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Secolo di sovvertimenti Guelfo-Ghibellini,”

di peste, di Scismi e di Confraternite

 

TRECENTO

SMEMBRATO

    Nei territori della Contea di Ventimiglia, il XIV secolo iniziava con l’attuazione delle mire provenzali, portate a compimento da Carlo II d’Angiò, lo Zoppo, il quale, transitando verso Napoli, concedeva la rocca di Monaco al Comune di Genova, che a sua volta la infeudava alla famiglia Spinola, togliendola ai Grimaldi.

    Intanto che il papa francese Clemente V trasferiva la sede ad Avignone, Roberto d’Angiò succedeva al padre Carlo II, proprio quando l’imperatore Enrico VII scendeva a Milano, ossequiato da Genova, che dopo poco tornava in mano ai Guelfi, i quali ripresero anche il controllo della Rocca di Monaco, seguita dall’occupazione di Dolceacqua; mentre i Ghibellini cercavano inutilmente di assoggettare Nizza.

 

Seconda campagna provenzale sulla frontiera

di Filippo ROSTAN

    Nell’anno 1328, il Re Roberto d’Angiò ottiene dai guelfi genovesi che il suo governatorato gli venga protratto per altri cinque anni e nel 1329, mentre l’Imperatore si fa cacciare da Roma insorta, può iniziare ovunque il contrattacco delle posizioni perdute. In Liguria un esercito al comando di Daniele Torrin, con a fianco le forze partigiane condotte da Carlo Grimaldi, muove dal Nizzardo contro il blocco ghibellino che, ricordiamo, aveva ripreso Ventimiglia e Monaco. Quest’ultima piazza è assediata per mare e per terra e Ventimiglia investita.

    Questa volta lo spiegamento delle forze e delle macchine d’assedio è tale che i difensori della Città si arrendono. Da questo momento la figura del guelfo Carlo Grimaldi assurge in primo piano: egli è fatto Governatore di Ventimiglia e assume la direzione dell’impresa, che non è punto finita. Mentre i guelfi locali riprendono il potere, egli si porta all’attacco di Dolceacqua. Dopo varie settimane di fiera resistenza, Moruele Doria è sconfitto in una disperata sortita generale e a stento si salva nella fuga.

    Dopo Dolceacqua è la volta di Castelfranco, Ceriana, San Remo e Monaco, che finisce per capitolare.

    Vinti i ghibellini, il Re si accinge ancora una volta a conciliare le fazioni. Comincia col consegnare Monaco alla Repubblica, restituisce poi a Gasano Doria Ceriana e San Remo, e a Oliviero i suoi feudi di Isola e Perinaldo, conservando però, in pegno, Dolceacqua e il castello d’Abeglio. Fu indi stipulata la pace fra i suoi sudditi, i guelfi e i ghibellini della regione; pace che vien firmata in Pigna, il 9 febbraio 1331. Chi tratta in nome suo e dei guelfi locali è Carlo Grimaldi, Governatore di Ventimiglia. Egli rappresenta la Città, il Bailaggio, i luoghi di Castellare, Gorbie, Mentone, Roccabruna, La Penna e Sant’Agnese, e con lui firmano i sindaci di Sospello, Saorgio e Breglio.

    Per la parte avversa troviamo Giacomo, Conte di Ventimiglia, a nome suo e delle terre sottoposte, cioè Caravonica, Larzeno, Lucinasco e Maro; Filippo, pure Conte di Ventimiglia, a nome suoi e dei fratelli e per gli uomini e luoghi di Torria; Oliviero Doria a nome suo e di Dolceacqua, Apricale, Isolabona e Perinaldo; Anselmo e Lazzaro Doria per Arma, Bussana, Ceriana, San Remo e Taggia con i sindaci di Triora, Montalto, Badalucco, Baiardo e Castelfranco.

    Qualche mese dopo, il Re indusse anche le fazioni della città di Genova a riconciliarsi, il che fecero in sua presenza, in Napoli, il 3 settembre, sempre nel 1331.

    Poco dopo, a Carlo Grimaldi, fatto importantissimo e gravido di conseguenze, vengono concessi Monaco e Roccabruna, che terrà in nome e per conto della Repubblica. Dobbiamo presumere che tale concessione gli venisse fatta sotto la pressione del Re, il quale, in procinto di lasciare il governatorato della Repubblica e prevedendo un ritorno ghibellino, intendeva assicurarsi i vantaggi di una situazione preponderante sulla frontiera.

    Già con la pace di Pigna la sorte dei guelfi s’era rialzata: ormai con queste due nuove acquisizioni essi hanno la preponderanza assoluta nella Contea, che da Molinetto a Saorgio e Bordighera, più Dolceacqua e Abeglio, tutto è in mano loro o del Re. Stante le loro aspirazioni separatiste la situazione è tale che la più piccola mossa sbagliata da parte di Genova può provocare l’irreparabile. Irreparabile che, grazie allo stato di perpetua violenza in cui la città viveva, non tarderà a prodursi.

Filippo ROSTAN - STORICA DELLA CONTEA DI VENTIMIGLIA - IISL. Bordighera 1971

 

      Carlo I Grimaldi                                Carlo II d'Angiò, lo Zoppo                        Roberto d'Angiò, il Saggio

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    Non tutti gli occupanti genovesi si mostrarono risolutamente antagonisti. Uno dei primi castellani, inviati dal Comune genovese al controllo dei riottosi ventimigliesi, certo Pasquale Visconte, condusse seco la famiglia; sicché il figlio Benedetto che aveva avviato commerci, oltre ad aver partecipato alla pubblica amministrazione, si stabilì in città, creando il ramo ventimigliese dei Visconti, che si esaurì però con la morte delle due figlie nubili.

Zeneva  e  Luchina

di Nino Allaria Olivieri

    Un rogito pergamenaceo datato l’anno 1399, conservato nell’archivio capitolare, e steso dal ventimigliese Notaio Agostino de Balauco, detta: «Le venerabili domine Zeneva e Luchina, sorelle e figlie di Benedetto Visconte, per devozione deliberano e dichiarano, disposte da lungo tempo, per il bene delle loro anime e di quelle dei predecessori loro, di costruire nella Chiesa di Santa Maria di Ventimiglia una cappella sotto il titolo della SS. Trinità e la stessa dotano dei beni ...»

    Zeneva e Luchina. Chi erano codeste ?  La loro personalità, e la condizione patrimoniale si evincono dal contesto delle volontà testamentarie come dalla enumerazione dei beni in loro possesso.

    Due sorelle. Figlie del domino Benedetto, vissuto e deceduto in Ventimiglia, godono buona stima e rispetto dalla popolazione e dai casati locali. A ragione si possono enumerare tra la nobiltà.

Il Padre Visconte Benedetto (vicecomes Vintimilio) ebbe parte attiva nell’amministrazione e nel commercio; rampollo unico di Pasquale Visconte, Castellano di Ventimiglia, (civis Ianuensis) alla morte del genitore preferì stabilirsi in Ventimiglia ove amministrò e aumentò i censi con illuminata attività ed oculati acquisti terrieri. Per legge ereditaria, essendo Benedetto figlio unico, alla morte del padre poté godere di un cospicuo censo, frutto di alcuni diritti di pedaggio alla Porta dei Vacca in Genova. La buona amministrazione e oculatezza accrebbero il censo. Non fu una nobiltà di armi. Troviamo Ido Visconti, Capostipite in Genova. È da lui che discesero tre rami, uno dei quali si stabilì in Ventimiglia.

    E in Ventimiglia con la morte delle sorelle Visconti si estinguerà la casata del terzo ramo.

    Consapevoli del futuro e rassegnate Zeneva e Luchina pensano di affidare, dopo la morte, denari e beni ad utilità spirituale della Comunità.

    Il Vescovo Benedetto Boccanegra, amico e genovese, a cui avevano chiesto consiglio, loda altamente la determinazione e seppe indirizzarle allo spirituale.

    In Ventimiglia spirava aria di scisma, la direzione della Diocesi si faceva sempre più difficile, la Chiesa di Santa Maria abbisognava di sistemazioni e il Capitolo agiva in ristrettezza.

    E in situazione tanto confusa che il 25 settembre del 1399, nella casa di abitazione delle Visconti, si redige il rogito.

    Nella Cattedrale sorgerà, ex novo, una Cappella con altare e ad essa sarà unita una cappellania con obbligo «di essere in essa celebrata una Messa e gli altri uffici divini».

    Le donatrici potranno seguire la nuova costruzione. Nomineranno il primo cappellano nella persona di Bartolomeo Garino. Nel seguire degli anni, dopo la morte delle Visconti, un contrastato diritto di Patronato permetterà il pieno adempimento degli obblighi. Per decreto del Vescovo Galbiati (1574) la Cappellania della SS. Trinità assumerà il titolo di Canonicato della Santissima Trinità; sarà in avvenire ambita investitura.

    Il rogito, riletto in valori censuali e catastali, è di grande interesse. La meticolosità descrittiva dei beni dotali permette la ricostruzione dell’asse patrimoniale agricolo di una famiglia ventimigliese; porta a conoscenza delle culture del tempo, i redditi in deratte, e in qualità. Sono le terre di San Vincenzo: vigne, alberi da frutto, pezzi campili e terre di agrego. Quelle delle “Verenée” anche esse terre di buona posizione e di facile cultura: vigne a moscatello e a rosatello, fichi, agrumi, noccioletti. Alle “Ville” in posizione solatia terre di ottimo reddito. Sparse nel territorio e presso alcune morghe della Comunità pezzi di coltivi a frumento e mescolanze.

