NOTAI NEL MEDIOEVO
A VENTIMIGLIA
Giovanni Di Amandolesio
Nell’Archivio di stato di Genova si conservano due cartolari notarili, i quali contengono quasi un migliaio di atti, per la massima parte rogati a Ventimiglia, dal notaio Giovanni di Amandolesio, fra il 1256 e il 1264; dai quali si possono dedurre interessanti momenti di vita, ora che sono stati pubblicati.
Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio - due volumi a cura di Laura Balletto -
Istit. Intern. di Studi Liguri, Bordighera 1985
I TARTARI
di Luigino Maccario
Nel 1223, gli uomini delle tribù Mongole che invasero la Russia, erano chiamati Tartari: ma in quel tempo, a Ventimiglia le notizie sulla battaglia che Gengis-Khan, guidandoli, vinceva a Buchara, con conquiste fino a Samarcanda, erano offuscate dalla occupazione genovese subita di recente.
Gengis morirà attorno al 1227, ma suo nipote Batù-Khan, nella battaglia di Liegnitz del 9 aprile 1241, sconfisse i principi tedeschi e polacchi, ma dovette arrestarsi a causa delle forti perdite subite.
Batù morirà nel 1256, ma ancora dieci anni più tardi, l’imperatore Corrado IV di Svevia, come aveva fatto Federico II, teneva viva la crociata contro i Tartari, alla quale partecipavano tutte le “nazioni” europee, invogliate da papa Urbano IV.
Avendo aderito a quella Crociata e volendosene ritirare, il 6 maggio del 1256, il cittadino genovese Guglielmo di Voltaggio, residente nei castelli di Ventimiglia, preferiva versare un cospicuo sussidio a frate Rainerio, guardiano dei Francescani, nella nostra città; ottenendo da questi l’indulgenza papale, che lo assolveva dall’impegno della crociata e dalla conseguente scomunica.
Verso le otto di mattina, ingaggiato il notaio Giovanni de Amandolesio, Guglielmo si recava con questi davanti al portone del convento francescano, dove, alla presenza di frate Rainerio che ritirava il sussidio, avrebbe redatto l’apposito rogito.
LA VOCE INTEMELIA anno LXII n. 6 - giugno 2007
PERCORRENZE PER COMPOSTELA
di Luigino Maccario
Dagli atti rogati nell’anno 1260, dal notaio Amandolesio, apprendiamo come fosse diffusa la percorrenza sul nostro territorio per ottemperare alla pratica del pellegrinaggio per il Santuario in Galizia, come nel caso di Rainero Anfosso, che il 5 dicembre di quell’anno, nel testamento, dispone che siano consegnate ben quattro lire a chi vuole recarsi per lui a Compostela.
Anche Domenico Cambiaso ci fornisce notizia di come Ventimiglia fosse posta lungo uno degli itinerari di pellegrinaggio per la via della Spagna.
Sempre nell’anno 1260, Ascherio Marengo si ammalò in Ventimiglia mentre era diretto a Santiago, volle che fosse dato del denaro a chi avesse proseguito il viaggio per lui.
La presenza della località detta Martinazzi, alle falde della collina di Siestro, segnala un insediamento dedicato a San Martino, sul tratto del più importante tra i percorsi dal crinale al mare ed alla viabilità romana.
Anche San Martino era considerato protettore dei pellegrini, proprio di quelli che si recavano in Galizia, avendo sovrapposto la sua figura alla divinità celtica Lug, che in epoca precristiana conduceva già i pellegrini a Compostela, riconoscendoli però col marchio della zampa dell’oca, sacra a Lug dal corto mantello ed conseguente attributo di Martino.
La figurazione della zampa dell’oca è molto simile alla conchiglia pellegrina, che prelevata sulla spiaggia di Finisterre, oltre al marchio del pellegrinaggio d’oggigiorno, aiutava nel prelevare l’acqua per bere, lungo il cammino.
