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ZONA INTEMELIA

 

1890 - OLIVETTA  CAPOLUOGO

Discorso ufficiale del dott. Emilio Azaretti, il 4 agosto 1990, per il

centenario della scelta di Olivetta a capoluogo del comune, in Val Roia

 

1) LA  COMUNITÀ  DELLA  PENNA  E L’ORIGINE  DEL  NOME  OLIVETTA

    Il più antico documento sulla comunità della Penna ci racconta che era stata donata da Guido Guerra, conte di Ventimiglia, al comune di Genova nel 1157. Ritengo però che si tratti piuttosto di una vendita, suggerita dal fatto che il comune di Ventimiglia si stava trasformando in Repubblica Marinara ed aveva obbligato i Conti a giurare la Compagna Comunale, privandoli del loro potere.

    Il nome della Penna, in dialetto a Pena, continua il latino PINNA, che ha preso il significato di “cucuzzolo di montagna”, come nelle tre Penne della Repubblica di San M’arino e nelle altre Penna italiane . L’antico castello che i Conti avevano eretto alla Penna, come in tutte le altre comunità della contea, era stato rafforzato dai genovesi e munito di una guarnigione, costituendo il confine della Repubblica lungo la valle del Roia, rimasta tale fino all’inglobamento del 1815 nel Regno di Sardegna e cioè per ben 658 anni. Facevano parte della Comunità, oltre il capoluogo, anche il Fanghetto e Libri ed in dipendenza diretta dalla Penna, un numeroso gruppo di masserie.

    Fra queste c’era il Migrané, nome che deriva dal genovese antico Migranéu, cioè “zona piantata a melograni” che trovandosi alla confluenza del rio Tron, col torrente Bevera, è molto ricco di acqua ed avevano perciò costruito in questa località un’ancrüsa: lat. INCLUSA, cioè un bacino per fluitare durante le piene i tronchi d’albero verso Ventimiglia; l’ancrüsa veniva chiamata anche puharée dal verbo puhàa “spingere” cioè i tronchi fuori dal bacino. Nelle vicinanze c’era il passaggio, attraverso un guado, della strada dello Strafùrcu, nome del valico che, salendo per la valle del Bevera, serviva a portare il sale da Nizza al Piemonte ed anche a comunicare con Ventimiglia. La strada diretta che aveva fatto costruire il Comune di Ventimiglia fino a Breglio dal 1448 al 1453, per servire la frazione di Airole, creata in quegli anni, era stata resa intransitabile dai genovesi, i quali temevano un’invasione dal Piemonte nei loro territori ed era inoltre male accetta da Nizza, che temeva di perdere il redditizio commercio del sale.

    Le favorevoli caratteristiche del Migrané, nel quale si erano spostate anche alcune famiglie della frazione Torre, designavano questa località come quella più adatta per il futuro centro comunale. Il nome della località passò poi da Migrané al Piřùn con un “r palatale” derivato dalla L di Pilone sul latino PILA col suff. -ONE diminutivo, che era una “piccola edicola religiosa in onore di Sant’Antonio”, da cui deriva ancora oggi il patronimico degli abitanti di Olivetta, i quali non si chiamano olivettani o olivettini, ma aggiungendo al Piřùn il suffisso dell’antico ligure -àscu, si chiamano pirunasc.

    Assieme al Pirùn si è abbinato il nome di Sant’Antoni, per l’esistente oratorio, trasformato più tardi in chiesa parrocchiale. Ma soltanto nel 1701 appare per la prima volta, in latino, il nome di OLIVETA, in occasione del matrimonio di Federico Rej con Angela Limon, avvenuto “IN SACELLO RURALI S. ANTONI UBI VULGUS DICITUR OLIVETA”, che è il plurale del neutro OLIVETUM, col suff. latino -ETU, e significa “gli oliveti”. Questo nome è stato però storpiato, come spesso accade nella toponomastica ufficiale, sostituendo il suff. -ETU col suff. dimi’nutivo -ETTU, facendo diventare il nome del nostro paese Olivetta “piccola oliva”. Probabilmente gli stessi incaricati d’italianizzare i nostri toponimi hanno trasformato anche il nome della frazione di Fanghèto “località fangosa” in Fanghetto, nome addirittura sprovvisto di senso comune. Ma anche la Penna è stata vittima di questi signori, i quali, per non confondere la nostra Penna, con le altre Penna italiane, non hanno trovato di meglio che di trasformarla in Piena, piena forse soltanto della loro stupidità, dimostrata perché hanno poi testardamente ignorato le due deliberazioni del Consiglio Comunale del 1862 e 1863, che avevano proposto di sostituire questa ignobile “Piena”, con “Penna sul Roia”.