Magnifico quadro di una gente laboriosa.

(Archivio Capitolare Curia Vescovile)

 

 

Espansione  savoiardo-piemontese  verso  Nizza

di Filippo Rostan

    Dopo i tracolli dei d’Angiò a Napoli, chi non rimaneva indifferente alle lotte di potere in Provenza era il Conte di Savoia, Amedeo VII. Cominciò coll’impadronirsi dei restanti paesi della Contea di Piemonte, attraversò il Colle della Maddalena e occupò anche qualche villaggio, come Mayronis e Larche in terra provenzale; poi entrò in relazione con i durazzeschi nizzardi, che, non ricevendo aiuti da Ladislao, si trovavano alle strette, e specialmente con il Governatore, Giovanni Grimaldi di Boglio.

    Le trattative vennero condotte con grande segretezza e abilità. Il Savoia non trascurò nessun particolare del piano che preparava. Ottenne da Margherita, Reggente di Napoli, che i Nizzardi potessero scegliersi il sovrano di loro gradimento e nel settembre seguente spiegando la bandiera dell’Imperatore, dal quale aveva ottenuto il titolo di Vicario Imperiale per la Provenza, scese da Chambéry direttamente a Barcellonetta, poi a San Martino e a Nizza. Giuntovi, il 28 dello stesso mese di settembre, venne accolto solennemente dal Parlamento come difensore del paese contro gli Angioini per la durata di tre anni, secondo un patto che venne firmato dal Conte, dal Grimaldi e da quattro delegati del Parlamento. Passati i tre anni, se Re Ladislao non fosse stato in grado di rimborsare ad Amedeo VII le spese sostenute «per la difesa del paese», questo sarebbe passato sotto la sovranità savoiarda. Il 1° ottobre seguente la Vicaria o Bailaggio della Contea di Ventimiglia e Val di Lantosca, capoluogo Sospello, accettava a sua volta il patto di Nizza in base a un articolo aggiunto che riporteremo più sotto. Giovanni Grimaldi, la cui azione ricorda quella del cugino Carlo di Monaco nei riguardi di Ventimiglia, fu nominato Luogotenente del Conte di Savoia per la regione.

    Tre anni dopo, cioè nel 1391, Re Ladilsao non potendo, com’era prevedibile, rimborsare il Conte di Savoia, questi si ritenne sovrano legittimo del paese e come tale venne accettato dalle popolazioni.

    Tre articoli del patto, il quale in verità era stato formulato in previsione del passaggio definitivo ai Savoia, interessano in particolare la nostra Contea; l’articolo primo che dice: «Il Conte di Savoia riceverà sotto la sua protezione la Città e Vicaria di Nizza e luoghi adiacenti che difenderà a sue spese da tutti i nemici, particolarmente dalla Casa d’Angiò e dai Conti di Ventimiglia Signori di Tenda e della Briga»; l’articolo aggiunto, chiesto dal Bailaggio di Ventimiglia, in virtù del quale il Conte di Savoia s’impegnava anche a difendere Pigna dai Doria di Dolceacqua, e finalmente l’articolo diciottesimo che dettava al Conte una precisa linea di condotta circa il Col di Tenda:«Il Conte farà il possibile per rimuovere i Conti di Ventimiglia, Signori di Tenda e della Briga, da quei luoghi, sia scacciandoli con la forza, sia dando loro in cambio altre terre, acciò resti assicurato il passaggio da Nizza e dalle parti marittime in Piemonte». I due primi s’ispiravano al ricordo delle guerriglie devastatrici condotte dai Lascàris e dai Doria, l’ultimo poneva la condizione senza la quale le Alpi Marittime non potevano entrare a far parte del nuovo complesso politico; che, se il Col di Tenda era naturalmente desiderato da una Provenza vogliosa di condurre e mantenere una vasta espansione nella alta Italia, diventava indispensabile alla Savoia per conservare il suo nuovo acquisto, privo com’era di comunicazioni con le altre provincie.

Il Conte di Savoia doveva anche tentar di strappare il castello e la Città di Ventimiglia a Genova.

Filippo ROSTAN - STORICA DELLA CONTEA DI VENTIMIGLIA - IISL. Bordighera 1971

 

 

SCOPERTA  IN  CATTEDRALE

una lapide del 1343: è la tomba della famiglia Balaucco

dell’I.I.S.L.

    I lavori in Cattedrale continuano lentamente ma metodicamente, da un lato per mettere in funzione almeno provvisoria l’apparato di riscaldamento (1’attuale vano per il serbatoio, costruito troppo vicino all’abside, dovrà essere in prosieguo di tempo spostato ed allontanato), dall’altro per ripassare e rifinire l’interno e infine per dare una sistemazione al Battistero romanico che, dopo le ultime demolizioni del­le sovrastrutture, è rimasto in precarie condizioni. Il Battistero stesso, diventato necessariamente magazzino e luogo di ricovero di materiali durante i lavori, è stato ora, dagli operai dell’Ente per i Monumenti Intemelii, completamente ripulito e reso di nuovo visitabile, in attesa del definitivo restauro. Sono stati accuratamente descritti, schedati e ordinatamente collocati per ora dietro la cripta tutti i pezzi di scultura longobarda e alto-medioevale (sono in tutto finora 128: il più vasto «corpus» che per quest’epoca si possegga finora in Liguria), in attesa di poter dare ad essi una sistemazione ornamentale all’interno del Battistero, oltre che nella cripta, da cui provengono.

    È stata pure restaurata la decorazione pittorica della sacrestia, che potrà così essere funzionante eliminando l’utilizzazione della Sala Capitolare, ove finora è avvenuta la vestizione dei canonici e dello stesso Vescovo, in vista del pubblico.

    Nel ripulire lo spazio interposto tra il Battistero e la nuova sacrestia dai detriti accumulati durante il restauro è venuta in luce la parte bassa della parete romanica all’esterno della chiesa primitiva, e su di essa si è ritrovata ancora in posto una interessante iscrizione in caratteri gotici, completa e ben leggibile:

O          o          o

MCCCXXXXIII :

INDICIONE: XI:  DIE: VI

MADII : HEC : EST SE

PULTURA BALAV

CORUM

 

    Si tratta evidentemente di una delle tombe che, prima della costruzione delle cappelle laterali, dovevano fiancheggiare l’attuale vicolo di discesa al Battistero, ricavate nello spazio sottostante alla navata nord o fuori della navata stessa. La famiglia Balaucco, originaria certo da Badalucco e presente e autorevole nella Ventimiglia medioevale, si trasferì per gran parte, a partire dal secolo XV, nella vicina Bordighera, ove aveva le sue principali proprietà. La lapide, di cui pubblichiamo qui come una primizia la fotografia, reca all’angolo inferiore destro scolpito l’emblema di tre torri, stemma della famiglia Balaucco.

 

LA VOCE INTEMELIA anno XXVI n. 2  - febbraio 1971

 

Vescovi nati in Ventimiglia

Ottone Lascàris

1303

di Nino Allaria Olivieri

    Appena trascorsi quattro mesi dalla morte del Vescovo Giovanni (1303) il Capitolo e il Clero tennero convento nella Chiesa Cattedrale; la scelta cadde sul confratello prete Ottone Lascàris dei Conti di Ventimiglia.

    Fu l’ultimo Vescovo di elezione capitolare, avendo il Papa Benedetto XI avocata alla Santa Sede l’elezione e la nomina dei Vescovi, causa spesso di nepotismi o di congreghe politiche.

La scelta dell’Ottone non fu pacifica e serena egli era di stirpe gentilizia, ma di estrazione Monacale cistercense. La sua scelta diede luogo al malcontento fra gli uomini del Capitolo per la ferma opposizione dei canonici Emanuele di Ventimiglia e Massimo Randaci, ma a seguito di compromessi si arrivò alla sua conferma a Vescovo.

    Chiamato a Roma, Papa Benedetto XI gli conferiva la Bolla dell’istituzione canonica. Era il 5 gennaio 1304. Nel 1305 è in Ventimiglia; il 25 gennaio 1307 stipula una convenzione con i Sindaci di Piena in tema di decime; nel castello di Gorbio detta un decreto di indulgenza a tutti i suoi sudditi che avessero fatto donazioni o lasciti all’Ospedale di Sant’Antonio in Genova. La Bolla indulgenziale reca un pendente in rosso con sigillo della casa Lascàris in forma ovale su cui è figurato un Vescovo in veste pontificale e con pastorale; una leggenda in grafia gotica detta “S. Ottonis Dei gratia Episcopus Intemelii”.

    Di Ottone lo storico Gioffredo ricorda l’annosa lite sostenuta contro il Rettore di Tenda per alcuni censi, lite che ebbe fine il 7 agosto 1319 con bolla di Papa Clemente V e la condanna del Rettore di Tenda a fare dono annualmente di libre due di cera a Ottone e ai suoi successori.

    Non partecipa al Concilio di Bergamo, indetto dal Metropolita Gastone, ma a suo nome e del clero ventimigliese delega il prete Pietro di Vallate. Durante il Concilio stipula con il Parlamento e la Comunità di Dolceacqua regole e modalità attorno alle decime e libera da scomunica da lui fulminata contro la Comunità per la lunga e continuata inadempienza dei censi dovuti. Tenne il Vescovado con mano ferma. Il 13 novembre 1320 cessa di vivere.