Un’altro modello iconografico vede San Giacomo “matamoros”, che era sceso dai cieli, montando un cavallo bianco e portando una bandiera crociata, per difendere i cristiani impegnati nella “Reconquista” delle terre occupate dai mussulmani.
La leggendaria apparizione dell’apostolo, durante la battaglia di Clavijo, nell’anno 850, al re delle Asturie, Ramiro I, portò alla vittoria l’esercito cristiano. Già durante l’assedio di Coimbra, nel 1064, le truppe invocavano Giacomo matamoros, quale patrono in battaglia.
LA VOCE INTEMELIA
MAESTRI ANTÈLAMI - XIII secolo
di Fulvio Cervini
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Le peculiarità tecnico-formali della compagine ventimigliese sono condivise da portali e parati lapidei realizzati nel corso del XIII secolo, sia a Genova che nelle due Riviere, dai magistri antélami.
Originari delle regioni comasche e ticinesi, ma perfettamente ambientati in Liguria fin dalla metà del secolo precedente, essi detenevano del mercato edilizio e ornamentale genovese una sorta di gestione monopolistica. Intorno alla metà del Duecento, quando Genova estese nel resto della regione, e soprattutto nel Ponente, la sua egemonia politica e militare, gli antélami tennero dietro alle truppe d’occupazione ed ebbero buon gioco nell’esportare la propria maniera anche in provincia.
La loro professionalità nel campo dell’arte di costruire edifici e di tagliare la pietra era ineccepibile: sapevano innalzare di tutto, dalle cattedrali alle macchine da guerra, e sempre con risultati di efficace e dignitosa qualità. Più deboli come scultori tout-court, si dedicavano soprattutto ad una plastica di moderato corredo all’architettura.
Che a Ventimiglia gli antélami ci siano effettivamente stati è confermato pure dalle fonti documentarie. Tra il 1260 ed il 1262 un magister antélami, tale Bertramus, compare nella guarnigione di Castel del Colle insieme a diversi altri artigiani specializzati, dai fabbri ai maestri d’ascia: tutte figure cui i presidi non potevano rinunciare, perché indispensabili alla regolare manutenzione degli armamenti e delle fortificazioni.1
Come i loro colleghi di Castel d’Appio e della Rocca, anche costoro erano soliti esercitare il proprio mestiere in città, fuori servizio, per arrotondare lo stipendio. Siccome pare che avessero preso l’abitudine di farlo anche durante le ore in cui avrebbero dovuto montare la guardia ai castelli, Guglielmo Boccanegra firmò nel 1258 un mandato che intimava la cessazione di questa pratica.2
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1 L. Balletto, Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1258 al 1264, Bordighera 1985, docc. 247, 349, 405, 435, 470. Nel 1254 un altro antelamo, Blancus de Molzano, lavorava a Sanremo: cfr. (anche per Ventimiglia) F. Cervini, Fortificazioni e struttura urbana a Taggia nel Duecento, in «Rivista Ingauna e Intemelia», XLV (1990), pp. 104-105.
2 L. balletto, Atti rogati..., cit., 1993, docc. 208, 216, 217; A. M. Boldorini, Guglielmo Boccanegra..., cit., pp. 184-185.
Fulvio Cervini - La «resistenza al gotico» nella Liguria duecentesca -
Il portale della cattedrale di Ventimiglia - da INTEMELION n. 2 - 1996
ATTI ROGATI DA GIOVANNI BALLAUCO
XIV secolo
Repertorio pubblicato da Fausto Amalberti, nel 2010
In un repertorio relativo a notai ventimigliesi di Quattro e Cinquecento, Fausto Amalberti ci rivela tre atti, rogati da Giovanni Ballauco, inerenti episodi inconsueti appropriati alla civiltà d’allora.
