TRADIZIONE E FOLCLORE IN
VAL NERVIA
Riti e manifestazioni della profonda tradizione locale
Camporosso Dolceacqua
L’auribaga di San Bastian
a Camporosso e Dolceacqua
Dal 1980, la processione di San Sebastiano, a Dolceacqua e quella, non meno nota e forse più continuativa, a Camporosso, hanno ripreso tono, anche sotto l’aspetto laico-rappresentativo; mantenendo vive le confraternite dei “sebastianeti”, che col saio bianco ed il corto “tabarin” cremisi, assieme al popolo dei fedeli ed il clero, accompagnano un grande albero d’alloro decorato da centinaia di ostie policrome.
La solenne processione riprende, in chiave cattolica, un antico culto invernale, con l’albero dei falsi frutti a significare la gloria della fertilità e della fruttificazione. Era ritualità delle latine “Ferie sementine”, durante le quali si procedeva alla lustrazione dei campi e si offriva a Cerere e a Terra una pozione di latte e mosto cotto, mentre le giovenche, adoperate nei lavori dei campi, venivano inghirlandate di fiori e lasciate a riposo.
Le popolazioni celto-liguri provvedevano alla purificazione dei campi, celebrando “Imbolc”, festa lustrale del primo febbraio e con questa la fine dell’inverno. I greci Massalioti portavano il ramo dei supplici, ricolmo di primizie di ogni specie, per indicare la fine della sterilità.
Per metà gennaio, da antichissima data, vige l’usanza dell’allestimento di un albero da processione. Nella bassa Val Nervia, sono numerose le famiglie che curano la crescita di una pianta d’alloro, in un angolo del loro fondo, intervenendo con sapienti potature, nel corso di parecchi anni, allo scopo che venga scelga per essere immessa nella processione di gennaio.
Nei giorni precedenti la festa, i “sebastianeti” provvedono a tagliare e modellare, il grosso arbusto di alloro scelto, adornandone poi ogni fronda con numerose “papéte” o “négie”, ostie variopinte preparate nel corso di lunghe veglie notturne, nei mesi precedenti.
Per integrare le imperfezioni nella sagoma della chioma, esperti artigiani integrano artificialmente i vuoti tra i rami autentici con fronde ricuperate da altre piante, operando veri e propri intarsi nel tronco originale e sostenendo i “riporti” con appositi tiranti. Un lavoro paziente e ponderato, frutto di esperienze millenarie.
Al termine della funzione religiosa, i rami vengono recisi ed offerti, carichi delle loro ostie, a ciascuno dei presenti, che conserverà con particolare cura il gradito feticcio, ottenuto in cambio di una donazione spontanea. Per tradizione, la cima svettante, opportunamente segnata nell’addobbo, col colore uniforme delle “papéte”, viene consegnata al donatore della pianta.
Oltre che segnalare i link sulla ritualità di gennaio, in Bassa Val Nervia, rimandiamo al riferimento per una visita all’esaustiva carrellata fotografica in Auribaga e Papete, contenuto in un lavoro di ricerca divulgativa impostato nel 1984.
Ra Barca, a Bajardo
sito al culmine di Val Toca, affluente di sinistra della Nervia
Per la Pentecoste, a Baiardo, viene ripresa un’antica tradizione a cui partecipa l’intero paese: il girare ra Barca. Nella vigilia della festa, i giovani del luogo visitano gli ampi boschi comunali con l’atavica facoltà di trarne il larice più alto e maestoso. Con esso si fa un’altissima antenna, in piazza, al culmine della quale si colloca un giovane e vigoroso apice ricavato da un pino che ha funzioni vivificanti per la natura primaverile. Una volta rizzata l’antenna e aggiunta la culminante protesi vitalizzante, tutto il paese si radunava attorno al simbolo rituale per formare un grande girotondo al canto di un’ antico poema popolare.
In esso si racconta la storia di un marinaio pisano giunto a Baiardo per estrarre dai boschi alte antenne per le navi della Repubblica marinara toscana quando Genova era ancora una città di orticoltori. Del marinaio si innamora una delle figlie del signorotto locale, che, scoperta la tresca, trascina la figlia nella piazza e pubblicamente le mozza la testa.
Da questo racconto si trae abbastanza chiaramente un esempio di purificazione pubblica con la giovane innamorata nelle vesti del capro espiatorio. Tutto il rituale, naturalmente, al di là della più recente e sentimentale storia d’amore inseritavi, ha una indubbia origine atavica.
La morte violenta della figlia del conte ha forte legame con l’antica cerimonia di eiresione dei greci, più dettagliatamente degli Eraclidi.
Gli Eraclidi non sono stati assenti sul territorio intemelio, sia per la presenza dei Massalioti sul mare, sia per il percorso della antica strada Eraclea, che passava nei pressi di Monte Bignone.
Nell’eiresione si portava un ramo di fico o di olivo guarnito di fili di lana, come allora il ramo dei supplici ricolmo di primizie di ogni specie, per indicare la fine della sterilità. Come l’alloro processionale della Bassa Val Nervia, l’alberello sul culmine de “ra Barca” può essere retaggio degli antichi riti della “eiresione”, che ha poi aderito a spunti più originali nel corso dei secoli.
Una curiosità sull’erezione del tronco di larice è legata alla sua identificazione che si fa con l’antenna della barca, citata nel poema popolare; però, proprio nelle campagne di Baiardo e dintorni: “a bàrca” è il pagliaio estivo, issato attorno al palo nei pressi della fienagione, in attesa di traslocare il fieno all’assustu, tanto che una voluminosa quantità di erba secca si riconosce come ina barcà de fen.
Al sito di Wikipédia su feste, fiere e sagre, a Baiardo, lasciamo il compito di illustrare i dettagli de “Ra Barca”, manifestazione di Pentecoste, qui ci limitiamo a segnalare l’attenta ricerca, curata da Andrea Gandolfo sul libro web: La Provincia di Imperia: storia, arti, tradizioni.
Una bella sequenza di immagini è su 'Ra_Bàrca_a_Baiàrdo, di JAlbum.