Nino Lamboglia
Nato ad Imperia il 7 agosto 1912, da Carmelo e Carmelina Federici, ottenne la laurea in lettere classiche all’Università di Genova, nel 1932, con una tesi sulla “Topografia dell’Ingaunia nell’antichità”, che lo avvicinò alla ricerca storica ed archeologica. Lo stesso anno, fondava ad Albenga la Società Storico Archeologica Ingauna e veniva nominato Segretario della Commissione per la Toponomastica ligure. Giunto a Ventimiglia, come Commissario straordinario del Museo Bicknell di Bordighera, nel 1937, ha contribuito alla difesa ed alla valorizzazione del cospicuo patrimonio archeologico, monumentale e storico della città. Fu tra i fondatori dell’Istituto di Studi Liguri e ne resse le sorti come Direttore fino dal 1977. E’ stato uno degli studiosi liguri più rappresentativi nel campo della ricerca storico-acheologica, topografica e linguistica, nell’ambito del vasto territorio del Mediterraneo nord-occidentale, che fu popolato in origine dai Liguri e che è legato all’ambiente ligure attuale da rapporti di affinità e di discendenza comune. La sua mentalità poliedrica lo portò a dedicarsi a diverse attività, che spaziarono dalla preistoria al Medioevo: a lui si devono infatti i principali scavi e restauri della Liguria di ponente, la scoperta della necropoli di Chiavari, gli scavi di Tindari in Sicilia, e nell’area del Foro di Cesare in Roma, oltre a quelli internazionali di Ampurias, ai quali seppe dare la sua impronta metodologica. Autore di circa un migliaio di titoli, fra articoli e monografie scientifiche, è stato archeologo di fama mondiale, storico e pubblicista. Ha fondato e diretto la Rivista di Studi Liguri e la Rivista Ingauna e Intemelia, dirigendo Collane storiche ed archeologiche, stilò Guide turistiche dei Balzi Rossi e di Ventimiglia Romana. Ha contribuito al salvataggio dei reperti dei Balzi Rossi durante la guerra, alla pubblicizzazione ed all’ampliamento del Museo, allo scavo dell’area dell’ex Casinò Municipale ed allo scavo delle costruzioni preromane nell’area del Cavalcavia di Nervia. Ha completato lo scavo del Teatro Romano ed al suo restauro conservativo; allo scavo stratigrafico di Albintimilium romana con creazione del laboratorio per lo studio dei reperti e pubblicazione dei risultati con cronologia della ceramica. Titolare della cattedra di Archeologia Medievale all’Università di Genova, e diede una nuova e moderna impostazione ai corsi, scaturita dall’esperienza acquisita in lunghi anni di attività anche in tale settore. E’ stato pioniere, in Italia, delle ricerche di archeologia sottomarina. Organizzò, a partire dal 1957 numerose campagne nei mari italiani e creò ad Albenga il Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina, in seno al quale promosse numerosi convegni e Congressi internazionali, che portarono l’Italia ad una posizione di primato rispetto alle nazioni interessate a questo tipo di ricerche. Ha organizzato Corsi di Studi Liguri per laureati delle Università italiane, ripristinando il Museo Romano, provvedendo al suo arricchimento con donazioni varie e deposito di materiali della Soprintendenza di Torino, salvandone i reperti durante la guerra. Ha progettato ed eseguito il restauro della Cattedrale, della Chiesa di San Michele e di vari edifici in Ventimiglia Alta. Ha provveduto al recupero di volumi asportati dalla Biblioteca Aprosiana, dopo il 25 aprile 1945; trasportando la Biblioteca in piazza XX Settembre, per sistemarla successivamente nell’attuale sede di via Garibaldi. Ha saputo evitare la lottizzazione della proprietà di villa Hanbury, a La Mortola, facendola acquistare dallo Stato e gestendola come Istituto di Studi Liguri, fino al 1980, restaurando il giardino e la Villa. Mori per un incidente, nel porto di Genova, il 10 gennaio 1977.
A dieci anni dalla morte
LAMBOGLIA INEDITO NEI SUOI APPUNTI
di RENZO VILLA
Col passare degli anni, la figura di Nino Lamboglia - perito tragicamente nel 1977 coll’accompagnatore Giacomo Martini - si va sempre più ingigantendo assieme all’importanza della sua opera.