    La crescita dell’abitato del Piřùn, diventato Olivetta, è stata però lenta e nel 1816 era ancora la più piccola masseria della comunità. Nel 1840, su una popolazione totale di 1280 ab. ce n’erano a Olivetta con tutte le sue frazioni 540, al Fanghetto 200, alla Penna 240 ed a Libri 300. E soltanto nel 1881, data alla quale la comunità ha toccato il suo massimo con 1588 ab. Olivetta con le sue frazioni aveva raggiunto i 749 ab., il Fanghetto 210, la Penna 265 e Libri 334. Dato questo forte aumento della popolazione di Olivetta, nella seduta consigliare del 20 marzo 1889, si prospettò la convenienza di portare la sede del comune ad Olivetta, che era collegata con una carrozzabile alla strada nazionale o, meglio ancora, di portarla a San Michele, frazione di Olivetta, che si trovava addirittura sulla strada nazionale, comunicante col mandamento di Ventimiglia e con la Prefettura di Porto Maurizio. E così fu fatto il 16 marzo del 1890 e ne festeggiamo oggi, 4 agosto 1990, il centenario.

 

2)  CAVOUR  E  IL  PROBLEMA  DELLA  VAL  ROIA

    È certo che questo problema, sorto dopo la cessione della contea di Nizza alla Francia, col trattato del 1860, è stato dibattuto magistralmente da quel grande diplomatico che era Camillo Benso Conte di Cavour, il quale, malgrado i plebisciti di Tenda e della Briga per passare alla Francia assieme a Nizza, aveva ottenuto dall’Imperatore Napoleone III che restassero in Italia. E così pure che ci restassero Pigna e la Rocchetta, le quali dipendevano amministrativamente da Sospel rimasto con Nizza. Ed aveva inoltre ottenuto di conservare le alte valli della Tinea e della Vesubia, situate nell’entroterra nizzardo, dove esisteva una riserva di caccia al camoscio del Re Vittorio Emanuele II, probabilmente nella previsione d’i potersene servire in futuro, come moneta di scambio, per avere una valle del Roia interamente italiana. Occorre aggiungere che i nostri successivi governanti sono stati assolutamente incapaci di continuarne la politica, all’infuori del Presidente Biancheri, a cui dobbiamo la carrozzabile della val Roia, da lui fatta costruire, malgrado l’opposizione di Nizza, fra il 1866 ed il 1877.

    E per carità di patria non riporto l’articolo che ho dovuto pubblicare sulla Voce Intemelia del 18 novembre 1950, intitolato “Olivetta figlia bastarda” per le angherie fatte al nostro comune dal governo italiano.

 

3)  RIVENDICAZIONI  TERRITORIALI  DEL  GENERALE  DE  GAULLE

    Dopo il 25 aprile 1945, malgrado fosse stato istituito in Italia un Governo militare anglo-americano, il gen. De Gaulle aveva inviato a Ventimiglia e nell’alta val Roia il 29° Reggimento di Fanteria Coloniale Algerino e vari mèmbri dei Comités de rattachement a la Françe, che erano stati organizzati in Francia, fra persone originarie dei comuni intemeli italiani, molte delle quali avevano già la nazionalità francese. Da questi comitati furono tenuti in val Nervia e nell’alta val Roia plebisciti più o meno addomesticati, per avvalorare le richieste di annessione. A Ventimiglia era stata invece istituita una semplice amministrazione, presieduta da M. Romanetti, un ex dirigente locale dalle ferrovie francesi e lo stesso De Gaulle ha dichiarato più tardi di aver rinunciato all’annessione di Ventimiglia, non essendo d’accordo la popolazione.