Il 6 luglio del 1494, Bernardo Biancheri di Vallebona, in procinto di partire via mare per Napoli, temendo di poter morire durante la traversata che è valde periculosa, prima di partire fa testamento a favore della moglie Ginevrina Amalberti, di Soldano.1
Il 3 agosto 1496, Battista Amalberti, tessitore di tela di Soldano, che abitava però a Bordighera, prometteva ad Ampelio Pallanca di Bordighera di tenerlo ospite presso di sé, per insegnargli l’arte del tessere. Ampelio oltre a promettere di rimanere ospite finché avrà sufficientemente imparato, consegna a Battista un terreno in località la faxia de lo morin; un appezzamento sito nei pressi di un mulino. Battista prometteva ad Ampelio la consegna di un telaio con i suoi accessori una volta che sarà finito il periodo di apprendistato.2
Il 28 novembre 1509, Napoleone Boero di Breglio, assieme al ventimigliese Giorgio Langasco e a Michele Amalberti di Soldano si impegnano a costruire un beudum, una canalizzazione per portare l’acqua al mulino di Lamberto Casanova di Ventimiglia, posto in località Iubernon. Lamberto promette di pagare 110 fiorini al termine del lavoro fatto ad arte.3
1) SASV, Atti dei Notai di Ventimiglia, n. 59, notaio Giovanni Ballauco, c. 63sd
2) SASV, Atti dei Notai di Ventimiglia, n. 60, notaio Giovanni Ballauco, c. 119s
3) SASV, Atti dei Notai di Ventimiglia, n. 52, notaio Giovanni Ballauco, c. 287sd
Federico Zoni
Magistri antelami tra Genova, Liguria di Ponente e Ventimiglia
Attestazioni documentarie e alcune considerazioni (secoli XII-XIII) - parag. 4
da INTEMELION n. 19 - Brigati - Pontedecimo 2013
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4. Ventimiglia
La situazione documentaria di Ventimiglia non ha lasciato un corpo statutario organico. Di esso ci è pervenuto soltanto un bifoglio pergamenaceo, stralcio di uno statuto d’inizio Trecento, la cui lettura difficoltosa non ha permesso di colmare tutte le lacune a causa dell’impossibilità di operare una comparazione con altre stesure statutarie successive.
Gli unici capitoli superstiti riguardanti categorie lavorative trattano l’opera degli estimatori pubblici e sono capitoli presenti anche negli altri corpi statutari del Ponente, grazie ai quali è stato possibile portare avanti una lettura comparativa, particolarmente con quello di Albenga. La similitudine dei testi lascia supporre che si trattasse di un documento dal tenore simile a quello del comune ingauno, basato quindi sull’esempio di Genova in un clima politico di sottomissione e annessione alla Repubblica genovese.
Ventimiglia tuttavia presenta una caratteristica peculiare rispetto agli altri centri liguri sin qui presi in considerazione che emerge distintamente dall’esame di uno dei due cartulari rogati da Giovanni di Amandolesio. I 656 atti che compongono il registro notarile esaminato ci restituiscono una rappresentazione della società ventimigliese di XIII secolo piuttosto trasversale, nella quale sono numerose le attestazioni di magistri. Compaiono infatti in 33 casi con specificazioni professionali diverse e in negozi giuridici di varia natura.
Sono ben riconoscibili 10 attestazioni esplicite di magistri antelami, tutte riferite a due personaggi: Bertramus de Cumis magister antelami e Balduinus de Vaure magister antelami.1 Il loro riconoscimento ha permesso inoltre di ampliare le attestazioni a 16 casi, grazie alla lettura incrociata dei documenti, mettendo in relazione la comunanza dei testimoni e del luogo in cui fu redatto l’atto.
Tutti i casi che riconducono alla presenza di un magister antelami sono redatti nei castelli di Ventimiglia, dove si trovavano le sedi dei presidi genovesi nella città: il castrum Collis era il luogo dove risiedeva stabilmente magistro Bertramo, il castrum Apii e il castrum Roche quelli dove risiedeva magister Balduinus de Vaure.