    Di lui si legge nell’antico Martirologio della Cattedrale: “MCCCXX die XIII Novem, obiit Comes Ottonus Divina commiseratione Ventimiliensis Episcopus cuius anima requiescit in pace”.

 

LA VOCE INTEMELIA anno LIX n. 7  - luglio 2004

 

VENTIMIGLIA:  IERI

di Amabile Ferraironi

Erano tempi in cui Guelfi e Ghibellini si sbranavano fra loro in tutta Europa e anche Ventimiglia - tanto antica da ritenere la sua Contea fondata da Carlo Magno -doveva difendersi entro le sue mura e con il contado e soprattutto dai Saraceni che minacciavano le riviere dal mare.

«Nello scorcio del Trecento i Doria di Dolceacqua - ghibellini - si uniscono agli uomini di Ventimiglia e di Triora; si rovesciano su Rocchetta Nervina e - come attesta lo storico G. Sigismondo - danno un orribile guasto alla campagna, appiccano il fuoco al paese, uccidono molti uomini, e molti fanno prigionieri ...».

Perché troviamo citata Triora, grosso borgo alpino, unita alla marittima Intemelia, Ventimiglia ?

Nel febbraio 1260 il conte di Ventimiglia, Oberto, vende Triora ed altri castelli dell’entroterra al cognato Gianello, che a sua volta lo rivende al rappresentante di Genova Guglielmo Boccanegra per 2300 denari.

I diritti comitali dei conti di Ventimiglia non erano pochi: «diritto di vita e di morte, di tener placiti in tre giorni dell’anno, di mettere su eserciti e ricevere giura menti di fedeltà, di percepi­re uno staio d’avena, tre denari e la metà della decima per ogni fuoco ...».

Gli Intemeli vendevano anche per esimersi dalle ambizioni di Genova, che per estendere il suo dominio sulle riviere combatteva chi la ostacolava, anzi aveva ordinato alla Podesteria di Triora di non prestar aiuto agli abitanti ventimigliesi ... Di qui, infinite lotte.

E guerre contro usurpatori. I Principi di Savoia volevano uno sbocco sul mare e miravano a Ventimiglia, anche per ottenere una strada diretta per il trasporto tanto prezioso. Nel febbraio 1625 il duca savoiardo Carlo Emanuele I, fa guerra a Genova che aveva esteso il suo dominio nel Ponente: s’impadronisce di Ovada, Sanremo, Ventimiglia; assedia Triora, che vede distrutte tutte le case del levante e sta per arrendersi, ma ottiene l’aiuto dei Taggiaschi comandati dal valoroso Vincenzo Lercari.

Anche i milanesi Visconti hanno mire sul Ponente: dalla giurisdizione triorese che si estendeva a Baiardo, Castelfranco, Ceriana, Montalto e Badalucco, alla grande Ventimiglia, che allargava le sue competenze da Mentone ai cinque Capoluoghi.

Pace e guerre; gente amica e gente nemica; anni, anzi secoli che scorrono. Ci descrivono belle pagine della storia di Ventimiglia non pochi autori; tra gli antichi più significativi: Cais de Pierlas, “I cittadini di Ventimiglia”; Pietro Gioffredo, “Storia delle Alpi Marittime”; Gaetano Poggi “Le due Riviere”; il Giustiniani e il Muratori, ma sopra tutto Girolamo Rossi “Storia della Città di Ventimiglia”, Ghilini, Oneglia 1886.

Prossimamente uscirà una pubblicazione: “Storie di ieri: la peste e l’Aids”. Indirettamente tratterà anche di Ventimiglia, perché narrerà di malattie endemiche che nei secoli passati afflissero anche la nostra bella città di confine: epidemie che, grazie ai ritrovati moderni della scienza, sono scomparse dai carrugi dei nostri centri storici.

LA VOCE INTEMELIA anno LV n. 6  - giugno 2000

 

SECOLO DECIMO QUARTO

 

Nel corso di questo secolo, nascevano: Rinaldo da Ventimiglia, insegnante nello Studio di Bologna.

 

Nicolò Malavena, esperto in costumi Saraceni, inviato presso Carlo V.

Cristiano Curlo di Simeone: Legato della Signoria genovese presso il Duca di Milano ed il Sommo Pontefice Urbano V. Sepolto in San Domenico a Genova.

Ambrogio Curlo, anziano della Signoria genovese ed ambasciatore.

1300     Moriva Oberto Doria e poco dopo il De Mari. Dal Doria ereditavano: Corrado la Signoria di Loano; Andriolo per Dolceacqua e Simeone a San Römu. L’erede De Mari, Cosimo lasciava i ghibellini per i guelfi.

A fine estate, transitarono le truppe angioine e ghibelline di Carlo di Valois, dirette a Firenze e Roma, richiamate da papa Bonifacio VIII.

1301     Il 10 aprile, a Nizza, i genovesi facevano pace con re Carlo II d’Angiò, ottenendo tra i patti la piazzaforte di Monaco, che Carlo toglieva ai Grimaldi, per cederla al ghibellino Ughetto Spinola ed a suo figlio Nicolò.

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Lo Spinola infeudava anche Ese, Turbia e Roccabruna, ed inoltre, le prime abitazioni, attorno alla rocca di Monaco, vennero chiamate Contrada Spinulorum.

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I Grimaldi acquistavano i feudi di Villeneuve, Cagnes, Antibo, Grassa, Boglio ed altri, diventando i signori più potenti delle Alpi Marittime.

1302     Nell’estate, sarebbe transitato da Ventimiglia, il sommo poeta Dante Alighieri, diretto all’Università di Parigi. Sarebbe nuovamente transitato nel 1304 diretto a Bologna. – Avrebbe potuto essere citato sulla lapide di Porta Canarda.

Con la Pace di Caltabelotta gli Angiò perdevano la Sicilia, mantenendo Napoli.

1303     Morto il vescovo Giovanni IV, spettava ai canonici della Cattedrale eleggere il successore, che per la prima volta avrebbe dovuto ottenere la nomina direttamente del Papa.

Il castello d’Appio era ridotto ad avere soli due castellani e trenta soldati.

Veniva eletto vescovo Ottone Lascàris, preposito della Cattedrale. Era di stirpe gentilizia, ma di estrazione monacale cistercense

1304     Il 5 gennaio, papa Benedetto XI conferiva l’istituzione canonica al vescovo Ottone, dei Lascàris di Ventimiglia.

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La sua scelta diede luogo al malcontento nel Capitolo, per la ferma opposizione dei canonici Emanuele di Ventimiglia e Massimo Randaci. La nomina del Lascàris segnava una circostanza notevole nella elezione dei vescovi di questa città, da qui appunto la conferma dell’elezione fatta dal capitolo, non apparteneva più, come per il passato, al metropolitano di Milano, ma bensì alla sede apostolica. Divenuto vescovo in patria, confermò la speranza, che di se aveva lasciato concepire. Dettato nel castello di Gorbio, di lui ci resta un decreto d’indulgenza per tutti i suoi diocesani, che volessero concorrere a beneficiare l’ospedale di S. Antonio in Genova e la memoria di una controversia col rettore della chiesa di Santa Trinità presso Tenda, poi troncata da papa Clemente V con bolla del 7 agosto 1310. Non partecipava al Concilio di Bergamo, indetto dal Metropolita Gastone, delegando il prete Pietro di Vallate. Durante il Concilio stipulava con il Parlamento e la Comunità di Dolceacqua regole e modalità attorno alle decime e liberava da scomunica la Comunità per l’inadempienza dei censi dovuti

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Il 26 giugno, Carlo d’Angiò liberava i proprietari dei beni di Monaco, Turbia e Nizza da ogni prestazione feudale ordinando: Domos et possessiones ... in burbensaticas de certa nostra scientia gratiose reducimus, et in totum eximimus a nexu cujuslibet feudalis oneris, census, redditus vel affictus.

1305     Alla morte di Benedetto XI, veniva eletto papa il francese Clemente V, che trasferì la curia papale ad Avignone. Il vescovo Ottone giungeva in Diocesi.

Carlo II d’Angiò riprendeva la politica espansionistica del padre, ricevendo gli omaggi di qualche vassallo lombardo, costituiva un piccolo esercito, quindi, stretta lega con Asti, raggiunto dai provenzali dalla Maddalena e dalle Finestre, riconquistò Alba, Cherasco, Savigliano, Mondovì, Roccasparviera, Demonte e Cuneo e le sue Valli, che spartì coi guelfi locali.

1306     I trenta membri d’una missione inviata dall’imperatore cristiano etiope Wedem Ara’ad (Prete Gianni) presso papa Clemente V, di ritorno da Avignone, transitarono verso Genova, costretti dai venti contrari.

1307     Il 25 gennaio, il vescovo Ottone, siglava una convenzione per le decime stretta coi sindaci di Penna.

1309     Roberto d’Angiò, governatore di Provenza, succedeva al padre nel regno di Napoli.

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Per recarsi a Napoli, Roberto dovette entrare nella Contea Piemontese attraverso il disagiato Colle delle Finestre, dovendo evitare il Colle di Tenda, infatti, in quell’occasione i suoi sudditi di Val Lantosca gli presentarono lagnanze sulle malefatte dei Signori di Tenda, verso il loro territorio ed i viandanti.

