Evoluzione dei dialetti liguri esaminata attraverso la grammatica del Ventimigliese
Edizioni Casabianca – Sanremo 1982
Emilio Azaretti
CURIOSITÀ ETIMOLOGICHE
VENTEMIGLIUSE
Le note a pié pagina del volume “L’Evoluzione dei dialetti liguri attraverso la grammatica del Ventimigliese” appaiono, già loro, preziose notizie etimologiche, da non sottovalutare. Riprese in sequenza, non finiscono di far luce su molte glosse non sempre presenti ed operose. |
Nel medioevo col termine di Longobardia si indicava la parte dell'Italia settentrionale e centrale sottoposta al dominio longobardo, ma l'attuale Lombardia veniva ancora considerata terra ligure, come testimonia il poema "Ligurinus" del 1187, che celebra le imprese di Federico Barbarossa contro i liguri di Milano e dell'attuale Lombardia.
Per FRATELLO, la forma abbreviata frai potrebbe provenire da FRATRE attraverso un antico fràire, comprovato dalla “i” contenuta nel derivato frairastru e sia dovuto al suo preponderante uso proclitico davanti a un nome proprio. Padre e madre sono unici, ma il fratello, soprattutto nelle famiglie numerose di un tempo, occorreva quasi sempre chiamarlo per nome: gh'eira me paire e me frai Bacì
Da RIGARE "irrigare" viene RIGANA riàna, rigagno, parola riportata dal Rossi come reanus, riana e con forma ipercorretta in ritano.
CAPU, a seguito di caduta della “p”, dà anche: cavu > cau > cu, usato come proclitico nelle frasi au cu survan, au cu sutan nella parte superiore o inferiore di un oggetto.
bagàina donna furba e maliziosa, usato qualche volta anche come forma eufemistica di bagascia. Il Plomteux chiarisce l’origine, che è stata molto discussa, di queste parole, segnalando le forme in uso nella Val Graveglia, dove bagagna significa ragazza, fidanzata e moglie”, bagasciu ragazzo e marito” senza connotazione dispregiativa. Si può arguire che il significato di bagaina nell’area intemelia e quello di bagascia nel ligure si sia sviluppato secondo uno schema peggiorativo. Il Plomtcux propone un etimo preromano BAKK(O), che tuttavia dovrebbe essere ricondotto a BAK(O), trattandosi sempre di forme sonorizzate.
Dalla parola di origine gallica DERBITA “macchia”, forse per influenza del greco ERPES, si sono formate numerose forme romanze che indicano affezioni cutanee. Il Bolelli postula altre varianti latine fra cui DERBICE da cui per assimilazione consonantica, registrata anche dal provenzale berbi, berbai, può derivare il ventimigliese berbixa ezema secco. Il piemontese derbi è formato su DERBITA, mentre il genovese zerbia postulerebbe una base DJERBITA.
Molti dei sostantivi collettivi presenti nell'alimentazione intemelia sono determinati dal suffisso -ümi, come: i sciacümi noci, mandorle, nocciole; i secümi frutta secca; i agrümi conserve in ambiente acido"; i sařümi prodotti di pesce e di carne conservati col sale; i fritümi vivande fritte".
astracà indica “azione del mare che spinge con la forza delle onde oggetti sulla spiaggia”, col deverbale astracu, usato per indicare gli oggetti stessi o anche, in senso figurato, un “forestiero poco gradito”. Il Rossi riporta dallo Statuto di Porto Maurizio le voci straquaret e straquatum, che sembrerebbero legate al senso di “portare EXTRA AQUAM”. Le forme dialettali citate potrebbero essere adattamenti tardi di queste parole della terminologia giuridica latino-medioevale, che rispettano gli esiti fonetici del genovese STRAQUARE > straccuà e del ligure intemelio stracà.