 

4)  IL  PROGETTO  DELLA  “ZONA  FRANCA  INTEMELIA”

    In quel periodo avevo fondato nella zona l’«Unione Federalista Intemelia» associata al «Movimento Federalista Europeo» italiano a cui faceva riscontro un analogo movimento francese, ed anche alla «Federazione delle genti alpine», comprendente una diecina di Associazioni sorte nell’arco alpino compreso fra la Liguria Intemelia ed il Trentino, per assicurare alle popolazioni autonomie particolari nel quadro regionale italiano ed europeo. Per noi il problema particolare era quello di affrontare le pretese annessionistiche di De Gaulle, che si erano estese anche alla comunità della Penna, probabilmente per la richiesta di qualche vecchio generale, in ritardo di parecchie guerre, che voleva impadronirsi della Penna, fortilizio imprendibile della Repubblica di Genova in val Roia, ed ho proposto perciò la creazione di una “Zona Franca Intemelia” italo-francese, senza alterare l’appartenenza politica dei singoli comuni partecipanti.

    Il governo militare anglo-americano aveva frattanto costretto le truppe francesi a ritirarsi dall’Italia ed aveva nominato un capitano inglese a Governatore di Ventimiglia. Questo governatore si era circondato di consiglieri comunisti, in quel tempo contrari al progetto della Zona Franca, poi caldamente sostenuto dal ministro comunista Scoccimarro, e ci aveva negata l’autorizzazione di pubblicare un nostro periodico per propagandarla. Per controllare la condotta di questo Governatore, che aveva sollevato in città, per vari motivi, molte proteste, era stato mandato un colonnello americano, il quale, senza avvertirlo, mi aveva autorizzato a pubblicare La Voce Intemelia ed aveva poi fatto trasferire il Governatore a Genova, a comandare una pattuglia di polizia militare, per rastrellare nelle ore notturne i soldati ubriachi. L’ispirazione di proporre l’istituzione della “Zona Franca Intemelia” mi era venuta dalla franchigia doganale che Cavour aveva elargito ai comuni di Tenda e della Briga, creando un eccezionale benessere nelle due località, di cui tutta la gente della nostra zona era a conoscenza. Aderirono perciò in complesso 30 comuni, 19 dei quali italiani, Airole, Apricale, Baiardo, Bordighera, Camporosso, Castelvittorio, Dolceacqua, Isolabona, La Briga, Olivetta, Perinaldo, Pigna, Rocchetta Nervina, San Biagio, Seborga, Tenda, Vallebona, Vallocrosia e Ventimiglia; ed i francesi: Breil, Castellar , Castillon , Fontan , Gorbie, Menton, Moulinet, Roquebrune, Sainte-Agnès, Saorge, Sospel. Verso la fine dell’aprile 1946 una Commissione d’Inchiesta Interalleata si era recata a Sospel per indagare poi in val Roia sui sentimenti delle popolazioni italiane e francesi. Ed un appello a questa commissione che avevo preparato per spiegare il progetto della Zona Franca, pubblicato poi su La Voce Intemelia del 4 maggio 1946, è stato consegnato alla Commissione, da un pirunasc Ettore Spisani, a quel tempo consigliere comunale di Olivetta. La Commissione formata da un americano, un inglese, un russo e un francese, non era la più adatta ad indagare. Il francese era insieme giudice e parte in causa, il russo poco favorevole ad un accordo franco-italiano.

    Tuttavia la relazione della Commissione aveva accertato che tutta la popolazione chiedeva la piena libertà di circolazione lungo l’intera vallata e, quanto all’annessione alla Francia, Tenda era contraria e Briga favorevole. Nel successivo mese di maggio sono stato ricevuto a Milano, assieme al prof. Nino Lamboglia, dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi.