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1310     L’imperatore Enrico VII, sceso a Milano, riceveva il tributo dei genovesi che lo investirono della loro Signoria per vent’anni, mentre Roberto d’Angiò temporeggiava in attesa di uno scontro.

1311     Il vescovo Ottone, delegava Pietro di Vellate a rappresentarlo, presso il Concilio provinciale di Bergamo, indetto dall’arcivescovo milanese Gastone.

Il 4 dicembre, Andalò Spinola, vicario della Riviera occidentale, accordava privilegi ai Consoli di Castelfranco (Castelvittorio).

1312     Il 2 maggio, con la bolla “Ad providam Christi Vicarii”, papa Clemente V permetteva di liberare il vincolo della mansione templare, presso la porta di Francia, che veniva consegnato alla Curia locale, benché i Frati Minori avessero già provveduto all’edificazione della loro chiesa.

1313     Il 21 aprile, il vescovo Ottone conveniva col Comune di Dolceacqua per le decime, facendosi pagare ogni anno, la festa di san Michele, sessanta cartini di frumento.

Dovrebbero esser sorti, a partire da quell’anno, il quartiere del Campo, e quello del Lago, lungo il pendio nord orientale del promontorio, verso il fiume ed il dismesso porto canale.

1315     Anche il nostro contado ebbe a patire i drammi della grave crisi cerealicola che colpiva l’intera Europa e si diraderà attorno alla fine del 1317.

1317     Il 10 novembre, i Guelfi genovesi scacciarono i Ghibellini che ricorsero a Matteo Visconti. I Grimaldi riprendevano il controllo di Genova e di Monaco.

1318     Il 25 marzo, Matteo Visconti muoveva contro Genova, accerchiandola. Il Re Roberto di Napoli, mandava il Siniscalco, Giovanni Baud, contro il blocco ghibellino della frontiera di Ponente. Questi, coi Guelfi attaccava Castel d’Appio, inutilmente; passando ad assediare Dolceacqua, dove Morruele, figlio di Andriolo, cogli aiuti del cugino Ezzelino di San Römu, resistette fino al sopraggiungere degli uomini di Pigna e Rocchetta, poi capitolò.

Domenico Doria, figlio di Andreolo, ampliava il castello di Dolceacqua, eretto dai Conti di Ventimiglia.

Il 24 ottobre, Giovanni Mansella di Salerno, occupava San Römu, con le truppe guelfe di Re Roberto, poi mosse contro Dolceacqua, dove Morruele Doria capitolava.

A Monaco, i guelfi genovesi avevano già scacciati gli Spinola.

1319     Il 6 febbraio, le truppe guelfe angioine, padrone del mare, attaccarono il Visconti alle spalle, volgendolo in ritirata.

Il 7 agosto, con bolla di papa Clemente V si aveva la condanna del Rettore di Tenda a fare dono annualmente di due libre di cera al vescovo Ottone ed ai suoi successori.

In ottobre, Il salernitano Giovanni Manzella, in nome del re Roberto di Napoli, assoggettava San Römu in un dominio che durerà dieci anni.

1320     Il 13 novembre, moriva il vescovo Ottone Lascàris. I canonici gli davano successore Jacopo Massimino, della diocesi di Alba.

In settembre, Francesco Petrarca, sedicenne, in compagnia del fratello Gherardo, passava per Ventimiglia, nel suo viaggio verso l’Università di Bologna.  Potrebbe essere citato sulla lapide di Porta Canarda.

Il 19 novembre, moriva Ugo Trefello, canonico agostiniano che aveva ristrutturato le canoniche della Cattedrale.

Il 26 novembre, il papa Giovanni XXII, evocando il diritto di elezione del vescovo al Capitolo, nominava vescovo di Ventimiglia il frate francescano, Raimondo, suo penitenziere, il quale delegava a Vicario: Guglielmo Barreira, priore di Utelle, poi vescovo di Venza.

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Il Capitolo della Cattedrale aveva conservato il diritto di nominare il proprio vescovo, reggendosi con statuti propri, redatti nel 1250, ma, da questo momento verranno modificati in tempi diversi.

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1321     Il giorno 26 giugno, sol oculavit in die johannis et paulli.

1322     I Doria, gli Spinola ed i Lascàris, ghibellini, progettarono un attacco a Nizza con dodici galee, preoccupando Re Roberto che riassettò i luoghi fortificati della costa.

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Il guelfo Roberto era Re di Napoli, Vicario di Toscana, Signore di mezza Lombardia, Conte di Piemonte, Governatore della Signoria genovese e Comandante delle forze papali, in Avignone; ma in Germania stava emergendo Ludovico il Bavaro quale imperatore di spicco, sicché i ghibellini liguri ricominciarono a sperare.

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1325     Il 16 ottobre, il vicario Barreira componeva una lite sorta fra il rettore della chiesa di San Michele e quello di San Nicolò, nel luogo di Sospello.

In quell’anno, correva la XIII indicione.

1326     Faceva tappa a Monaco, Francesco Petrarca, nel suo viaggio via mare di ritorno in Provenza, per la morte del padre. Abiterà in Valchiusa, presso Avignone fino al 1340.

Il secondo giorno d’agosto, tra l’ora prima e la terza, la terra tremava.

1327     Il 3 agosto, i ghibellini presero il potere a Ventimiglia, poi, con quelli delle vallate, guidati dagli Spinola, attaccarono Monaco, che era in mano guelfa. Nonostante l’intervento del Vicario di Provenza lo Spinila sottometteva la Rocca.

Il 13 settembre, il vicario Barreira veniva trasferito alla sede vescovile di Venza.

Sul Colle di Tenda, i Limonesi edificavano il ricovero detto “a Ca”, lungo la Strada del Sale.

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In quel periodo, la maggior parte del sale, trattato dall’Officium genovese, proveniva dalla Provenza, dalla Sardegna e dalle Baleari, raramente da Malta. La produzione ligure era minima. Esistevano saline ad Albisola, Porto Maurizio e Ventimiglia. L’arcivescovo e i Doria possedevano saline di sale bianco a Santa Margherita e Rapallo. Il sale rosso proveniva da Ibiza, quello bianco da Hyères e Aigues Mortes, ma anche in quantità minori da Bonifacio e dalla Spezia. Il Banco commerciava sale in locali pubblici detti “stapole”, che per la Liguria occidentale avevano sede ad Albenga, Pieve di Teco, Alassio, Diano, Porto Maurizio, Taggia, San Römu e Ventimiglia.

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1328     Il 29 febbraio, a Sospello, si rappacificarono i Comuni tendaschi in lotta da dieci anni.

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Da una parte erano i sudditi di Guglielmo Pietro Lascàris, ovvero gli abitanti di Tenda, La Briga, Limone e Vernante; dall’altra Sospello, La Bolena, Belvedere, Lantosca, Lucerame, Roccabigliera, Saorgio, San Martino, La Torre e Utelle, con il Contado di Ventimiglia e Val Lantosca, protetti dal Re Roberto.

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Il 6 settembre, era eletto vescovo, Pietro Malocello, dell’ordine dei predicatori domenicani.

Un documento curiale di quell’anno indica il passo dello Strafurcu, sulla strada del piemonte, come “più spedito e seguro cammino se fatto con speditezza e al sole, sebbene duro nell’andare per i suoi loci scoscesi”.

Alcune congreghe di pastori di Tenda e Briga erigevano un tempietto nella spiaggia di Latte, dedicato a Sant’Anna. Vi concorreva anche la famiglia Galleano.

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Le famiglie Galleano, Speroni, Lanteri ed Orengo concedevano in enfiteusi la terra della piana di Latte, per il pascolo delle greggi, condotte attraverso la Val Bevera, a svernare nella calda baia di Latte, col sopraggiungere dei primi freddi.

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1329     Le milizie di re Roberto, guidate dal capitano Daniele Torrini da Nizza, assediavano Monaco, ghibellina, quindi investita Ventimiglia, incaricavano Carlo Grimaldi di riprendere Dolceacqua, tornata a Moruele Doria. Vi riescirà in autunno, anche se Ezzelino Doria tentò di rientrare a Pigna e Dolceacqua. Prenderà invece Castelfranco, Ceriana e San Römu.

Carlo Grimaldi era nominato Governatore di Ventimiglia. Monaco veniva consegnata alla Signoria genovese.

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Carlo Grimaldi cercava di ricomporre la storica unità della Contea, dall’Armea alla Lantosca, dichiarandosi Vicario di Re Roberto. Per circa quindici anni Ventimiglia rimase collegata a Monaco ed alla Provenza e divenne rifugio di nobili genovesi in urto col Boccanegra.

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1330     Il giorno di Pentecoste veniva scoperta la congiura ed il 28 giugno venivano giustiziati Ezzelino Doria e gli altri.

Il 7 di settembre, veniva commemorato San Secondo.

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Nella data di quel giorno, l’antico necrologio della Cattedrale riporta: nota de beato secundio qui decollatus fuit apud vintimilium.

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Nasceva Giovanni Oliva, che sarà medico dell’Imperatore Carlo IV e del pontefice Gregorio XI.

1331     Il 9 febbraio, in Pigna, si conchiudeva la pace tra guelfi e ghibellini dei territori di Ventimiglia, di Val Roia e Val Nervia.

