A F U N T A N A
S U T U M A R I N A
La «Polla Rovereto», acqua dolce al largo di Punta Mortola
di Danilo Gnech
- Cimitero dei Ciotti per la casa bianca piccola
con una sola finestra nera.
- Il lato di terra della “nave” per la settima arcata
da ponente del Murru Russu.
Queste le mire che i pescatori della Mortola usano per ritrovare “a Funtana” una sorgente di acqua dolce di fronte a Punta Mortola che con mare calmo è possibile individuare anche da terra.
Il fenomeno è balzato improvvisamente all’onore dalla cronaca nell’estate del 2002, quando il Comune di Ventimiglia e la Nynphea Water, un gruppo che opera in tutto il mondo, hanno preso accordi per verificare la possibilità di sfruttare la sorgente per uso civile. Ma non è la prima volta che la “Funtana” sale alla ribalta; in passato erano già stati fatti studi sulla possibilità di captazione e sfruttamento della sorgente e alla stessa era stato attribuito il nome di “Polla Rovereto”.
Antonio Stefanon e Floriano Calvino infatti battezzano la polla col nome di Gaetano Rovereto che fu il primo a studiarla scientificamente. Nel 1928, così la descrisse: “Polla grandiosa, ignota alla scienza, nemmeno segnalata sulle carte ... un ribollimento di acque, con ampie ondate circolari”. Il Rovereto ne calcolò la posizione: 300 metri da riva, 19 metri di profondità e la portata di almeno 1 metro cubo al secondo e ritenne che fosse possibile controllarla con una perforazione sulla costa.
Nel 1939 torna sul posto e studia le possibilità di captare dell’acqua dolce, ma senza risultati. Solo nel 1960 viene condotta la prima campagna scientifica per conto dell’Istituto di Geologia dell’Università di Genova, dai professori Floriano Calvino e Antonio Stefanon. I mezzi impiegati piuttosto scarsi: una barca a remi noleggiata sul posto, un autorespiratore concesso dalla Ditta Cressi di Genova e il motoscafo offerto dal Signor Cepollina. Con l’aiuto di quest’ultimo, esperto subacqueo, vengono raggiunte due piccole sorgenti a profondità di 27 e 28 metri, distanti 30 metri l’una dall’altra e con un diametro di 30 cm. Si tenta di localizzarle topograficamente utilizzando due gavitelli e, seguendo il metodo dei pescatori, di allinearli con due coppie di punti fissi a terra. Le “mire” così fissate, si dimostreranno, l’anno successivo, sbagliate di ben 400 metri.
I pescatori della Mortola raccontano come la polla sia maggiormente visibile nei mesi tra novembre ed aprile e come essi stessi usano approvvigionarsi di acqua, quando sono in mare, attingendola al centro della polla.
Nel 1961, Calvino e Stefanon si avvalgono della collaborazione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri con l’appoggio della corvetta Daino della Marina Militare. Questa volta le attrezzature non mancano, la nave dispone di ecoscandaglio, strumenti di rilevamento topografico, una squadra composta da dodici subacquei ed attrezzata con autorespiratori, tute da immersione, compressori, campana di decompressione, macchine fotografiche subacquee, motolance di appoggio ed un ufficiale medico. Sotto la guida di Stefanon si localizza la sorgente principale a 39 metri di profondità e a circa 700 metri dalla costa, che dista dalla altre due un centinaio di metri.
Intorno a queste tre sorgenti si notano delle chiazze sabbiose circolari prive di vegetazione marina che potrebbero essere altri orifizi che erogano acqua in periodi di piena impedendo così l’attecchimento della flora, sia per la labilità del suolo d’appoggio, sia per la diminuzione di salinità.
La portata complessiva viene calcolata in circa 100 litri al secondo che va considerato un minimo, dato che al momento delle osservazioni non pioveva da quattro mesi; l’acqua sorgiva ha una temperatura di circa 10 gradi. All’analisi dell’acqua vennero riscontrate da 75 a 45 parti per milione di cloruri.
“È evidente che l’acqua è da considerarsi dolce. Infatti sono necessarie 400 parti per milione di sale perché questo sia avvertibile al sapore, e qualsiasi pianta tollera fino a 900 parti per milione di cloruri nell’acqua di irrigazione” afferma F. Calvino.
Altre due sorgenti di minore entità e mai studiate a fondo si trovano sul crinale di Punta Garavano. Queste sorgenti sottomarine sono di tipo carsico nacquero “... come sorgente litoranea e livello di quel mare in concomitanza con una delle ultime importanti espansioni glaciali, forse con l’ultima di esse ...”.
Il bacino di alimentazione è da ricercare principalmente nella Val Bevera e lo stesso Bevera, il rio Giarusso ed il rio Gerri dovrebbero fornire il loro contributo alle sorgenti sottomarine. Il bacino dovrebbe avere quindi un’area di alimentazione della superficie di circa 10 Kmq.
Per la captazione della sorgente, il Rovereto suggerisce due metodi condivisi anche da Stefanon e Calvino: Il primo forse più costoso consiglia di fare una serie di perforazioni lungo la costa:”... L’obiettivo dei sondaggi (suggeriscono i due studiosi) dovrà essere limitato ai 200-250 m. di profondità, fra le verticali della “spiaggia degli smeraldi” e dell’imbocco occidentale della galleria ferroviaria sottostante al bivio per Grimaldi ...”
Il secondo metodo potrebbe essere quello di circondare la sorgente maggiore con una struttura stagna ancorata sul fondo roccioso. Da qui con una tubazione potrebbe raggiungersi la costa. Calcoli effettuati dai due studiosi prevedono a terra una prevalenza, in periodo di magra di 1 o 2 metri sul livello del mare. Non una grande pressione quindi, che obbligherebbe alla realizzazione d’un serbatoio sulla costa,munito di apparecchiature di pompaggio.
I giornali locali affermano con enfasi che la captazione d’acqua dolce da una sorgente sottomarina verrà realizzata per la prima volta proprio qui a Ventimiglia, in realtà in Italia esistono già altri casi: le sorgenti di Aurisina utilizzate per l’acquedotto di Trieste, la Polla di Cadimare a La Spezia e quella lacustre presso Sirmione, a tutte a profondità inferiori.
La stessa Polla Rovereto fu “imbragata” nel 1969 dalla ditta Farosub di Torino; in quell’occasione, guidati dal geometra Ferrua, i sub Giovanni Comino e Giampiero Balbo, con la collaborazione di Gianmario Cassini, riuscirono ad introdurre un tubo direttamente nella sorgente, a fissarlo ad una catena ancorata sul fondo, portandolo in superficie, dove venne assicurato ad una boa.
Fino a quando la furia del mare lo permise i naviganti che si avvicinavano alla boa potevano attingere acqua dolce sgorgante dal tubo.