KLOTTON “fossa, caverna”, indicata come voce gallica, ma anche come preromana; ha dato oltre a ciotu “buco scavato nel terreno”, ciotu “buca grande” latino medievale CLOTTA, il toponimo i Cioti, ciuteti “piccole buche per il gioco della palla”, forme condivise dal pignasco e da altri dialetti delle valli, in sanremasco sotu e sota, piemontese ciot e sot, provenzale e catalano clot e provenzale anche cloto e clouet..
KLAPPA è deverbale di un onomatopeico KLAPP “spaccare”, ma anche un tema mediterraneo per “roccia” > ciapa “porzione di roccia pianeggiante e lastra di pietra”, toponimo a Ciapa, e Ciape nomi di scogli, ciapa d’u barcun “davanzale”, ciapa de màrmaru “lastra di marmo”, il provenzale clapo “pezzo di pietra”; diminutivi ciapeta, ciapela “piastrella”, ciapeleta “pastiglia”; ciapun “ferro di cavallo”, ciapunà “ferrare”; ciàpura “trappola” (formata da una pesante lastra di pietra tenuta in posizione inclinata, in equilibrio instabile, a mezzo di un bastoncino a cui è solidamente fissata un’esca; era un tempo usata per la caccia alla volpe, alla faina e agli uccelli), dà un denominale AD KLAPPARE > aciapà “prendere in trappola” e poi genericamente “acchiappare”, che potrebbe risalire allo stesso etimo. Da EX KLAPPARE > scciapà “dividere la roccia in lastre” e “spaccare, detto anche del legno”; deverbale scciapa “pezzo di un oggetto spaccato in due o più parti”: scciapa de limun, scciapa de cü “natica”; scciapu “stoviglia e coccio”; derivati simili si incontrano nell’antico dominio ligure dell’Italia settentrionale.
Il toponimo ventimigliese u Cioussu "terreno coltivabile all'interno della mura cittadine" è quasi certamente un prestito genovese, anche Genova ha un uguale toponimo.
Da SUILLA "troia" si è passati in provenzale attraverso SUILA a souiro "bagascia", questa voce usata dai pastori provenzali, come scongiuro per allontanare i lupi o come insulto ai vecchi cani. Ha analogo significato il ventimigliese suira: pesso de soyra "sudicione" (Orengo - sonetti 1650) e nella frase l'é cume dì suira a in can "è cosa inutile come dire suira a un cane".
Numerosi prestiti arabi, sono stati assimilati con notevole assonanza fonetica: zafaran > safràn “zafferano”; qatran > catràn “catrame”, rumman > rumàn “contrappeso della stadera”; ramadan “quaresima mussulmana” > rabadàn “baccano”; makahazin, con metatesi > mazaghin “magazzino”; hassasin “drogato con hassis (canape indiana)” > asciascin “assassino”; miskin > meschin “poveretto”; samin > zemin “condimento contenente aglio, prezzemolo e vino, in cui si cuoce pesce o carne”; qutun > cutùn “cotone”; maimùn “scimmia” > (gatu) maimùn “scimmia” e poi “bestia favolosa”; latun “rame” > lutun “ottone”.
La forma barma è diffusa a Ventimiglia: barme dei Balzi Rossi (Grimaldi), Barma Arabica o Rabica, di Urmi “degli Olmi”, Bagneta, Campeti, di Cupei “dei fabbricanti di cupi (tegole curve)”, Baussu Scciapau “balza spaccata”, Granela (sulle alture alla sinistra del Roia). Nei dialetti delle vallate è preponderante arma (Vallecrosia) Arma Antiga, (Pigna) Arma Berlena, Armauta, Valun de e Arme, Armela, Armeta, Armissi.
Dal tema mediterraneo GHERBA "terra incolta" e, forse per contaminazione con HERBA, "terra erbosa", passata in latino medievale GERBU, si ha nel primo significato zerbu, nelle frazioni e vallate gerbu, nel provenzale gerb.