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Per parte guelfa firmava Carlo Grimaldi a nome di Ventimiglia, baileato e contado, del quale era Rettore, e dei luoghi di Castellaro, Gorbio, Mentone Roccabruna Penna e Sant’Agnese, nonché dai Sindaci di Sospello, Saorgio e Breglio; per la parte ghibellina da Giacomo, Conte di Ventimiglia a nome suo e delle sue terre. Da Filippo conte di Ventimiglia a nome suo e dei fratelli, da Oliviero Doria a nome suo e dei suoi castelli di Dolceacqua, Apricale e Perinaldo, dai rappresentanti dei luoghi di Arma, Bussana, Ceriana, San Römu e Taggia, dai Sindaci di Triora, Montalto, Badalucco, Baiardo e Castelfranco.

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I Grimaldi restauravano la facciata di San Michele, antica chiesa palatina dei Conti di Ventimiglia, che vi avevano la tomba gentilizia nella cappella di San Antonio Abate, apponendovi il loro stemma, vicino a quello dei Ventimiglia.

Il 12 settembre, re Roberto di Napoli, conte di Provenza, approvava che i guelfi di Carlo Grimaldi si impossessassero nuovamente della Rocca di Monaco.

1332     Carlo Grimaldi rientrava in possesso di Monaco e Roccabruna, che terrà in nome della Signoria genovese.

1333     Il 10 luglio, veniva sepolto nel Battistero fra Michele dell’Ordine dei Predicatori.

I Frati Minori Francescani ottennero ufficialmente la facoltà di celebrare nella loro nuova chiesa presso la Porta verso la Provenza, dove stavano erigendo un più ampio convento

1334     I frati francescani iniziavano a frequentare il loro convento, presso la Porta sulla strada per la Provenza.

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Si legge nella quarta pergamena dell’Archivio Capitolare: «Et decti frates minores in dicta ecclesia B. Francisci; et alia qualibet quae de novo fierit, vel fieri contingent in civitate Vintimilii.»  Chiesa e convento furono grandemente beneficati dal concittadino teologo P. Francesco Sperone, ma la biblioteca sin dal XVII secolo fu lasciata vergognosamente andare a male. Il Comune per antica consuetudine pagava annualmente al convento la somma di Iire 10 genovesi per l’acquisto di tonache.

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VENTIMIGLIA VICARIA ANGIOINA -

LA PROVENZA REINTEGRA LA PRIMARIA CONTEA

 

1335     Il 5 gennaio, Mauro Cattaneo, giureconsulto nato a Ventimiglia, pronunciava un compromesso tra Raffaele, Ezzelino e Cassano Doria.

In febbraio i Ghibellini genovesi portavano una flotta all’attacco di Ventimiglia, ma Carlo Grimaldi li respingeva.

Il 25 maggio, giorno dell’Ascensione, Ventimiglia veniva eletta a Capoluogo di Vicaria. Carlo Grimaldi veniva nominato Vicario angioino da Filippo di Sanguineto, conte di Haumont e Siniscalco del Re a Marsiglia, sottomettendo la zona intemelia al dominio di Re Roberto di Provenza.

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La Vicaria angioina di Ventimiglia e di Val Lantosca, aggregata a Marsiglia, riproponeva l’integrità della Contea nella sua massima espansione, escluso San Römu. In più dei comuni del Bacino della Roia, dipendevano da Ventimiglia le terre usque ad aquam Tabiae et usque ad Collam Caudente et non ultra, l’Escarena, Bolena, Belvedere, Bolinetta, Clens, Crovo, Finestre, Figareto Gordolone, Lantosca, Loda, Lucerame, Maria, Roccabigliera, Rocca, San Dalmazzo del Piano, San Martino, Torre ed Utelle. I capifamiglia di parte guelfa giurarono fedeltà al Re, mentre i Doria disertavano le proprie terre. Intanto il d’Angiò faceva pace col conte di Savoia, ottenendo Fossano e Savigliano. La Provenza finalmente possedeva l’agognato Colle di Tenda, che terrà fino al 1388.

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1336     Il 13 agosto, il consigliere comunale Legino de Fulchino faceva dono alla Cattedrale di una campanetam.

Il 9 settembre, morendo, il prevosto Bonfiglio giurava di essere stato per ventiquattro anni prevostro della chiesetta di San Nicolò alla Marina.

1337     Bertone Ventimiglia, signore di Aurigo e Caravonica, prendeva abitazione a Porto Maurizio, dove commerciava in pelli, carni salate, vino, grano orzo e segale e teneva conceria di pelli.

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I suoi figli, Francesco e Pantaleone, oltre ad essere negozianti, erano ottimi capitani di mare e conducevano traffici in Barberia, Tunisi, Algeri e Mar Nero.

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1338     I Magistrati della Vicaria erano Raimondo Rosset e Rostagno Périer, i Giudici: Pons Rostagno e Pietro Caglia.

Il 12 agosto, la Cattedrale si arricchiva di un nuovo tabernacolo, dedicato all’Assunta.

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Giovannina, moglie di Merlo Moro, con la moglie di Giacomo Isnardi, donavano un tabernacolo, dotato di calici argentei per portare il Santissimo agli infermi.

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1339     Il 21 settembre, vi fu un così grande diluvio che devastò la città compreso il porto …. trascinò via il ponte e tutti i mulini non lasciando nulla nei pressi.

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La notizia, tratta dall’antico necrologio della Cattedrale, segnala l’esistenza di un porto, anche dopo la distruzione del precedente, nel XIII secolo; ma da’ anche notizia dell’attività molendaria tenuta dalla nobiltà sul greto della Roia, ai Gorreti, sfruttando la potenza dell’acqua.

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Il 23 settembre, in Genova, il partito ostile ai nobili faziosi tornava al potere, istituendo definitivamente la magistratura del Dux o Doge, alla quale venne innalzato Simone Boccanegra.

 

GENOVA  RETTA  A  DOGATO

 

1340     Il 18 febbraio, cadde tanta neve.

Secondo censimento condotto da Roberto d’Angio nella Vicaria, attribuiva a Vallecrosia 20 fuochi, 65 a Camporosso, 15 a Bordighera, 16 a Borghetto, 35 a Vallebona, 28 a Soldano e 17 a San Biagio.

Carlo Grimaldi, capo delle forze guelfe, decise di impossessarsi della rocca di Castelfranco, dove pose un presidio armato.

Il doge Simon Boccanegra inviò truppe all’assalto del borgo con a capo il suo vicario della Riviera occidentale, Gottifredo de Zoagli, e del podestà di Triora, Giovanni da Mangano, che riuscirono a recuperare la roccaforte.

Il 29 novembre, a terda sera, un fortunale costringeva Francesco Petrarca a prender terra a Porto Maurizio, nel suo viaggio da Avignone, verso Genova.

1341     Re Roberto sottoscriveva un trattato con Genova, che concedeva ad Alessandro, Moruele, Oliverio ed Aimerico, figli del fu Domenico Doria, di riavere i castelli di Dolceacqua e di Abeglio, già occupati dai Guelfi. Monaco tornava genovese, ma Carlo Grimaldi non lo cedeva, gestendolo a nome di Giovanna.

Il 30 agosto, Giorgio del Carretto, marchese del Finale, cedeva Finale e Varigotti al doge genovese.

Il Doge genovese, Simone Boccanegra tentava un operazione di riconquista di Ventimiglia, con scarsi risultati.

1342     Il 18 febbraio, eccezionale nevicata, riportata sul “necrologium” della Cattedrale.

l 27 agosto, in Nizza, il Giudice Maggiore Francesco di Barba formava gli statuti di Ventimiglia e di Val Lantosca; poi rivisti.

1343     Alla morte di Re Roberto, i Doria di Dolceacqua ed i Lascàris di Tenda rifiutavano di prestare omaggio alla Regina Giovanna, diciassettenne.

1344     Oltre il Colle di Tenda, chiuso, i Provenzali venivano battuti a Gamenario dal Marchese del Monferrato e perdevano Dronero e la Valle Stura, mentre Mondovì, Cherasco e Savigliano si staccavano dalla Provenza.

Il 15 luglio, Carlo Grimaldi firmava la resa abbandonando Castelfranco.

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Alla presenza di Oliviero e Morruele Doria, nella località Coitela a Castelfranco, venne firmata la resa del Grimaldi, cui seguì una promessa di fedeltà degli uomini di Castelfranco ai Doria e al Comune genovese, per mezzo di due ambasciatori dinnanzi al doge e all’intero Consiglio. A segnare la tanto auspicata pace, qualche anno dopo venne firmato un trattato fra il re Roberto e il Comune di Genova, in base al quale i castelli di Dolceacqua e Abeglio sarebbero stati restituiti ai figli di Domenico Doria, Morruele, Oliviero e Aimerico, affinchè li tenessero in nome del re.

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Il 23 maggio, imprevisto ed inaspettato attacco marittimo genovese a Monaco.

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Tre galée genovesi approdarono a Monaco, “... e trovando ivi una galea ottimamente armata ad offensive piratesche, fecero contro quella un assalto, gagliardamente contrastati dagli uomini del castello. Le tre galée riuscirono a impadronirsi del legno corsaro con tutta la sua armatura, eccettuata la ciurma, che trovò la morte o scampò con la fuga”.