Oltre ai luoghi, sono indicativi i negozi giuridici stessi e gli attori coinvolti. Sono tutti degli affidamenti di procura da parte degli uomini dei vari castelli nei confronti di un personaggio, variabile di volta in volta, al quale toccava l’incarico di riscuotere il compenso a loro dovuto dal comune di Genova per il servizio prestato a guardia del castello.
I partecipanti sono attestati come conestabiles e servientes e hanno qualificazioni varie come notai o scribi, magistri assiae, medici, arcieri, taliatores, balestrieri, tintores, ferrariis, calegariis, giudici, un muratore, un bancherius, porterii e due magistri antelami.
Spesso nei vari atti, relativi ai diversi castelli del Colle, della Rocca e d’Appio, si riscontrano i nomi degli stessi personaggi. Si evince una presenza stabile di queste persone durante gli anni in cui furono redatti i documenti, attestata in 30 unità per il castello del Colle, 25 per il castello della Rocca e 18 per quello d’Appio.
A differenza di quanto si è notato nei cartulari savonesi, siamo di fronte ad un’attestazione sicura della presenza di maestranze antelamiche nel Ponente ligure. Tuttavia la particolarità delle attestazioni è molto evidente. Gli Antelami compaiono quasi esclusivamente in contesti genovesi di presidio militare, con relazioni economiche esclusivamente in direzione del comune di Genova. L’unico caso in cui un magister Antelami è citato in un documento redatto al di fuori di uno dei presidi castrensi è quello in occasione del testamento di Guirardus magister assie: Bertramo magistro antelami presenzia come testimone all’atto redatto il primo di agosto dell’anno 1261 in domo Fratrum Minorum de Vintimilii.
La quasi totalità delle carte restanti sono di natura varia (permute, compravendite, doti, testamenti, ecc.) e toccano a più livelli la società del comune di Ventimiglia. Non è da escludere che la presenza esclusiva in questo tipo di documenti, nei quali compaiono gli antelami, fosse dovuta alla particolare figura del notaio Giovanni di Amandolesio, anch’egli attestato in due casi tra i servientes del castello della Rocca di Ventimiglia, dove avrebbe quindi prestato servizio per conto del comune di Genova, curando gli interessi notarili che la dominante esercitava in città.2
Tra le prerogative politiche che Genova si arrogava nei trattati con le città sottomesse vi era la nomina del podestà, del giudice e del notaio, che dovevano essere di estrazione genovese.
La base del controllo territoriale era l’esportazione di un modello politico che veniva proposto in termini di emancipazione dall’egemonia signorile precedente. Genova continuava questa politica ancora nel XIII secolo sempre a danno delle residue rivendicazioni da parte del potere comitale che a Ventimiglia e nel suo entroterra aveva continuato a mantenere solide basi.
Alla luce della documentazione nota sembra di poter vedere un ruolo particolarmente attivo di Genova a Ventimiglia, in contrapposizione alle altre città del Ponente. Troviamo, ad esempio, diverse attestazioni della presenza dei consoli del sale, gli addetti alla riscossione delle gabelle derivanti dal trasporto del sale, che nel caso di Ventimiglia sono sempre attestati in atti rogati nei castelli genovesi. Nel complesso si percepisce un contatto molto forte tra Genova e Ventimiglia. Una presenza piuttosto compatta del capoluogo ligure nella zona intemelia. Questa presenza forte che si attesta con ben tre castelli, uno dentro la città e due nelle prossime vicinanze, era dovuta alle vicende che interessarono l’evoluzione della presenza genovese nel Ventimigliese. La città fu il primo centro ligure del Ponente a subire una vera e propria dominazione diretta ottenuta con aperte azioni militari e i rapporti rimasero tesi anche dopo la conquista a causa delle dure imposizioni genovesi. Queste portarono a diverse rivolte che motivarono la necessità dei presidi militari stabili.
