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Ventimiglia

 

Ponte medievale sulla Roia

 

    Per effettuare l’attraversamento della Roia, la viabilità delle Strade Romane si sarebbe ancora servita del guado, usato lungo tutta l’antichità, semmai attrezzandolo tenendo conto della copiosa portata invernale e della ridotta portata estiva.

    Considerato che, presumibilmente dal secolo VII, funzionava un attivo Porto Canale nel Lago sottostante la Rocchetta, che ha operato fino al 1222, quando i genovesi lo hanno interrato, occupando militarmente Ventimiglia; soltanto dal XIII secolo ha trovato modo di funzionare un ponte di dodici campate irregolari, del quale la penultima arcata verso la sponda destra, con una luce di oltre dieci metri, permetteva il transito a velieri di medie dimensioni.

    Distrutto da una eccezionale piena, fin dal 1339, quel ponte avrebbe ripreso a funzionare a metà del 1500, con molte arcate sommariamente riparate; ma già nel 1601 veniva distrutto da un'altra piena.

    Già nel 1619, l'architetto genovese Ponzello, dirigeva la costruzione di un ponte in pietra, del quale sono visibili tre pile, verso la sponda destra, a fior d'acqua, affacciandosi a Sud, dall'attuale Ponte Doria.

    Nel 1715, proseguiva la costruzione del ponte in pietra, non ancora del tutto razionale, giacché permetteva l'uso dell'antico lago, al ricovero di velieri di media stazza, come mostra la stampa Fisher Son, dov'è mancante l'ultima arcata di destra e il lago è dragato e protetto.

    Pare che nel 1797 si concludessero i lavori, rendendo la struttura almeno omogenea, tanto che Ugo Foscolo percorrendola nel 1799, descrive la visione verso la Val Roia sul romanzo "Le ultime lettere di Jacopo Ortis".

    Nel 1866, veniva aperto al transito il nuovo ponte in pietra, progettato nel 1852, in sostituzione del manufatto sei-settecentesco, già rovinato da una piena. Pur avendo subito danni bellici nel 1943, quel ponte è oggi funzionante, appaiato ad una struttura aggiuntiva, costruita a Nord, nel 1980.

                                                     L.M.

  

Ugo Foscolo descrive la Val Roia, vista dall'antico Ponte, nel romanzo "Le ultime lettere di Jacopo Ortis", pubblicato a Bologna a fine 1799.

 

- Là giù il Roia, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa immensa montagna. V’è un ponte presso la marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte sulle cervici dell’Alpi altre Alpi di neve che s’immergono nel Cielo e tutto biancheggia e si confonde da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. -

 

Luigi Ricca, da Civezza, transitando da Ventimiglia nel 1863, ci da' notizia del quasi ultimato cantiere per il Ponte Nuovo:

 

 ... Un nuovo ponte in pietra, innalzato con tutte le norme della scienza e con tutti gli argomenti dell’arte, il quale ormai è alla fine, congiunge il sobborgo colla città. Questo nuovo tronco entra nella città e ne esce verso il mare, ove va ad unirsi all’attuale strada detta la cornice, attigua alla Ridotta dell’Annunziata, con una pendenza del cinque per cento circa.

    Il perforamento però del gran muro di cinta non porta alcun danno alla difesa della piazza. Sicché ora è finalmente tolto un tratto di strade assai incomodo e faticoso colla costituzione d’un altro assai più facile e sicuro.

    Dal lato orientale del fiume cioè dal grande e nuovo albergo è già delineata altra strada rotabile, che fra non molto si collegherà colla corriera di Breglio per il Piemonte, e fra breve si darà opera ad altro nuovo ponte in ghisa per la strada ferrata, e l’acqua è paziente. ...

 

 

GUADO DELLE STRADE ROMANE NELLA ROIA

    Nell’Antichità, il viandante prediligeva percorsi di crinale, molto più impegnativi ma sicuramente più protetti da imboscate e da calamità naturali improvvise. In quelle età, l’attraversamento della Roia, nel tratto presso la foce, sarebbe certamente avvenuto usando un guado, che fosse stato in corrispondenza di opportuni percorsi tra i più favorevoli crinali di entrambe le rive.

    La tipologia del territorio, appoggiata da seppur tenui indizi archeologici, suggerisce con convinzione l’ubicazione di quel guado alle falde Sud-Est di Monte Pozzo, sotto l'ampia ansa dove ora è Varase, per l’apporto convogliato dal Passo dello Strafurcu, unito al flusso da e per la Provenza, derivato dalla Colla Rossa, sul crinale della Bevera. In riva sinistra, il percorso si inerpicava sul crinale Ovest di Cima d’Aurin, per calare dov’è ora Dolceacqua.

