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Alessandro Varaldo

 

    Figlio di Giuseppe Varaldo, di origine savonese e di Eugenia Rolando di antica famiglia ventimigliese, nacque il 25 gennaio 1876, nella villa materna delle Asse e vi trascorse la giovinezza frequentando il locale ginnasio, sotto la guida di Dante Cattani, già allievo del Carducci, e grazie ai dotti consigli di Girolamo Rossi, frequentò poi il liceo “Cassini” di San Remo, dove ebbe come maestro il prof. Luigi Gualtieri. Si trasferì successivamente con la famiglia a Genova, dove iniziò giovanissimo l’attività letteraria, tenendo fitti contatti con l’ambiente culturale torinese.

    Fra le prime opere scrisse nel 1898, “La Principessa lontana” a cui seguirono, con crescente affermazione in tutti i campi letterari, volumi di poesia, di teatro, di critica, di saggi, ma soprattutto di romanzi e novelle, unitamente ad una vasta collaborazione a riviste e giornali, quali la Gazzetta del Popolo della Domenica ed il famoso Caffaro, che lo resero uno degli autori italiani di maggior successo nella prima metà del novecento. Fu anche direttore di Comœdia. La sua attività di scrittore va dal primo Libro dei Trittici ad una presenza che tradotta in cifre, ha equivalso a sessanta romanzi, tra i quali alcuni di contenuto giallo, fra i primi in italiano, trenta lavori teatrali, fra i quali dodici commedie, tre volumi di poesie, tre di critica, un migliaio di novelle, alcuni libri per ragazzi e la collaborazione a 136 testate giornalistiche, fra cui alcune in spagnolo e portoghese.

    Nei suoi scritti traspare vivissimo un affettuoso attaccamento alla sua terra natale ed oltre ai romanzi come “Mio zio il diavolo”, “I due nemici”, “La stella di Venere”, “La Marsigliese” ed “I signori di Nervia”, interamente ambientati a Ventimiglia, non c’è un volume, fra gli oltre cento pubblicati, che non contenga qualche nostalgico riferimento alla nostra città.

    Memore anche del dialetto che aveva appreso dalla Madre e dai suoi amici pescatori sulla spiaggia delle Asse, prospiciente la sua casa, volle collaborare alla “Barma Grande”, con ricordi della sua gioventù: “E Asse”, “U mei primu incontru cun Munegu”, “A mei grossa descüverta”, “U Nervia e u Röia”.

    Un’altra competenza del nostro illustre concittadino è stata, nel 1921, l’ottenimento del servizio di esazione sugli spettacoli teatrali da parte della Società Italiana Autori ed Editori, che diresse con prestigio fino al 1928, quando, per disposizione governativa, fu sostituito da un gerarca del regime. Nel 1943 assunse la direzione dell’Accademia di Arte Drammatica, succedendo a Silvio D’Amico. Scelse per sua dimora Milano, pure sempre ricordando la città nativa e la nostra Cumpagnia, come quando scrisse “Il vento di occidente, cronache marinare dell’estrema Liguria occidentale”. Mori a Roma il 18 febbraio 1953, in età di 80 anni.

 

 

Nel trentesimo anniversario della morte

Mostra commemorativa si Alessandro Varaldo

  L’illustre  scrittore  ventimigliese -  beniamino  della  fantasia,

ricordato alla Biblioteca Aprosiana dal Prof. Bartolomeo Durante.

 

    Mi presento: sono nato a Ventimiglia, dieci metri dal mare, un venticinque di gennaio. Gli indovini e le chiromanti pretendono che i nati di gennaio siano beniamini della fantasia.

    Così si legge significativamente in uno degli innumerevoli autografi di Alessandro Varaldo, esposti alla Mostra Commemorativa allestita presso la Biblioteca Aprosiana che è rimasta aperta al pubblico dal 24 settembre al 16 ottobre.

    Diciamo subito che la Mostra - dove peraltro non tutto il prezioso materiale del “Fondo Varaldo” ha potuto trovare collocazione - conferma in pieno la noticina autobiografica dell’autore, gli indovini e le chiromanti avevano ragione, Varaldo era destinato ad essere un grande beniamino della fantasia.

    All’Aprosiana, infatti, si possono ammirare, con le fotografie, tutti i prodotti fantastici della sua fervida e versatile mente: i manoscritti, le lettere, gli articoli di giornale, le riviste, i libri, i testi teatrali, le poesie. Tutte, insomma, le testimonianze di una fluente, quasi torrenziale, vena letteraria che non conosceva veramente soste né confini.