    Era stato l’on. Achille Pellizzari, Rettore dell’Università di Genova, che si era interessato del problema della val Roia e che mi aveva onorato della sua amicizia, a parlargli del mio progetto di zona franca ed a fissare l’incontro. Al mese di luglio mi ero recato in Svizzera per sposarmi, dato che fra le leggi del ventennio ce n’era anche una che richiedeva una domanda, non ricordo se in bollo o in carta libera, per ottenere il permesso di sposare una straniera. Ed io, che ero senza tessera di partito ed avevo notoria fama di oppositore, avevo ricevuto una comunicazione di rifiuto da parte del Podestà di Ventimiglia ed avevo perciò dovuto rimandare il mio matrimonio alla fine del regime. Dopo la cerimonia nuziale, stavamo pensando alla scelta di una località alpina, fra le molte che offre la Svizzera, per il viaggio di nozze, quando ho ricevuto notizia di un telegramma da parte della Presidenza del Consiglio, che sarei stato ricevuto a Roma il 19 luglio dal Presidente De Gasperi. Un viaggio disastroso, le ferrovie italiane non funzionavano e si viaggiava in autobus stracarichi e sgangherati. Ma in compenso un’accoglienza veramente calorosa e cordiale da parte del Presidente, che ha voluto sapere tutto dei danni e delle sofferenze della popolazione intemelia durante il conflitto, dei tentativi dei Comités de rattachements, dell’adesione dei comuni italiani e francesi alla mia proposta e poi l’invito di trattenerci per collaborare, con i vari Ministeri, alla preparazione del progetto ufficiale della Zona Franca.

    Fra gli altri erano presenti al Viminale per l’occasione gli on. Pellizzari, Paolo Rossi, Luigi Einaudi e Novella ed il Ministro delle Finanze Scoccimarro, che si è informato di molti particolari del progetto, assicurandoci che avrebbe messo in moto al più presto le competenti Direzioni del suo Ministero.

    Siamo rimasti una diecina di giorni a Roma, caldo infernale, all’albergo l’impianto dell’aria condizionata guasto. Ho girato per i vari Ministeri interessati e, fra l’altro, non posso tacervi che al Ministero degli Esteri non sapevano, che De Gaulle, oltreché sul Tenda e la Briga avesse avanzato pretese anche sulla Comunità di Olivetta San Michele. Il progetto di Zona Franca fu poi presentato alla Conferenza della Pace a Parigi il 31 agosto 1946 dall’on. Giuseppe Saragat, che era allora Ambasciatore d’Italia presso la Repubblica francese. Ma M. Couve de Mourville, che rappresentava la Francia, pur conoscendo l’interesse del progetto, ha persistito ostinatamente a reclamare le rivendicazioni territoriali, promettendo che avrebbe studiato la possibilità di realizzare la Zona Franca dopo la firma del Trattato di Pace.

    Abbiamo perciò voluto richiamarlo a questa sua promessa, organizzando il 24 novembre a Ventimiglia un grande raduno dei 21 comuni italiani che avevano aderito al progetto della Zona Franca, che sono intervenuti in massa, con le loro amministrazioni comunali, larghe rappresentanze delle popolazioni e con loro bande musicali.

    Abbiamo parlato dal balcone del municipio ad una folla entusiasta, che gremiva il piazzale e le vicinanze, ma le promesse di Couve de Mourville, si sono rivelate soltanto vuote promesse.

 

5)  LE  COMMISSIONI  ITALO- FRANCESI  PER  I  PROBLEMI  DI  FRONTIERA

    M. André Botton sindaco e Consigliere generale di Breil, col quale ero amico, aveva, dopo la firma del trattato di pace, presentata al Consiglio Generale di Nizza, la seguente mozione, che è stata votata all’unanimità: «La delimitazione delle frontiere prevista dal trattato di pace in val Roia, non ha interamente realizzato le rivendicazioni degli abitanti della valle.

    L’inciampo più considerevole continua a sussistere ed il Consiglio Generale chiede perciò che la strada Breglio-Ventimiglia-Mentone venga internazionalizzata». Col signor Botton abbiamo poi stabilito di creare una “Commissione di Studio, italo-francese, dei problemi di frontiera”, di cui eravamo poi stati eletti presidenti delle due delegazioni. Alcuni anni più tardi, non essendosi il signor Botton ripresentato alle elezioni comunali di Breil, il suo posto è stato preso dal signor G. Palmero, sindaco di Mentone.