    Con l’evoluzione avvenuta dopo la conquista romana delle Gallie, per la quale le foreste di larici sulle pendici delle Alpi Marittime erano divenute preziose fornitrici di legname, soprattutto di tronchi lunghi e dritti, assai adatti a tramutarsi in antenne o pali a sostegno delle velature sulle navi; il letto della Roia era usato per il trasporto fluviale dei tronchi verso gli imbarchi marittimi, quindi tutti i guadi si erano tramutati in luoghi assai pericolosi; al che, il guado invernale della Roia, per quelle che saranno le strade romane imperiali, per l'opportuna sicurezza, avrebbe potuto trovar posto subito sotto il lago di raccolta dei tronchi, che era ubicato davanti a Roverino, ponendosi tra l’attuale camposanto delle Gianchete e quella che sarà Ripa Santo Stefano, presso la Caserma Gallardi. Durante l’estate, il guado avrebbe potuto essere effettuato tra l’attuale Istituto Santa Marta e l’odierna Officina Municipale (ex Mattatoio).

    Dal VI secolo in poi, l’eventuale presenza del Lago che avrebbe costituito il Porto Canale, in quella che sarà la zona Borgo e Cioussu, avrebbe ancor più condizionato l’ubicazione del guado tra Gianchete e San Steva, com’era a Nord del Lago portuale, congiunto alle falde Est dello Scögliu, dove dominava la Rucheta, la cittadella fortificata della Ventimiglia mediavale.

 

 

Un progetto del 1809, sulla viabilità attraverso la Roia, redatto  da  Lavenèze, ripercorre quello che sarebbe stato il miglior guado nell'antichità.

Archivio di Nizza: Route de Nice à Génes, partie comprise entre Menton e la Roia pre de Vintimille.

    da:"Il Forte dell'Annunziata di Ventimiglia", dalla antica chiesa di San Lazzaro al Museo Civico Archeologico "Girolamo Rossi".  Quaderni del M.A.R. - 1

 

VITA DEL PONTE MEDIEVALE

1339  Il 21 settembre, vi fu un così grande diluvio che devastò la città compreso il porto … trascinò via il ponte e tutti i mulini non lasciando nulla nei pressi.

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          La notizia, tratta dall’antico necrologio della Cattedrale, segnala l’esistenza di un porto, anche dopo la distruzione del precedente, nel XIII secolo; ma da’ anche notizia dell’attività molendaria tenuta dalla nobiltà sul greto della Roia, ai Gorreti, sfruttando la potenza dell’acqua.

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1520 Nei primi giorni di gennaio, l’inesorabile crescita della depressione economica non trattenne la Comunità dall’affrontare la ricostruzione del ponte sulla Roia.

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La necessità di costruire il ponte proveniva dal maggior traffico di carri e pedoni lungo la strada litoranea; dovuta alla pericolosità del viaggiare in nave, per la costante presenza di felucche razziatrici in agguato. I pirati turco-barbareschi erano micidiali anche sulla terra, dove operavano numerosissimi sbarchi, ma erano prevedibili perché si annunciavano con la presenza delle navi. L’unico pericolo inevitabile erano gli agguati, su passi obbligati, mentre le felucche erano state nascoste in precedenza, dietro un promontorio lontano. Il pericolo dei turchi durerà fino al 1570, quando la battaglia di Lepanto, distruggendo la flotta turca, liberò il Mediterraneo dalla supremazia navale  orientale. Le scorrerie continuarono, ma assai rarefatte e molto meno incisive.

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1564  In settembre, erano inviati da Genova due commissari che davano una descrizione avvilente della città.

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Lo stato di Ventimiglia in quel periodo era deprimente. Il fiume, deviato dall’incuria, non passava più sotto le mura, producendo terreni insalubri, mentre il ponte di legno che traversava la Roia era guasto. Case in rovina impedivano il transito per le strade, specialmente nel quartiere Lago, disabitato. Il terremoto, oltre a numerose case aveva provocato gravi danni alla chiesa di san Michele, che perse totalmente la navata nord, oltre a quella sud inagibile. La popolazione era ridotta a soli seicento fuochi, tanti quanti i seicento de La Briga e di Pigna, il Comune più popoloso della Val Nervia, e Taggia per la Valle Argentina, e non molti più di Tenda che ne contava cinquecento e Sospello coi suoi settecento, mentre Triora ne contava millecento; Ceriana quattrocentosettanta, Apricale e Castelfranco trecento, Dolceacqua duecento, mentre La Penna, Isolabona, Bordighera e Monaco ne contavano appena cento; Breglio e Perinaldo duecentocinquanta, come Saorgio. La ripresa non fu immediata, ma l’avvento della Controriforma e l’inserimento della nobiltà locale nell’orbita genovese, portarono al risveglio dell’attività edilizia ed architettonica. Drammatici i problemi derivanti dal brigantaggio diffuso nelle campagne, dalla minaccia piratesca sempre incombente e dalle crescenti pressioni sabaude sul territorio.