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1345     In gennaio, moriva il vescovo Malocello, il 30 del mese, papa Clemente VI, approvava la nomina di Bonifacio de Villaco, regolare del Monastero di Crecy, in Provenza, a vescovo di Ventimiglia, suggerito dalla Regina Giovanna di Napoli, Signora della Città.

Il Dogato genovese, facendo segno di volersi impossessare di Porto Maurizio, inviava nella Riviera di ponente un grosso nerbo di armati.

Da Napoli era inviato un valido aiuto alle milizie provenzali, sotto il comando di Ugone del Balzo, conte di Avellino, Siniscalco di Provenza.

Due quartieri di Ventimiglia venivano saccheggiati dalle ciurme di due galee genovesi. Per questo episodio il Doge genovese si scuserà col papa Clemente VI, reclamando però, ufficialmente la restituzione della città.

Babilano Curlo, auspicando, nel testamento la fondazione di un convento di Agostiniani, in Ventimiglia, patrocinava la costruzione di una chiesa dedicata a San Simeone, presso le “barme”, in località Bastida, sulla piana ad oriente della Roia.

A sfruttamento della prodizione di mirto, a ponente della città, dove stava aggregandosi il villaggio di La Mortola; si potrebbe valutare la presenza di attività artigianali di conceria, lungo il corso della Roia.

La peste neratà  raggiungeva Genova e la Liguria.

Il 25 dicembre, a Genova, la sera veniva eletto Doge Giovanni di Murta.

1346     Il 24 marzo, Genova era impegnata nella guerra contro Venezia per il possesso dei fondaci in Oriente e Mar Nero, dove aveva mandato una squadra di 29 galée al comando di Simone Vignoso.

Il 26 agosto, a Grecy, la sconfitta del re francese Filippo IV fu causata dall’errato impiego di quindicimila balestrieri liguri mercenari, contro gli arceri inglesi, armati del nuovo arco lungo.

Ludovico Lascàris otteneva protezione dalla Regina Giovanna.

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Secondogenito di Guglielmo Pietro, conte di Tenda, frate agostiniano, rapiva Tiburgia, figlia dei Signori di Boglio, e presa la spada, si mise a servizio della Regina Giovanna, ottenendone protezione. Nel 1376 verrà nominato Conte di Briga ed sarà conosciuto tra i più rinomati poeti provenzali.

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Carlo Grimaldi acquistava dai Vento, Manuele, Raffo ed Aronne, tutti i beni posseduti in Ventimiglia, la Signoria di Mentone e l’anno successivo, quella di Castiglione.

Il vescovo Bonifacio Villaco consacrava, nella Cattedrale, l’altare di san Nicolò, ponendovi anche le reliquie dei beati Secondino e Cristoforo.

1347     Il 15 ottobre, a Nizza, venivano rivisti gli statuti ventimigliesi.

 

CONTAGIO  DELLA  PESTE  NERA

 

1348     Il 20 aprile, a Ventimiglia si ebbe il primo caso di una terribile peste nera, che portò a morte lo stesso vescovo, Bonifacio de Villaco ed in Val Nervia, Morruele Doria.

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L’epidemia di peste nera interessò tutto il contado colpendo in maniera trasversale alle classi sociali. Nella diffusa superstizione di quei tempi, ritenuta un castigo divino, provocò la costituzione delle riconosciute compagnie di flagellanti, operanti nelle numerose e ricorrenti processioni o pellegrinaggi, ma attivando anche una tenace persecuzione verso gli ebrei.

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In San Römu, i seguaci di Cassano Doria, ghibellini, ed i Mari, guelfi, continuavano a confrontarsi.

Defunto Morruele, reggente del castello di Dolceacqua, gli successe il figlio Imperiale Doria.

Il 21 dicembre, veniva eletto vescovo Angelo, arcidiacono di Reggio, nel Regno di Napoli.

1349     Il 21 febbraio, a Dolceacqua, Imperiale Doria si faceva proclamare signore del luogo, intervenendo alla formazione degli Statuti e nella elezione dei Consoli.

I Curlo davano inizio alla costruzione della chiesa e del Convento agostiniano, alla Bastida.

Il 30 maggio, gli abitanti di Tenda portavano le loro decime al vescovo Angelo.

1350     I Sindaci di Dolceacqua confermano la tragica presenza in paese dell’epidemia di pestre nera.

Trovandosi la Regina Giovanna assediata in Napoli, dal Re d’Ungheria, il Dogato genovese inviava in aiuto una flotta di dodici galee, a patto della cessione di Ventimiglia. Ottenuta la cessione le galee voltarono la prora, non mantenendo la parola data.

L’11 giugno, il Comune di Genova elaborava un trattato con procuratore dei reali di Sicilia, riguardante la città di Ventimiglia e i suoi castelli..

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A corredo del trattato è stato immesso un disegno che raffigura l’esatta ubicazione topografica dei luoghi difensivi, oggetto del trattato, abbinate all’immagine della città, con le file di case e l’imponente ecclesia Sancte Marie, sulla sua platea, dove è già presente il protiro goticheggiante. Nel disegno, il metodo usato per rappresentare le fortificazioni viste da Sud-Ovest, ossia dal mare, con la presenza dell’immagine della città, posta a Nord-Est è risolto disegnando il tessuto urbano sovratrasportato. Al centro del disegno è presente una Turris (N)ova - fino ad oggi ignota - in posizione quasi baricentrica rispetto al Castrum Collis, alla Porta Caynarda ed al Castrum Apii.

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Genova rimetteva piede in Ventimiglia, ma non osava attaccare Carlo Grimaldi, in Monaco.

Il 2 settembre , Cassano Doria cedeva i suoi diritti su San Römu al Dogato genovese.

Il 29 novembre, il vescovo Angelo veniva trasferito alla sede di Tricarico, mentre papa Clemente VI° nominava il successore, il frate domenicano Pietro Gisio, che fido alla Regina Giovanna, veniva due anni dopo eletto alla sede arcivescovile di Brindisi.

 

VENTIMIGLIA  RIPRESA  DAI  GHIBELLINI  GENOVESI

 

1351     Guglielmo II Lascàris si metteva a capo delle forze ghibelline ed attaccava la Provenza.

Carlo Grimaldi, Signore di Monaco, sistemava con muri a secco la zona tra Latte e i Balzi Rossi, per metterla a coltura, contando sull’acqua dei precipitosi torrenti presenti.

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Dal documento del Rossi risulta come Carlo Grimaldi acquistava «quandam peciam terre positam in territorio de Ventimilio, gerbe, loco dicto la Mortola, cui choeret superius collis ... inferius via publica ... versus oriente valonus Multe ..., versus occidente terra Nicolossii Garoffii de Mentono»,

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Il Comune di Genova si impegnava nella guerra contro Calalani e Veneziani, alleati con l’Impero d’Oriente, di Giovanni VI Cantecuzeno.

1352     Il 13 febbraio, le galée di Genova ottenevano un ambiguo successo alle Colonne del Borforo, contro veneziani, catalani e greci. La supremazia nel Mar Nero, distraeva i genovesi dalle pretese sui territori delle coste liguri.

Il Vescovo di Senez interveniva per concludere una pace tra Tenda e Provenza.

Il Dogato riformava gli Statuti sull’Erbatico. Tra gli estensori figura Pietro Leone. (Bibl.Univ. Genova)

1353     La Regina Giovanna mandava Vighiero di Guiches ed Arnaldo di Cotignac a punire Guglielmo Pietro Lascàris, signore di Tenda, per non essersi sottomesso.

Nei dintorni di Ventimiglia, Provenzali e Guelfi si scontravano con i Ghibellini battendoli.

Era nominato vescovo il francese Ruffino, che si qualificava “frater” nei documenti.

In agosto, i genovesi erano sconfitt dai veneziani, catalani e greci, a Porto Conte, nel mare di Alghero.

In settembre, Genova accettava la Signoria dell’arcivescovo Giovanni Visconti, Signore di Milano.

Il 9 ottobre, Guglielmo Palavicino assumeva il governo di Genova per conto di Giovanni Visconti.

 

VENTIMIGLIA  TORNA  AI  GUELFI  DI  PROVENZA

 

1354     Le schiere guelfe puntavano su Ventimiglia, occupata dai Ghibellini, guidati da Imperiale Doria. In battaglia moriva Arnaldo di Cotignac, capitano e noto poeta.

Carlo Grimaldi riprendeva il governatorato della città di Ventimiglia. Acquistava beni stabili in Sietro ed alla Mortola, inoltre teneva ai suoi uffici membri delle famiglie: Lanteri, De Giudici, Manchelli, Aprosio e Massa.

Il 4 novembre, presso l’isola di Sapienza, nel Peloponneso, Pagano Doria, per Genova, sconfiggeva la flotta veneziana.

Il 16 dicembre, la gareota “San Nicolò”, ancorata in flumine Vintimilii, appartenente anche al patronus: Giovannino Giudice di Pietro, notabile ventimigliese, era pronta a navigare contra Venetos, Cathalanos et contra quoscumque inimicos et rebelles comunis Ianue .... (INTEMELION 11-2005)

1355     In primavera, Filippo Doria armava quindici galée ed il giorno di San Giorgio prendeva, ai corsari Mori, la città di Tripoli di Barberia, ritornando in Genova con un gran tesoro e un gran numero di schiavi. (INTEMELION 11-2005)

Il Vicario provenzale era Guy la Flotte. Intanto, la Provenza riprendeva l’offensiva in Piemonte, ripigliando la Valle Stura, Demonte, Cuneo e Cherasco.