E, oggi, rievocandone la scomparsa a distanza di tempo, possiamo quasi immaginare che il promotore dell’archeologia sottomarina, l’appassionato ricercatore di testimonianze dell’antichità classica, non sia morto banalmente nelle acque del porto di Genova, ma che sia stato miticamente rapito da qualche misteriosa divinità marina, decisa a vendicarsi dell’uomo che, al mare, stava sistematicamente strappando i millenari segreti.
Comunque, già fin da allora, apparve chiaro a tutti che quell’evento luttuoso aveva privato la Liguria di uno dei suoi più valorosi difensori e che alla scienza era venuto a mancare un personaggio la cui scomparsa lasciava un vuoto difficile da colmare.
Gli stessi suoi detrattori, con una repentina inversione di rotta di 180°, si affrettarono ad unire la loro voce al coro degli elogi funebri che, in quei giorni, si levava da ogni parte.
L’albero abbattuto, si sa, non fa più ombra ad alcuno, ma lascia dietro di sé un chiarore tale da far esclamare alla gente che passa, come ne “La quercia caduta” di Giovanni Pascoli: «Or vedi: era pur grande !».
Non è certo questa la sede per la laudatio di Lamboglia fondatore e direttore dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, archeologo, storico, linguista, professore di università, ideatore del Festival di Pigna.
Ma, nel ricordarne brevemente la figura, può essere utile a noi intemelii fare riferimento alla visione dei problemi della nostra zona quale emerge dai suoi appunti inediti, stilati nei rari momenti di calma che la sua frenetica attività gli concedeva.
Un primo dato, di carattere generale, che viene alla luce è questo: egli non fu mai un cieco e ostinato difensore ad oltranza del patrimonio storico-archeologico ligure come entità avulsa dal contesto sociale ed economico circostante. Al contrario, non cessò mai di considerarlo parte integrante del territorio nel quale era inserito.
Un patrimonio da salvaguardare, sì, ma soprattutto da valorizzare proprio perché capace, a sua volta, di promuovere culturalmente e turisticamente l’ambiente di cui faceva parte, come dimostra la collana di «Itinerari liguri» da lui voluta e curata.
Pur con tutto il rispetto che portava alla zona archeologica intemelia, auspicava la costruzione del ponte a mare sul Nervia «per creare, fra Ventimiglia e Bordighera, la più lunga e più bella passeggiata a mare della Riviera, coincidente eventualmente con la nuova Aurelia, come la “Promenade des Anglais” a Nizza».
Lamboglia aveva pure la “religione” della Valle Roia, quale via naturale di comunicazione fra il mare e le Alpi e fra le varie componenti della regione etnica: Liguria Occidentale - Provenza - Piemonte, oggi divisa politicamente ed amministrativamente.
Il suo culto della Valle Roia affondava le radici nelle viscere del Monte Bego, come centro di attrazione e aggregazione delle genti che gravitano nel bacino del fiume, e come santuario agropastorale degli antichi liguri che vi si recavano in pellegrinaggio.
E si augurava «che i liguri moderni, i provenzali e i piemontesi tornassero ad unirsi come i loro lontani progenitori superando le attuali barriere regionali e nazionali».
Pur difendendo a spada tratta la sacralità della Valle non la riteneva intangibile al punto da non auspicare la ricostruzione della linea ferroviaria e l’ammodernamento della strada, opera che, a suo parere, avrebbe dovuto iniziare con l’apertura di una nuova galleria a valle, sotto il Colle di Tenda.
Altra sua preoccupazione era la valorizzazione ambientale e monumentale dell’entroterra, così ricco di bellezze naturali e di tesori architettonici, mediante la costruzione di strade e anche attraverso l’abrogazione di norme desuete che ne impedivano lo sviluppo.
La Liguria Intemelia - scriveva nei suoi appunti - costituisce l’ultima porzione rimasta italiana di una vasta regione storico-geografica, il bacino del Roia, che è per tre quarti francese. Essa ha interessi diversi rispetto a Sanremo e più ancora rispetto al capoluogo della provincia, Imperia, a cui fu collegata in conseguenza della cessione di Nizza alla Francia. Occorre che l’Italia sappia crearvi al più presto, per inserirla con parità in un’Europa futura, quell’oasi di ordinato sviluppo che è stata invano auspicata dal dopoguerra e che corrisponde, in primo luogo, ad un interesse nazionale».
Come si vede, dalla profonda conoscenza del passato, traeva la prefigurazione di un futuro che egli non ebbe la ventura di vedere e che noi, dieci anni dopo la sua morte, stiamo ancora aspettando.
Da: LA VOCE INTEMELIA anno XLI n. 2 - febbraio 1987.