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1587 Il Magistrato delle Galere obbligava Ventimiglia a contribuire all’armamento della flotta genovese, oltre al versamento dei tremila genovini già versati alla Camera repubblicana.

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          Il Comune ricordava alla Repubblica di essere straordinariamente impegnato alla costruzione del Ponte sulla Roia ed alla fortificazione di Porta Marina, ma non otteneva deroghe.

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1601  Eccezionale piena della Roia.

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Dal nizzardo Toselli, apprendiamo della grossa piena, con conseguente grave inondazione del Cuventu e della Marina. Ancora lui ci informa della grave inondazione nel 1616, mentre era iniziata la fabbrica del Ponte. Perduta definitivamente la possibilità di gestire, senza troppi oneri, il porto canale del Lago, durante la seconda metà del Cinquecento, Ventimiglia pensa di darsi un ponte in pietra, in sostituzione di quello altomedievale in legno, in questo invogliata dalla Repubblica, che pensava con questo di attrarre definitivamente la città riottosa.

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1612  Il 1 febbraio, il vescovo Spinola emanava un decreto sulla condotta notturna dei chierici e dei preti, dando facoltà di applicazione al Capitaneo ventimigliese Gio Lavagnivo.

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In città, il Capitaneo genovese applicava già quanto disposto dal Senato di Genova per ovviare alle tante sommosse armate che capitavano nella Riviera occidentale. Dopo il calar del sole, non solo i cittadini dovevano girare disarmati, ma persino i forestieri erano tenuti a lasciare le armi presso il cancello di custodia, eretto all’inizio del ponte sulla Roia.

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1619  L’architetto genovese, Sebastiano Ponzello dirigeva la costruzione del nuovo ponte sulla Roia, con muratura in pietre a spacco, del quale rimangono alcuni piloni visibili sud dell’attuale.

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Nella costruzione del ponte, le grosse chiavi in ferro per sostenere i piloni venivano da Genova ed erano sbarcate nell’approdo di Bordighera, segnalando cosi la definitiva chiusura alle grosse navi del porto sulla Roia. Sia la maggior parte delle pietre, che tutta la calce giungeva da Torri e Bevera, prodotta da cavatori e calcinai locali. Il legname per le impalcature era estratto da boscaioli torraschi ed airolesi dal bosco di Burbarante, sito sulla serra SW del Monte Caviglia, la grossa ansa a dirupo che da inizio all’Avaudurin. I tronchi viaggiavano per via d’acqua, non senza intoppi, fino al cantiere, presso le segherie ad acqua, in zona Serre, alle falde NW di Siestro

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1634  Il 17 maggio, Parlamento e Sindaci, appena eletti, ricevevano dichiarazione sull’esito della vendita delle Gabelle e degli erbaggi, che era di lire genovesi 9.465, contro un’uscita di  lire 16.109,16. Daiconti presentati dal Cancelliere Razionale, Melichio Fenoglio, il ponte in legno sul Roia, che portava alla Bastida, richiedeva lire 200.

1692  La Repubblica di Genova emanava severe punizioni a tutela delle donne spesso rapite a scopo di matrimonio.

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Nelle norme, a vigilanza della vita quotidiana, si raccomandava alle persone di non dormire fuori Ventimiglia, ma di rientrarvi entro le 24, sotto pena di scudi 6 e si vietava di lasciare a bagno, vicino al ponte “lino, canova (canapa), ne stopulli” sotto pena di scudi 4 per ogni corba. Tra le gabelle imposte dalla Comunità di Ventimiglia c’era anche quella del “chiaraviglio” il famoso “ciaravagliu” che, in occasione del matrimonio di vedovi, si fa ancora oggi in alcuni paesi dell’entroterra, sotto le finestre degli sposi.

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1715  Il 9 gennaio, veniva deliberata la prosecuzione della fabbrica del ponte sulla Roia.

1746  Il comandante francese Tambeuf attivava le difese del Forte, aggiungeva batterie sul Cavo e sulla Colla, minava alcune arcate del ponte sulla Roia, in attesa delle truppe sarde.

1748  In ottobre, la pace di Aquisgrana lasciava Ventimiglia in condizioni disastrose.

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La Marina era distrutta, il quartiere del Ponte semi abbandonato. Restavano San Michele, ove s’accalcava la popolazione modesta ed il piccolo nucleo aristocratico della Piazza. L’economia era a pezzi ed in declino il prestigio dell’autorità ecclesiastica. Le abitazioni popolari dell’epoca si discostavano ben poco dalle dimore medievali. Soltanto le chiese e le abitazioni dei signori si potevano permettere i vetri alle finestre, piccoli vetri intessuti con liste di piombo, il resto delle case aveva finestre chiuse con tela, detta stamegna, oppure con la carta.