In questo contesto, l’attività dei magistri antelami, che troviamo attestati a livello documentario tra il 1258 e il 1264, è comprensibilmente iniziata non come parte attiva della vita sociale e cittadina di questa città, ma, piuttosto, funzionale al mantenimento delle strutture militari relative ai presidi genovesi. Questo dato è da mettere in relazione con quella che probabilmente fu l’evoluzione della presenza di queste maestranze sul territorio. E noto che i servientes dei castelli dovettero incominciare ad arrotondare la loro paga, secondo quanto rilevato da Alberto Boldorini, praticando le loro professioni anche privatamente e al di fuori dei centri fortificati, così come avvenne per altri centri come, ad esempio, Portovenere. A Ventimiglia, forse, questa pratica si diffuse più di quanto fosse loro concesso.
«Se non fosse così», per usare le parole stesse del Boldorini, «non si capirebbero né l’insistenza del Boccanegra (Guglielmo, Capitano del Popolo dal 1257 al 1262) perché si abolisse questa usanza, né la minaccia di una multa pecuniaria, implicita nell’obbligo fatto ai castellani di segnalare i disubbidienti ai duo nobiles super munitione castrorum constituti. Se in altre località era permesso ai soldati di esercitare il proprio mestiere durante le ore della libera uscita, questo doveva essere permesso anche a Ventimiglia, a meno che non si voglia pensare che per le guarnigioni ventimigliesi vigesse un ordinamento speciale».
Tuttavia colpisce la mancanza di un qualsiasi atto riguardante una commessa o un pagamento di un magister antelami al di fuori di uno dei castelli e, verosimilmente, la necessità di un intervento del Capitano in persona lascia presupporre l’importanza del controllo militare in questa zona. Se ciò avvenisse in funzione delle sacche di potere comitale, ancora presenti nell’entroterra, verso i territori di Tenda, o in funzione della natura di territorio di confine di Ventimiglia con le terre di Provenza - e con le mire espansionistiche di Carlo d’Angiò - o, ancora, per problemi disciplinari e di amministrazione interna alla burocrazia genovese, rimane difficile stabilirlo.
Gli antelami, nel Ponente ligure, dovevano essere dunque una presenza che il comune di Genova tentò di mantenere - come gli altri servientes e conestabiles - alloctona rispetto alla società cittadina ventimigliese, in quanto la loro mansione, legata alla manutenzione dei castelli genovesi, era funzionale al controllo politico e militare del territorio.
È interessante notare, da ultimo, come tra gli uomini del presidio genovese vi fossero diversi membri dell’aristocrazia cittadina del capoluogo, tra i quali proprio i della Volta, i cui rapporti clientelari con le maestranze antelamiche sono già stati evidenziati nel contesto genovese.
NOTE:
1) Prime considerazioni sulla presenza di magistri antelami a Ventimiglia, in relazione ai manufatti di XIII secolo dell’arredo urbano della città medievale, furono avanzate da Fulvio Cervini, La “resistenza al gotico” nella Liguria duecentesca. Il portale della cattedrale dì Ventimiglia, in «Intemelion», 2 (1996), pp. 19-46. Su una probabile loro presenza anche nella Taggia medievale v. Id., Fortificazioni e struttura urbana a Taggia nel Duecento, in «Rivista Ingauna e Intemelia», XLV (1990), pp. 104-105.
2) Tra i servientes del castello della Rocca di Ventimiglia, il 17 agosto 1262, compare Iohannes de Mandolexio, notarius subscriptus, scriba: L. BALLETTO, Atti rogati a Ventimiglia ... dal 1258 al 1264 cit., doc. 485, p. 448. Il primo maggio 1263 è ancora attestato tra i servientes: Ibidem, doc. 556, p. 516.