I Provenzali, ingrossati da uomini della Rocchetta e di Pigna, entrarono nei territori di Apricale e di Isolabona devastando e predando.

1356     Da Dolceacqua, contro i domini sabaudi, Imperiale Doria devastava Rocchetta, zone di Val Roia e Val Bevera, fino alla Turbia.

Guy la Flotte, respingeva gli attacchi di Imperiale Doria a Buggio ed a Sospello ricacciandolo nel castello di Penna, quindi ingrossato da uomini di Rocchetta e Pigna, devastava i luoghi di Apricale e Perinaldo.

Il 15 novembre, Simone Boccanegra veniva rieletto Doge di Genova.

 

VENTIMIGLIA  AL  DOGE  GENOVESE

 

1357     In Genova, rieletto Doge, Simone Boccanegra si proponeva di riconquistare le Riviere. Armò venti galée, e col proposito dei portare guerra ai catalani, iniziò a riprendere Savona.

Il 16 luglio, a Capo Sant’Ampelio, sbarcava il capitano Villa che entrava poi nel porto di Ventimiglia, al falso scopo di catturare una galea di Monaco.

Le difese furono giocate dai balestrieri genovesi per via di terra, verso le mura mal guardate perché abbandonate a vantaggio dell’attacco al porto e la città fu occupata.

Al Grimaldi era concesso di riparare a Monaco. La Rocca di Monaco fu presa per trattative il mese successivo, in quanto il 15 agosto moriva Carlo Grimaldi. Con la sua morte finiva la potenza dei Guelfi in Riviera.

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In quel periodo, il podestà genovese a Ventimiglia rendeva giustizia ed il Parlamento cittadino si radunava in casa di Lantogno Moro, console o sindaco in quel tempo.

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Il 9 agosto, Ranieri II, erede di Carlo Grimaldi, restituiva il Principato ai Genovesi, che lo terranno fino al 1419.

1358     Imperiale Doria, scacciato dai dolcecquini per troppi soprusi si metteva al servizio del Doge, Gabriele Adorno e con milizie ghibelline e la bandiera genovese metteva a ferro e fuoco le terre della Regina Giovanna, razziando Rocchetta, Pigna, La Turbia e Sospello, seminando morte e rovine.

Il 25 dicembre, il vescovo fra Ruffino toglieva l’interdetto agli uomini ed al signore del castello di Dolceacqua.

1359     Il Dogato genovese includeva la nostra città nella giurisdizione dell’Ufficio delle Virtù.

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Era un’istituzione genovese, composta da sei magistrati, poi ridotti a tre, che vigilavano sulla morale pubblica. Un plebeo non poteva vestirsi da nobile e un nobile non poteva vestirsi in modo molto lussuoso. Tutto ciò che era smodata appariscenza era proibito. La pena consisteva nell’essere condannati alla lussuoso. Tutto ciò che era smodata appariscenza era proibito. La pena consisteva nell’essere condannati alla berlina, se il soggetto diventava recidivo scattavano pene maggiori. Per chi bestemmiava era stabilita una multa di mezzo scudo o quattro ore di berlina. Se recidivo veniva posto al bando per due mesi, la terza volta al reo veniva perforata la lingua, senza rispetto alcuno. Con occhio severo venivano giudicati i vestiti troppo sontuosi sia femminili che maschili. Come era vietato indossare collane, orecchini, anelli, perle per un valore di duecento ducati. Le maritate potevano portare anelli ma non era loro concesso averne più di uno con pietra ed altro con perla. Alle sarte era proibito realizzare nuove fogge di “vestimenta o arabiche”, tutto doveva essere modellato sul figurino dei predetti ufficiali, alle cui norme ognuno era obbligato a prestare giuramento, con cauzione e malleveria personale.

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1361     Il 15 marzo, la comunità di San Römu sottoscriveva il patto di sottomissione al Dogato genovese.

1362     Il 12 giugno, il vescovo Ruffino siglava una transazione, passata cogli abitanti di Breglio, causa le decime.

Il 5 settembre, nella chiesa di San Michele, a Mentone, Ranieri Grimaldi, signore di Monaco firmava la tregua coi Doria di Dolceacqua.

1363     Il 13 marzo, Simone Boccanegra moriva avvelenato.

1364     Il 7 maggio, Imperiale Doria fuggito da Dolceacqua e riparato in Genova, firmava un compromesso col Comune, per il quale interevennero il doge genovese Gabriele Adorno ed il Consiglio degli Anziani di Genova.

1365     Il 24 maggio, al ponte di Lagu Pigu, presso Pigna, Genova e la Provenza firmavano la pace, preparata dopo la tregua di Mentone del 1362

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Con la Provenza erano rappresentati i sudditi regi, guelfi, del contado di Ventimiglia, Valli Lantosca e di Turbia e per i ghibellini, Genova rappresentava le terre sotto il suo dominio  e quelle di Imperiale Doria.

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1367     Viaggio via mare di papa Urbano V, da Avignone verso Roma, riconquistata dal cardinale Albornoz.

1368     Nuovo conflitto tra Tenda e Provenza, composto l’anno seguente.

1369     Il 25 febbraio, Ludovico Lascàris, signore di Tenda, sottoscriveva un trattato di pace con gli uomini della Regina Giovanna, assistito dal vescovo Ruffino.

1370     La Vicaria provenzale si restringeva ai territori del vecchio Bailaggio, senza Ventimiglia e con Sospello a Capoluogo.

A Tenda, nella famiglia del conte Pietro Balbo II e Margherita Del Carretto di Finale, nasceva Beatrice.

1371     Al Concilio di Avignone, tenuto da papa Gregorio XI°, il prevosto della cattedrale, Stefano De Giudici, muoveva accuse contro il vescovo Ruffino.

 

1373     Il conte di Belforte, proveniente da Avignone, valicava il Colle di Tenda con l’esercito pontificio, in aiuto della Regina Giovanna.

 

1376     Ludovico Lascàris, si intitolava Signore di Briga.

A Roma, moriva Giovanni Oliva, medico dell’Imperatore Carlo IV e del pontefice Gregorio XI.

1377     Una carta accertava d’un censo dovuto al vescovo Ruffino, dagli abitanti di Codoli, paese che andava in rovina.

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In quell’anno, un inventario di beni conteneva ancora la dicitura “tabuletas pro scribendo”, segno che la diffusione della carta bambagina o di lino non era tanto generalizzato.

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1378     Moriva il vescovo Ruffino, sepolto nell’altare di San Nicolò, in Cattedrale, convertito poi all’Angelo Custode ed ora altare della Misericordia.

Genova intraprendeva la guerra di Ghioggia, contro la rivale Venezia, che mettendo in campo le navi mercantili armate sconfisse i liguri.

1379     In settembre, Rainero Grimaldi di Monaco rendeva, a papa Urbano VI°, numerose reliquie, trovate tra gli abbondanti bottini del suo servizio di “corsaro” a vantaggio del papa di Roma.

Il 6 maggio, a Pola, la flotta Genovese si impadroniva dell’intera flotta veneziana.

 

SCISMA  DIOCESANO

 

1380     Il vescovo successore di Ruffino era Roberto, morto in quell’anno, mentre si apriva lo Scisma di Occidente. Urbano VI°, papa in Roma, gli dava successore Jacopo del Fiesco, dei Conti di Lavagna, con sede in Ventimiglia. Il papa di Avignone, Clemente VII°, nominava Bertrando Imberti, di Apt, dei Minori Osservanti, con sede in Sospello.

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Il Fiesco restò suffraganeo di Milano, mentre l’Imberti lo diventò di Embrun. Legate a Ventimiglia rimasero le parrocchie poste sotto il dominio del Dogato di Genova, quelle sotto la signoria del Doria, in Val Nervia ed inizialmente quelle di Monaco e Roccabruna, perché, Rainero Grimaldi si era schierato dalla parte dei cattolici. Assai più ampia risultava la giurisdizione del vescovo scismatico di Sospello, infatti venne riconosciuto nelle terre sottoposte al conte di Savoia ed ai conti Lascàris di Tenda. Nella chiesa di San Pietro si innalzò la cattedra episcopale, mentre un cittadino, il munifico Francesco Martini, erogava tutto il suo patrimonio per ingrandire la cattedrale, dedicandola a san Michele. Le conseguenze dello Scisma, furono estremamente pesanti per Ventimiglia, legandosi ai complicati rapporti tra i diversi stati confinanti della zona e dall’evidente forte influsso derivante dalla presenza dell’antipapa ad Avignone.

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A Chioggia, Genova venne sconfitta definitivamente da Venezia.

 

DECLINO GENOVESE

 

Con la totale perdita della flotta d’Oriente, Genova perdeva la possibilità di commerciare nel Mediterraneo orientale e nel Mar Nero, quindi, rivolse i suoi interessi verso le coste spagnole. I banchieri genovesi finanziavano i reali di Spagna. I Savoia si ersero a mediatori nella pace tra le due potenze marinare, dopo la quale la potenza di Genova intraprenderà un costante declino, che si ripercuoterà negativamente si domini di terra.

 

1381     L’8 agosto, “Nella città che ha nome Torino, l’illustrissimo conte di Sabaudia (Amedeo VI) compose, esso stesso, la pace fra i Genovesi e i Veneziani”.