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1782  L’11 agosto, i Sindaci della comunità di Ventimiglia e di quella degli Otto Luoghi, giungevano ad un accordo per il completamento della fabbrica del Ponte.

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1797  Con l’intervento di manodopera da parte della Comunità degli Otto Luoghi, venne resa possibile la definizione dell’importante struttura pontile sulla Roia, costruita con un arcata aperta per facilitare l’accesso dei bastimenti al ricovero portuale, che viene tramandato potesse essere di fronte a Roverino, ma più semplicemente, sarebbe stato ubicato all’altezza dell’attuale ponte ferroviario sulla Roia.

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Domenico e Giobatta Biancheri organizzarono un buon numero di armati a Camporosso, ma vennero fermati e battuti presso la porta sul ponte della Roia. Venne anche arrestato il pseudo-vescovo Viale, che s’era rifugiato nel convento di Sant’Agostino, mentre erano saccheggiate le case del comandante Gibelli e del notaio Pietro Viale.

1798 Una stampa di Fisher Son & C. datata 1837, illustra una nave a due alberi a monte dell’antico ponte stradale sulla Roia, il quale mostra l’ultima arcata, di ponente, aperta; a documentazione che il porto canale del Lago ha funzionato almeno fino a quel periodo.

1799  Dopo il Ferragosto, transitava per Ventimiglia Ugo Foscolo, in fuga verso Nizza, dopo i fatti d’arme del Trebbia e di Novi.

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          Dall’antico ponte volgeva lo sguardo verso l’agghiacciante vallata della Roia che descriverà così bene ne: “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”.

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1852  Il giorno 8 luglio, veniva assegnato l’appalto per la costruzione di un ponte sul Torrente Nervia, alla ditta Becchi di San Remo.

1861 Una piena della Roia distruggeva il vecchio ponte carrozzabile sei-settecentesco, che era stato riparato sommariamente, mentre si provvedeva a progettare un nuovo ponte, da costruirsi poco più a monte.

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          Affacciandosi dalla spalletta del Ponte Andrea Doria, si possono vedere le basi in pietra appartenute ai piloni del seicentesco ponte carrozzabile.

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1864  Il 15 febbraio, veniva deliberata la costruzione del ponte sulla Roia, che avrà cinque archi di 18 metri e sarà costruito dall’impresa Secondo Notari.

1865  Il vedutista genovese Pasquale Domenico Cambiaso, a levante della foce della Roia, ritraeva la città alta ed i lavori per alzare l’argine sinistro, si intravede il nuovo ponte in costruzione.

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          Era iniziata l’opera di risanamento dell’argine sinistro della Roia, col ricupero della zona malarica dei Paschei, a giardini e prati. Il nuovo ponte stava per essere aperto al traffico.

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1866  Il 2 settembre, incominciava il transito sul Ponte Nuovo della Roia, mentre si cominciavano a distruggere i resti di quello vecchio.

1867  Il 21 gennaio, si metteva mano a costruire via San Giovanni, dalla Traversa al Cavu, sopra San Giovanni.

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          Il «mastro da muro Nicolò Bergonzio» descriveva «una nuova stradicella per aprire un passaggio tanto che dalla strada Nazionale mette nella città per brevità [...] di quasi tutta la popolazione della Marina, come anche per magior comodo di tutti i cittadini». In quel documento, su quel tracciato, veniva indicata «una vecchia strada che dall’interno della città metteva al ponte Roia».

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1869  In ottobre, si metteva in appalto la strada d’argine, dal ponte alle mura di Porta Marina.

1870  Veniva costruito un ponte ferroviario in ferro, a binario unico, per consentire il rapido congiungimento con la ferrovia per la Francia.

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          Fin dal 1868, la ditta di carpenteria metallica incaricata della costruzione del ponte era la famiglia Soleri di Taggia, sei fratelli, tutti fabbri e tecnici del ferro, che impiantarono una grandiosa officina con sei grandi forge attive, sul terreno dei Paschei che si può posizionare oggi dal Mercato coperto sino al largo dove inizia il lungoRoia G. Rossi, non ancora acquistato da Hanbury. Terminato il grandioso ponte sulla Roia, la ditta Soleri continuò a produrre, per le Ferrovie francesi,  carpenteria rivettata o saldata al calor bianco. I suoi lavori venivano impiantati fin oltre Tolone.  Costruirà anche la prima passerella in ferro verso la Marina.

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