto che erano ormeggiati nell’ansa del Fiume Roia, del quale fu deviato il corso, mentre con l’affondamento di un copano ed un’altra nave, veniva chiusa l’imboccatura del porto canale ventimigliese.

    Oltre ad aver isolato la città con la costruzione di mura sulla collina delle Mauře e delimitato i bastioni naturali di Ponente con l’innalzamento di Porta Canarda; i Genovesi delimitarono una “Bastida” fortificata nei pressi della foce del Rio Resentello, dove edificarono abitazioni provvisorie per accogliere i ventimigliesi che avessero scelto di lasciare la città, strettamente e costantemente assediata dai duemila fanti, comandati da Sorleone Pepe.

    I cittadini che accettarono di abitare le case provvisorie della Bastida, dietro l’esempio indegno della famiglia De Giudici, ne divennero proprietari; quindi, al termine dell’assedio le irrobustirono, dando forma al primo incerto nucleo del sobborgo sulla riva sinistra del Roia, presso la chiesa di San Simeone alle Barme, poi sede del Convento Agostiniano. Dall’Ottocento, con la copertura del Rio Resentello e il tracciamento della Strada napoleonica, il nucleo di abitazioni più a Levante, derivate dalla Bastida, venne denominato u Valun.

    Dalla Bastida, verso il mare, i Genovesi avevano allestito un attracco provvisorio, corredato da un fondaco per i loro approvvigionamenti, rimasto vivo nella tradizione col toponimo a Fundega; mentre sull’altura asciutta alle falde delle Mauře, protette dalle mura sovrastanti, vennero edificate le baracche per il perdurante accampamento genovese, che assunse il toponimo di “Cabane”, esistente ancora nel XVIII secolo.

 

    Dal 20 marzo 2010, l’ala del chiostro che ha ospitato “u Carantaséte”, è tornata ad ospitare la “Biblioteca Aprosiana”, quella librària seicentesca, voluta da Padre Angelico Aprosio, che è diventata molto famosa, nel tempo. In effetti, il Fondo Antico della libraria, è rimasto nella sede primaria, in via Garibaldi, nella Città Alta; ben disposta in quei saloni, ricavati nell’antico Teatro Lascaris, che dagli Anni Sessanta sono intitolati come “Civica Biblioteca Aprosiana”.