    E diciamo anche che il merito di aver organizzato la manifestazione - patrocinata dall’Assessorato alla Cultura - va, oltre ovviamente al Prof. Durante, alla moglie Sig.ra Denise Avvantaggiati, al Segretario della Biblioteca Carlo Canzone, al Custode rilegatore Silvio Pedrasso e alla Bibliofila, appassionata dell’Aprosiana, Cristina Scarpini.

Circa sei mesi di paziente lavoro sono stati necessari per riordinare e catalogare il materiale e per prepararne l’esposizione.

    Alla cerimonia dell’inaugurazione - presenti il Sindaco Aldo Lorenzi e il Consigliere Incaricato alla Cultura Gaspare Caramello - è toccato al Prof. Durante, ideatore dell’iniziativa, tratteggiare la poliedrica figura del Varaldo, scrittore, commediografo, giornalista, nato a Ventimiglia nel 1878 e morto a Roma nel 1953.

* * * *

    Varaldo si formò culturalmente prima al Ginnasio di Ventimiglia sotto la guida di Dante Cattani, già allievo del Carducci, e grazie ai dotti consigli di Gerolamo Rossi; poi al Liceo “Cassini” di Sanremo dove ebbe come maestro il Prof. Luigi Gualtieri ed, infine, nell’ambiente culturale genovese dal quale ebbe contatti anche con Torino.

    A 17 anni aveva già scritto alcuni drammi in versi e in prosa e, poco dopo, iniziò la collaborazione alla Gazzetta del Popolo della Domenica cui seguì quella al Caffaro e a varie riviste.

    E così, via via, in un crescendo ininterrotto di produzione letteraria ed in un ampliarsi sconfinato di interessi, giunse a rappresentare una delle più significative presenze nel panorama culturale italiano della prima metà del secolo.

    Una presenza che, tradotta in cifre, ha equivalso a 60 romanzi, 30 lavori teatrali, un migliaio di novelle e la collaborazione a 136 testate giornalistiche, fra cui alcune in spagnolo e in portoghese.

    Dal 1920 al 1928 Varaldo fu anche Direttore Generale della SIAE e, nel 1943, assunse la direzione dell’Accademia di Arte Drammatica succedendo a Silvio D’Amico.

    Così può essere riassunta l’attività di uno scrittore che dominò nei campi letterari più disparati: la narrativa, il giornalismo, il giallo, il teatro, la poesia, con il sempre dichiarato intento di “farsi leggere” dai suoi contemporanei, in un’epoca in cui una certa “letteratura d’evasione” aveva larga fortuna di pubblico.

    E forse questo stretto contatto, mai interrotto, con il pubblico di allora rappresenta il limite che rende, oggi, inattuali molte delle sue opere le quali restano comunque come valida testimonianza di un gusto e di un costume oramai scomparso.

    Ma, come è stato opportunamente sottolineato nella conferenza, ciò che a noi, suoi concittadini, può interessare e piacere ancor oggi è il suo costante amore per la città natale e per la terra e il mare liguri che lo avevano visto nascere e da cui le vicende della vita finirono per tenerlo sempre lontano.

    Un filone ispirativo questo che non si esaurisce mai nell’opera di Varaldo, e che si scopre già nel quadretto dialettale E Asse, pervaso di struggente nostalgia per il rione natio, apparso nel primo Libro de A Barma Grande del 1932, e che continua ne Il vento d’occidente - cronache marinare dell’estrema Liguria occidentale e riaffiora qua e là nelle poesie come in “Sensazioni di mare in autunno” nei cui versi leggiamo:«è tutta d’oro pallido la luna / e nel tenero azzurro ecco turrite / le coste di Provenza ad una ad una / sotto il peso d’un cielo d’ematite».

    Di questo suo attaccamento alla nostra terra è prova anche il progetto (purtroppo bocciato) di istituzione presso l’Università di Genova di una cattedra di Storia della Letteratura Ligure.

E, fra le infinite curiosità della Mostra, troviamo persino una ingiallita prima pagina del Giornale dell’Emilia del 24.11.1946 nel quale Varaldo illustra, con intima adesione che traspare dalle righe, il programma della Unione Democratica Federalista Intemelia per la creazione della Zona Franca.

    A questo punto, e prima di concludere, è impossibile non ricordare che, all’epoca della morte, negli Anni Cinquanta, l’Amministrazione Comunale, allora in carica, aveva preso con la vedova il solenne impegno di onorare la memoria dello scrittore dedicandogli una via di Ventimiglia. Quell’impegno non fu onorato né allora né mai e forse, dopo trent’anni, questa potrebbe finalmente essere la buona occasione per pagare il tributo di riconoscenza che la Città deve a questo suo illustre figlio.

R. V.

                                                                 da: LA VOCE INTEMELIA anno XXXVIII  n. 10  -  ottobre 1983.