Da RESECARE o dal greco RHIZIKON “scoglio”, che in greco-bizantino ha relazione con “sorte, pericolo”, potrebbero derivare le forme ventimigliesi rézegu, col denominale rezegà; genovese réizegu, reizegusu e arreizegà; provenzale rézegue e il latino medievale RISICU, che potrebbe essere una ricostruzione sui dialetti liguri, specialmente verso la seconda ipotesi. La formula “usatissima nei contratti mercantili del medioevo “ad risicum et fortunam Dei maris et gentium” mette in rapporto la parola con i viaggi per mare, rendendo verosimile l’ipotesi che sia stata introdotta durante il tardo dominio bizantino sulla Liguria, durato fino al 638. A una base RHIZJKON (RISICU) non si oppongono difficoltà d’ordine fonetico, essendo il passaggio della z greca alla “s sonora” normale in Liguria. Le forme genovesi e piemontesi réizigu, réizi, sembrano confermare l’origine della “s sonora” da una “z”. Dal ligure la parola dovrebbe essere passata al toscano e dall’Italiano al francese risque. Da RESECARE viene certamente come deverbale il ventimigliese rességa “risega di un muro o di una tavola”.
Dal tedesco medievale winde, si hanno i ventimigliesi ghindu e ghindaru “guindolo”. A Ventimiglia usato nella frase:"pumpa, ghindu !", come sprone a "forza !".
Dal greco KARIBARJA “mal di testa”, attraverso il francese antico charivari e le numerose forme occitane, con relazione semantica dovuta agli effetti della rumorosità, deriva il latino medievale CHIARAVUGLIU, riportato nel “Tracratus de gabellis Vintimilli”, che corrisponde all’attuale ciaravügliu “chiassata notturna che si faceva agli sposi in seconde nozze per ottenere il pagamento di un’indennità o un’offerta di vino e cibarie, denominata spaudu”.
Da ALGA, il ventimigliese arega "posidonia", delinea i verdi banchi sottomarini, che rilasciano gli scuri filacci delle foglie dismesse; questi spinti dalle onde del mare vanno a formare importanti depositi sulle spiagge riparate, gli aregai, che erano usati come concime.
Ricorrenza del 2 febbraio, la candelora riceve contaminazione da CANDELARUM + CEREORUM, rappresentando un genitivo fossile, da considerare però forse un prestito provenzale, come l’intero proverbio: candelora neva o plora de 1’invernu semu fora “se nevica o piove alla Candelora siamo fuori dell’inverno”, tenendo conto della forma del provenzale antico plora “pioggia”.
Da considerarsi numerale collettivo, limitato alle forme plurali çincàiri e duzàiri; il primo proverrebbe da QUINQUATRUS “festa di Minerva della durata di cinque giorni”, giacché è appunto çincaìri, usato per indicare i due ultimi giorni di marzo e i primi tre di aprile, che Marzo, in una leggenda popolare, si era fatto imprestare da Aprile per castigare col maltempo un pastore, reo di avergli mancato di rispetto. Anche duzairi, che potrebbe non avere una simile base latina, ma essere forma analogica, è parola del folclore con cui vengono indicati i primi dodici giorni di ogni anno, dalle cui vicende metereologiche si traevano auspici sul tempo dei dodici mesi seguenti.
Nelle interrelazioni personali, influenzato dalla presenza spagnola, dopo il XV secolo, entra in uso il "vostra signoria" vuscià, che prevedeva l'uso del relativo pronome debole soggettivo scià; riservando il vui alle classi popolari.
Deverbali di EXUMBRARE sono certo il catalano sombra e il francese sombre, mentre il ventimigliese sciumbria "ombra", conta più su SUBUMBRARE.