1382     Jacopo del Fiesco veniva elevato alla sede di Genova.

Il 6 ottobre, gli era successore il vescovo Benedetto Boccanegra, tenuto in gran conto dal Dogato genovese.

1383     Transitava per la nostra città, proveniente da Sospello, dove possedeva un’azienda affiliata, Francesco di Marco Datini, il Mercante di Prato, di ritorno da Avignone, dopo aver accumulato una importante fortuna aziendale.

1384     Nel settembre, si annotava l’unica presenza, in Sospello, del vescovo scismatico Bertrando Imberti.

1385     L’epidemia di peste nera pareva rallentarsi. Riprenderà nel 1403, più forte di prima, specialmente in Francia.

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Anche nella nostra città la peste portò via un’abitante su tre, sovvertendo la coesione delle famiglie e degli alberghi, dando forma a numerose adozioni, ma soprattutto generando un diverso modo di affrontare la vita, più egoistico e meno legato alla religiosità tradizionale.

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1386     In Sospello, succedeva all’Imberti, il Minore Osservante Pietro Marinaco.

1387     Francesco Novello Carrara, signore di Padova, con al seguito la moglie Taddea d’Este, di ritorno da Vienne e da Avignone, dove aveva ossequiato l’antipapa Clemente VII, si imbarcava su una feluca, a Marsiglia, ma doveva, poi prendere terra a nei pressi di Monaco, onde proseguire via terra. A Ventimiglia doveva sostenere una zuffa con gli armati ghibellini, riuscendo a riparare in una grotta.

Il vescovo Benedetto, quietava tutte le decine dovute da Marco Doria, signore di Dolceacqua.

 

SMEMBRAMENTO

      DELLA  CONTEA  DI  VENTIMIGLIA

LA VICARIA DI SOSPELLO, LA MEDIA VAL ROIA

                                            E L’ALTA VAL NERVIA AI SAVOIA

 

1388     Il 2 di agosto, mediante il patto di Chambéry, Ladislao, Re di Napoli, in guerra con gli Angioini, non riuscendo a difendere i contadi di Nizza, Forcalquieri e Ventimiglia, li cedeva al conte di Savoia, Amedeo VII, il Conte Rosso, per intercessione di Giovanni Grimaldi, conte di Boglio. Amedeo acquistava inoltre la Vicaria di Sospello, a capoluogo del territorio.

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L’effimera e discontinua integrità dell’antica contea veniva nuovamente interrotta. Soltanto la città di Ventimiglia restava in mano genovese, come lo era Monaco. La Vicaria di Sospello comprendeva il territorio sul quale esistevano i centri abitati di Molinetto, Breglio, Saorgio, Pigna e Buggio. In quell’anno, nel prendere possesso del territorio di Pigna, Amedeo VII di Savoia confermava al locale Comune il privilegio di valersi dei propri Statuti. Soltanto il valico del Colle di Tenda restava in mano dei Ventimiglia-Lascàris, che pretendevano un pedaggio da tutto quanto transitava sul loro territorio, procurandosi introiti di gran lunga superiori a quelli di contee, anche più vaste.

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I reali di Napoli continuarono a nominarsi Signori di Ventimiglia, così come si apprestava a fare il Duca di Savoia, Amedeo VII°.

 

SABAUDA LA CONTEA DI NIZZA  -

 I  DOMINI  DEI  SAVOIA  SI  APRIVANO  AL  MEDITERRANEO

 

Il 28 settembre, Amedeo VII di Savoia giungeva e si insediava a Nizza, cercando subito di ottenere la possibilità di praticare indenne, costantemente, i passi di Entraque e di Tenda.

Il 20 ottobre, lo stesso Amedeo, nelle condizioni sottoscritte cogli uomini di Pigna, si obbligava a difendere questi dagli attacchi dei Doria di Dolceacqua.

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I Savoia, riuniti i domini della dinastia dopo l’estinzione del ramo cisalpino degli Acaia, si erano spinti in Piemonte, ai danni dei marchesi di Saluzzo e del Monferrato. Con l’acquisto di Sospello e la cessione di Ventimiglia ed il futuro acquisto di Nizza, i loro possedimenti giungevano fino al Mediterraneo.

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1389     Amedeo VII, il Conte Rosso di Savoia, acquistata Nizza, potenziarono immediatamente il porto di Villafranca.

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Oltre al porto, i duchi di Savoia fondarono una Flotta, che seguì da vicino le sorti dello Stato sabaudo, organizzandosi sempre di più tecnicamente ed amministrativamente, grazie all’aiuto datole dalla marineria britannica.

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1391     Le reliquie di Sant’Onorato di Lerina venivano traslate da Arles al Monastero da lui fondato, sull’isola che porta il suo nome.

1395     Il 29 dicembre, Giovanni Grimaldi, nominato governatore della Contea,  aiutato dal fratello  Ludovico, dopo aver riconquistato Monaco, provavano a prendere

Ventimiglia ma venivano fatti prigionieri. Per questo la città otteneva dai genovesi alcune concessioni, mentre il Doge genovese, Antoniotto Adorno inviava suo fratello Giorgio, per cercare d’indurre i Grimaldi a cedere Nizza, o almeno Eza, La Turbia e Villafranca, agli ufficiali del re Ludovico d’Angiò.

 

VENTIMIGLIA

  GOVERNATORATO  DEL  RE  DI  FRANCIA

 

1396     Il 27 gennaio, una delegazione ventimigliese, in Genova sottoscriveva le concessione ricevute dal Dogato genovese, purtroppo tardivamente, perché Genova, dilaniata dalle fazioni interne, chiamava per governare, Carlo VI, Re di Francia, che eleggeva a Governatore di Ventimiglia, Raniero Grimaldi di Monaco.

In Sospello, il vescovo Pietro riceveva la visita di Matteo, vescovo di Pergamo, inviato da Benedetto XIII.

1397     Il 16 agosto, i genovesi di Pietro Doria, uniti coi padovani di Francesco da Carrara s’impadronivano di Chioggia, minacciando direttamente Venezia.

1398     A Castellaro, il vescovo scismatico Pietro investiva delle decime del luogo il conte Guglielmo Lascàris e di quelle di Gorbio e Sant’Agnes, il conte Guido Lascàris.

In giugno, morto Pietro Doria, i genovesi perdevano Chioggia.

Rainero Grimaldi, per gratificarsi Ludovico d’Angiò, era passato al partito scismatico. Con le sue forze aveva impedito a fra Raimondo di Capua, inviato pontificio al re di Francia, di proseguire il suo viaggio oltre Ventimiglia.

1399     Il vescovo Benedetto istituiva il pingue beneficio della SS. Trinità, in Cattedrale, dove, i conti Lascàris ripetevano l’investitura dei luoghi di Castellaro, Gorbio e Sant’Agnes, promettendo fedeltà al vescovo Boccanegra.

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In Cattedrale, le sorelle Zenevra e Luchina Visconti, figlie di Domenico, istituivano la cappella della Trinità, proprio dove è ubicata oggi, proibendo, nello stesso atto, di unificare l’erigenda cappella con quella già esistente, presso la piazza, dedicata pure alla Trinità, ovvero quella oggi consacrata alla Concezione, che in quel tempo, fu dedicata alla Santa Croce.

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In tutta Italia veniva istituita la confraternita dei “bianchi”, con aneliti di una concreta giustizia sociale, ma con manifestazioni di fanatismo collettivo, in attesa del nuovo Giubileo.

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Durante la peste, nell’imminenza del nuovo secolo erano ricomparsi i flagellanti, che la Chiesa aveva inglobati con l’indulgenza giubilare. Gli “albati” o “bianchi” come venivano chiamati questi “battuti”, formarono Confraternite stabili. Anche la nostra città in quei tempi era percorsa da una malaugurata confusione. La passione portava ad efferati delitti, contrapposti da poche e solitarie virtù, come nella vicina Provenza, dove si tenevano assiduamente le corti d’amore. A Perafuoco ed a Signa si radunavano poeti fiamminghi, guasconi, borgognoni, catalani, spagnoli, italiani assistiti dalle dame più nobili, che udivano e giudicavano le questioni d’amore raccontate in canzoni. A causa della piccolezza e mobilità degli Stati, nelle nostre città, le leggi erano dettate dal caso. Per eseguirle si ricorreva sovente alla fazione ed alle armi. Non avendo forze interne, si radunava il popolo alle armi, quando serviva. Non esisteva un magistrato eletto, ed era sempre il capo della parte temporaneamente vincente che si arrogava il diritto di giudicare. Le finanze erano sorrette da dazi e gabelle improvvisate.

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Il 25 settembre, le sorelle Zeneva e Luchina Visconte, ultime rampolle della nobile famiglia genovese, deliberavano di costruire la cappella della Trinità, nella navata sinistra della Cattedrale, dotandola di rendite e di cappellania, attraverso un atto del notaio Agostino de Balauco.

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Figlie di Benedetto Visconte, commerciante e pubblico amministratore, figlio di Pasquale Visconte, Castellano in Ventimiglia.; eredi di Ido detentore dei diritti di pedaggio alla Porta dei Vacca, in Genova; mettono a disposizione le terre di San Vincenzo, quelle di Vereneé e delle Ville, più pezzi vari presso le morghe della Comunità. Il primo cappellano sarà Bartolomeo Garino.

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