    Quando poi il Signor Palmero è diventato Consigliere Generale e deputato, ho offerto la mia presidenza della Commissione all’amico Raoul Zaccari deputato italiano ed europeo, perché le due presidenze fossero politicamente più equilibrate. Una Commissione formata da soci dell’Unione Federalista Intemelia e di un analogo gruppo mentonasco ha ripreso a funzionare dall’inizio del 1952 per indicare ai politici italiani e francesi i problemi nuovi o non risolti.

 

6)  IL  SINDACO  E  SCRITTORE  LORENZO  LIMON

    Dopo i vari podestà e commissari prefettizi del ventennio fascista, sono stati eletti sindaci di Olivetta San Michele nel 1945 Lorenzo Trucchi, dal 1945 al 1947 Giulio Iperti e dal 1947 al 1948 l’avv. Lorenzo Limon come Commissario Prefettizio e dal ‘48 al ‘49 come sindaco. E voglio ricordarlo per la sua calorosa adesione al progetto di zona franca e alle commissioni di studio per i problemi di frontiera. Ma in special modo per la nostra collaborazione col signor Paul Tardivo, sindaco di Sospello, per l’apertura della strada e del valico Sospello-Olivetta, che è stata poi, grazie al nostro vivo interessamento, realizzata. Nel 1949 Lorenzo Limon, avendo rinunciato alla carica di sindaco si era trasferito a Ventimiglia per dedicarsi interamente alla preparazione del volume intitolato PENNA VINTIMILI - Olivetta San Michele, che in 456 pagine riporta una documentazione della vita della nostra comunità dal 1157 al 1959. A questa opera ha lavorato quasi fino al momento della sua morte, avvenuta nel 1961, e la pubblicazione postuma del volume, stampato dalla SASTE di Cuneo, è stata curata dalla sua nipote, la dott. Liliana Mercando. Sovrintendente ai Monumenti di Torino. Ricordando la nostra amicizia e la nostra collaborazione ho proposto ed ottenuto che il suo nome venga ricordato nel Dizionario Biografico dei Liguri illustri, edito dalla Consulta Ligure, la cui pubblicazione del 1° Volume è prevista per il 1991 a Genova e sono lieto che anche la nostra comunità sia ricordata in questa grandiosa opera, con un suo rappresentante.

 

7)  CHIEDIAMO  UN  MAGGIOR  AIUTO  PER  I  NOSTRI  COMUNI  MONTANI

    A seguito dell’accoglimento delle rivendicazioni territoriali di De Gaulle alla conferenza della Pace di Parigi, degli 832 abitanti che formavano la comunità di Olivetta San Michele ne passarono alla Francia 366 della Penna e di Libri, il quale fu subito provvisto di una strada carrozzabile che aspettava da lunghi anni, e ne rimasero all’Italia 466, diminuiti nel censimento del 1981 a 334 fra Olivetta (248 ab.), San Michele e Fanghetto. E in quest’occasione vorrei rivolgere ai nostri politici qui presenti l’invito di chiedere al nostro governo di fornire ai comuni montani italiani tutti gli aiuti ed i benefici che la Francia fornisce a quelli francesi, in modo che possano sviluppare attività sufficienti ad occupare i giovani ed a creare attrezzature ed agevolazioni necessarie per trattenere o per richiamare nel paese i pensionati. Così si comporta, qualunque sia il Governo, lo Stato francese con i comuni montani per mantenerli in vita. Da noi invece, lo conoscete l’ultimo progetto dei nostri governanti ? Far scomparire tutti i comuni con meno di 5.000 abitanti, semplice no ! Perché non muoiano, niente di meglio che ammazzarli e non vi dico altro.