Dal tedesco Luder “persona disgustosa, mascalzone" si sono avuti numerosi continuatori nei dialetti dell’Italia settentrionale, con significati analoghi, ma anche più spesso col senso di “ghiottone” che è del genovese lüdru (specialmente nella frase mangià cume in lüdru, diffusa in tutta la Liguria). Questo cambiamento di significato potrebbe “lontra”, considerata un animale vorace, che ha dato il genovese lüddria. A Ventimiglia (il fiume Roia era forse l’unico habitat della lontra in Liguria) LUTRA ha dato l’esito fonetico luira, passato anche al monegasco.
MASKA sarebbe un tema mediterraneo che indicava “guancia” e “strega”, significati conservati nel ventimigliese masca, con i derivati mascheta “testina di vitello”, mascà “schiaffo”, amascarà “tingere la faccia col carbone”, da cui il derivato màscara “maschera”. MASCARARE e il provenzale mascarar “tingere la faccia” e all'arcaico maskara da cui, attraverso l’italiano maschera, sarebbe passato nelle parlate romanze occidentali, il termine masca ‘strega”. Qualunque sia la vera etimologia, i due concetti non debbano essere separati: nell’annerire la faccia o alterarne i lineamenti con un sughero bruciacchiato consisteva la maschera di carnevale delle classi popolari italiane fino all’inizio di questo secolo, in alternativa alla maschera di stoffa o di cartapesta delle classi più agiate.
Si chiama a seréna l'esposizione notturna di medicamenti che si faceva con la convinzione di migliorarne le proprietà.
Dall'italiano antico lucciare “luccicare”, è derivato il corrispondente dialettale lüssà, il cui deverbale lüssa si è conservato nei composti col tema onomatopeico parpa, come per il ventimigliese parpagliun “farfalla”; in parpalüssa, o papalùssa, letteralmente “farfalla luminosa”, usato in alcuni comuni della Val Roia, per indicare la “lucciola”. Dallo stesso deverbale, col suffisso diminutivo -eta > lüsseta, usato in Val Nervia per “lucciola” e per “lacrima”.
La forma onomatopeica sgrissaru, "Silene Cericea", letteralmente: pianta che crepita, il cui frutto a forma di piccola otre scoppia, battendolo contro qualcosa. Di medesima origine, è il ventimigliese sgrissura "raganella meccanica" usata nello strepito della Settimana Santa. Ambedue deverbali di sgrissà "crepitare su azione". Il frutto dello sgrissaru è chiamato anche sciacapeti, composto da sciacà "schiacciare" e peti "scoppi".
Quale prestiti dal francese in -ösa, usiamo durmösa "poltrona a sdraio", lescivösa "vasca per il bucato" e baladösa "lampada da lavoro, vegliösa “lumino da notte”, barbutösa “mescolatrice per la concia; ma anche i mestieri femminili: vendösa "venditrice, commessa", picösa "cucitrice a macchina", ampliato in seguito con: stirösa "stiratrice" e pentenösa "pettinatrice".
In ventimigliese, il nome del basilico non è passato attraverso il latino BASILICU, ma proviene direttamente dal greco BASILIKON "erba del re", con l'inserimento di baixà. La glossa latina avrebbe dato baséregu, mentre quella greca darebbe baixiricò, della quale il primo segmento è stato però interpretato come bàixa, per influenza di altri nomi di piante, come baixadone "papavero" e baixapreve "lauro rosso". Nella frazione Trucco, lo stesso basilico diventa baixanicò, interpretato come "bacia Nicola".
In ventemigliusu la “premura”, intesa come “fretta”, è cùita, che deriva da COITARE, un deverbale di COEO - COEIS - COÌI (COIVI) - COITUM - COIRE: “unirsi”, “radunarsi”, “accoppiarsi”. Essendo stato verbo frequentativo di ANDARE, assumerebbe il significato di ANDARE a COIRE, determinando per la glossa cuita il concetto di “fretta di andare ad unirsi”.
In cambio degli esiti in -nze, nelle frazioni rurali e nelle valli intemelie sono generalizzati questi esiti: tigne “ungere”; pugne “pungere”; sfragne “frangere”; ciagne “piangere”; stregne “stringere” e in Pigna, anche tegne “tingere”. La Petracco-Sicardi suggerisce che queste forme siano dovute a influenza del provenzale, che ha infatti: ougne, pougne, fragne, plagne “piangere”; tegne.
Da EXPURGARE si formano gli esiti popolari spurgà “bagnare con un getto d'acqua”, col deverbale spùrga “spruzzata” e il derivato spurghignà “piovigginare a tratti”.
Da RANA, in ventemigliusu si ha raina, presente anche in Lombardia, nell’Emilia occidentale e nella restante Liguria, con il genovese ràna, che dovrebbe provenire dalla base RANIA il cui esito sarebbe però ragna, come lo prova la forma piacentina e il pignasco e monegasco ragnura da RANIOLA. Il francese antico raine, normale esito davanti a nasale a partire dal XII sec., dà per il provenzale rana, mentre la forma del provenzale antico è raina, prova evidente di diffusione dell’esito francese, conservato come raino nel provenzale moderno; dunque, anche in Alta Italia, potrebbe trattarsi di un prestito francese diretto o attraverso il provenzale.
Nel proverbio zenà patelà “gennaio mese propizio alla raccolta delle patelle” si conserva una forma aggettivale in -ARIU.
Numerose parole del ventemigliusu sono state adottate con la semplice riproduzione della forma fonetica francese: agrément > agreman “favore”; allez > alé “muoviti”; débat > debà “processo”; débit > debì “rivendita di tabacchi”; fainéant > fenean “fannullone”; foutre le camp > fùtisene u can “scappare” con scambio di cane per campo; kilo > chilò; lambris > lambrì “fregio”; mendiant > mandian “vagabondo”; rang > ran “strato”; tant pis > tanpì “tanto peggio”; train > tren “tenor di vita e treno” ecc.
Altre parole dal francese, sono legate a differenti esiti di consonanti : boature > butura “barbatella”; cacheter > cacietà “sigillare”; barbotage > barbutagiu “beverone”; maraude > maroda “furto campestre”; bidet > bidé boudin > budin “sanguinaccio”; bascule > bassacùla “bilico”; balourd > balurdu “stordito”; rebut > rebü “gente malfamata”; toupet > tupé “faccia tosta”; dal francese antico: rape > rapa dà il collettivo “raspi”; tricot > tricò “lavoro a maglia”; secouer > secuà “scuotere”; plafond > plafun “soffitto”; refente > refenta ‘‘travicello’’; bouger > bugià “muovere”; étagère > stageira “scaffaletto”; géne > gena “soggezione”; jatte > sgiata fondina”; jalon > gialun “biffa”; jargon > giargun “gergo incomprensibile”; chagrin > ciacrin “afflizione”; chantier > cianté “cantiere”; manche > mancia “tubo”; charron > ciarrun “carraio”; chapuiser > ciapüssà “lavoricchiare”; chiffonner > cifunà “sgualcire”; dal francone gaspia/gache > gacia “bocchetta della serratura”; mache fer > maciaferru “scoria di ferro”; taloche > talocia “appianataio”; dal francese antico locher > lucià “oscillare”; ma anche becher “beccare”, che ci ha portato becià “coire”, il francese moderno usa in questo senso baiser, che a partire dal XVII secolo è stato sostituito nel significato di “baciare” con embrasser.
In altre parole dal francese, cambiano consonanti, vocali e dittonghi : gaillardise > gagliardixe ‘‘forza”; gourmandise > gurmandixe “golosità”; grise > grixa “grigia”; dal francese antico cosin > cuxin “cugino”; assaisonner > assaixunà “condire”; mortaise > murtaixa “incavo per l’incastro”; cible > scibra “bersaglio’’; in francese antico gifles “guancie” > gifre “orecchioni”; clique > crica “combriccola”; fléche > frecia “fionda”; blouse > belusa, un termine arcaico, con l’inserzione di una “e”.