 

8)  LO  STRAORDINARIO  DIALETTO  PARLATO  AD  OLIVETTA

    Per finire dedicherò qualche minuto ad illustrare sommariamente alcune delle peculiarità del dialetto di Olivetta, formato su una base ligure estremamente arcaica, con la sovrapposizione di un lessico occitanico altrettanto arcaico, influenzato però dal piemontese, per una sua provenienza attraverso il Piemonte o per l’immigrazione dei piemontesi Gastaldi provenienti da Nizza.

    Una delle più importanti caratteristiche della lingua parlata in alcune località dell’antico dominio ligure italiano è quella della trasformazione delle

a) S antevocaliche o finali in una h espirata. Questa evoluzione è un fenomeno che ha interessato una delle più importanti tribù liguri preromane, quella dei “Camuni”, oggi rappresentati dai circa 800.000 abitanti di Bergamo e delle sue valli. Ed è conservata inoltre in punti isolati come Olivetta, nei comuni della Val Graveglia nella riviera di levante ed in un comune del Canton Ticino. A Olivetta si dice: hàa “sale”, hàuha “frutto del gelso”, hanhüga “sanguisuga”, heba “cipolla”, höriu “liscio”, huh “brutto”, hihàh “setaccio”, hest “testo per cuocere”, huisciàa “soffiare”. Fra i miei informatori ho avuto, oltre quelli di Olivetta anche un vecchio compagno di scuola di Libri, che mi ha permesso di capire come è avvenuta questa trasformazione. A Libri il fenomeno si presenta in una fase più antica, che corrisponde al suono sordo del th inglese di thank “grazie”, mouth “bocca” o a quello sonoro (dh) di that “questo”, with “con”, unificati poi nella h di Olivetta.

b) L’altra caratteristica non meno importante è quella della “metafonesi”, che comporta la trasformazione della vocale tonica di una parola quando termina, come nei plurali, con una i atona. Così la è aperta di tènp “tempo”, vèrm “verme”, pènc “pettine” diventa chiusa nel plurale ténpi, vèrmi, pénci. La è chiusa passa ad i: bék “becco degli uccelli”, désk “desco”, “mese” diventano al plurale biki, diski, mihi. La o aperta passa ad ö: korn “corno”, korb “corvo”, got “bicchiere” diventano kórni, korbi, goti. La u di furn “forno”, lub “lupo”, rut “rotto” diventano fürni, lübi, rüti.

c) Le e mute non hanno come in francese un “suono indistinto”, ma sono totalmente mute e vengono perciò sostituite con una i, vocale di appoggio: latino HOMINE, francese homme, oliv. omi singolare e plurale; francese sucre “zucchero” hücri; francese poudre “polvere” purvi, francese âne “asino” anhi.

    I plurali dei sostantivi derivati da basi latine in -RU,-RE, -LU, -LE non si fa con una i, ma partendo dall’accusativo plurale della parola. Così latino MULU: müu, ma il plurale si forma dal latino plurale MULOS: müls: mü (ss): mü; fìi plurale fi “filo”; latino DOLO: dòo plurale do “lutto”; màa plurale ma “male”; barbés plurale barbé “barbiere”.

    Molte altre sono le straordinarie caratteristiche del dialetto di Olivetta, ma non voglio approfittare ulteriormente della vostra pazienza e ricordare piuttosto gli informatori, che mi hanno permesso lo studio del dialetto. Ricorderò per primo Giovanni Gastaldi di Libri, a cui ho già accennato, morto tre giorni prima della pubblicazione del volume, che aspettava con ansia, e trovandomi in quei giorni a Roma, non ho potuto neanche rivederlo. Fra gli informatori di Olivetta, hanno partecipato alle inchieste Silvio Gastaldi. Alente Limon, Attilio Gastaldi e soprattutto Valerio Gastaldi vulgo Felice, che ha continuato gli anni seguenti a darmi la sua validissima collaborazione, a cui si è aggiunta nell’ultimo anno quella di Ferdinando Iperti.

                                                                                                                  Emilio AZARETTI

                                                                                          Cittadino Onorario di Olivetta San Michele

                                               LA VOCE INTEMELIA  anno XLV  - n. 9/10  - settembre  - ottobre 1990