Sempre dal francese, nei prestiti più recenti si conservano: planche > plancia “tavolato”; plinthe > plenta “battiscopa”; plissé > plissé “pieghettato”; blague > blaga “millanteria”; bleu > blö “colore blu“; bloc > blocu “blocco”; flacon > flacun “flacone”; barbier > barbé “barbiere”; dal francese antico pasticier > pastissé “pasticciere”, jardiniére > giardineira “giardiniera“; rivière > riveira “riviera“; char-à-banc > ciaraban “carro a sedili”; can-can > cancan “chiasso”; volant > vulan “guarnitura di stoffa”; refente > refenta “travicello”; relent > relentu “puzzo di muffa”; sergent > sargente ”morsa movibile”; coquin > cuchin “mascalzone”; jausemin > giausemin “gelsomino”; dal francese antico velin > verin “veleno di animali”, billon > bilun “pezzo di tronco”; camion > camiun “autocarro”; gueridon > ghirindun “comodino”; jambon > giambun “prosciutto”.
Per adeguamento fonetico di verbi dal francese: debaucher > desbaucià “corrompere”; saigner > sagnà ”salassare”; dal francese antico: esguarier > asgairà “sciupàre”; taquiner > tachignà “infastidire”. Desinenze femminili: brosse > brossa “spazzola”; brouette > brueta “carriola”; lambourde > lamburda “trave”; pastèque > pasteca “anguria”; bouture > butüra “barbatella”; poule > pula “pollastra”; dal francese antico: paielle > paiela “padella”; tole > tola “latta”. Nomi maschili: bout > butu “cicca”; briquet > brichetu “fiammifero”; cric > cricu cricco”; dégourdi > degurdìu “scaltro”; cocu > cugüu “cornuto”; in francese antico: rape > rapu “grappolo”, rave > rava “rapa”.
Molti prestiti dal provenzale ci sono arrivati col francese, ma un certo numero giungono direttamente dal provenzale: cadeno > caena “catena“, bandado > bandada “sponda dei carri”; il più antico: roda > röa, ma anche roda “ruota”, agliado > agliada “salsa con aglio”; aurado > urada “orata, pesce”, l'arcaico batil “cosa senza valore” ha dato de bada “gratis”; rate “zattera” ha dato radeu “carico di botti che veniva scaricato in mare dai velieri e tirato sulla spiaggia con argani. In alcune parole si conserva l’esito arcaico: abelha > abeglia “ape”, accanto all’autoctono ava; cabano > cabana “capanna”; sabo > saba “sapore disgustoso soprattutto dell’olio o del vino”; pauchonà “pungolare” > spuncià “spingere”, con i derivati spunciun “spinta” e spunciunà “dar piccole spinte”, paunchudo > murru punciüu “muso appuntito” nome di alcune varietà di pesci marini; ma anche punciotu “punzone per forare la pietra”; auncha “ungere” > uncissu “persona sporca”. Dalla meteorologia ci giungono: aquado > aigada “pioggia dirotta”; traunado > trunada “serie di tuoni“, ventado > ventada “tempo ventoso”: levantado > levantada “intenso vento di levante”; punentado > punentada “intenso vento di ponente”; mistralado > maistralada “intenso vento di maestrale”; seirocado > scirucada “intenso vento di scirocco”.
“p” intervocalica semplice dà “b” in provenzale, “v” in francese e in ventimigliese.
MURRU > murru, col significato di muso e sporgenza a forma di muso dei declivi fra due rigagni, come è rilevabile nel toponimo Murrudebò, territorio con gruppo di case, chiuso dalla cinta muraria cinquecentesca cittadina, sull'angolo di Nord-Ovest.
EVOLUZIONE dei DIALETTI LIGURI